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Autore: Ilario Giannini
Posso entrare?
Thriller Noir Psicologico
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Posso entrare?

Beatrice Berardi nota con la coda dell'occhio il nuovo inquilino che le si avvicina. Ma finge di non averlo visto e si affretta a raggiungere la porta di casa. Sua suocera, quella mattina, prima di partire per l'ospedale, con la borsa della biancheria per Jack, le ha raccontato anche il secondo incubo che ha avuto, più o meno in contemporanea all'incidente di suo marito.
Ha sempre considerato delle stramberie tutte quelle cose in cui crede Devana. La cartomanzia, i rituali, le divinazioni... tutto le sembra solo un retaggio di assurde superstizioni. Però questa volta le coincidenze erano davvero troppe per essere ignorate. Così preferiva non incontrare da sola quell'uomo.
“Se faccio in tempo ad aprire la porta e fiondarmi in casa, mi lascerà in pace...” pensa. “Non starà certo a suonare il campanello solo per presentarsi o chissà che altro. Nel caso, gli dirò che devo scappare in studio per un appuntamento.”
Ce l'ha quasi fatta. La chiave è già nella serratura, le basta un colpetto di polso per aprire e sparire dentro casa. Ma la chiave si inceppa.
"Maledizione!"
«Signora Beatrice?»
Tardi! L'uomo in nero l'ha raggiunta. Quella voce alle sue spalle, a poco più di un metro di distanza, la fa sobbalzare. Solo ora la serratura si sblocca e la porta si apre. Lei si gira e risponde: «Sì?»
«Sono Federico Guidi. Ho il piacere di essere suo vicino per qualche settimana.»
«Beatrice Berardi. Piacere mio.»
«Ho sentito dell'incidente che ha avuto Jack. Spero non si sia fatto nulla di grave.»
Bea lo tranquillizza. A parlarci non le sembra poi così terribile come lo dipinge Devana, il bel dottore. Scambiano ancora qualche parola su quanto è capitato a Jack. Ma lo straniero resta educatamente al suo posto. Non si avvicina, non fa domande indiscrete. E questo a Bea piace. Si rilassa. Quell'uomo non è assolutamente il demonio che dice sua suocera. Ha solo una predilezione per gli abiti neri. Come neri sono i suoi capelli e i suoi occhi, che sembrano sorridere anche quando non lo fa con la bocca.
«Mi ha fatto piacere conoscerla. Avevo incrociato già altre volte suo marito, ma lei mai...»
«Ha fatto piacere anche me» risponde Bea, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Gli occhi neri di lui continuano a fissarla. Lei batte le ciglia e distoglie lo sguardo.
Un tic nervoso nuovo? Si chiede. Si sente a disagio a sostenere il suo sguardo e non sa perché. Continua a cercare i suoi occhi neri, per poi distogliere lo sguardo, puntandolo altrove. Si impone di mantenere il controllo. Almeno sulle sue mani, che tendono ad andare verso i capelli. A quello c'è abituata. Ma ora deve combattere anche sul suo sguardo, che si fa sfuggente.
«Bene. Allora la lascio andare. Avrà i suoi impegni a cui badare... posso chiederle di cosa si occupa?»
«Sono una psicologa» risponde lei. E distoglie lo sguardo.
«Davvero? Ma allora in pratica siamo colleghi. Possiamo darci del tu?»
«Beh, non proprio colleghi... a quanto mi hanno detto lei... tu sei uno psichiatra, io solo una psicologa...»
Si aggiusta i capelli. Distoglie lo sguardo.
«Che vuol dire solo una psicologa?»
I suoi occhi sono fissi su quelli di lei. Le sembrano sempre più neri, sempre più grandi.
«Ci prendiamo cura entrambi della mente umana;» prosegue l'uomo in nero «io mi occupo dell'hardware e tu del software, ma abbiamo entrambi il privilegio di entrare nella sede dell'anima dei nostri pazienti, no?»
«Nella sede dell'anima?» Bea sorride. Poi si sistema i capelli e distoglie lo sguardo. Si odia per non riuscire a farne a meno. «Non l'avevo mai sentito dire in questo modo...»
«Non è importante come lo diciamo. È importante ciò che facciamo, ciò che sentiamo...»
«Un punto di vista interessante...» stavolta riesce a tenere le mani ferme e anche il suo sguardo. Non era poi così difficile. «Oh, ma io continuo a tenerti qui a cuocere sotto il sole...»
«Io non soffro il caldo. Ci sono abituato.»
«Buon per te! Io preferisco l'inverno...»
«Beatrice?»
«Sì?» si aggiusta i capelli.
«Posso entrare?»
«Certo.» distoglie lo sguardo.
***
Beatrice si chiede come abbia potuto sua suocera covare dei dubbi su Federico. È un uomo che ha mille qualità. E non sta pensando solo a quelle fisiche, che certo sono evidenti, ma non sono state quelle a conquistarla.
Lui la riempie di complimenti sul suo abbigliamento e su come ha arredato la casa. Lorenzo non le ha mai fatto tanti apprezzamenti, da quando si sono sposati. Potrebbe indossare qualsiasi cosa e lui non si accorgerebbe della differenza. Quanto all'arredamento, a lui non è mai interessato un fico secco. Eppure, c'è intesa tra lei e suo marito, sia dal punto di vista intellettuale, che nell'intimità. Insomma, non può certo lamentarsi di Lory. Ma caratterialmente e quanto a interessi in comune... beh, è tutto molto complicato!
Si chiede perché mai stia facendo quelle considerazioni proprio ora che sta prendendo un caffè nel suo salotto, con un quasi collega con il quale sembra avere molti, ma molti argomenti e interessi in comune.
E lui la ascolta! Lei si sente libera di parlare di tutto, senza timore di giudizi, mentre Federico la guarda, le sorride e l'ascolta. Sì, finalmente ha trovato qualcuno che le presta attenzione, mentre le sembra di aver passato la vita intera solo a preoccuparsi degli altri. Suo marito, il resto della famiglia, i suoi pazienti.
Finalmente è lei che parla, mentre si tuffa in quei liquidi occhi neri che brillano solo per lei. Senza stare a pensare se distoglie lo sguardo o se si sistema cicche di capelli che non hanno alcun bisogno di essere messe a posto. Lo fa e basta, senza preoccuparsene.
«Sei davvero una gran bella persona Fede.»
«Anche tu Bea.»
Quando sono passati a chiamarsi così? Con tanta confidenza e familiarità?
«Oh, faccio del mio meglio...» risponde lei, abbassando lo sguardo e toccandosi i capelli.
«Invece fai tanto! È quasi incredibile quello che fai, date le circostanze...»
«Le circostanze?» chiede sorpresa. Ma che voleva dire?
«No, dico sul serio. Hai tutta la mia comprensione.»
«Comprensione?» ripete lei. Ma per che cosa? Semmai ammirazione, vorrà dire...
«Sì... non deve essere facile per te, vivere nel clan dei Del Giudice.»
Ora quello che le sta dicendo non le suona più tanto bene. Non comprende dove vuole andare a parare.
«Io non capisco... perché mai?»
Non sa che dire. Riesce solo a balbettare, toccarsi i capelli, guardare ovunque e nulla in particolare, pur di non guardare lui.
«Voglio dire... è una famiglia importante, in vista... piena di gente forte, capace e determinata...»
«Beh, certo... ed io...»
«E tu, qui tra loro, devi sentirti un po' come un vaso di coccio tra tanti vasi di ferro... sempre sotto esame, sempre nella fila dietro, mai all'altezza! Io ti capisco benissimo, sai?»
«Ah, sì?»
Ma che cazzo dice? Lei si sente davvero così? Beh, forse un po'... forse, ogni tanto...
«E poi, proprio con Lorenzo! Deve avere una personalità ingombrante, un carattere difficile da sostenere... con cui misurarsi... non è così?»
«Veramente io...»
«Oh, tu... non è colpa tua, certo...»
Bea torna a fissare gli occhi nerissimi e comprensivi dell'uomo che ha di fronte. Non riesce più a pensare lucidamente, non è più in grado di proferire parola.
«Lorenzo è un uomo molto bello e affascinante...» continua il dottore. «Chissà quante donne farebbero carte false per essere al tuo posto. Immagino che anche questo peso, questa incertezza, non sia facile da sopportare! Lui è più giovane di te o sbaglio?»
«Lui?» Diavolo, sì... lui è più giovane... ed è bello, sicuro di sé e strafottente. Il tipo che piace tanto alle donne. «Sì, io sono più vecchia. Di qualche anno soltanto. Si vede?»
«Oh, solo un po', certo. Sei una bella donna anche tu, dopotutto. Ma con gli anni, la differenza si vede sempre di più, quando è la donna a essere più vecchia, vero?»
Beatrice lascia scivolare lo sguardo verso lo specchio appeso sopra il mobile basso. Non si è mai sentita particolarmente bella, ma adesso poi...
Porta le mani ai capelli, poi scende giù a toccarsi le guance. Osserva nello specchio con ribrezzo le sue rughe d'espressione, il suo sguardo triste, gli occhi stanchi...
«Ti ammiro, sai Bea?» continua il dottore. «Ci deve volere tanta forza e tanto coraggio per accostare ogni giorno la propria mediocrità a una famiglia così piena di qualità straordinarie.»
Lei batte le ciglia, distoglie lo sguardo, si guarda le mani appoggiate in grembo.
«E Lorenzo è uno stimato dottore. Gli hai detto dei tuoi tic nervosi? Delle tue insicurezze, delle tue fobie? Perché si vedono, sai?»
«Posso controllarle...»
«Sicura? Pensi davvero che lui non si sia già accorto? E se anche fosse, che penserà di te quando lo scoprirà?»
Gli occhi di Beatrice bruciano. Lei si pietrifica pur di non cedere. Un attimo di silenzio. Spera che duri per sempre, perché non reggerebbe a un'altra parola di quella voce che si è incuneata nella sua mente. Nella sua anima.
Un occhio ce la fa, l'altro si lascia andare. Una sola lacrima scivola giù, silenziosa, lungo la guancia destra, fino a raggiungere le sue labbra.
«Oh, Bea! Non piangere...» sente dire a quella voce fuori e dentro di lei. «Io posso aiutarti. Io ti capisco. Io adoro i difetti e le debolezze umane. Io non ti giudicherei mai...»
L'uomo in nero si avvicina e l'abbraccia. Lei si aggrappa a lui e si lascia andare. Piange in silenzio. Finché non lo sente sussurrare di nuovo nelle sue orecchie.
«Posso farti una domanda?»
Aspetta che lei faccia cenno di sì, con un impercettibile movimento della testa.
«Cos'è che desideri più di ogni altra cosa?»
Lei si stacca da lui e punta lo sguardo in quei suoi occhi nerissimi e lucidi.
«Vorrei essere all'altezza di tutti loro.»

Ilario Giannini

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