Writer Officina - Biblioteca

Autore: Ilario Giannini e Max Zocca
Rivelazione
Thriller
Lettori 225
Rivelazione

Sono di nuovo qui, su questo maledetto ponte. È sempre qui che finisco per tornare, sulla gobba di pietra di questo ponte asimmetrico, arcuato ai limiti del possibile, come una scommessa contro la gravità, vinta barando.
Sotto di me scorrono le infide acque del Serchio e tutt'intorno mi circondano i monti dipinti dal verde acceso di una fitta boscaglia.
Un vento primaverile soffia fresco tra i cinque archi che sorreggono il Ponte della Maddalena. Le prime tre arcate di forma regolare, sono seguite da una quarta campata enorme e mostruosa che disegna quasi un cerchio perfetto, unendosi al suo riflesso sulle acque del fiume; poi c'è quell'ultima arcata stretta, la quinta, aggiunta in epoca più recente per farvi passare la linea ferroviaria.
Gerald mi ha dato appuntamento alle 18,00 qui a Borgo a Mozzano, in questo paese dall'aspetto tipicamente medievale, nascosto tra i monti della Lucchesia. Arriverà puntuale come sempre, con la sua auto targata Città del Vaticano e mi farà i complimenti per aver di nuovo risolto un mistero, svelando che non c'era il diavolo dietro quella che sembrava un'evidente possessione, ma solo una delle tante forme di malattia della psiche umana. Come sempre, del resto.
Intanto il mio sguardo si sposta inquieto sulle acque del fiume, seguendone le correnti e scrutandone il fondale, che in questo periodo dell'anno è ben visibile. Non è così d'inverno, quando il livello dell'acqua sale parecchio e la forza della corrente aumenta a dismisura.
C'è stato un periodo in cui adoravo questo posto. In cui non guardavo l'acqua di questo fiume con tanta diffidenza, tanta tristezza e tanto odio. Ma in fondo, è possibile odiare un fiume? O un ponte? Anche se si tratta del Ponte del Diavolo?
Sono solo cose, mi ritrovo a pensare per l'ennesima volta, con lo sguardo perso nell'acqua che brilla ai riflessi del sole, un bel po' di metri sotto di me. È solo acqua che scorre, sono solo pietre antiche, mi dico. Non hanno colpe. No, non loro.
«Eccolo qua, il nostro illustre psichiatra, il dottor Niccolò Vinci!»
La voce di Gerald mi fa sobbalzare. Mi volto e lo vedo inerpicarsi lungo la schiena arcuata del ponte, ormai a pochi passi da me. Non mi ero accorto che fosse arrivato. Vedo solo ora la sua auto nera in sosta lungo gli argini del fiume. Controllo l'orologio: le 18,00 in punto.
«Padre Gerald Kepler, i miei omaggi!» lo saluto scimmiottando il suo stesso tono formale, come se non ci conoscessimo da anni, da prima che io diventassi uno psichiatra e lui prendesse i voti «Ci potrei rimettere l'orologio con te, tanto sei puntuale. Non hai un cazzo da fare, eh?»
Intanto torno a guardare l'acqua che scorre sotto di noi, mentre lui mi raggiunge e si piazza di fianco a me.
«Sapevo che ti avrei trovato qui, Niccolò, anche se non lo avevamo specificato.»
«Beh, non è che questo sputo di paese abbia molti posti in cui potersi nascondere.»
«Lo so che torni spesso qui...»
Lascio cadere il discorso nel silenzio di quelle montagne, appena scalfito dal rumore dell'acqua che scorre e del vento primaverile che quassù è ancora molto fresco; ma Gerald non molla.
«Sai che non puoi farti una colpa per ciò che è successo qui...»
«Non siamo qui per parlare delle mie disgrazie» lo interrompo prontamente «Sono venuto qui per la ragazzina. Me lo hai chiesto tu, no?»
Gerald sospira e si arrende al mio tono brusco «Hai ragione. Come sta adesso?» mi chiede.
«Come vuoi che stia? Ti rendi conto di quello che può avere passato da un anno a questa parte?»
«Sì, povera ragazza! Quindi ci avevo visto giusto: non c'era nulla di sovrannaturale nei deliri di Marta, niente di diabolico da esorcizzare...»
«Ovviamente no. Solo un patrigno da spaccare in due a forza di legnate!»
Restiamo in silenzio a guardare i monti per qualche secondo. So che Gerald vorrà qualcosa da me per convincersi che ho ragione.
«Erano mesi che Marta faceva la spola tra chiese e dottori...» inizia dire.
«Le chiese gliele potevano anche risparmiare.» lo interrompo, ma lui ignora la mia vena polemica nei confronti della religione.
«Poi arrivi tu e in tre sedute riesci a farla uscire dal suo delirio! Come hai fatto?»
«Tra pazzi ci si intende, Gerald.»
«Smetti di fare il coglione! Dico sul serio. Ci hanno provato con una mezza dozzina di strizzacervelli. Niente! Continuava a recitare la parte dell'indemoniata... E ci riusciva anche bene! L'ho vista con i miei occhi!»
«Non recitava. Sono meccanismi di difesa che si innescano nella nostra testa per salvarci da un male che sentiamo peggiore. Marta non è posseduta, ma non è neanche pazza. Certo, è probabile che abbia sviluppato un disturbo paranoide della personalità, ma come poteva essere diversamente?»
«Come lo hai capito in così poco tempo?» mi chiede l'amico prete malfidato.
Tiro fuori il registratore digitale che uso per memorizzare i colloqui con i pazienti, cerco la traccia giusta e schiaccio play.
La voce di Marta si fa sentire, roca e sibilante, mentre parla con me in stato di ipnosi. Mi fa venire i brividi ascoltarla su quel ponte maledetto. Mando avanti per qualche minuto a velocità accelerata e poi schiaccio di nuovo play, riesumando la conversazione intercorsa tra me e lei la sera prima.
«... capita sempre più spesso, dottore! Come se perdessi il controllo del mio corpo. Come se qualcun altro lo comandasse al posto mio.»
«E tu ricordi ciò che fai in quei momenti?»
«No.»
«Non ricordi di aver aggredito tua madre?»
«No!»
«Ricordi di aver tentato di bruciare la chiesa?»
«Non ero io!»
«Chi era allora?»
«Non lo so... C'è qualcosa che è entrato dentro di me...»
«Che cosa credi possa essere entrato dentro di te?»
«Non lo so, dottore, mi deve credere... Cazzo! Lasciaci stare!»
«Lasciarvi stare? A chi ti riferisci?»
«Il diavolo, dottore! Ormai è dentro di me! Fa di me ciò che vuole... Non posso farci niente... Basta! Ora tu devi toglierti dal cazzo!»
«Posso aiutarti, Marta. Fammi provare almeno...»
«Avresti dovuto pensare a quella pazza di Francesca, prima che si portasse via il piccolo Massimiliano, dottore! Perché non hai aiutato loro, piuttosto?»
«Ora sono qui per ascoltare te.»
«Lasciaci stare! Ormai è dentro di me...»
«Ciò che è entra può anche uscire...»
«Pensi di essere il più bravo di tutti vero? Più bravo degli altri dottori e più forte di tutti quei preti? Con le loro croci e l'acqua santa...»
«Puoi provare a fidarti di me?»
«Fottiti! Devi lasciarci stare... O forse ti eccita la ragazzina? Oh, la vorresti vero, dottore? Vuoi toccarla anche tu?»
«Smettila!»
«Io... Non volevo... È inutile, dottore! Ormai ho questo demone dentro... È sempre lì che mi osserva, pronto a prendermi! Mi fa fare...»
«Questo demone è quello che vive in casa con te e tua madre, Marta?»
Secondi di silenzio fanno dubitare a Gerald che la registrazione si sia interrotta, poi sente la ragazzina che inizia a piangere. Gerald chiude gli occhi straziato dalla pena che prova per lei. Premo il tasto stop e rimetto il registratore in tasca.
Restiamo in silenzio per un po'. Lascio al mio amico prete il tempo di realizzare cosa poteva aver subito da un anno a questa parte la povera Marta: sedici anni, un padre che l'ha abbandonata quando lei era così piccola da non ricordarlo nemmeno, una madre troppo felice di aver trovato, dopo quindici anni, un uomo che la guardava di nuovo come si guarda una donna. Peccato che non fosse riuscita ad accorgersi che quell'uomo guardava sua figlia nella stessa maniera, quando lei non c'era.
«La toglieranno a sua madre?» chiede infine Gerald.
«Che ne so? Mica sono un avvocato io!» rispondo rendendomi conto di essere più scorbutico del solito; ma so che è quel posto che mi indispone, eppure mi attira come una calamita, così cerco di aggiustare il tiro «Comunque non credo. Sono certo che la madre non si sia resa conto di nulla. Quando ha saputo è diventata una furia: glielo hanno dovuto togliere da sotto, quello stronzo!»
«L'hanno già arrestato il bastardo?»
«Certo che sì. Che volevi? Che gli dessero una medaglia?»
«Pensi che Marta col tempo riuscirà a superare... questa cosa?»
«Questa cosa è una violenza sessuale, Gerald. La più schifosa che possa esistere: ai danni di una ragazzina, tra le mura domestiche, approfittando della fiducia della madre e dei sensi di colpa della piccola. Niente diavoli, niente possessioni, niente malattie mentali. Almeno per quanto riguarda Marta.»
«Sì, lo avevo sospettato. Per questo quando il parroco di questo posto ha cominciato a chiederci di intervenire con un esorcista, ho chiamato te.»
«Che pensiero gentile!»
«Certo non avrei mai pensato che quel fottuto bastardo pezzo di ...»
«Attento signor Kepler! Le ricordo che è pur sempre un prete! Vuole che i suoi padri confessori debbano fare gli straordinari stasera quando tornerà a Firenze?»
Gerald si chiude di nuovo in uno dei suoi momenti di silenzio. Lo conosco fin troppo bene per sapere che quando fa così sta rimuginando su qualcosa. E penso anche di sapere su che cosa.
Ci conosciamo dai tempi delle scuole. Uscivamo assieme da ragazzini. Poi la sua improvvisa vocazione ci ha separati, ma non ci siamo mai persi del tutto di vista, neanche nel periodo iniziale del sacerdozio, quando è stato per un bel po' lontano da Firenze. Col tempo ha fatto carriera ed è tornato lì, non come parroco, ma con un incarico speciale del vaticano: una sorta di funzionario al servizio di non so quale congregazione di esorcisti. In pratica accerta quali sono, tra i tanti segnalati, i casi che davvero meritano l'intervento di quei cacciatori di demoni. Da qui, il ripetersi di richieste di un mio intervento professionale. Ogni volta le mie conclusioni sono le stesse. Quelle che alla chiesa sembrano possessioni demoniache, sono in realtà manifestazioni di patologie psichiatriche spesso gravi. Oppure sono tutt'altro, come nel caso di Marta, la ragazza per cui sono stato chiamato qui a Borgo a Mozzano.
«Niccolò, posso chiederti una cosa?»
«No. Ma tanto me la chiederai lo stesso.»
«Per caso conoscevi già la ragazza? O sua madre?»
«No. Anche se vengo spesso da queste parti, non conoscevo né lei, né nessun altro della sua famiglia.»
«Allora... Come faceva Marta a sapere di Francesca e Massimiliano?»
Lo sapevo. Si finisce sempre a parlare del mio passato. Ed è l'ultima cosa che vorrei fare, perché fa ancora male. Un male del diavolo. È come avere un coltello con la lama infilata nel cuore: è un dolore enorme e continuo già così, ma ogni volta che ne sfiorano il manico sento come se il muscolo cardiaco stesse per spaccarsi. Ma ho imparato a sopportare questo dolore. In fondo me lo merito. Così questa volta rispondo a Gerald.
«Siamo in un paesino. Qui tutti sanno tutto di tutti. Il mio rifugio di montagna è a un quarto d'ora di macchina da qui e ci venivamo spesso da queste parti. Qui tutti sanno chi sono e tutti ricordano quello che è successo cinque anni fa.»
Gerald resta per un po' in silenzio, ma so che non ha ancora messo da parte l'argomento, in quella sua testa sicuramente offuscata da inutili preghiere che restano puntualmente senza risposta alcuna.
«Pensavo che avresti venduto tutto quassù. Che non avresti voluto più metterci piede. E invece continui a tornarci...»
«Lo pensavo anch'io... Ma non ci riesco! Ho troppi ricordi che mi legano a quella casa in mezzo ai boschi... E continuo a tornare a questo maledetto ponte! Forse è una pena che merito.»
«Lo sai che non hai colpe. Nessuno poteva immaginare...»
Finalmente si ferma. Persino per Gerald è difficile parlarne. Eppure dovrebbe essere pane quotidiano per lui! Lui che pensa di poter confortare le anime degli uomini, come io ne curo la mente. Non dico nulla, restiamo per un altro po' in silenzio, come solo tra grandi amici si riesce a stare senza sentirsi in imbarazzo.
«Sai perché lo chiamano il Ponte del Diavolo?» gli chiedo dopo un bel po'.
«No.»
«Questo ponte risale all'undicesimo secolo, ai tempi di Matilde di Canossa, che fu molto influente in tutta la Garfagnana; ma l'aspetto attuale risale alla ricostruzione voluta da Castruccio Castracani due secoli dopo, nei primi anni del 1300. La struttura è quella classica medievale a ‘schiena d'asino', ma con la caratteristica unica di queste arcate così asimmetriche, con questa più grande dove siamo adesso così alta e ampia che non si capisce come possa stare su...»
«In effetti, la struttura è meravigliosa, ma molto strana... Perché questo improvviso azzardo architettonico durante la costruzione?»
«Secondo la leggenda il capomastro incaricato della costruzione sarebbe stato preoccupato per le conseguenze dei continui ritardi accumulati nella realizzazione dell'opera a causa delle continue e impetuose piene del fiume. Così, preso dalla disperazione, invocò l'aiuto del diavolo per completare l'opera in tempo.»
«Un classico! Nelle leggende il diavolo è sempre lì, pronto ad accontentare i capricci dell'uomo!»
«E a sopperire al disinteresse del tuo Dio, Gerald. In fondo non era un capriccio. A quei tempi questo ponte era uno snodo importante per la viabilità di questa zona, molto più di quanto si possa pensare oggi. Comunque si racconta che il diavolo abbia accettato di aiutare il capomastro, finendo lui stesso il ponte in una sola notte, realizzando questa straordinaria enorme campata.»
«In cambio di?» chiede Gerald «Perché c'è sempre un prezzo da pagare quando si fanno affari col demonio, no?»
«In cambio dell'anima del primo che avrebbe attraversato il ponte. Ma siccome qui in toscana ne sappiamo una più del diavolo, il capomastro e il parroco del paese escogitarono un espediente per gabbare il diavolo. Fecero in modo che fosse un cane ad attraversare per primo il ponte. Il diavolo dovette accontentarsi di quel tributo e, infuriato per l'imbroglio subito, si gettò nelle acque del fiume e sparì.»
«La fanno sempre facile nelle leggende.»
«Ci sono diverse varianti della storia. In alcune si dice che il diavolo non si sarebbe mai fatto più vedere per la vergogna, in altre che il diavolo per vendetta avrebbe aperto qui sotto un varco per l'inferno e che ancora oggi, nelle notti di fine ottobre, si veda vagare sul ponte il diavolo in forma di pastore maremmano, che ancora reclama anime per essere stato truffato dal capomastro.»
«Pensi davvero che questo ponte sia maledetto?»
«Magari! Lo sai che non ci credo a queste cose. Sarebbe tutto più semplice.»
«Perché?»
«È come per Marta. Le cose sono più facili da accettare, se credi che ci sia qualcosa o qualcuno cui dare la colpa per tutto quello che ci succede. Il Diavolo, la malattia mentale... Qualsiasi cosa è preferibile al sapere che la colpa di ciò che ci accade è solo nostra.»
«Perché? Secondo te Marta ha qualche colpa per quello che le ha fatto quel bastardo?»
«Certo che no! Ma pensava di averle. E aveva paura di dare un dolore a sua madre. Così nella sua mente ha creato qualcosa cui poter dare la colpa di ciò che la stava annientando...»
Gerald mi coglie di sorpresa, quando mi afferra per il bavero della giacca e mi fa girare verso di lui. Non me lo aspettavo un gesto così impulsivo e fisico da un prete proveniente da una famiglia di origine tedesca.
«Quello che ha fatto Francesca non è colpa tua!» sbotta fissandomi negli occhi con uno sgurado severo.
«Allora di chi è la colpa? Del diavolo? Te lo dimostro ogni volta che non esiste...»
«Nel 99% dei casi è così! Ma c'è quell'unico caso che a volte non si riesce a spiegare... Ed è per quello che è bene che la chiesa continui a vigilare.»
«Cazzate!» rispondo liberandomi dalla presa del prete.
«Si?»
«Credimi. Mi piacerebbe tanto che fosse come dici tu. Io vengo qui, sulla sommità di questo ponte e osservo il fiume là sotto. Non sai quanto mi piacerebbe vedere spuntare dall'acqua le corna del diavolo che si è portato via mia moglie e mio figlio. Andrei di corsa giù per l'argine, per prenderlo a calci nel culo! Fosse l'ultima cosa che faccio al mondo... Ma non c'è, Gerald! Non c'è mai! Non c'è mai stato!»
Smetto di urlare in faccia al mio amico. Ci voltiamo entrambi di nuovo verso le montagne, mentre il silenzio torna a farmi sentire il rumore del vento intorno a noi e quello dell'acqua che continua a scorrere indifferente sotto il ponte.
«Non è mai colpa del diavolo, amico mio. È sempre colpa degli uomini. È mia la colpa di ciò che è successo a Francesca e Massimiliano.»
Gerald si arrende. Non replica. So che non è d'accordo con me, non c'è bisogno che lo dica, ma per oggi deve aver deciso che può bastare... Ed io lo ringrazio silenziosamente per avermi graziato dal ripetere la solita solfa sull'imprevedibilità del corto circuito nella testa di mia moglie che l'ha portata a compiere quel folle gesto cinque anni fa.
Come se la follia fosse una spiegazione più facile da accettare per me. Come se il fatto di non essermi reso conto di ciò che stava accadendo nella mente della donna con cui condividevo tutto da quindici anni, potesse essere scusabile. Per uno come me? Uno il cui mestiere è riconoscere e curare la follia degli altri, come può non accorgersi di ciò che passa per la testa di sua moglie?
«Comunque sei stato bravo con quella ragazza; come sempre.» mi dice lui.
‘Come quasi sempre' penso io. Non lo sono stato la volta in cui sarebbe stato più importante. La verità è che mi ero lasciato prendere dal lavoro. Sempre in giro per l'Italia e anche fuori: il successo, la fama, i soldi... Tutte cose di cui poi ho capito che non mi frega un cazzo!

Ilario Giannini e Max Zocca

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