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Una volta giunto all'ultimo piano del palazzo, mi avvicino al corridoio che porta alla terrazza. Il buco è sul soffitto a pochi metri da essa. Sembra essersi allargato, nel frattempo. Mi avvicino lentamente e ci guardo dentro. Mi sembra di fissare il vuoto cosmico e mi sento improvvisamente perso. Abbasso lo sguardo, sono circondato dal nulla. «Finalmente, Charlie» dice una voce che mi rimbomba nella testa. La riconosco: è quella che ho sentito tramite la TV. «Chi sei? Fatti vedere!» esclamo, non riuscendo a nascondere il fatto che mi stia cagando sotto. Poi, una luce appare nelle tenebre di fronte a me, ma non è una semplice luce... È strano, sembra che il buio illumini l'oscurità stessa. Non ha senso, vero? Ma non ho il tempo di riflettere: improvvisamente, la forma di una donna si staglia nell'ombra e inizia a fluttuare verso di me. Riesco a vederla chiaramente: la sua pelle è pallida, quasi lunare. Sul volto, un intricato tatuaggio tribale le incornicia gli occhi come una maschera sacra, con linee simmetriche che si estendono verso la fronte e le guance, culminando in motivi circolari e punte affilate sul mento e sulla bocca. I suoi occhi sono bianchi, privi di qualsivoglia barlume vitale. I suoi capelli neri si disperdono nel buio come tentacoli d'ombra. Il corpo è adornato da altri simboli inquietanti: sul petto, subito sotto la clavicola, piccole gocce nere sembrano scolpite nella carne in una disposizione rituale. Le braccia sono segnate da bande nere e da tratti verticali, come incisioni runiche che scendono lungo l'avambraccio fino ai polsi. Ma è sulle gambe che la visione si fa più disturbante: da sotto l'abito strappato, la pelle lascia intravedere schemi scheletrici, come se i tatuaggi imitassero l'anatomia nascosta del corpo umano – tibia, perone e ossa del piede tracciate con precisione spettrale, fino alle dita nude. Non so perché, ma la trovo... bellissima. Resto letteralmente a bocca aperta quando lei è ormai a un paio di metri davanti a me. I suoi piedi nudi sfiorano il terreno scuro, posandosi con la grazia di una danzatrice. «Delilah» si presenta, con tono di voce dolce, e mi porge la mano per essere baciata. Io tentenno per un momento, stordito da questa situazione così assurda. «Non sei mai stato un tipo cavalleresco, eh, Charlie?» mi domanda, ritirando la mano. Mi perdo in quegli occhi bianchi come il destino e le rispondo, ignorando le sue parole: «Come sai il mio nome?» «So molte cose di te, Charlie» replica lei. «Non darmi queste risposte misteriose del cazzo...» «Oh, affascinante. Ti è sempre piaciuta la parte del gangster duro e senza scrupoli» mi dice, scivolando intorno a me con movenze che sembrano rubate a un sogno: silenziose, perfette, fuori dal tempo. È pervasa da una grazia innaturale, le spalle dritte, il mento alto, come se fluttuasse più che camminare. «Puoi spiegarmi cosa sta succedendo?» «Finalmente la domanda giusta» risponde, fermandosi davanti a me. «Nel momento in cui sei morto, Charlie, è successa una cosa più unica che rara. Qualcuno, nel Mondo dei Morti, ha barattato la sua essenza mortale con la tua essenza vitale.» «Cosa?! E che baratto sarebbe se è successo contro la mia volontà?» «È questo il punto, Charlie: non so neanche io cosa sia successo esattamente... so solo che nel momento in cui lui stava per nascere, dal Mondo dei Morti, tu sei stato ucciso nel Mondo dei Vivi. Qualcosa si è rotto tra i due mondi, si è creata una singolarità. Lui, in questo momento, si trova nella tua stessa situazione, anche se a ruoli invertiti.» «Chi è questo tizio?» «Un non-morto, forse un mai nato.» Tutto questo è assurdo. Mi gira la testa e mi sento così confuso. «E come possiamo tornare come eravamo prima?» «Ci sto lavorando. Nel frattempo, però, ho bisogno del tuo aiuto. Vedi, questo avvenimento ha destabilizzato l'armonia dei due mondi e c'è pericolo che possano verificarsi delle interferenze.» «Interferenze?» le domando. «Il Mondo dei Morti potrebbe iniziare a... “comunicare” con quello dei vivi. Sarebbe una catastrofe per entrambe le realtà. Tu sei il mio unico tramite col tuo mondo, quindi sei il solo in grado di aggiustare le cose. Ti spiegherò tutto a tempo debito, sarai in grado di evocarmi quando ne avrai bisogno e io sarò in grado di comunicare con te, da ora in avanti.» «Aspetta un momento. Io devo tornare a casa da mia moglie e mia figlia, saranno in pensiero per me... devo assolutamente spiegare loro cos'è successo!» «Non puoi certo farlo in quelle condizioni, ti pare?» «Per questo ti sto chiedendo aiuto.» «Mi dispiace, Charlie. Fino a quando non avrò trovato un modo di farti tornare a essere vivo, sarai in questa situazione. Ora ti permetterò di ritornare al tuo rifugio. Non preoccuparti, ho pensato a inviarti un aiutino per affrontare le inerzie della tua nuova vita... se così si può definire» mi dice, sorridendo in modo sinistro. Vorrei ribattere, ma qualcosa mi dice di non avere altra scelta. Delilah poggia la sua mano sui miei occhi e io li chiudo. In un istante, mi ritrovo nel corridoio che conduce al terrazzo del condominio. Guardo in alto e noto che la voragine sul soffitto è scomparsa. Non avverto più quella sensazione di vuoto. Mi affaccio a una delle finestre e il mondo è di nuovo lì dove dovrebbe essere. Un rumore viscido, però, mi costringe a voltarmi verso dove prima c'era il buco: una melma nerastra e densa sta colando dal soffitto. Mi avvicino e noto che, lentamente, la sostanza che cade sul pavimento sta crescendo sempre di più. Sarà l'aiuto che Delilah ha detto che mi avrebbe donato? Non sarebbe male una creatura mostruosa... grossa, enorme... Sai che risate se la usassi per intimidire la gente? Ridacchio, mentre vedo la cosa continuare a crescere. Subito dopo aver raggiunto il soffitto, però, inizia a sgonfiarsi. La sostanza sparisce nel nulla, come per magia. Mi avvicino e... che cazzo è questo, uno scherzo?! La melma nerastra ha dato vita a un piccolo essere che, ora, se ne sta davanti a me e mi guarda con il suo unico occhio. «Uhm... che cazzo è questa roba? Sarebbe questo l'aiuto, Delilah?!» dico ad alta voce, come se lei potesse sentirmi, ma non ricevo alcuna risposta. L'occhio mi guarda indispettito, e dalla melma di cui è composto si formano delle braccine che assumono una posizione da combattimento, come un pugile pronto a suonarmele di santa ragione. Scuoto la testa, e decido di non perdere tempo con quel... coso. Me ne torno nel mio appartamento. Una volta raggiunto, affondo nel divano e cambio canale sulla TV, alla ricerca di qualcosa di interessante da guardare. Non ho nemmeno il tempo di digerire ciò che mi è stato appena detto da quella che sembrava la morte in persona, che sento un rumore viscido provenire dalla porta d'ingresso. Ma guarda un po', l'occhio del malaugurio sta passando da sotto al battente. «Sei agile, te lo concedo» gli dico, mentre avanza verso di me, guardandomi in modo strano. «Che vuoi? Non dovrò portarti a fare i bisogni in giro, spero.» A quelle parole, socchiude la “palpebra”, guardandomi perplesso. Sollevo il sopracciglio e lui sposta il suo sguardo a terra. Comincia a vibrare e dalla sua melma fuoriescono dei tentacoli che iniziano a ondeggiare. «Ma che...» L'essere chiude l'unico occhio e comincia a pulsare, a gonfiarsi, come se qualcosa dentro di lui premesse per uscire. Poi, lentamente, particelle di melma iniziano a staccarsi dal suo corpo e cadono a terra, disegnando parole sul pavimento. Mi chino, poi mi rialzo, cercando l'angolazione giusta per decifrarle: «Limbo Street, 10...» leggo, ad alta voce. L'occhio mi fissa. «È un indirizzo...» dico e lui annuisce. «È il nostro primo obiettivo?» domando e lui annuisce ancora. Sospiro. Sono proprio curioso di vedere di che si tratta. E poi, mi ero già rotto le palle a starmene seduto a fare la muffa. È tempo della nostra gitarella notturna.
Mi vesto, pronto per uscire, e l'occhio si arrampica dalla mia gamba, iniziando a salire. Mi fa il solletico. «Hey, hey, dove vuoi andare, cowboy?» gli dico, sarcastico. Lo sento arrampicarsi fino alla mia schiena e fermarsi lì, tra lo spolverino e la maglia. «Ok, puoi startene nascosto lì, se proprio ci tieni.» L'umidità della notte mi si infila addosso come un guanto bagnato. Cammino per strada e il gelo riesce a infilarsi sotto i miei vestiti. Mi morde la pelle, ma dubito di avere un buon sapore: sono morto, dopotutto. Probabilmente anche andato a male. Controllo Maps e seguo le indicazioni. Per fortuna, a quest'ora, non c'è nessuno in giro. D'altronde è notte fonda. «Hey, senti un po'... ce l'hai un nome?» chiedo al mio nuovo collega. Ovviamente non risponde, non credo possa parlare. «Beh, allora ti chiamerò Blinky. Che ne dici?» Nessuna risposta. «Chi tace acconsente.»
Alessio Monni
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