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Autore: Nome Autore EssElle
Hitomebore - Tutto per una scommessa
Sara Romance
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Hitomebore - Tutto per una scommessa

Raul.
Le donne sono tutte uguali. Belle, disponibili, prevedibili. Le trovo ovunque: ai miei eventi, nelle feste esclusive, nei locali di lusso dove passo le serate con gli amici. Non serve neanche impegnarsi. Un'occhiata, un sorriso appena accennato, una mano sulla coscia e il gioco è fatto. Qualche drink, due parole sussurrate all'orecchio, una promessa sottintesa ed è già finita. Tornano con me. Sempre.
Non chiedo nomi, non chiedo numeri. Non prometto niente. A letto so cosa vogliono e glielo do. Una notte, poi basta. Non ripeto mai. Non perché non ne valga la pena, ma perché dopo il primo giro diventano tutte uguali: mi cercano, mi vogliono, mi pressano.
E io? Io non voglio niente. Le lascio con un bacio sulla fronte e un taxi già prenotato. Niente messaggi il giorno dopo, niente colazioni insieme, niente finte complicazioni emotive. Nessuna storia, nessun legame. Entrano ed escono dalla mia vita senza lasciare traccia. E a me va bene così.
Poi c'è stata Chiara. Perfetta nel modo giusto. Educata, raffinata, impeccabile. Non urla, non discute, non mi contraddice mai. La donna ideale per qualsiasi uomo d'affari. I miei genitori la adorano, i giornali ci chiamano la coppia perfetta.
Eppure, io non sento niente. La nostra relazione è sempre stata così: composta, misurata, prevedibile. Cene nei posti giusti, weekend scanditi da impegni mondani, sesso senza passione. Lei non chiede, io non do.
Non mi manca. Non la cerco. Non la inseguo. Se discutiamo, abbassa lo sguardo e annuisce. Mai una sfida. Mai una scintilla. Mai un attimo in cui il controllo mi sfugge. Non è una relazione. È un accordo silenzioso. Una presenza che non consuma e non lascia segni.
Ed è proprio questo il problema. Poi è arrivata lei. Tutto quello che non volevo. Tutto quello che voglio. Mi sfida, mi provoca, mi manda fuori di testa. La inseguo, la cerco, non mi basta mai. Con lei non c'è equilibrio. Solo fuoco, solo guerra, solo esplosione.
Non abbassa lo sguardo. Non accetta le mie regole. Non mi lascia vincere. Quando non c'è, la sento sulla pelle. Quando la tocco, perdo il controllo. E per la prima volta nella mia vita, non mi interessa averlo perso.

Desideria

Da quando ho perso mio fratello, il mondo ha cambiato forma. Più opaco, più distante. Come se qualcuno avesse abbassato il volume della vita. I giorni si fondono uno nell'altro, indistinti, avvolti in un grigiore che non se ne va. Io non sono più la stessa. E forse non lo sarò mai.
Il dolore non mi lascia. Cerco di evitarlo, ma lui mi insegue, sempre. Si insinua ovunque, mi accompagna come un'ombra, ricordandomi che c'è stato un prima. E ora, c'è solo il dopo. Diego è stato l'unico capace di tirarmi fuori da quella nebbia. Letteralmente.
C'è stato un istante in cui pensavo che sarebbe stato più semplice lasciarmi andare. Sparire. Che il mondo non avrebbe perso nulla senza di me. Ma lui era lì. Mi ha afferrata prima che cadessi del tutto. Mi ha mostrato una via d'uscita. Mi ha fatto credere che esistesse ancora un posto sicuro. E io ci ho creduto.
Come si fa a non amare qualcuno che ti ha restituito la vita? È diventato la mia certezza, il mio rifugio, la mia unica verità. Ma lui non mi ha mai ricambiata. Lo leggevo nei suoi occhi: affetto, protezione... mai desiderio. E ogni volta che mi sorrideva con dolcezza, dentro di me qualcosa si spezzava. Fino al rifiuto, quello definitivo. Quello che non lascia spazio a illusioni.
Così ho imparato. L'amore non esiste. È una favola per altri, non per me. Ho costruito muri alti, solidi, impenetrabili. Dentro di essi ero al sicuro. Relazioni? Destinate a fallire. Persone? Inaffidabili. Mi bastavo da sola. Forte, indipendente, sempre un passo avanti. Pronta a lasciare prima di essere lasciata. Per anni ha funzionato.
Finché non è arrivato lui. Con un solo sguardo ha incrinato tutte le mie certezze. All'inizio ho combattuto: contro di lui, contro me stessa, contro la tentazione di lasciarmi andare. Ma lui non è come gli altri. Non bussa, non chiede. Non si ferma davanti ai miei muri: li attraversa. Li ignora. Li rende inutili.
Con lui perdo il controllo. Mi guarda e vede tutto. Anche le parti di me che ho nascosto perfino a me stessa. E invece di spaventarsi, resta. Non si arrende. Non scappa.
E io... per la prima volta voglio rischiare. Non perché devo. Perché voglio. Voglio scoprire se abbassare la guardia, per una volta, non significhi perdere. Questa è la mia sfida più grande.

“Ho un debito con il passato
che non riesco a saldare”
Desy

(Club Inferno, ore 23:30 – bancone del bar.)

ll ghiaccio tintinna nel bicchiere mentre verso il gin. Movimento rapido, preciso. Qui, dietro il bancone, sono io a dettare le regole. Un gesto del polso e il mondo sembra ordinato, anche se fuori da queste luci tutto è un caos che mi sfugge di mano.
Il locale vibra. Le casse pompano bassi che ti entrano nelle ossa, la gente ondeggia tra i tavoli, tra fumo e risate sguaiate. L'aria sa di alcol, pelle sudata e sigarette spente a metà. È un odore che ormai mi appartiene. Sei mesi a servire drink in questo inferno dorato, ed è diventato quasi un rifugio.
Di fronte a me, Alessia si appoggia al bancone con un bicchiere in mano. Gennaro e Federico le fanno da contorno, sguardi complici e sorrisi che già annunciano una stronzata colossale.
«Facciamo una scommessa?»
Butta lì Gennaro. Alzo gli occhi al cielo.
«Non mi interessa.»
«Non sai nemmeno di cosa si tratta!»
Protesta. Continuo a versare whisky, indifferente.
«Se lo dici tu...»
Ma Alessia insiste, la voce squillante che copre perfino la musica.
«Se perdo, pago io il pieno alla tua bara blu elettrico.»
Alzo un sopracciglio. Quella sì che è una tentazione.
«Interessante.»
Federico ride.
«In realtà ci vuole coraggio solo a farsi vedere in giro con quella macchina.»
«La mia Abarth vi porta ovunque, ingrati»
Ribatto, asciugando il bancone. Alla fine cedono le provocazioni e arriva la proposta vera: indovinare dieci ordinazioni di fila senza sbagliarne una. Se fallisco?
«Entro la fine del turno devi baciare uno sconosciuto. Con la lingua.»
Non mi spaventa un gioco del genere.
«Accetto.»
Le prime ordinazioni scorrono come acqua. Sorrido con sufficienza. Poi la decima. Un Manhattan confuso con un Negroni. Un errore di niente, ma sufficiente. Gennaro scoppia a ridere, Federico batte il pugno sul bancone, Alessia gongola.
«Esposito, preparati al bacio della serata!»
Il cuore accelera, ma il volto resta di pietra. Non darò mai loro la soddisfazione di vedermi vacillare.
«Ok. Fate presto.»
Gli occhi di Alessia si illuminano. Indica il privé.
«Lui. Camicia scura, bicchiere in mano.»
Seguo lo sguardo. E lo vedo. Un uomo diverso da tutti gli altri. Seduto, composto, elegante. Non ride, non finge. I suoi amici parlano, ma lui resta in silenzio, gli occhi fermi a scrutare chissà cosa. Non appartiene a questo locale. Forse non appartiene nemmeno a questa città. Perfetto.
Il rumore della pista si spegne nelle orecchie mentre avanzo. Ogni passo è un battito, un conto alla rovescia. L'odore cambia, si fa più caldo, più intimo: pelle, legno, alcol. Arrivo al suo tavolo. Lui solleva lo sguardo. Occhi che tagliano come lame di ghiaccio. Occhi che non conoscono esitazioni. E allora non penso più.
Gli afferro il colletto della camicia e lo trascino verso di me. Le nostre bocche si urtano, un bacio improvviso, deciso, che sa di sfida. Le sue labbra sono ferme, ma non si ritraggono. Io insisto, sento il sapore del whisky mescolarsi al mio, il bruciore dell'alcol che si confonde col calore della pelle. La mia lingua sfiora la sua, rapida, un gesto studiato, e sorrido contro le sue labbra.
È un bacio che dura un istante. Ma quell'istante pesa come un'eternità. Mi stacco piano. I suoi occhi non si muovono. Non parlano. Ma bruciano. Insondabili, silenziosi, troppo intensi. Un silenzio che mi trafigge.
«Scusa»
Mormoro. E mi volto, mentre la musica esplode di nuovo intorno. Il cuore corre più forte del basso, più forte dei fischi di approvazione che arrivano dal bancone. Ho vinto. Scommessa chiusa. Fine del gioco.
Eppure no. Il sapore del suo bacio mi resta addosso, persistente, come una scia che non se ne va. Non è un gioco. Non più.

Raul

Il Club Inferno non mi è mai piaciuto. Troppa musica che vibra nelle ossa, troppa gente che ride senza sapere perché. Troppo alcol, troppi occhi che cercano attenzioni. Io sto nel mio angolo, come sempre. Un privé, una camicia scura, un bicchiere di whisky. Un muro invisibile che mi separa da quel mondo che non mi appartiene.
Le luci basse rendono tutto più sopportabile. Il bicchiere mi scivola tra le dita, il ghiaccio che si scioglie piano, il sapore affilato del whisky che mi brucia la gola. Parole dei miei amici che si perdono, risate che non ascolto. Io resto in silenzio. Perché il silenzio mi protegge.
Poi, all'improvviso, sento qualcosa cambiare. Un rumore di passi sicuri. Decisi. Una presenza che si avvicina senza esitazioni. Alzo lo sguardo. Lei.
Piccola, fiera, occhi che brillano di sfida. Non ha paura, non chiede permesso. Non mi guarda come fanno tutte le altre, con calcolo o con desiderio. No, lei mi fissa come se sapesse di potermi piegare. E prima che io possa dire o fare qualcosa, succede.
Le sue mani afferrano il colletto della mia camicia e mi tirano a sé. Un gesto brusco, sicuro. Le sue labbra si schiantano sulle mie. Il primo impatto è fuoco. Il suo respiro sa di gin e zucchero di canna, il calore della sua bocca si mescola al gelo della mia immobilità.
Io non mi muovo. Non reagisco. Non la respingo. Eppure, dentro, qualcosa si incrina. La sento sorridere contro le mie labbra. La sua lingua sfiora la mia, leggera, provocatoria. Un assaggio, niente di più. Ma mi scuote come non dovrebbe. La musica scompare, le voci si annullano. Resto solo io. E lei. E quel bacio che non era previsto. Quando si stacca, il tempo torna a scorrere. Mi guarda un secondo di troppo. Occhi scuri, vivi, che sfidano anche nel silenzio. Poi mormora
«Scusa»
E si allontana. Resto fermo. Il bicchiere ancora in mano, le labbra che conservano il calore delle sue. Intorno a me gli amici parlano, ridono. Ma io non sento più niente. Non so chi sia. Non so perché l'abbia fatto.
Ma so che, da quell'istante, qualcosa si è mosso. E non tornerà più al suo posto. Poi la risata bassa di Matteo.
«Chi cazzo era quella dea?»
Davide solleva appena lo sguardo, curioso, ma con quell'aria di chi sembra sempre sopra le cose. Luca ha la bocca ancora aperta.
«Giuro, non ho mai visto niente del genere.»
Li ignoro. Ma so che hanno sentito quello che ho sentito anch'io. Il silenzio che ha lasciato dietro di sé pesa ancora. Matteo la segue con lo sguardo, lento. Davide inclina la testa, registrando tutto come se fosse già un'informazione utile. Luca, invece, sbotta senza filtri:
«Avete visto che gambe?»
Si morde il labbro, ridendo tra sé.
«E quei jeans... Cristo.»
Matteo scuote il bicchiere, divertito.
«Altro che gambe. Quel culo potrebbe firmare contratti.»
«Io ci firmerei anche un mutuo.»
Ribatte Luca, con quella foga da ragazzino. Davide non dice nulla. Ma so che la sta ancora seguendo con gli occhi. Con lui non servono parole.
«Ti ha lasciato il segno, eh?»
Matteo mi lancia uno sguardo di traverso.
«Solito fortunato. Infatti ha baciato te.»
Non rispondo. Il rum mi resta sulle labbra. Mi passo la lingua, come se potessi trattenerlo.
«La domanda è: perché?»
Insiste Matteo, inclinando la testa. Silenzio. Finisco l'ultimo sorso, poi appoggio il bicchiere sul tavolino.
«Trova il suo nome.»
Matteo alza un sopracciglio.
«Ti ha baciato. Non ti basta?»
Lo fisso. Lui capisce. Annuisce, finendo il drink. Davide osserva la scena in silenzio, quel mezzo sorriso che significa solo una cosa: “ho visto tutto.”
«Se la trovo, però, prima me la riguardo bene.»
Commenta Matteo. Sorrido appena. Quella donna ha acceso la miccia. Ora vediamo chi brucia per primo.

Desu

L'aria fuori dal privé è più pesante di quella dentro. Ho vinto la scommessa. Ora devo solo tornare dai ragazzi e godermi le loro facce incredule. Mi avvicino soddisfatta.
«Fatto.»
Alessia mi fissa con un sorriso a trentadue denti. Gennaro e Federico trattengono a fatica le risate: si stanno godendo lo spettacolo.
«Non ci credo!»
Esclama Gennaro.
«Com'è stato?»
Chiede Alessia, gli occhi che brillano. Non rispondo subito. Afferro un bicchiere, lo riempio d'acqua, bevo. Forse per cancellare il sapore di quel bacio.
«Strano.»
Gennaro ride.
«Strano tipo mi ha lasciato senza parole o tipo cosa diamine mi è passato per la testa?»
Appoggio il bicchiere sul bancone, cercando di mascherare il caos che ho dentro.
«Tipo non so se dovevo farlo o se avrei dovuto evitarlo a tutti i costi.»
Alessia solleva un sopracciglio.
«Perché? Non è la prima volta che baci un tipo per gioco.»
«No, ma...»
Non era un bacio come gli altri. Non era nemmeno la sua reazione. Nessun sorriso. Nessuna battuta. Nessuna sorpresa. Solo due occhi di ghiaccio che mi hanno trapassata, come se fossi stata io quella fuori posto. Mi viene un brivido. Non è il solito, dopo un bacio. È come se avessi sbagliato tutto, senza sapere dove. Il locale chiude. I ragazzi mi trascinano via, ma io resto altrove.
«Esposito, andiamo a ballare?»
Propone Gennaro accendendosi una sigaretta.
«Diego è già lì che ci aspetta»
Aggiunge Federico. Alessia si infila sotto il mio braccio.
«Non puoi rifiutare. Dopo un bacio così, si festeggia!»
Mi stringo nelle spalle. Quel bacio ha lasciato qualcosa in sospeso. Come se avesse aperto una porta.
«Vi accompagno. Poi vado a casa a cambiarmi e vi raggiungo.»
Tre teste si girano verso di me, confuse.
«Non fare come l'altra volta, che sei finita sotto le coperte!»
«Te lo prometto, Ale. Mi cambio, faccio una cosa e arrivo.»
«Ma dai! È venerdì sera, non puoi rimandare?»
«No.»
Accendo il motore. Gennaro sbuffa.
«Sei un'anima vecchia, Desy.»
«Vecchia, ma con una macchina.»
Ribatto, e loro ridono. Dopo qualche protesta, li accompagno davanti alla discoteca.
«Ci vediamo tra poco.»
Federico mi lancia un'occhiata lunga.
«E prova a non pensarci troppo.»
Facile a dirsi. Riparto. Una fermata a casa: cambio veloce, deodorante, tanto profumo. Poi di nuovo fuori. L'aria della notte sa di mare e smog. I vicoli sono illuminati a macchie dai lampioni gialli, la musica delle terrazze arriva come un'eco lontana. Ma io non sento niente. Non sono qui per la musica. Non sono qui per i vicoli. Sono qui per lui.
Svolto in una strada laterale, appena fuori città. Il traffico si dirada, i rumori si spengono. Rallento. Il fiato mi si blocca in gola. So cosa sto per incontrare. Parcheggio. Spengo il motore. Scendo. L'aria qui è più fredda. Lì. È lì che mio fratello ha smesso di esistere.
L'asfalto è nuovo, liscio, pulito. Ma io vedo ancora tutto. Chiudo gli occhi. La sua auto che sbanda. Il rumore dello schianto. La pioggia battente. Il fumo. L'odore di benzina. Le urla. Il sangue. Apro gli occhi. Respiro. Ogni mese torno qui. Per ricordare. Per non dimenticare. Perché la verità, ancora, non l'ho trovata.
Più tardi raggiungo i ragazzi in discoteca. Federico e Alessia sono già in pista. Diego sorseggia il suo solito drink. Gli rubo un sorso, poi vedo il cubo libero. Ci salgo. Ho bisogno di muovermi. Di dimenticare. Di sentirmi viva. Dopo poco, Diego mi raggiunge. Improvvisiamo un balletto. Le luci, la musica, il sudore: tutto confonde, tutto stordisce. Per mezz'ora mi sento libera sulle note di Wicked Games (Parra for Cuva ft. Anna Naklab).
«Dobbiamo andare, ci stanno aspettando.»
Mi dice Diego, sfiorandomi il braccio. Annuisco. Scendo dal cubo. Mi prende per mano. Attraversiamo la pista. E io non penso. O almeno, ci provo.

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Scrittori si nasce Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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