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Autore: Antonio Rispoli
Il Canto delle Spine - La Verità di Lirien
Letteratura Ragazzi
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Il Canto delle Spine - La Verità di Lirien

✧ Prologo – La Cenere del Vuoto.

Sotto un cielo straziato da vortici di stelle morenti, Vyrn pulsava come un cuore ferito, intrecciato di Fili Primordiali ormai fragili. Una Tessitrice, rinata dalle ceneri del sacrificio, portava un cerchio ardente inciso sulla pelle, eco di un destino incompiuto. Ombre antiche, nate dal Vuoto, sussurravano promesse di guerra, mentre un canto alato, puro come luce lunare, si levava a sfidarle. Le spade si tendevano, i cuori tremavano, e un vortice lontano chiamava, tessendo un nuovo inizio.

Il silenzio che seguì il dissolversi del Vortice non fu un semplice tacere dei suoni: era un'entità viva, palpabile, un manto di oppressione che gravava sull'aria e sulle ossa, insinuandosi nei pensieri con la tenacia di un incubo che si aggrappa alla mente, rifiutando di dissolversi. Ogni respiro di Lirien sembrava risucchiare frammenti di quel vuoto, lame invisibili che le scalfivano i polmoni, un monito costante che il mondo, o ciò che ne sopravviveva, ansimava con un rantolo di agonia. Intorno a lei, il campo di battaglia si spalancava come un mare agonizzante, costellato di rovine incandescenti e ombre che si dissolvevano a poco a poco, come spettri privati di ogni ragione d'essere. Là dove un tempo svettavano le torri di Vyrn, ora si estendeva solo una distesa di frammenti luminescenti, sospesi come tizzoni di un fuoco cosmico ormai spento. Al centro di quel deserto di luce infranta, il cuore stesso di Vyrn pulsava, ferito ma vivo, un nodo di energia che tremolava con la fragilità di una fiamma sull'orlo dell'estinzione. Ogni pulsazione risuonava nell'aria come un lamento antico, un richiamo che superava la materia e il tempo, diffondendosi in onde che facevano vibrare le ossa e il respiro.
Sopra di lei, il cielo si squarciava come una ferita viva: i Vortici Spezzati si contorcevano tra le nubi come arterie di luce folle, aprendo varchi verso dimensioni ignote, dove bagliori verdi e azzurri si avventavano l'uno sull'altro come tempeste di anime in tumulto. Quei filamenti d'energia, esili come arterie stellari, s'intrecciavano intorno a Lirien, sfiorandole la pelle e lasciandovi un fremito che evocava il ricordo di un sogno così vivido da sembrare tangibile. Oscillavano, vibravano, e in quel movimento caotico parevano cercare un ordine perduto, come se il multiverso stesso si stesse disfacendo sotto il peso della propria memoria. Ogni filo era un respiro del cosmo, una testimonianza di forze primordiali che rifiutavano di soccombere.
Il terreno sotto i suoi piedi si stendeva come un mosaico di cristalli spezzati, intriso di luce e ombra, che scricchiolavano con un suono secco e tagliente, evocando il crepitio di vetro calpestato. L'odore che saliva da quella distesa era aspro, metallico, con venature di ozono e cenere: il profumo di un mondo in decomposizione. Ogni passo lasciava impronte che si riempivano di bagliori effimeri, come se la terra stessa cercasse di trattenere un frammento della vita che le stava sfuggendo. Tra i resti contorti di antichi artefatti e frammenti di corazze annerite, scorgeva riflessi che sembravano osservatori silenziosi, testimoni muti della rovina.
Sul suo avambraccio, il cerchio intrecciato avvampava con intensità sempre più feroce, un sigillo vivo che pulsava in sincronia con il cuore, ma seguendo un ritmo alieno, dissonante. Il dolore che ne scaturiva non era solo fisico: si conficcava nelle ossa e s'intrecciava ai pensieri, richiamando visioni di mondi ignoti, di oceani di oscurità e stelle che urlavano nel vuoto. Quel marchio era più di un simbolo: era un legame, una catena invisibile che la univa a forze che nessun mortale avrebbe dovuto sfiorare. A ogni pulsazione, sentiva la propria identità vacillare, come se qualcosa di diverso, d'immenso e terribile, stesse cercando di aprirsi un varco dentro di lei.
—Cosa sono diventata?— si chiese, e la sua voce interiore echeggiò come un frammento spezzato che rimbomba in una caverna di cristallo. I pensieri le si avvolgevano attorno, aggrovigliati, senza inizio né fine, simili a serpenti che si mordevano la coda. Non riusciva più a distinguere dove finiva la sua volontà e dove cominciava quella del sigillo, o forse di ciò che l'aveva generato. Ogni memoria era un frammento distorto, ogni emozione un riverbero di qualcosa che la trascendeva. Eppure, in quell'abisso d'incertezza, una scintilla di determinazione si accese, fragile ma reale: la consapevolezza che, qualunque cosa fosse diventata, non avrebbe permesso al vuoto di reclamare ciò che restava di lei.
L'aria che la avvolgeva aveva la densità di un incantesimo incompiuto, un groviglio sospeso tra la genesi e l'annientamento. Ogni molecola sembrava vibrare di una vita propria, carica di un'energia che pungeva la pelle e penetrava sotto la carne come aghi di luce. Non era un semplice vento quello che muoveva i suoi capelli, ma un respiro profondo, antico, un battito del Vuoto stesso che sussurrava tra le rovine del mondo. Ogni raffica trascinava con sé frammenti di parole perdute, voci che non appartenevano ad alcun luogo né tempo, un coro soffuso che pulsava appena oltre il confine del silenzio. Lirien percepiva il ritmo di quella presenza come si percepisce il pulsare di un cuore immenso, invisibile, e in quella cadenza riconosceva la stessa forza che l'aveva risucchiata oltre la Frattura, solo per gettarla nuovamente in quella terra ferita.
Sopra di lei, il cielo era un abisso aperto, una tela strappata in cui il blu profondo si mischiava a striature d'argento consunto, come se il firmamento stesso stesse sanguinando luce. Le spire di energia che lo attraversavano si muovevano lente, ma con un'intenzione sinistra: si torcevano su se stesse come serpi luminose, s'intrecciavano e si dividevano, generando nuovi Vortici Spezzati che lampeggiavano con bagliori irregolari, simili a occhi famelici che osservavano, attendevano, giudicavano. Ogni guizzo di luce lasciava un reticolo di ombre vive sulla terra, disegnando geometrie che mutavano a ogni respiro, come se il cielo stesso tentasse di ricordare una forma perduta. Lirien li fissò a lungo, e per un istante credette di scorgere in quelle spirali figure fugaci – frammenti di volti, di mani tese, di antichi esseri intrappolati tra le pieghe della realtà.
Ogni volta che inalava, l'aria le graffiava la gola. Era un amalgama di profumi impossibili: brace estinta, ferro fuso, cristallo polverizzato. Quel sapore le si depositava sulla lingua e risaliva alla mente, evocando ricordi che non erano suoi. Rivide, come in un sogno spezzato, mari di luce che non aveva mai solcato, città sospese che scomparivano in un battito d'ali, voci che la chiamavano con nomi che non conosceva. Ogni immagine era una ferita aperta nella coscienza, un lampo di qualcosa di troppo grande per essere umano. Si rese conto che parte di sé – una parte che non sapeva nominare – aveva attraversato le soglie del reale e ne era tornata alterata, contaminata dal respiro stesso del Vuoto.
La Frattura. Quel nome vibrò nella sua mente come il rintocco di una campana infranta. Il ricordo del sacrificio si riversò su di lei come un'onda di luce e dolore: la collisione degli incanti, il boato che aveva lacerato il cielo, il turbine che l'aveva inghiottita. Aveva offerto tutto ciò che era per sigillare la ferita del mondo – corpo, magia, anima – eppure la sua esistenza non era stata cancellata. Il prezzo, però, era inciso nella carne: le vene bruciavano di simboli che non svanivano, trame di energia che affioravano sotto la pelle come radici di fuoco. Lì dove gli altri avrebbero trovato distruzione, in lei il potere aveva scelto di sedimentarsi, di sopravvivere.
Ora, tornata su Vyrn, respirava ancora, ma non come prima. Sentiva la vita scorrere in modo diverso, come se ogni battito del cuore fosse un accordo dissonante tra ciò che era stata e ciò che era diventata. Ogni fibra del suo essere le sussurrava che non apparteneva più soltanto al mondo dei vivi, né del tutto a quello dei morti. Era un ponte, un passaggio, una risposta vivente a un enigma che il cosmo stesso sembrava aver inciso nel suo destino. E mentre osservava le spire del cielo dissolversi e ricomporsi, comprese che la sua rinascita non era una grazia, ma un debito – un giuramento inciso nel sangue, che presto o tardi avrebbe reclamato la sua ultima verità.

Antonio Rispoli

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