|   Un'amicizia nata sulle barricate degli anni ‘70. 
 L'Aurora 1983.
 
 Una fresca aurora accende un nuovo giorno a Roma.
 Il vento si fa scaldare dai primi raggi di sole che insieme entrano nelle case attraverso le finestre lasciate socchiuse.
 Per far sentire la brezza delle mattine primaverili e per far filtrare le prime luci del giorno, abbandonando il buio segreto della notte.
 Svegliarsi allegramente. Entrare nel chiasso giornaliero.
 Sono giù in strada. In dodici a volto coperto.
 Il sole caldo si affaccia sul Circo Massimo e accarezza il Velabro.
 La chiesa di San Giorgio si sta svegliando e qualche vecchina lentamente si avvicina, forse è ancora presto per aprire le porte del Signore. Loro dormono poco e trovano la pace solo attraverso la fede.
 Nel cuore della Roma imperiale, in mezzo a quei vecchi sanpietrini, accanto a quel Circo, che qualche giorno fa ci ha visto festeggiare insieme la vittoria del secondo scudetto della Roma. Le bandiere giallorosse ancora sventolano alle finestre e le note di Grazie Roma sono la colonna sonora di quei nostri momenti felici.
 Sono giù in strada. In dodici a volto coperto.
 Sono arrivati, mascherati, con delle macchine senza un'identità definita. Al buio.
 In via San Teodoro. Niente sirene, niente confusione.
 I dodici volti mascherati incorniciano un palazzo d'epoca con attenzione e costringono in una morsa di tensione quei quattro appartamenti abitati da vecchie famiglie romane.
 L'obiettivo di quegli uomini è al secondo piano, l'ultimo.
 Chi sono? Cosa vogliono?
 L'antico portoncino d'ingresso è sempre aperto, giorno e notte. Quelle famiglie si conoscono bene tra loro, da troppi anni. Non c'è motivo di mettere degli inutili catenacci. La fiducia è la loro parola d'ordine.
 Dieci uomini salgono le scale con prudenza, con circospezione, cercando di non fare rumore. Due rimangono davanti al portoncino d'ingresso.
 Solo il flebile cigolio di una persiana spinta dal vento rompe, per un istante, quel silenzio assoluto. Al primo piano uno spioncino segue tutta la scena, tenendo il respiro con attenzione, solo un caffè appena fatto fa giungere il suo buon profumo fino in strada.
 I dieci uomini si sono predisposti armati e pronti a tutto. Suonano più volte. Nessuno risponde.
 La tensione cresce, un colpo secco, un altro ancora e poi quello decisivo. La porta tremola sullo stipite, venendo giù con decisione. Un rumore sordo attraversa la tromba delle scale. Sveglia inusuale per quel vecchio palazzo.
 Il sole comincia a scaldare i cuori. L'accecante luce del mattino sembra impallidire di fronte a ciò che sta accadendo.
 I due uomini a guardia del portoncino si guardano intorno dopo quel botto. Nessuno si accorge di niente. Quell'occhio attaccato alla porta ha un sobbalzo. Osserva e ascolta in silenzio. Il sapore del caffè diventa amaro. La curiosità e la voglia di capire è più forte di ogni altra cosa. Quegli occhi stanchi e tristi, dentro quell'appartamento dalla porta sfondata, hanno visto nascondere ebrei e partigiani. In quella casa quelle famiglie si dividevano pane e farina comprata al mercato nero. Quegli occhi questa mattina vogliono capire cosa stia accadendo.
 Quella è la casa di sua nonna Fernanda, che in tempo di guerra era un porto sicuro in quel mare in tempesta. Oggi in quell'appartamento Claudio ci abita con Flavia, la sua compagna. Lei da qualche mese ha deciso di tornarsene a casa dai suoi genitori. Sono in crisi.
 In quella via deserta, nel cuore della Roma imperiale, il rumore è angosciante.
 Pesante. Insolito. Nervoso.
 I dieci poliziotti della Digos, dietro alla porta sfondata, trovano la sala da pranzo.
 Aprono gli sportelli dei vecchi mobili. Sono pieni di piatti e bicchieri. Tutti i cassetti vengono rovesciati. Forchette e coltelli, tovaglie e tovaglioli di pizzo, che ricordano la dote di altri tempi, vengono lanciati in aria e finiscono il loro volo violentemente a terra. La cucina viene controllata accuratamente. Stoviglie e pentole non abitano più nei soliti posti.
 La prima stanza da letto profuma di antico. Il letto è ben fatto. Sotto alla coperta, le lenzuola di lino, accarezzano due cuscini. Da molto tempo non vengono stropicciate da qualcuno. Sul comodino c'è la foto color seppia di un uomo, suo nonno, accanto al settimanale Intimità di qualche mese fa. Una lettura semplice. Sotto al letto ci sono le ciabatte, consumate dal tanto trascinare di una nonna stanca. Improvvisamente tutto quell'ordine viene spazzato via.
 I vestiti vengono buttati all'aria. Un trambusto inutile. Per quegli uomini la stanza accanto è più interessante. Entrano senza bussare nella sua camera da letto. Dischi, libri e cassette vengono accuratamente controllati. Tutto in un attimo.
 Quei tre che per primi svuotano l'armadio e ispezionano persino le sue mutande usate. Sotto al letto, vicino a un vecchio pallone da basket, ci sono le sue borse sportive. Le tirano su con fatica, le appoggiano sul materasso, viene aperta la chiusura lampo della prima con cautela, dentro trovano quello che cercavano.
 Una borsa è piena di armi, fumogeni e targhe. Nell'altra trovano varie divise, palette, sirene, passamontagna e calze di nylon da donna. Non c'è stato il tempo per trovargli un nascondiglio decente. Le due borse sono lì solo da due giorni. Quella Santa Barbara impressiona anche il capo, un comandante molto esperto.
 Nello stesso giorno, alla stessa ora, Claudio è steso in un letto, insieme a una sua amica. In un'altra zona di Roma. Fatti e stanchi dopo una notte di amore e canne, loro dormono sereni, incuranti di quello che sta succedendo a via San Teodoro. Il suo corpo lungo due metri è avvinghiato alle braccia di una storia clandestina sotto le lenzuola che profumano di donna.
 Non può pensare che nel momento stesso che ha finito di fare l'amore qualcuno gli sta profanando, con una perquisizione meticolosa, la sua casa. Non può sapere che qualcuno ha detto cose che non doveva dire. Non può immaginare che qualcuno lo abbia venduto.
 Questa storia sarà il prologo di una clandestinità molto diversa e assolutamente meno piacevole di quella che stava vivendo con questa donna.
 Quelle persone, che lo stanno aspettando, con pazienza, a casa sua, non sanno che lui lì non arriverà mai.
 Quelle armi senza identità hanno messo paura a molti senza mai sparare un colpo. Quelle borse sono de “I Soliti Ignoti”, la batteria di rapinatori con cui lavora Claudio. Armi che hanno regalato soldi facili con tanta tensione. Nessuno rivendicherà la paternità di quelle borse piene di ansia e terrore.
 Quei dodici uomini con il volto coperto dopo due giorni di bivacco, in quella vecchia casa, se ne vanno. Soli e con quei borsoni sportivi che abitualmente custodivano le sue scarpe e le sue divise da basket. Oggi sono piene di roba che lo incatenano ad un'altra vita.
 Un sospiro di sollievo viene tirato da quelle quattro famiglie che si vogliono bene da sempre. Quello spioncino muto ha avuto il tempo di avvertire la mamma di quel ‘Gigante', come tutti amano chiamarlo, prima di fargli prendere la strada del Velabro. Prima di cadere nella trappola del nemico. Un triste appuntamento rimandato chissà per quanto. Quel corpo, sempre più ingombrante e quella testa, sempre alla ricerca di nuove emozioni, hanno bisogno di un nascondiglio sicuro, di un posto tranquillo.
 Improvvisamente si sente il capitano, senza ciurma, di un guscio di noce in un mare in tempesta.
 Claudio da oggi è un fuggiasco.
 E ora noi riavvolgiamo il nastro...
 
 IL PARQUET 1975
 
 Quel pallone arancione, quando tocca il parquet, diffonde nella palestra un rimbombo simile ad un colpo di pistola. Un rumore che gli entra nelle orecchie ogni volta che tocca terra. Un rimbalzo pesante. Un palleggio fatto da due mani già grandi. Quando viene lanciato verso il canestro, si libra in aria leggero, facendo dei giri su se stesso, finendo la sua parabola precisa, senza incontrare ostacoli, dentro al cesto. Quello che si sente è un fruscio morbido e impalpabile. Lo strofinio leggero con la retina che ne attenua la caduta sul pavimento di legno.
 Un tiro da fuori che prova anche quando il resto della squadra è già sotto la doccia. L'allenamento è finito ma Claudio rimane in campo con il suo coach. Fino a che non mette dentro dieci canestri di seguito non lascia il campo. Una sfida e una fatica in più che lui, giovane ragazzo di sedici anni, ripete quasi tutti i giorni. Si diverte e sogna il debutto in serie A nella sua nuova squadra romana. Un debutto che vuole con tutta la sua forza. Sin da quando è entrato per la prima volta in palestra a sette anni. Ha iniziato a fare mini basket in una squadra di Ostia, dove viveva con i genitori, e per tre anni in una squadra di Milano perché i suoi si erano trasferiti per lavoro. Poi quando sono rientrati ad Ostia, ha giocato in tutti i campionati giovanili sempre precorrendo i tempi. È il più piccolo d'età ma il più alto e il più bravo di tutti. Da cadetto aveva giocato nella Nazionale juniores risultando sempre tra i migliori. Un'ala forte e all'occasione un pivot di classe e potenza. Forse per questo la società Stella Azzurra ha voluto fortemente questa giovane speranza del basket italiano.
 Giocare a Roma nella città dove era nato e vissuto fino a cinque anni è come fare un tuffo nel passato, forse i ricordi sono sbiaditi e a volte la solitudine e la lontananza, dai suoi genitori e dai suoi amici di scuola, lo hanno costretto a pensieri malinconici che sembrano stridere con la presenza del suo corpo. Ma la volontà di affermarsi e di diventare un campione vincono su qualsiasi nostalgia, e poi a Roma non è solo, va ad abitare di nuovo nella casa dove è nato, ritorna a vivere con nonna Fernanda, al centro, ad un passo dai Fori Romani. Forse è proprio questa la sua forza. Claudio è diventato grande e responsabile prima del previsto, e oggi su quel parquet vuole dimostrare che chi ha creduto in lui non si è sbagliato.
 Quando vede il decimo tiro toccare il ferro e poi entrare in rete guarda il coach con un sorriso beffardo e soddisfatto.
 “Ora posso andare a fare la doccia?”
 “Claudio vai. Oggi ti è andata bene, ma domani ti faccio fare l'uno contro uno con l'americano, quello la palla te la schiaccia in testa. Con lui ridi poco.”
 “Quando le difficoltà aumentano mi diverto di più.”
 Il coach compiaciuto guarda l'orologio. Sono le due.
 “E sbrigati perché il trenino non ti aspetta. Poi rischi di far tardi a scuola. Meno male che la prossima settimana vai di mattina.”
 Claudio tira su la lampo della felpa, chiude la borsa e scappa.
 “Con questi doppi turni non ci capisco più niente.”
 Tra l'Acqua Acetosa, dove si allena, e il capolinea ci sono tre fermate, il treno della linea Roma Nord finisce la sua corsa a Piazzale Flaminio.
 La sua scuola è a cinque minuti a piedi. Quando scende dalla carrozza con il suo borsone sulle spalle ha solo il tempo di un panino al bar e poi di corsa in classe.
 Davanti all'istituto c'è il solito movimento di tutti i giorni, chi distribuisce volantini per l'assemblea contro l'ennesimo attentato fascista, chi vende il quotidiano Lotta Continua e fa sottoscrizione. È tutto un fermento, un confronto instancabile, tra chi vuole, attraverso l'impegno politico, cambiare le cose e chi invece pensa solo a studiare o a parlare di calcio. Quando è arrivato davanti al portone una ragazza gli si fa incontro, è piccola quella compagna, con la pelle olivastra, e con un mazzo del giornale Lotta Continua tra le braccia. Claudio la guarda con curiosità, ne rimane affascinato.
 “Compri il giornale?”
 “Va bene. Quanto costa?”
 “Centocinquanta lire.”
 Claudio tira fuori dalle tasche 1000 lire e gliele da in mano. Sfiorandola. Lei gli fa un sorriso.
 “Sono troppi e non ho il resto. Non preoccuparti me lo paghi domani così ti compri un'altra copia. Oppure aspetta che li vado a cambiare.”
 “No no, prenditeli tutti. Faccio una sottoscrizione.”
 È quasi imbarazzata di fronte a quel ragazzo così generoso nel fisico e nel cuore. Lei che parla sempre alle assemblee, che già frequenta la sezione di Lotta Continua a Primavalle da qualche anno, ed è ormai una veterana di quella scuola, quasi non sa come rispondere a quello sguardo e a quel gesto.
 “Io mi chiamo Roberta, sono la responsabile del collettivo politico della nostra scuola.”
 “Io sono Claudio.”
 “Madonna quanto sei alto. Ti avevamo già visto in questi giorni ed eravamo anche preoccupati che fossi un fascio. Sai con quel fisico che hai... avevo un po' paura... invece...meno male che sei uno di noi. Ma sei arrivato quest'anno? “
 Ha lo sguardo affascinato e attento, per quella ragazza più grande di lui, per quelle gonne lunghe a fiori, gli zoccoli neri che la fanno sembrare più alta e con quegli occhi neri, impreziositi da un paio di occhiali tondi alla John Lennon.
 “Sì, sto in II B, e non ti preoccupà sono un compagno, a casa mia so tutti di sinistra.”
 Roberta gli sorride, compiaciuta.
 Claudio l'ha guarda emozionato mentre mette il giornale nella borsa.
 “Fammi sapere quando fate i collettivi che voglio partecipare. Ora scappo in classe che è tardi.”
 Mentre sale le scale ripensa a suo padre, di quando gli raccontava della Resistenza a Roma, di quanto era duro convivere con il fascismo e di tutte le volte che i suoi nonni venivano portati in questura, perché non partecipavano alle adunate.
 Il suono aspro della campanella, che ricorda agli studenti l'inizio della prima ora, interrompe di colpo i suoi pensieri. Tutti in classe a studiare. I primi giorni di scuola sono legati alla nostalgia di un'estate appena passata e all'orario scolastico ancora provvisorio. Dopo cinque ore, la stessa campanella ha un suono più gradevole. Alla fine delle lezioni, gli studenti corrono giù per le scale e guadagnano l'uscita tra sorrisi e urla festanti. Il gusto irresistibile della libertà. Alcuni si affrettano a prendere un autobus, altri inforcano i motorini, quelli più politicizzati si godono il loro tempo insieme, parlando della prima assemblea dell'anno e di come organizzare la prossima manifestazione. Sbocciano nuovi amori e nascono nuove amicizie.
 L'incontro con Roberta ha creato a Claudio uno strano turbamento. L'idea di poter avere un rapporto con una ragazza più grande di lui, ma fisicamente molto piccola da poterla tenere nelle sue mani, lo diverte e lo stimola molto. Sono solo pensieri. Per ora. Gli allenamenti e lo studio lasciano poco tempo ad altre distrazioni. Quel tempo libero lo dedica alle prime riunioni del collettivo della scuola. La voglia dell'impegno politico inizia a farsi largo, poco alla volta. Sono giorni di grandi cambiamenti e di tante nuove conoscenze. La scuola per noi non è solo un luogo di studio, ma anche e soprattutto un luogo di aggregazione dove si incontrano tante anime diverse. Da qualche giorno Claudio mi vede sempre sotto il suo istituto insieme ad altri compagni. Io faccio parte del nucleo politico del mio quartiere. Prati, una zona troppo vicina al Vaticano, con le sue radici impiegatizie e artigiane, con un'anima borghese che non guarda di buon occhio noi giovani che vogliamo cambiare il mondo. Il Nucleo Politico Prati l'ho creato insieme ai compagni del liceo e agli amici d'infanzia con i quali sono cresciuto, giocando da bambini delle interminabili partite di calcio sul brecciolino di Piazza della Libertà. Sin da adolescenti sempre con una sfrenata voglia di antifascismo, in un quartiere con una forte prevalenza di cattolici conservatori e reazionari che trovano nella sezione del MSI di via Ottaviano un punto di riferimento. Una sede diventata tristemente nota dopo l'uccisione dello studente greco Mikis Mantakas, militante di quella sezione. Da quel momento la nostra quotidianità è cambiata pesantemente. Lo scontro politico e militante si è inasprito notevolmente, l'esigenza di far nascere una struttura, che abbia voglia di rispondere anche militarmente alle provocazioni fasciste, diventa primario. Io quel quartiere lo conosco bene perché ci sono nato e perché ho iniziato molto presto a fare politica nella sezione del PCI, uscendone poi per forti divergenze politiche pochi mesi fa. Tutti i giorni passiamo il nostro tempo davanti alle scuole a volantinare e quella mattina insieme a Franchino andiamo sotto la scuola di Claudio. Lui sta parlando con Charlie mentre io mi avvicino con dei volantini in mano. Gli guardo le scarpe e gli faccio una battuta.
 “Come mai porti le mitiche scarpette rosse del Simmenthal Milano?”
 Si guarda incuriosito le All Star rosse ai piedi.
 “Gioco a basket in una squadra di serie A, e queste ce le regala la società, sono le mie preferite. Perché le conosci?”
 “Certo che le conosco. Il Simmenthal è la mia squadra del cuore. Masini, Jellini, Kenney l'americano con i basettoni e il grande coach Cesare Rubini.”
 “Ammazza, ma li conosci tutti?”
 “Sì, sono malato di sport e di politica. Però il calcio mi piace di più. Sono un tifoso curvarolo della Roma.”
 “Sono della Roma anche io. Ma ti vedo spesso qua sotto con Charlie e gli altri ragazzi del collettivo della scuola. Come mai?”
 “Sono un compagno del quartiere e abbiamo un collettivo che si chiama Nucleo Politico Prati. Ne fanno parte tanti compagni delle scuole della zona nord bassa di Roma.”
 “Fate lavoro politico in quartiere?
 “Sì, soprattutto antifascismo militante.”
 “Allora quando fate delle iniziative fatemi sapere. Magari chiedo a Charlie.”
 Quel dialogo diventerà il lasciapassare per la nascita di un'amicizia fortissima e nel tempo mai mutata.
  Maurizio Fabretti Claudio Felici   |