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Autore: Renato Delfiol
Di Luce sarà la più bella storia
Romanzo Storico
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Di Luce sarà la più bella storia

Una ragazza del Trecento.

Voci e notizie.

Una mattina di marzo, insolitamente calda, col cielo un po' nuvoloso, Villano figlio di Goro stava an dando al mercato di Fiesole a vendere due panni tinti di azzurro col guado ; da essi si preparava a riscuotere quanto bastava per far fronte ai pagamenti che avrebbe dovuto fare al padrone. Avrebbe dovuto chiedere anche nuovi prestiti per rinnovare le sue attrezzature. E poi, con la carestia che c'era stata, bisognava pensare a procurarsi altro cibo fino alla raccolta.
Era particolarmente fiero di una delle due pezze, perché l'aveva tessuta interamente la figlioletta Luce. Mentre saliva, in groppa al suo asinello, verso il villaggio, notò un gruppetto di persone che parlavano con concitazione e si avvicinò. Una di queste lo conosceva e gli si rivolse: «Hai sentito, Villano? Cattive nuove.»
«Che è successo, Maso, è morto qualcuno?»
«Non qualcuno, diversi. Questo mercante, Angiolo di Filippo» e indicava uno a cavallo che trottando stava lasciando il gruppo «ci ha detto che a Fiorenza ci sono stati dei morti di pestilenza; si dice anche che non è solo una cosa di Fiorenza, dicono che è capitato anche in altre città.»
Villano scese dal mulo e si avvicinò a lui e agli altri.
«Ma dite sul serio? Diversi morti?... certo, dopo tutto quello che è successo agli anni passati, ci voleva anche questa! Le ruberie, la carestia...»
Un anziano popolano scuoteva la testa: «Brutte cose son capitate... più si pecca e più il mondo va male... Dio ci punisce.»
Intervenne uno: «E noi che ci possiamo fare? Noi siamo in mezzo, quando ci sono state le sommosse ci han rubate le bestie, distrutto i raccolti, i padroni han voluto di più del solito e che ci dobbiamo scapitare sempre noi? Che muoiano un po' anche quelli di città, noi siamo alla fame e i bimbi già se ne vanno...»
Con una smorfia di dubbio Villano disse: «Forse bisognerà stare attenti a non andare in città.»
«Dici bene» riprese un altro «Ma chi deve portarci il vino o le onoranze, come fa? Io ci ho da andare a giorni dal padrone, tra poco è Pasqua... e poi mica si prenderà così, andando per la strada...»
Il vecchio riprese: «Eh, tu sei giovane ma le altre volte bastava proprio incontrare uno, stringergli la mano e te la prendevi... certo che magari poi guarivi.»
«Ma sì» riprese Maso «bisogna anche vedere chi muore, magari son fanciulli, vecchi, già debilitati dalla scarsezza di cibo, noi che lavoriamo e siamo forti se anche prendiamo il contagio, ne guariamo di sicuro... anche l'altr'anno ci fu un poco di pestilenza e al mio popolo ne morì uno o due, ma ragazzi, e altri si rimisero tosto in piedi.»
«Eh, Maso» fece Villano annuendo «speriamolo davvero, non ci vorrebbe qualche altra disgrazia, poi io mica son tanto giovane e neanche tu, lavoriamo perché siamo abituati, ma tanto da mangiare non ne abbiamo.»
«Già, mio caro» sorrise Maso «i nostri anni li abbiamo fatti, non siamo più giovincelli, bisognerà riguardarsi un poco, tu non ci hai da andare a Fiorenza, vero?»
«No, no, io porto qui al palagio dei Solosmei , che hanno lì i magazzini e poi son loro che mandano a vendere al mercato, coi loro salariati.»
«Eh, siete fortunati, te e i fratelli, che siete a mezzo . Io invece dovrò portare il grano a Fiorenza, che è tutto mio, lo porto al mercato, ma come vorrei che lo portasse qualcun altro, e anche le altre cose... non è mica tanto bello, sai, aver la terra propria. Anche quando cominci a invecchiare devi far tutto da te e anche il trasporto è una bella spesa... guarda, quest'anno avevo intenzione di chiederti se me lo portavi tu, col tuo carretto che magari mi facevi un po' di sconto e invece, vedi...»
«E vabbè, Maso, ma di che ti preoccupi? Il raccolto è lontano, per quell'epoca sarà tutto finito e a Fiorenza ci andiamo insieme, col mio carro, a vedere com'è abbellita la città... son tanti anni che non ci vado e per una gita con te non ti faccio pagar niente e magari ci porto anche la mia figliola, che sai quanti cittadini s'invaghiranno di lei, quant'è bella? Dai, scherzo... a lei ci vuole un bravo ragazzo di qui... a proposito, quel tuo nipote, è un po' che non lo vedo.»
Con una smorfia Maso disse: «Angelo, dici? Se n'è andato l'altr'anno, a cercar migliore sorte altrove... certo se gli vuoi dar la tua figliola lo vado a riprendere per i capelli, qua deve stare, a far figli con lei... comunque se non vuoi lui c'è mio figlio, però è più giovane e non so se si vuol prendere la responsabilità di una famiglia.»
«Beh, vedremo...» sorrise Villano un poco rasserenato
«ora andiamo al mercato e vediamo che ci danno. Tu vai a vendere o a comprare?»
«Vado a vedere se c'è qualche occasione... anch'io devo arrivare al raccolto, sai.»
Mentre continuavano Villano riprese: «Maso, tu fai come credi ma son diversi che, soprattutto quando invecchiano, vendono la propria terra ad un altro, per esempio a un monastero, col patto di riaverla a mezzo. Ha fatto così anche mio zio, il fratello di mio padre, già parecchi anni fa. Così divideva gli utili ma anche le per-dite. La casa l'ha conservata, lavorava come al solito, è una buona soluzione. Ora che è morto hanno rinnovato il contratto con i figli.»
Anche al mercato l'argomento del giorno era lo stesso, le voci erano giunte. C'era chi mostrava paura e chi no, fidando nel proprio aspetto robusto. Un grasso beccaio teneva per le zampe tre polli e li mostrava con orgoglio; alzandoli in alto ne magnificava le qualità e andava gridando: «Io me la mangio la pestilenza! Guardate che bestie, la carestia non l'hanno avuta, hanno più carne delle vostre donne! E che piume! Con una ci fate due guanciali... comprate gente, comprate!»
Vendette con poca difficoltà le due stoffe e coi soldi guadagnati Villano tornò al podere un poco preoccupato. Ci mancava anche la pestilenza, dopo la penuria dei raccolti! Già quando era nata Luce erano cominciate le carestie, se lo ricordava bene. Un anno da dimenticare, quello, e però come non ricordarlo?
Era stata una sciagura per tutti: intanto aveva colpito la città di Fiorenza; ai primi di novembre infatti il fiume, ingrossato per la pioggia che era caduta copiosa per più giorni in tutta la valle dell'Arno e nel Mugello , aveva rotto gli argini vicino alla chiesa di santa Croce e inondato tutta la città fino al palazzo del Vescovo; aveva distrutto tre dei quattro ponti: il Vecchio, il Nuovo e quello della santa Trinità. Sotto la furia dell'acqua erano crollate case e palazzi e molte persone erano perite e così anche moltissimi animali. Si era saputo che l'acqua in alcune vie era arrivata a sei braccia di altezza.
E poi il resto: ai mezzadri del contado di Fiorenza poco importava, ma con l'inondazione dei magazzini molto grano era andato perduto e con le piogge molte semine erano state perse, così il padrone aveva preteso un maggior quantitativo di grano per far fronte alla penuria che si era veri-ficata; aveva chiesto i tre quarti invece della metà, pagando l'eccedenza al prezzo dell'anno prima, non a quello di mercato.
Era una difficoltà in più, ma Villano e la moglie Bionda non erano usi a perdersi d'animo e, come del resto i fratelli Bonaiuto e Domenico, avevano dovuto accontentarsi di nuovo del pane povero di grano e biada dei primi tempi, un po' come tutti, anche intorno a loro. Tutti i padroni avevano voluto più grano e chi era coltivatore proprietario spesso aveva goduto di minor raccolto per via delle piogge. Era una difficoltà superata, a ricordarla pareva leggera e invece tanto più gra-ve questa che sembrava incombere su di loro. Tra questi pensieri arrivò a casa.
Chiamò i fratelli e i figli grandi e raccontò quel che si diceva, consigliando a tutti di non an-dare a Fiorenza. Non ce n'era motivo, però che rimanessero avveduti.
La vita continuò come al solito. Dei morti a Fiorenza si parlava un poco la domenica sul sa-grato della Badia , che Villano ogni tanto frequentava, lasciando i familiari nella loro parrocchia di san Romolo a Schefanoia , perché lì si potevano raccogliere più informazioni. Una di queste domeniche, dopo la messa, Villano si accostò a un gruppo dove c'era uno che parlava e tutti gli al-tri lo stavano a sentire. Si avvicinò e chiese:

Renato Delfiol

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