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Autore: Antonio Rispoli
Il Canto delle Spine - La Sfera Celata
Letteratura Adolescenti e Ragazzi
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Il Canto delle Spine - La Sfera Celata

L'Eco del Nodo.

Il pianoro di cristallo palpitava in silenzio, percorso da un'eco primigenio che sembrava scaturire dall'aurora del cosmo. Nei Filamenti Primordiali scorreva un tremore sottile, affine al soffio trattenuto del cosmo. Ombre fugaci si delineavano al confine della percezione, sfiorando la realtà come ricordi destinati a svanire nel nulla. Dal nulla si levò un riso infranto, dissolto in sillabe enigmatiche. Poi, in uno scintillio tremolante, si fece strada un murmure infuocato d'attesa, auspicio di forze dormienti pronte a risvegliarsi.

Il ciondolo argenteo di Sylve premeva sul petto di Lirien con il peso di un giuramento inespresso, un legame tenace ma etereo che, sfiorandole la pelle, suscitava un fremito gelido e, nel profondo, accendeva l'anima con una fiamma viva e indomabile. Ogni passo sul pianoro di cristallo amplificava quel sentimento, come se il suolo vibrasse in sintonia con la memoria della Nodale, ogni scheggia di luce richiamando il vincolo infranto. A diciannove anni, con i capelli ramati mossi dal vento in flutti di bronzo e fuoco, Lirien si sentiva fragile eppure temprata, Il dolore che la serrava in un vincolo indissolubile, una morsa che la opprimeva e costringeva a ripercorrere ogni istante dell'addio con un'acerbità straziante.
Sylve si era dissolta in un bagliore che aveva trafitto le tenebre, chiudendo la Frattura con un coraggio impareggiabile, salvando il mondo intero al prezzo della propria esistenza. L'immagine dell'amica che svaniva tra schegge luminose le bruciava nella memoria come una ferita ardente, un'agonia che né incantesimo né tempo potevano sanare. Il giuramento condiviso – quell'arco luminoso innalzato al cielo stellato, promessa che aveva tessuto le loro vite in un legame solenne – si era svanito con la Nodale, come un sogno spezzato al sorgere dell'alba, lasciando Lirien sospesa tra memoria e angoscia.
Eppure il destino non taceva. Sotto i suoi piedi, il cristallo del pianoro s'incrinava, emanando fremiti dissonanti, come il canto lamentoso di un coro invisibile che echeggiava nel vuoto. Da quella spaccatura s'innalzava un suono stridente, una voce che mormorava il suo nome con urgenza, come se l'intero multiverso protendesse il braccio per chiamarla, non per pietà, ma per trascinarla verso un cammino nuovo, inevitabile. —È questo il segno che attendevo?— pensò Lirien, serrando il ciondolo al petto, mentre un brivido le percorreva la schiena, consapevole che l'ombra di Sylve la seguiva ancora, silenziosa ma presente, guidandola verso un destino che non avrebbe potuto rifiutare, né ignorare.
La superficie del pianoro, un tempo splendente come uno specchio che catturava il respiro delle stelle, si era trasformata in un mosaico di crepe, segnato da fratture che solcavano il cristallo come ferite antiche. Venature nere, come rami di un albero morto, s'intrecciavano tra i frammenti di luce, penetrando nel cristallo come un inchiostro vivo che ne corrodeva la purezza originaria. Ogni bagliore luminoso appariva attenuato, velato da una tenebra che s'insinuava quieta e inarrestabile, e il canto sacro del pianoro, un tempo chiaro come il fremito di un coro divino, languiva ora contaminato, permeato di un augurio funesto che faceva tremare l'aria con un'intensità tangibile.
Lirien alzò lo sguardo al cielo, un arazzo lacerato di nubi porpora e piombo, contorte in volute instabili e squarciate da lampi azzurri che saettavano come Fili di un telaio divino. Quei lampi di luce si avviluppavano e si dissolvevano, disegnando figure incompiute, come se un tessitore invisibile avesse abbandonato la sua opera a metà, lasciando che il caos prendesse il sopravvento su ogni ordine. L'aria era carica di un odore pungente, una miscela di ozono e pietra bruciata, e il silenzio del pianoro era spezzato solo dal crepitio incessante dei cristalli, un suono irrequieto che sembrava cantare l'arrivo di eventi che nessuno avrebbe potuto prevedere.
Accanto a lei, Dren, ventidue anni, portava lineamenti induriti da numerose battaglie e sopravvivenza, le cicatrici sul volto come rune antiche, mute testimoni di scontri e rimpianti. La sua mano afferrava l'elsa della spada con veemenza, ma quella stretta rivelava più angoscia che risolutezza: ogni muscolo del braccio vibrava per un tormento interiore che non poteva soffocare, un vortice di paura, colpa e rimpianto che gli opprimeva il cuore. Nei suoi occhi, che sarebbero dovuti ardere di coraggio, si agitava invece un velo opaco di colpa e rimpianto, un peso invisibile e gravoso che lo curvava più del carico dell'armatura.
Poco lontano, Aeloria restava immobile, lo sguardo fisso all'orizzonte, i capelli neri mossi dal vento in onde fluide, come correnti d'ombra dotate di vita propria. Ogni minimo gesto di lei riaccendeva in Dren un dolore che non riusciva a soffocare, un bruciore antico e sottile che lo perforava dall'interno. —Non riesco a guardarla senza sentire il peso del mio tradimento,— confessò a se stesso, mentre il pensiero lo trafiggeva come una lama invisibile. La mano che stringeva la spada tremò ancora, e per un istante parve che volesse usarla non contro un nemico reale, ma contro quel nodo di rimorso che lo divorava, illudendosi che il ferro potesse recidere ciò che la memoria e la coscienza non riuscivano a cancellare. Ogni respiro era uno sforzo, ogni palpito un riflesso del passato, e il vento che accarezzava i capelli di Aeloria gli sussurrava che la redenzione richiedeva di affrontare la verità interiore.
Aeloria, ventitré anni, avanzò verso Lirien con un passo leggero, e parve che l'ombra del pianoro, densa e minacciosa, si facesse meno greve intorno a lei, come se la presenza stessa della giovane dissipasse un po' del gelo che avvolgeva il luogo. Il suo sorriso, lieve come un raggio di luna che sfida la furia di una tempesta, si posò sull'amica con una dolcezza permeata di speranza, un invito silenzioso a non cedere alla disperazione. “Non sei sola,” mormorò, e ogni parola risuonò con una forza celata, un fuoco antico che bruciava sotto un velo di cenere, capace di lenire anche le ferite più profonde. Ogni sillaba portava il peso di un giuramento silenzioso, di un patto invisibile che andava oltre le perdite e il dolore del mondo circostante.
—Il suo calore mi tiene viva,— pensò Lirien, lasciando che quel conforto la avvolgesse come un manto invisibile, un abbraccio che non poteva toccare ma che sentiva profondamente. Eppure, nel profondo, Il suo cuore esitava, intrappolato in un liminare tra il dolore vivo per Sylve e un sentimento più sfuggente, temeraria e viva, che non osava nominare. Nel petto le ribolliva un fremito inatteso, dolce e al contempo spaventoso, come se la vita reclamasse il diritto di germogliare proprio lì dove il dolore aveva piantato le sue radici più profonde. —Perché il tuo sguardo mi fa tremare?— si chiese, il ciondolo contro la pelle che pulsava in risposta, vivo come un cuore lontano che batteva all'unisono con il suo, scandendo un ritmo che era promessa, ricordo e invito a non arrendersi.
Più indietro, come separata dalla fragile intimità che legava Lirien e Aeloria, Kaelith stava china sul Codex Primordiale, il tomo che riposava tra le sue mani rugose con la solennità di un frammento di firmamento caduto sulla terra. Ogni pagina irradiava un chiarore tenue, una luminescenza ultraterrena simile a un'alba estranea a questo mondo, e le dita segnate dal tempo e dalle battaglie scorrevano sui glifi con un rispetto che rasentava la venerazione. Sembrava leggere non solo parole, ma echi di ere dimenticate, segreti sigillati prima ancora che il Velofrantore fosse concepito, frammenti di conoscenza così antichi da far tremare lo spirito di chi li sfiorava.
“Questa crepa non è un caso,” mormorò infine, la voce sottile ma affilata come una lama che fendesse il silenzio, eppure carica di autorità antica. I suoi occhi si sollevarono, scintillanti di una consapevolezza che trapassava i secoli e il tempo stesso, come se stessero scrutando oltre il velo della realtà. “È un Corridoio di Sfera. Qualcosa ci chiama oltre.” Le parole si sparsero tra i presenti come un presagio vivente, portando con sé il peso opprimente dell'ignoto e l'eco irresistibile di un destino che non ammetteva esitazioni, un invito e una sfida insieme, palpabile e ineludibile.
L'aria si frantumò con un rombo ancestrale, un tuono che pareva scaturire dal nucleo profondo della terra, come se il pianoro intero si fosse risvegliato da un sonno millenario e avesse deciso di reclamare la propria presenza. Il suolo tremò con una forza che percorreva ogni cristallo e ogni scheggia di pietra, e dalla frattura emerse un ruggito che non apparteneva né a bestia né a vento, ma alla sostanza stessa del mondo che gemeva sotto il peso del tempo e del destino.
Al centro della crepa si delineò un Vortice Fiammeggiante, un anello di fuoco azzurro che si dilatava come una ferita aperta nel tessuto della realtà. Le vampe, gelide e vitali al contempo, brillavano come frammenti di astri perduti, frammenti di luce antica che danzavano in un turbine ipnotico, sfidando ogni legge conosciuta. Ogni pulsazione era un battito, un respiro cosmico che irradiava energia bruciante e solenne, come se un cuore nascosto palpitasse in quella voragine luminosa, un richiamo irresistibile e minaccioso insieme, capace di attrarre e di distruggere chiunque osasse avvicinarsi senza rispetto.
Dal cuore del vortice, tra bagliori e ombre che si contorcevano come veli di un sogno agitato, emerse una figura. Un giovane uomo apparve barcollando su una lastra di cristallo scheggiato, il corpo piegato come se fosse stato strappato di colpo da un altro mondo e depositato lì contro la sua volontà. Per un istante sembrò sul punto di cadere, ma con un rapido gesto di equilibrio riuscì a raddrizzarsi, e il volto si aprì in un sorriso ironico, audace, che strideva con l'infuriare delle fiamme azzurre attorno al vortice.
Aveva venticinque anni, e il bagliore danzante del Vortice si rifletteva nei suoi occhiali di cristallo, facendoli scintillare come lenti forgiate dalla stessa sostanza delle stelle. Ogni movimento, ogni respiro, sembrava trasudare un'energia febbrile, una curiosità insaziabile che lo avvolgeva come un mantello invisibile, rivelando un animo tanto audace quanto imprevedibile. Anche nel caos delle fiamme e del tumulto del pianoro, la sua presenza emanava un magnetismo singolare, come se fosse insieme spettatore e partecipe del destino che si stava svelando davanti a loro.

Antonio Rispoli

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