
Come faccio a dirti che amo un'altra persona? Come posso spiegarti che il mio cuore è rimasto indietro, ancorato al momento in cui ho conosciuto lei? Sì, ho amato anche te. Ma il mio cuore — quello vero, profondo, che batte ancora dentro di me — ha brillato solo per una persona. Indimenticabile. È passata attraverso tutte le mie storie, restando lì: presente, chiara, senza mai perdere significato né colore. Viva. Come vivo è stato — e forse sempre sarà — il mio amore per lei...
UN GIORNO QUALUNQUE Tutto è iniziato in un giorno qualunque. Un giorno come tanti, potremmo dire. Di quelli in cui il tempo sembra pesarti addosso, e tu provi a ingannarlo riempiendolo con piccoli impegni senza importanza. Non c'era nulla di speciale. E forse proprio per questo è rimasto impresso. Perché certe storie nascono così: in silenzio, quando non le stai aspettando. Ero andato al mare, quel pomeriggio. Avevo bisogno di assaporare il gusto salato del mare, farmi accarezzare dalla brezza marina, lasciarmi scottare dal primo sole dell'estate. Era uno di quei giorni in cui non cerchi risposte, ma solo un po' di silenzio. Momenti in cui il mondo può anche restare indietro, mentre tu provi a respirare più lentamente. Il mare, quel giorno, sembrava conoscermi. Sapeva cosa farmi sentire. E io, forse per la prima volta dopo tanto tempo, mi ero concesso di ascoltarmi davvero. Non chiedevo al tempo di correre. Anzi, desideravo assaporare ogni minuto, ogni secondo, nella lentezza piacevole di quel pomeriggio. Volevo solo restare lì, immobile, lasciandomi baciare dal sole, sentendo la sua carezza calda sulla pelle. Era una tregua. Una parentesi gentile. Un piccolo frammento di pace. Quella voce. Risuonò leggera, all'improvviso. Avevo gli occhi chiusi, ma cercavo comunque di capire da dove provenisse. Mi girai, mi rigirai, restando sdraiato sulla mia stuoia, ma non riuscivo a vederne il volto. La sua voce — delicatamente graffiante — mi attraversava come una scossa. Mi entrava sotto pelle, provocandomi un brivido che non riuscivo a controllare. Era come se il mio corpo l'avesse riconosciuta prima ancora della mente. La cercavo, ma il sole mi accecava. Strizzavo gli occhi, ma non riuscivo a vederla. Poi fu lei a mostrarsi. Arrivò senza fare rumore, come se fosse sempre stata lì. Era bella. Non in modo appariscente, ma con una bellezza che ti resta nel cuore. Una dolcezza a cui era impossibile non prestare attenzione. I miei occhi rimasero incollati a quel volto. La sua bellezza mi turbava. Non era fatta per essere solo ammirata: sembrava interrogarti, costringerti a metterti a nudo. Accanto a lei mi sentivo piccolo, inadeguato. Come se non fossi alla sua altezza — non solo nell'aspetto, ma in tutto quello che ero. Lei mi guardava come se avesse riconosciuto qualcuno. Qualcuno che conosceva bene. «Ci conosciamo?» mi chiese. «Non credo», risposi, esitante. «Eppure sono sicura di averti già incontrato, da qualche parte», replicò con un sorriso incerto, come a voler nascondere qualcosa. «Forse in una vita precedente!» aggiunsi con un sorriso ironico. «Probabile! Tu credi nella reincarnazione?» disse lei, con gli occhi che brillavano di curiosità. «No!» risposi secco. «Io invece sì. Sono sicura di averti conosciuto in un'altra vita. Ho dei flash, momenti particolari che rivivo... e io ti ho visto proprio lì.» «Comunque, io sono Maria. E tu?» «Antonio, piacere!» dissi, mostrando quasi indifferenza. C'ERAVAMO CONOSCIUTI Ci lasciammo così, senza aggiungere altro. Come accade con certe persone che attraversano la tua vita solo per un istante: ti sfiorano, ti incuriosiscono... e poi svaniscono, confondendosi tra i volti dimenticati. Niente faceva pensare a un nuovo incontro. Nessun gesto, nessuna parola lasciava intendere che ci saremmo rivisti. Sembrava una di quelle parentesi destinate a chiudersi lì, in silenzio. Ma poi... La vita ha uno strano modo di riportarti le persone che contano. Non so se sia destino, coincidenza o semplice fortuna... Maria non era sparita davvero. Era rimasta lì, dentro. Nascosta in un angolo della mente, come quelle melodie che ritornano nei momenti più impensati. E infatti... tornò. Non subito. Non il giorno dopo. Né quello dopo ancora. Erano passate settimane, forse mesi. Non saprei dirlo con esattezza. Avevo quasi pensato che fosse stato tutto un sogno. Ma un giorno, mentre meno me lo aspettavo — come sempre accade con le cose che cambiano la vita — la rividi. Stavo tornando a casa, nel tardo pomeriggio, stanco dopo una lunga giornata di lavoro. Il caldo di quei giorni rendeva ogni cosa più pesante. La vidi attraversare la strada, sembrava cercare qualcosa. Un sussulto mi colpì il cuore, senza un motivo preciso. In fondo, tra noi non c'era mai stato nulla. Forse era solo quel momento, così carico di qualcosa che non sapevo definire. Mi fermai. La salutai. «Ciao! Che fai qui?» «Cerco il mio cane, è scappato di casa!» rispose, con un filo d'ansia nella voce. «Ci rincontriamo», dissi infine, con una voce che non sembrava nemmeno la mia. Lei alzò lo sguardo e sorrise. Quel sorriso. Lo stesso che avevo conservato nella memoria come una fotografia. «Te l'avevo detto!» rispose, tranquilla. «Che cosa?» «Che ci siamo già conosciuti. E chi si conosce, prima o poi, si ritrova.» Non capivo la sua insistenza nel sostenere di avermi già incontrato. Non credevo nella reincarnazione, né in quelle vite che si intrecciano oltre il tempo. Come non credevo fosse possibile che due persone del passato potessero essere legate da qualcosa di indefinito, invisibile agli occhi ma palpabile nel cuore. Eppure... C'era qualcosa in lei che sfidava ogni mia certezza. Qualcosa che mi faceva dubitare — anche solo per un attimo — di tutto ciò in cui avevo sempre creduto. Lei era sicura, convinta delle sue parole. E per un momento, un brivido mi attraversò la schiena. C'era in lei qualcosa di mistico, un'essenza indecifrabile che mi provocava un timore sottile, quasi inquietante. Nonostante la sua bellezza mi attirasse irresistibilmente, quella sensazione mi avvolgeva, lasciando un'ansia difficile da ignorare. Come se davanti a me non ci fosse solo una donna, ma un mistero. Un mistero che non ero pronto a svelare. La salutai, convinto che non avrei avuto il coraggio di sostenere un vero confronto con lei. Maria colse subito il mio turbamento. Con un sorriso gentile e uno sguardo pieno di comprensione, accennò con la testa un saluto — quasi a rassicurarmi, senza bisogno di parole. Le sue parole avevano acceso in me un'inquietudine profonda, un'agitazione che non riuscivo a scacciare. «Sono sicuro... non l'ho mai incontrata prima!» dissi con fermezza, cercando di convincere più me stesso che lei. Mi allontanai, tentando disperatamente di scrollarmi di dosso quel turbine di emozioni che mi attraversava ogni fibra del corpo.
IL GIORNO DOPO Mi svegliai di soprassalto, sudato. Qualcosa di quella ragazza mi aveva colpito più profondamente di quanto volessi ammettere. Un incubo mi trascinò indietro, in un tempo lontano. Erano gli anni '30. Il nazismo cominciava a tessere la sua tela, oscura e inesorabile. Ma nel cuore di quel decennio turbolento, qualcosa si muoveva: la moda diventava una forma di espressione, un rifugio per la creatività. Tra pieghe di tessuti eleganti e linee audaci, prendeva vita un'identità femminile coraggiosa, inaspettata. Era un'epoca in cui le donne cominciavano a reclamare spazio, sfidando tradizioni e convenzioni. Nel sogno, Antonio si ritrovava in una città europea, in un mercato affollato e avvolto da nebbia e rumori ovattati. Venne trascinato in un piccolo atelier illuminato da lampade a gas, colmo di stoffe pregiate e abiti raffinati. Tra le sarte, una giovane donna china su un vestito elegante: mani abili, attente, cucivano dettagli preziosi. C'era qualcosa nel suo modo di muoversi, nella concentrazione dello sguardo, che lo attirava come un magnete. Lui era un signore dell'alta borghesia italiana, vestito in modo impeccabile, ma con l'anima inquieta. Avrebbe potuto distogliere lo sguardo, e invece restò lì, a osservare quella figura minuta e determinata. Il destino sembrava averli avvicinati, senza però permettere loro di toccarsi davvero. Due linee parallele, destinate a sfiorarsi soltanto. Poi, all'improvviso, vide cadere a terra un piccolo oggetto: un ciondolo ovale in filigrana dorata, con al centro un cammeo che raffigurava il profilo di una donna dai tratti delicati, senza tempo. Sul retro, un nome inciso... ma il tempo lo aveva quasi cancellato. Lei lo raccolse. I loro sguardi si incrociarono. Un attimo eterno. Un'intesa tacita. Un segreto condiviso attraverso il tempo e lo spazio. E in quel momento, capì: quella storia non era finita. IL PRESENTE Quella sensazione sospesa tra sogno e realtà mi aveva trascinato in una sorta di limbo. Una dimensione indefinita, dove non era più chiaro se stessi ancora dormendo o se fossi già sveglio. Tutto intorno a me sembrava irreale, come avvolto da una patina sottile. Come se il tempo stesso si fosse fermato, lasciando ogni cosa sospesa. Il mio corpo era immobile nel letto, ma la mia mente ancora altrove. Ancora lì, tra le pieghe di un sogno che non voleva svanire. Ogni dettaglio — lo sguardo di quella donna, l'atelier, l'abito cucito con mani leggere — era vivido, intatto. Come se non appartenesse solo alla notte. Come se avesse varcato il confine tra onirico e reale, lasciando una traccia nel presente. Non riuscivo a liberarmi di quella sensazione: non era stato solo un sogno. C'era qualcosa di più. Un'emozione aggrappata a me con forza inspiegabile. Aprii gli occhi, ma il mondo reale faticava a riprendere forma. Il sole filtrava dalla finestra, disegnando ombre lunghe sul pavimento. La stanza era la stessa: il letto, il silenzio, l'odore del mattino... Eppure tutto sembrava diverso. Come se fossi tornato da un viaggio lontano. Da un'altra epoca. Quel sogno mi aveva cambiato. E quel cambiamento era impossibile da ignorare.
Mauribo
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