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Non sapevo dove fossi, né come ci fossi finito. L'oscurità era così densa da sembrare irreale: mai, sulla terra, avevo visto un buio tanto assoluto, senza riflessi, senza la minima imperfezione. Anche il silenzio era innaturale, opprimente. Non riuscivo neppure a sentire il battito del mio stesso cuore. Ero forse morto? Intrappolato in un limbo eterno? Ricordavo vagamente di essere stato a cena fuori, di aver trascorso una serata piacevole con gli amici in un ristorante in una sala fin troppo calda e luminosa. Ora, invece, attorno a me c'era solo questo buio estremo, inesorabile. Sembrava che il tempo si fosse fermato, come sospeso in un'eterna notte, e la disperazione mi travolgeva, mi trascinava verso il fondo, come un'onda impietosa. In quell'infinito tempo di oscurità e silenzio, la mia mente continuava a vagare in mille direzioni. Ricordavo i miei giorni a lavoro, le ultime vacanze passate a Danzica, il mio compleanno passato in trasferta con dei colleghi. Pensavo anche al Barone Harkonnen di Dune. Ricordavo un passaggio in cui il Barone veniva confinato in un vuoto nero, un luogo quasi identico a quello in cui mi trovavo. Il mio era forse un sogno, evocato da quel libro? La mia mente stava ricreando l'incubo del Barone? Ma no! Tutto questo sembrava troppo reale, troppo viscerale, per essere il frutto di una fantasia. Il silenzio, l'angoscia, l'assoluta assenza di tutto intorno a me: non potevano essere solo un'illusione. Ma come ero finito lì? Ripercorsi più e più volte i ricordi dell'ultima giornata normale, alla ricerca di una spiegazione, di un motivo per giustificare tutto questo: le ore al lavoro, l'incontro con un cliente, la cena all'insegna della spensieratezza ma dopo, per quanto mi sforzassi, non ricordavo più nulla. Non avevo nessun modo per avvertire il passaggio del tempo: niente luci, niente battito del cuore né bisogno di dormire. Per questo non so quanto tempo fosse passato quando, mentre il pensiero tornava di nuovo al Barone, in lontananza apparve una luce fioca, tremolante, come la fiamma di una candela in balia del vento. Quella luce si trasformò gradualmente in un'immagine, sfocata, quasi irreale. Senza riflettere, come una falena attratta dal fuoco, mi lanciai verso di essa, cercando di vedere, di avvicinarmi, di capire ma senza alcun successo: come era apparsa, altrettanto improvvisamente era scomparsa. La disperazione mi travolse, amplificata da quel fugace istante di gioia. Era come se mi fosse apparso un miracoloso appiglio e mi fossi lanciato senza remore per afferrarlo solo per scoprire che era finto, fallace ed ora stessi precipitando ancora di più in una voragine incolmabile. Mi aggrappai con tutte le mie forze al ricordo di quell'immagine, cercando di fermarla nella mia mente, di decifrarne il significato. Era una figura? Un luogo? Una promessa? Ogni tentativo di ricordare sembrava alterarla, distorcerla. Temevo di cambiarla. Temevo di averla immaginata. Finalmente, però, ancora una volta senza alcun preavviso, vidi di nuovo: c'era un bambino dai capelli spettinati e una vecchia divisa da arti marziali, con i bottoni spaiati. Il bambino correva giù per una scalinata di pietra consunta, immersa in un bosco. Saltava tronchi caduti e si chinava per evitare rami bassi. Per un istante, quasi sentii il fruscio delle foglie secche sotto i suoi piedi e il suono del vento tra gli alberi. Raggiunse finalmente il fondo della scalinata, trovandosi in una radura circondata da alberi spogli e da un fitto sottobosco. Io osservavo, rapito, incapace di distogliere lo sguardo o di chiudere gli occhi. Non potevo fare altro che seguirlo mentre lui si fermava lì, di fronte a un alto muro di pietra. Il bambino, però, non sembrava affatto intimidito dall'ostacolo. Salì su un grosso ramo caduto e, con sorprendente agilità, scavalcò il muro, calandosi con attenzione su una larga pietra dall'altra parte. Guardandosi attorno con cautela, iniziò a saltare da una pietra all'altra, evitando di calpestare l'erba, finché non raggiunse un sentiero, che prese a seguire. Il cielo sopra di lui era di un azzurro intenso e senza nuvole, e la luce del sole filtrava tra i rami spogli, illuminando il sentiero con un bagliore surreale. Mentre osservavo la scena una strana sensazione mi colpì quando mi accorsi che potevo percepire i profumi. Nell'aria aleggiava un sottile aroma dolce, quasi di fiori selvatici, portato da una leggera brezza che muoveva appena le foglie morte attorno a noi. Dopo il buio e il nulla assoluto, quel profumo era un richiamo alla vita, quasi un conforto. Il sentiero iniziava ad allargarsi, e vidi alcune donne camminare lentamente, con ceste sul capo. Salutarono il bambino con un cenno della mano e parlarono in una lingua che non riuscivo a comprendere. Lui rispose, e sebbene non afferrassi le parole, percepivo l'intenzione dietro di esse, come se potessi sentirne l'anima. Fu in quel momento che realizzai di essere invisibile, o forse, di non trovarmi davvero lì. Mi chiesi se fossi morto e se la mia anima fosse rimasta intrappolata sulla terra. Ero diventato un fantasma? Come Sam Wheat di Ghost? Nel frattempo, il sentiero si era trasformato in una strada lastricata di grosse pietre scure. Su quelle pietre scorgevo i segni lasciati da innumerevoli carri, passati chissà quando. Al lato della strada, un torrente scorreva rapido, formando piccole cascate e gorgoglii. In lontananza vidi un ponte, anch'esso fatto di pietre scure, ricoperto di muschio, e oltre un villaggio di case basse in legno, da cui si alzava un sottile filo di fumo bianco. Il bambino attraversò il ponte con passo sicuro, come se conoscesse ogni pietra e ogni crepa di quel vecchio passaggio. Superato il torrente la strada conduceva al villaggio, ma il bambino prese un sentiero che si separava sulla destra e portava ad un piccolo edificio di pietra chiara, simile al marmo. La luce del sole si rifletteva sulle superfici lisce e levigate, conferendogli un aspetto quasi sacro. Le mura erano adornate da iscrizioni misteriose, incise in profondità nella pietra, e quelle scritte, incomprensibili e dal carattere antico, sembravano raccontare storie di un'epoca lontana. Affascinato da quella scena, sentivo una forte curiosità di vedere l'interno di quel piccolo tempio. Ma quando il bambino si avvicinò ad esso mi sentii come se fossi sbattuto contro un solido muro di pietra. Una forza invisibile mi tratteneva, una barriera insormontabile che mi costringeva a restare lì, impotente, ad osservare da lontano. Potevo solo guardare mentre il bambino raggiungeva l'entrata dell'edificio e vi si infilava senza esitazione. Attraverso l'ingresso di pietra, vidi il bambino chinarsi lentamente, come in preghiera. I suoi piccoli pugni erano serrati e il capo abbassato, ma nessun suono uscì dalla sua bocca, nessuna parola. C'era solo quel silenzio carico di significato. Poi, senza voltarsi, si rialzò ed uscì dall'edificio, senza dare le spalle a ciò che si trovava all'interno, a me invisibile. Quando il bambino si allontanò dal tempio e tornò verso il villaggio, mi ritrovai, improvvisamente e senza alcun controllo, accanto a lui. Intrappolato nella mia impotenza, sentivo crescere dentro di me un profondo senso di inquietudine. Perché ero stato respinto da quel tempio? Forse la mia presenza accanto al bambino era malvagia o sbagliata? Nel frattempo, il paesaggio era drasticamente cambiato: case di legno, dai colori caldi e accoglienti, si ergevano lungo le strade di terra battuta che si incrociavano con la via principale. Una serie di voci infantili riempì l'aria. Altri bambini si affollavano in un'area centrale, ridendo e giocando tra di loro spensierati. Il bambino si avvicinò a tre compagni con cui sembrava avere una grande confidenza: appena si videro ci furono sorrisi ed espressioni felici. Non sapevo bene che età potessero avere quei quattro ma mi ricordavano Filippo, il figlio della mia collega Barbara che aveva da poco compiuto dieci anni. C'erano due maschi, forse leggermente più grandi sia di altezza che di età e poi una bambina dai bei capelli castani con riflessi rossi e dal sorriso solare. Spiccava la sua divisa nuova e fatta di una stoffa che sembrava di ottima qualità. Sebbene non comprendessi la maggior parte delle frasi, alcune parole mi suonarono sorprendentemente familiari: sun, tak, bonjour... Ogni parola che riuscivo a cogliere mi colpiva e mi sorprendeva. Le loro voci si intrecciavano come melodie di una canzone lontana, evocando immagini di giorni spensierati, di giochi e di amicizie che ora mi sembravano così irraggiungibili. Mi sentii invadere da un senso di nostalgia e anche di appartenenza per quel luogo. La scena davanti a me era un contrasto vivido rispetto al buio che mi aveva avvolto prima: il sole splendeva alto nel cielo, illuminando ogni angolo del villaggio e trasformando le case di legno in caldi riflessi accoglienti. D'un tratto, da uno degli edifici più grandi, si udì la voce profonda di un uomo adulto. Le parole erano incomprensibili, ma il tono era autorevole, quasi un comando. Senza esitare, tutti i bambini si affrettarono a entrare, e io non potei fare a meno di seguire il bambino che stavo osservando. Mentre varcavo la soglia, mi resi conto che si trattava evidentemente di una scuola. All'interno, una spaziosa sala con pavimenti di legno accoglieva i bambini. I raggi del sole, filtrando attraverso le finestre, creavano un'atmosfera luminosa, ma c'era una certa solennità nell'aria. Appena entrati, i bambini salutarono con deferenza un maestro anziano che si trovava al centro della sala. Aveva una folta barba bianca e indossava una divisa simile a quella dei piccoli, ma con dettagli raffinati che ne evidenziavano l'importanza. La sua presenza emanava un senso di saggezza e autorità indiscutibile, e notai che nei volti dei bambini non c'era solo ammirazione, ma anche un leggero timore. I piccoli si disposero a terra in silenzio, formando un semicerchio ordinato attorno a un'area centrale, come se stessero per assistere a qualcosa di importante. Il maestro iniziò a parlare, e per qualche minuto le sue parole riempirono la stanza. Era una lingua dolce e musicale, le frasi fluivano con cadenza ritmica, come se ogni parola fosse parte di una melodia. Non riuscivo a comprendere il significato, ogni suono sembrava provenire da un mondo estraneo ma, per qualche motivo, non riuscivo a distogliere l'attenzione.
Angelo ricci
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