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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Carmen Capasso
Titolo: Cambio di Stagione
Genere Romanzo Rosa
Lettori 3566 59 67
Cambio di Stagione
Ciò che non si vede si sente con il cuore.

Ho terminato gli studi da poco e non so cosa succederà tra qualche mese. Sono al mare, anche se la mia testa è altrove. Adoro stare qui, sono un'altra persona. Non sarebbe male viverci. È meraviglioso essere svegliati dal canto degli uccelli e dai raggi del sole che attraversano le finestre, fare colazione in giardino, mettere il costume, andare in spiaggia, prendere il sole e fare lunghe passeggiate.
Dovrebbero allungarla... L'estate intendo. Alle cinque verrà mio padre a prenderci. Purtroppo ha trascorso l'estate a lavorare e io mi sono goduta ogni secondo di questa stagione qui al mare anche per lui. La mattina è d'obbligo fare colazione tutti insieme: posizioniamo il computer al centro del tavolo e lo videochiamiamo non appena i gemelli aprono gli occhi. Non ve l'ho detto, ho due fratellini piccoli, sono gemelli. Sono così carini. Abbiamo passato intere giornate in giro per il paese a perlustrare la zona, finché hanno conosciuto dei bambini della loro età in spiaggia e non ci hanno messo tanto a sostituirmi. Sono da qualche giorno nostri vicini di ombrellone. Proprio ora sono tutti in acqua, mentre io resto sulla battigia a rubarmi gli ultimi raggi del sole.
- Celine, hai deciso di andare via? - .
- Ehi Tommy... Sì, parto alle cinque - .
Tommy è davvero un bravo ragazzo, ci siamo conosciuti non appena ho messo piede in spiaggia. Ha cercato di sporcarmi con la sua granita alla menta, sicuramente una delle sue mosse di seduzione. Siamo diventati subito ottimi amici, è stato lui a inserirmi nella comitiva, ragazzi davvero simpatici. Ho trascorso la mia estate con loro, non appena i miei fratellini mi hanno abbandonato. Tommy... Pensavo fosse il ragazzo perfetto, l'uomo che forse avrei sposato. Mi ha promesso la luna, ma è stato in grado di darmi solo una grossa delusione. Non ci siamo mai baciati e tecnicamente nemmeno siamo mai usciti da soli, ma per me non era solo l'amico delle vacanze, ero sicura che ci saremmo frequentati anche dopo: in fondo vive a soli venti minuti da me; avrei potuto prendere il treno, un taxi o chissà... L'avrei fatto per lui.
- Non devi andartene a causa mia - mi ha detto toccandomi la spalla, inginocchiandosi per raggiungermi, poiché ero seduta accovacciata ed ero triste.
Pensavo non lo avrei rivisto più dopo la scorsa notte, l'ho sorpreso a pomiciare con un'altra dietro un albero. Tommy non è di mia proprietà; io mi darò solo all'uomo della mia vita e per lui non provo più questo sentimento. L'avevo già capito quando qualche giorno prima aveva cercato di baciarmi. Mi aveva preso improvvisamente la mano e si era avvicinato. Io mi ero allontanata non appena il suo fiato aveva cominciato a sfiorarmi le labbra. Non ero a mio agio. Mi ero scusata e l'avevo lasciato per strada, mentre le mie gambe avevano preso a correre. Ora, il suo non era stato un buon modo per vendicarsi.
- Non parto per te, mi manca casa - .
L'unico a mancarmi davvero è mio padre, non casa mia. Scambierei quella vita con questa, se potessi.
- Non è vero. Io ti conosco - .
È vero, mi conosce e sa quando mento, ma non ho voluto dargliela vinta.
- Mi manca mio padre... – sono tornata a ripetere – Adesso ti devo salutare - .
Mi sono alzata, ho raccolto le mie cose e gli ho voltato le spalle.
- Celine! - mi ha urlato.
Non volevo, eppure mi sono girata per guardarlo un'ultima volta.
- Mi mancherai - .
L'ho salutato con un cenno di mano e poi me ne sono andata.

Prendo la bici. I gemelli sono già a casa con mamma. Sono sola, un ultimo giro veloce, manca poco ormai. Vorrei tornare ancora sul luogo dell'addio a Tommy, ne sono certa, ma incontrarlo mi ucciderebbe dentro.
Papà è arrivato presto e abbiamo mangiato tutti insieme, non lo facevamo ormai da tanto.
- Tutto bene qui? - .
- Sì, papà - .
Sono stata l'unica a rispondergli, i gemelli e la mamma erano concentrati al film che davano in televisione.
- Cara... – si è rivolto a me prendendosi il suo minuto di pausa – Hai deciso cosa fare riguardo... - .
Sapevo a cosa si stava riferendo. Dopo le vacanze dovrò prendere una decisione: se frequentare l'accademia di moda o aiutarlo nella sua attività. Non sono ancora del tutto certa su cosa fare della mia vita, ma continuare gli studi mi sembra una buona idea.
- Domani andrò in accademia per iscrivermi - .
- L'ho già fatto io, piccola - .
La mamma era presente in quel momento e mi ha sorriso: - Io e tuo padre ti conosciamo molto bene. Quella a non conoscerti sei tu, cara - .
Bella risposta.
Ho abbassato lo sguardo e ho continuato a mangiare senza fiatare. Dopo aver messo in bocca gli ultimi chicchi di riso mi sono alzata dalla sedia per aiutare mamma a mettere in ordine casa.
Papà ha preso i bagagli e li ha caricati in auto. Alle cinque siamo partiti, ho messo le cuffie alle orecchie e ho chiuso gli occhi: avevo bisogno di distrarmi. Il pensiero di ritornare a casa mi fa stare male. Sento un brivido percorrermi dentro: è paura, ormai la riconosco. Non so cosa succederà, ma qualcosa mi dice che da qui a poco la mia vita cambierà
- Celine, sveglia - .
Sono le sette quando mamma mi sveglia. Aiuto mio padre a svuotare l'auto, mentre i piccoli entrano in casa. Li troviamo appisolati sul divano appena rientriamo.
- Porto i bagagli in camera - .
- Ti preparo qualcosa, cara? - mi risponde gentilmente mia madre.
- No, mamma. Faccio una doccia e poi vado a letto - .
- Celine! Ho scordato di dirtelo, domani incomincerai con l'accademia - .
- Cosa?! Papà, ma come... Domani? - .
- Sì, cara. Ti accompagnerò io - .
- Ma posso andare da sola! - .
- Non se ne parla. Non sei in grado di farlo - .
Mio padre è seduto sul divano, accanto ai gemelli. Ha un viso stanco, ma non a tal punto da dirmi che sì, posso andare da sola. Perché si comporta in questo modo? Io non lo capisco.
- Invece sì che son capace! - .
- Smettetela! – urla mamma – Celine, vai in camera tua. Domani decideremo - .
Corro in camera e chiudo a chiave la porta. Non ho voglia di fare un tubo, sono furiosa. È trascorso un anno dal mio esame di guida e l'idea che mio padre non si fida ancora di me mi fa infuriare. Sono una donna ormai, deve capirlo!
Mi stendo sul letto e appoggio la testa al cuscino. Ho bisogno di tranquillizzarmi e chiudo gli occhi. Sono le undici quando un incubo mi sveglia: trascorrerò la notte più brutta della mia vita se continuerò di questo passo; ho troppi pensieri per la testa. Perché la mia vita è così complicata?
C'è un quaderno sulla mia scrivania, lo prendo e scrivo.

4 settembre 2011
Caro diario,
ho sempre cercato di capire il perché della mia nascita. Persone comuni mi definiscono strana. - Sei nata per amore dei tuoi genitori - mi dicono. Io però non credo a questa storia. Penso che ognuno di noi sia nato per svolgere una missione, che sia buona o addirittura cattiva... Non ho ancora capito però quale sia invece la mia missione, anche se qualcosa mi dice che presto lo scoprirò. Ne sono certa. Ti chiederai il motivo di tutte queste chiacchiere, posso solo dirti che poco fa ho fatto un sogno. Incontravo un ragazzo a un bar. Era bello, alto, moro e assai muscoloso. Si notava la mia agitazione dal tremore delle mani. Con me c'era una ragazza, ma non ricordo il suo volto. Per essere del tutto sincera non ricordo nemmeno il volto di quell'uomo. Ricordo che sarei fuggita via a gambe levate, ma non da lui... da lei.
Ho tanta paura. Ho scoperto che domani incomincerà il mio primo giorno in accademia. Sta succedendo tutto così improvvisamente. Le mie insegnanti erano contrarie, per loro sarei dovuta diventare una dottoressa o una psicologa, ma amo troppo disegnare. È stata mia madre a farmi conoscere il cucito. Mi racconta sempre che da piccola avevo cercato di creare un vestito da sposa con dei fazzoletti. Unirò queste abilità ai miei disegni. Sarà uno spasso.
Nessuno crede in me, forse nemmeno io. Perché la vita è così complicata? Non si può decidere cosa fare da grande a soli diciannove anni. Dovrei divertirmi. Partirei, se solo potessi. Forse dovrei chiamare Tommy, magari è sua la colpa di questo mio incubo. Vorrei visitare l'Italia. Non capisco perché molti vanno all'estero, ci sono così tante cose belle qui. Vorrei andare a Venezia, la città dell'amore. Anche Firenze non sarebbe male. Chissà, magari un giorno!
Oggi ho anche litigato con mio padre per via dell'auto. Ho preso da un anno la patente ma ancora non riesce a lasciarmi andare. Ho quasi vent'anni e mi ha insegnato tutto quello che c'è da sapere, abbiamo guidato per mesi, ma ancora non si fida. Vorrei entrare nella sua testa per comprendere le sue paure. - Quando avrai dei bambini capirai - mi dice sempre. Chissà se è vero. Ho due fratelli piccoli, spero solo che con loro sarà diverso. La gente pensa che sia così.
Adesso però bisogna decidere cosa indossare domani. Puoi aiutarmi? Ho molto freddo in questo periodo, anche se è settembre. Spero tanto di vedere la neve quest'anno.
Ora ti lascio, devo riposare per il grande giorno. Mi ha fatto davvero piacere parlare con te. A presto!

5 settembre 2011
Caro diario,
per tutta la notte non ho fatto altro che rivedere quell'uomo, potrei riconoscerlo ovunque ne sono certa. Il suo viso... il suo viso non sono riuscita però a scorgerlo. In passato ho già vissuto queste sensazioni, ma nel giro di qualche ora andavano via. Questa volta invece no, ho davvero visto un uomo. Ero al bar, al mare, e un attimo dopo a casa. Le sue mani, ricordo le sue mani... erano sul mio corpo. Che strana sensazione.
Inizialmente non sembrava un incubo, poi ero in compagnia di un dottore. Credo di essere stata in ospedale alcune ore. Adesso ho una brutta sensazione. Il cielo era così grigio. Il braccio destro mi faceva un gran male, mi fa ancora male. Sarà frutto della mia immaginazione? Sento ancora adesso qualcuno urlare, forse piangere.
Mi capitano strane cose quando sono agitata. Dovrò prepararmi una camomilla prima d'uscire. Preferisco sognare orsi, fate... non ospedali. Ho tanta paura. Sarà meglio pensare ad altro.
Il grande giorno è arrivato. Non conosco nessuno, avrei voluto che le mie amiche del liceo mi avessero seguito, ma hanno deciso di prendere strade diverse. Mi capita spesso di pensarle, sai? Non sono brava a interloquire con la gente, chissà cosa mi succederà.
Sarà meglio che io vada adesso. C'è la scuola, ricordi?

Sono quasi le otto quando poso il diario sotto al cuscino. Anche se i minuti continuano a passare l'unica cosa che vorrei fare è prenderlo e continuare a scrivere. Scrivere ogni dubbio, pensiero e paura. Paura di cosa, poi? A volte la vita mi spaventa. Avrei così tante domande da fare, ci sarà mica una risposta per tutto?
La testa è ormai tra le nuvole mentre una voce stridula mi riporta con i piedi per terra.
- Celine, la colazione è pronta! - .
- Arrivo, mamma - .
Per il grande evento ho deciso d'indossare il mio portafortuna: un caldissimo maglioncino bianco di cashmere, jeans e stivali alti color cammello. Per finire, prendo il cappellino bianco alla francese e il cappottino dall'armadio; per i comuni mortali è ancora estate, ma per me la stagione è terminata nel momento in cui ho rimesso piede in città. Corro subito in cucina e anche se ci sono così tante cose da mangiare devo andare, devo fare in fretta!
- Mamma, dov'è papà? Non ho tempo... scappo! - .
- Ha lasciato le chiavi, sono lì per te - mi risponde sorridendo.
Non ci posso credere. Corro verso di lei per abbracciarla.
- Adesso vai... Prima che cambi idea - .
- Grazie, mamma! - .
- Chiama quando arrivi - .
La saluto. Esco di fretta di casa ed entro in auto. Sono emozionata, avevo ormai perso le speranze. Metto in moto e inserisco la retromarcia, guardo lo specchietto retrovisore: non c'è nessuno. Via libera.
Con calma esco dal vialetto, ma improvvisamente sento urtare qualcosa.
- Porca miseria, ma non ci vedi?! - qualcuno impreca alle mie spalle.
Un uomo, di bell'aspetto, esce dalla sua auto con grande brutalità.
- Avevo la precedenza - .
Cavolo... è il mio primo giorno, sono così confusa. Non so neppure come comportarmi.
- Mi dispiace - gli dico gentilmente.
- Ti dispiace?! La mia auto è distrutta - .
Sembra un pazzo uscito dal manicomio. Ha il volto coperto dagli occhiali da sole e labbra sorprendentemente affascinanti. Chissà dove stava andando così di fretta. Il motivo di tutta questa rabbia però ancora devo capirlo. Avrebbe potuto frenare...
- Ma come osate parlarmi in questo modo? - replico.
- Piccola calmati, non sono mica tuo nonno - .
Con molta delicatezza si toglie gli occhiali da sole, si avvicina e in poco tempo arriva al finestrino della mia auto. Mi osserva.
- Oh no! È lui... - sospiro.
- Hai detto qualcosa? - mi chiede gentilmente.
Come ho fatto a non riconoscerlo. È incantevole. Come questa notte. Chissà se anche lui mi ha sognato. Ha occhi color nocciola e un naso un po' particolare ma perfetto per il suo viso. Rimango senza fiato, resto incantata come fosse un'opera d'arte. La mia opera d'arte. Non riesco a reggere il confronto, mi volto e cerco di ritornare sui miei passi.
- È stata colpa tua. Io stavo semplicemente uscendo dal vialetto - proseguo alzando il tono della voce.
Esco anch'io dall'auto e il tizio si allontana facendo due passi indietro. Avrà per caso visto una puzzola?
- Che ragazzina indisponente - mi dice, questa volta sorridendo.
Non sembra, ma è davvero un tipo strano. Il suo umore cambia improvvisamente, sono confusa.
- Che ne dici se risolviamo tutto con una cena? - propone.
Si avvicina. Il suo braccio è già accanto alla portiera dell'auto, quando mi allontano. Non noto graffi sulla sua macchina, perché è ancora qui?
- No – gli dico, anche se nel profondo avrei tanto voluto dirgli sì – Sono in ritardo, devo andare - .
- Tua madre ti ha insegnato a non accettare caramelle dagli sconosciuti? - .
- Mia madre mi ha insegnato a stare alla larga da tipi come te - .
Perché si comporta così? Entro in auto e se non fossi stata attenta gli avrei chiuso le dita nella portiera. Se lo sarebbe meritato.
- Questo è il mio biglietto da visita... Se cambi idea - .
Prende dalla giacca un piccolo biglietto con su scritto: AVVOCATO ALBERT JOHN e me lo porge. L'afferro. Mi guarda negli occhi per un solo istante, poi se ne va. Resto lì ferma per qualche minuto per aspettare che se ne vada prima di ripartire. Sembra la perfetta scena di un film d'amore, l'inizio di un qualcosa di speciale. Chissà se... Guardo dagli specchietti dell'auto e lo vedo andarsene. Per un attimo penso di correre da lui, ma per dirgli poi cosa? Ciao, mi chiamo Celine e penso che tu sia l'uomo della mia vita perché questa notte ho fatto sogni strani su di te. Sempre se è davvero lui. Non potrei mai sopravvivere a quei bellissimi occhi.

Metto in moto e accendo la radio. Devo levarmi il tizio dalla testa e cercare di non pensare all'accaduto, anche se adesso... bisognerà raccontare ogni cosa a mio padre.
Sono sufficienti esattamente quindici minuti per arrivare a destinazione, l'accademia non è poi così lontana come dicevano. Il parcheggio non è facile, papà aveva ragione. Prendo il telefono, che squilla prima ancora che digiti il numero.
- Papà, tutto bene - rispondo.
- Celine, mi dispiace per ieri - .
- Scusami tu - .
- No, questa volta scusami tu. Un padre non vorrebbe mai vedere i propri figli abbandonare il tetto di casa - .
Un momento di silenzio.
- Devo dirti una cosa, papà - .
- Ho visto tutto dalla finestra di casa - dice serio, ma scoppia subito in un'enorme risata.
- Non eri a lavoro? - .
Nessuna risposta.
- Papà devo andare, ritorno presto - e riaggancio.
Esco dall'auto e mi dirigo verso l'entrata dell'accademia. Mi crediate o no, ho le gambe che tremano come foglie: nuovi amici, professori, sorrisi e forse nuove lacrime. Non so cosa succederà da qui a poco, ma sono pronta a tutto pur di capire a quale mondo appartengo.
Sono spaventata, tanto. Controllo se ho con me l'occorrente. Vorrei fuggire e avere una buona scusa per tornare a casa. Gli occhi sono piantati a terra, mi sento osservata.
- Attenzione! - qualcuno mi dice.
Improvvisamente urto contro una bellissima ragazza. È molto alta, ha una splendida minigonna di jeans bianca e un top blu glitterato. I capelli rossi e ricci, un riccio così naturale da invidiarlo, e calza un tacco altissimo. Come ho fatto a non vederla?
La tipa si gira di scatto. Temo una sua reazione.
- Come stai? Non volevo urtarti - mi chiede gentilmente.
- Sto bene, grazie - rispondo d'un fiato.
Mi inginocchio e cerco di raccogliere un po' di coraggio, che giace a terra sparpagliato insieme a tutte le mie cose.
Accenno un: - Che vergogna, non volevo... - .
Noto del pubblico alle mie spalle.
- Non devi, va tutto bene - mi rassicura lei.
La ragazza dalla chioma rossa s'accovaccia al mio fianco per aiutarmi, ho i pastelli sparsi dappertutto. La sua pelle è chiara e i suoi occhi color azzurro riescono a ipnotizzarmi per qualche secondo. Sembra una di quelle modelle uscite da una rivista di moda, forse lo è per davvero.
- Grazie mille... Io sono Celine Dobson - le dico.
Mi offre la sua mano. La stringo forte e insieme ci alziamo da terra.
- Piacere, Celine. Io sono Chiara - .
Sono imbarazzata. Ci sono altre ragazze accanto a lei, ma con un gesto le scaccia.
- È il tuo primo giorno? - mi chiede dopo qualche secondo.
- In effetti sì - .
Avrei preferito un secondo scontro con l'uomo dell'auto piuttosto che cadere per terra in pubblico al mio primo giorno di scuola.
- Anche il mio - risponde mettendosi a ridere, vuole mettermi a mio agio. - Che ne dici di entrare insieme? - .
- Certo, perché no? - sospiro.
La folla scompare e mentre attraversiamo il vialetto Chiara inizia improvvisamente a parlarmi di sé. Mi racconta della sua vita, dei genitori e del fatto che non ha mai avuto qualcuno di cui potesse fidarsi realmente. Non capisco il motivo di tutto ciò; ci conosciamo da soli pochi secondi, ma nei suoi occhi leggo una sottile linea di tristezza. Vorrei abbracciarla, ma una piccola parte del mio corpo riesce a impedirmelo.
Mi ringrazia di averla ascoltata.
- Non preoccuparti, figurati – le dico semplicemente – Basta angosciarci, abbiamo tre anni da superare! - concludo.
Mi sorride, io ricambio ed entrambe entriamo per la prima volta nell'edificio che ci farà da tetto per ben tre lunghi anni.

A ogni passo la paura aumenta. Mi sento un'estranea in mezzo a tutta questa gente. Scapperei se potessi ma non sono più padrona del mio corpo, le mie gambe sono come comandate da Chiara.
- Tutto bene, Celine? Mi sembri agitata - mi chiede.
- Tutto bene, Chiara... Sono solo un po' nervosa - .
- Tranquilla, non c'è motivo di preoccuparsi - .
In un secondo siamo già al termine del corridoio. Per caso i miei abiti si sono incastrati in un'auto da corsa?
- Ragazze perché correte?! - qualcuno ci urla alle spalle.
- Corriamo in aula, signora - risponde Chiara.
Capisco il perché di quella fretta non appena arriviamo a destinazione.
- Buongiorno, Professore - dice Chiara.
- Buongiorno a voi ragazze - .
Indossa una camicia azzurra e jeans attillati, tipica uniforme da prof. È di spalle e sta scrivendo chissà cosa alla lavagna. Ho una strana sensazione, penso di conoscerlo.
- Professore, spero di non essere in ritardo - aggiunge Chiara.
Che modi vezzosi. Sta per caso flirtando?!
- Tranquille, non ci sono problemi. Prendete pure posto - ci risponde senza voltarsi.
Chiara si siede in ultima fila, io faccio lo stesso. Scruto il professore da lontano, anche se per poco. Sono molto curiosa di scoprire cosa nasconde quel perfetto lato B.
Passano pochi secondi prima che l'aula si riempia. Il libro che il professore tiene tra le mani d'un tratto gli cade. Poverino, deve affrontare da solo una classe di venti alunni, come biasimarlo. Un ragazzo seduto in prima fila cerca di aiutarlo. Il suo volto però è ancora un mistero. Ci sono così tante teste davanti a me, che a malapena scorgo la lavagna. Certo da qui potrò evitare un po' di domande sgradevoli.
- Affascinante, vero? - sussurra Chiara sorridendo.
Le rispondo di sì, ma senza ancora capire il perché.
Cerco di alzarmi.
- Celine, cosa fai? - mi dice Chiara.
- Non vedo nulla! - .
Il professore è ancora alla lavagna e scrive il suo nome.
- Ragazzi, buongiorno. Mi chiamo Albert John e sono il vostro professore di diritto - .
Cosa?!
- Buongiorno, Professore - risponde la classe in coro. La mia bocca è invece occupata a prendere aria. Sono sconvolta. L'uomo di questa mattina è il mio prof?! Il mio prof è l'uomo dei miei sogni/incubi?! Albert. Nella tasca ho il suo biglietto da visita, assurdo.
- Celine? Tutto bene? - mi chiede Chiara.
Certo, come no? Prendo il quaderno e fingo di scrivere. Intanto il professore prende il registro e incomincia l'appello: - Rafael; Margaret; Ernest; John; Nathan... - .
Rispondono uno alla volta.
Non conosce il mio nome. Il piano è di nascondermi per i prossimi anni. Ma con le interrogazioni? Mi dovrò inventare qualcosa.
- ... Natalia, Maria? - .
Sono tutti presenti. L'ansia in me pian piano aumenta, arriverà il mio turno tra qualche secondo.
- ... Celine? - .
Mi pietrifico. La mia bocca non riesce a emettere alcun suono.
- Signorina Celine? La signorina Celine? - ripete alzando di poco il suono della voce.
- È presente, Professore! - qualcuno urla.
È Chiara, che risponde al mio posto. Lo scorgo alzarsi dalla sedia. Sembra curioso. Cerco di nascondermi tra i banchi, anche se qualcuno si volta per capire cos'ho che non va.
- Va bene - risponde il Prof e si risiede.
I suoi occhi però restano puntati verso la mia direzione. Chissà se da laggiù mi riconoscerà. Dovrei ringraziare Chiara per aver scelto questa posizione.
Alla fine dell'appello ci viene elencato il programma scolastico. Non l'ascolto, sono troppo indaffarata a escogitare un piano di fuga.
Il tempo scorre velocemente e finalmente la campanella suona. Il professore si alza e saluta prima di andarsene. Dopo di lui c'è educazione fisica e poi matematica. Cerco di seguire le lezioni, ma la mia testa è ancora concentrata sul suo misterioso volto. A distrarmi è un certo Alfred, un tizio molto strano che improvvisamente alle 11.30 entra in aula presentandosi con un pantalone rosso e una camicia floreale. A ornare il tutto, un cappello di piume colorate. Studia fashion designer: come biasimarlo? Vorrei fuggire ma aspetto che anche l'ultima ora sia terminata.
La campanella suona nuovamente.
- Il primo giorno è finito! - urla Chiara.
- Ma sono ancora le dodici - le rispondo.
Poi sarò finalmente salva.
- Non hai ricevuto l'e-mail? - .
- L' e-mail? - .
- Quella in cui ci avvisano dell'uscita anticipata di oggi - .
Non rispondo.
- Oh, Celine! Dove hai la testa? - e scoppia in una grossa risata.
Chiara esce dall'aula ma non la seguo, in classe c'è ancora qualcuno.
- Celine, ma cos'hai? - rientra improvvisamente facendo capolino dalla soglia.
- Ma non ho niente, dai... – un attimo di pausa – Non ti sfugge niente, vedo - e le sorrido.
- Esatto... dimmi - mi chiede gentilmente.
Vorrei risolvere questa faccenda da sola ma non posso fidarmi di nessuno, neppure di lei. L'ho conosciuta solo qualche ora fa... Ma sto per esplodere, non ce la farò a superare l'anno con questo peso sulle spalle.
- Penso di conoscere già il professore - le dico tutto d'un fiato.
- Cosa?! Quel figo? - mi risponde sorpresa.
Perché è così allegra?
- Ti piace il prof, Chiara? - le chiedo scoppiando a ridere.
- A te no? - e mi fa un grande sorriso.
Che dire... bello, alto, moro e un taglio di occhi vagamente orientale: l'uomo perfetto. È però un professore, il mio professore e per di più un avvocato. Non funzionerebbe.
Rimango in silenzio. L'attenzione di Chiara si sposta improvvisamente altrove; per essere il primo giorno di scuola conosce già un bel po' di gente.
Decido di salutarla, nella confusione. Esco dall'aula e corro verso la macchina, voglio tornare a casa e restarci chiusa per sempre. Non faccio altro che ripensare a lui, nemmeno contare i cartelli stradali riesce a distrarmi. Scoppio in una risata isterica. Calmati Celine, andrà tutto bene.
Arrivo a casa alle 12.30. Come al solito, ho dimenticato le chiavi.
- Mamma, papà... C'è qualcuno? - .
Busso alla porta. Nessuno risponde. Ritento, invano. Rientro allora in auto e mi metto comoda: chissà a che ora rientreranno. Di certo se l'avessi saputo mi sarei organizzata la giornata diversamente.
Mi guardo intorno. Prendo la borsa, approfitterò di queste ore per ordinare l'agenda.
Improvvisamente sono però interrotta da un forte clacson. Chi potrebbe mai suonare in questo modo? Esco dall'auto, il sole è così alto da abbagliarmi la vista.
- Ho perso una cosa, scusami - .
Albert. È davvero lui?
- Cosa ci fai tu qui? - gli dico.
Sono terrorizzata, confusa. Incavolata con questa nuvola improvvisamente apparsa nel mio cielo stellato.
- Ah, ma me ne vado subito. L'ho appena trovata - .
Raccoglie un sasso da terra e si allontana come se nulla fosse.
Vedo la sua auto svoltare l'angolo. Sento il cuore in gola, ogni cosa che mi circonda sparisce lentamente: i fiori, gli alberi, la mia casa perfino. Cosa sta succedendo? Cosa c'è che non va in me? Un uragano di emozioni mi scompiglia la testa. Mamma, papà... qualcuno mi salvi.
- Celine! Celine, sveglia! - sento urlare.
I miei occhi si aprono: riconosco il viso di una donna dagli occhi scuri e capelli chiari dall'altra parte del finestrino. A illuminarla c'è il sole. Che splendida visione... è stato solo un brutto sogno.
- Mamma - rispondo assonnata.
- Che ci fai tu qui? - .
- Ho finito prima le lezioni... Le chiavi! - .
Mi guarda perplessa. Chissà cosa le passa per la testa.
Infine mi dice di seguirla. Esco dall'auto e insieme rientriamo in casa. Tremo, sento intrappolato nel mio corpo il gelo dell'uomo delle nevi.
- Hai freddo? - mi chiede cortesemente.
- Tanto - .
- Ti preparo qualcosa - .
Di corsa vado in camera mia, mentre mamma si dirige verso la cucina. Mi spoglio e mi preparo per un bagno caldo. Prendo il pigiama dall'armadio e lo getto sul letto. L'accappatoio è dietro la porta come sempre e gli asciugamani nel mobiletto, ne afferro uno per metterlo a terra. È tutto pronto.
Che bello, entro nella vasca e riesco a tranquillizzarmi. Accendo le candele e un profumo alla vaniglia incomincia a cullarmi dolcemente verso il mondo dei sogni, e con l'acqua calda poi... uno spettacolo. Gli occhi si chiudono e a poco a poco perdo il comando del mio corpo. Ho la visione di un tramonto... forse di quel posto che ho da poco lasciato. Lo sciabordio delle onde del mare incomincia a frusciarmi nelle orecchie. Un piccolo uomo seduto sugli scogli distrae la mia attenzione; sono curiosa ma allo stesso tempo spaventata: chi può mai essere? Cerco di avvicinarmi ma le onde sono così forti da spingermi dall'altra parte della riva.
- Chi sei?! - urlo, ma nessuno risponde.
Cerco di spingermi sempre più in avanti. Mi aggrappo a una grande tavola di legno, remo con le braccia e con gran forza spingo, spingo sempre più fino ad arrivare a destinazione. Ho il cuore a mille ma devo scoprire chi si nasconde dietro quel volto. Sono a un centimetro, quando lo scorgo: - Albert! - grido.

Apro gli occhi ed esco di fretta dalla vasca da bagno. Mi asciugo velocemente e indosso il pigiama posizionato precedentemente sul letto.
Non capisco. Ho bisogno di spegnere il cervello per qualche ora.
Vado in cucina per mangiare qualcosa, sul tavolo c'è una frittata con dei pomodorini che gli fanno da cornice. La divoro.
- Quando arriva papà? - chiedo alla mamma mentre cerca di ordinare la dispensa.
- Sarà qui a momenti - .
Il pranzo è molto veloce. Torno in camera e ci resto tutto il giorno. È difficile non scendere per cena, ho una gran fame ma convinco il mio cervello a studiare. Cosa, poi? Non l'ho ancora capito. Sicuramente escogiterò un piano per l'indomani. Sì, un buon piano è ciò che mi serve.
  12 settembre 2011
Caro diario,
è trascorsa una settimana dal mio primo giorno di scuola. Credimi, ne sono successe delle belle. Ho conosciuto il mio professore di diritto. Avresti mai immaginato che sarebbe stato lui l'uomo che ho sognato? Sono basita. Il nostro non è stato un semplice incontro, ha cercato d'investirmi con l'auto! Non spaventarti, nulla di grave. Sono giorni che non abbiamo lezione con lui e al dire il vero un po' mi dispiace, vorrei chiedergli scusa per l'accaduto. Gli ho risposto in malo modo, avresti dovuto vedermi... Devo parlargli, ho bisogno di farlo. Devo chiedergli se conosce una spiegazione a tutto ciò: com'è possibile sognare qualcuno prima ancora di averlo conosciuto? Si chiama Albert, te l'ho detto? Quando sento pronunciare il suo nome mi viene in mente la figura di un nobile. Da allora non faccio altro che pensarci, sono sicura che sarà lui l'uomo della mia vita.
Ho incontrato Chiara, siamo diventate molto amiche e credo di potermi fidare, la ragazza è entrata nelle mie grazie ormai. Penso che anche lei abbia una cotta per Albert. Come biasimarla.
Albert è il suo nome. Ogni volta che apro gli occhi vedo il suo volto. Ci sposeremo e avremo tanti bambini. Il problema e che tutte in accademia ne sono cotte. Come farò? Sono spaventata. L'altro giorno mi sono addormentata per un secondo in auto. Lo scacciavo e... non ricordo il perché. Sembrava così reale la scena. Sarà stata sicuramente la troppa agitazione. Ricordi? Mi succedono cose strane quando sono preoccupata.
Adesso però devo andare. A presto!

Poso il diario sul comodino e inizio a prepararmi, ho appuntamento con Chiara questa mattina. Dobbiamo ripetere storia del costume; non amo molto la materia ma dovrò superare il test a ogni costo, al prof di certo non importerà del mio gusto personale. Prendo la borsa ed esco di casa.
Decido d'indossare dei pantaloncini di pelle, calze scure e una camicetta color carne. A ornare il tutto il mio cappellino nero e i miei camperos. Scendo: non c'è nessuno in casa stamattina.
Chiara è in auto che mi aspetta. La saluto mentre le corro incontro.
- Celine, attenta che cadi! - mi avverte ridendo.
Salgo in auto e le ricambio il sorriso.
- La mia bambolina! - mi fa infine.
La bambolina non sono di certo io questa mattina, ma lei. Anzi, che bambolona! Un corpetto nero e una scollatura profonda le stingono il busto. Un paio di jeans neri e delle zeppe altissime.
- Chiara, sei uno schianto! - .
- Lo so - .
Accende l'auto e ci avviamo verso l'accademia. Mi avvicino allo specchietto: voglio assicurarmi di essere anch'io in ordine.
- Sei perfetta, Celine - .
Le sorrido. Fortuna che sono allegra; mi dovrò solo chiarire con Albert e tutto tornerà al suo posto. Almeno lo spero.
- Perché quel sorriso beffardo? - mi chiede.
A Chiara non si può nascondere nulla.
- È che sono felice - .
Il suo viso si rabbuia così in fretta che vorrei rimangiarmi ogni parola.
- Cosa c'è? - le chiedo dolcemente.
- La tua vita è perfetta... Diversamente dalla mia - .
Tra le righe leggo tanta tristezza, ma anche molta rabbia.
- Perché dici questo? - .
Per la prima volta rimango senza parole.
- Hai una famiglia perfetta, e tu sei assai bella. Sei proprio una bella persona... - .
- Ma anche tu lo sei, di cosa ti preoccupi? - le rispondo accarezzandole il viso.
- Non è vero, Celine - .
Il primo giorno di scuola mi aveva raccontato della sua situazione famigliare; non la conosco ancora bene e ho sottovalutato la cosa. Non avrei dovuto farlo. Celine, sei così sciocca a volte.
- Dai, godiamoci questa giornata - .
Mi sorride ma so che finge. Cerco di distrarla, accendo la radio ma non serve a nulla.
- Non sentirti in colpa per ciò che hai - infine mi dice.
- Chiara... scusami. Sono davvero mortificata - .
- Va tutto bene - .
Fortuna che arriviamo a destinazione. Il bar non è molto lontano da casa mia, proprio come l'accademia. È tutto concentrato in una piccola piazzetta, ci sono tanti ragazzi che passeggiano. Dovrebbero costruire più panchine, sono sempre tutte occupate.
Chiara parcheggia l'auto, con grande abilità.
- Brava prof! - le dico scherzosamente sperando in una sua smorfia simpatica.
Mi risponde semplicemente: - Domani lezione di guida? - .
Mi abbraccia quando usciamo dall'auto, anche se il clima è ancora un po' pesante. Stringo forte la sua mano, vorrei tranquillizzarla con questo semplice gesto ma mi fa soltanto un breve cenno di sorriso. Povera Chiara, chissà che uragano ha dentro, mentre tutti gli altri ad accompagnarli c'è il sole.
Incomincia a piovere.
- Che disastro! - mi dice mentre cerchiamo di raggiungere l'entrata.
- Buongiorno signorine - ci accoglie il ragazzo del bar.
Ci fanno accomodare a un tavolino vicino a una piccola finestra. Da qui sicuramente posso notare chi entra e chi esce dall'edificio. Chissà se è già arrivato.
- Celine, sei pronta? - mi chiede Chiara senza avere nemmeno il tempo di guardarmi intorno.
- Certamente! - .
Prende il libro di storia dalla borsa: è distrutto, chissà come l'ha trattato. In un secondo apre le pagine che più ci interessano. Il cameriere si avvicina e ordino due graffe al cioccolato bianco e del succo di frutta.
- Dai, incominciamo con... il costume ottocentesco - .
Mi coglie di sorpresa, non è una domanda troppo generale? Ma conosco benissimo la riposta. Incomincio con raccontarle come si faceva a distinguere un abito in funzione all'uso e ai momenti della giornata.
- Gli abiti da mattina sono semplici ma non del tutto privi di pizzi, accollati, e il tessuto non è molto prezioso proprio per permettere uno svolgimento delle piccole attività. Quello di pomeriggio... - .
- Quello di pomeriggio? - ribadisce Chiara, ma i miei occhi sono troppo indaffarati a vedere altrove. - Celine, cosa ti prende? - .
Eccolo. L'uomo che tanto temo ma che allo stesso tempo adoro è appena entrato. Proprio in nel bar dove sono seduta.
- Ehi, ti sei incantata? - .
- No, no... Continuiamo - .
Ma la verità è che mi sono davvero imbambolata.
Arriva il cameriere con le nostre ordinazioni, e Chiara: - Professor Albert! Che piacere! - urla, si alza perfino.
Vorrei incatenarla alla sedia se potessi. Fortuna che nessuno si è voltato, c'è molta confusione. Con nonchalance Chiara mi saluta e improvvisamente si incammina dove non vorrei mai. In un batter d'occhio arriva al suo tavolo: il Prof è in compagnia di tre uomini affascinanti, tutti vestiti con giacca e cravatta; ma lui, senza dubbio, è il più carino. Io osservo la scena da lontano.
- Chiara, che fai, torna qui! - la imploro.
- Mi dici il perché? - .
- Dai, ti ho detto di venire qui per favore! - .
La giornata non può che iniziare male, avremo la nostra prima lite se non smetterà di fare la ficcanaso. Cerco di farle qualche segno, ma senza alcun risultato: ormai è troppo tardi, Chiara è seduta al suo tavolo come nulla fosse. Chissà di cosa stanno parlando. Cerco di guardare la scena da lontano, nascosta tra i menu posizionati sul tavolo come barriera. Il Prof è molto teso, al contrario di Chiara che sembra divertirsi. Improvvisamente un dito di Chiara punta nella mia direzione e il cameriere getta a terra la piccola cortina di carta che ho creato. Che sfortuna.
Fingo di guardare fuori della finestra, ma il cuore mi batte come non ha mai fatto.
Con la coda nell'occhio lo vedo arrivare. Il suo corpo si muove verso la mia direzione.
- Ciao! - mi saluta l'uomo in giacca e cravatta.
- Buongiorno, Professore - .
Cerco di non guardarlo, al contrario di lui che non fa altro che osservarmi.
- Scusa, come hai detto che ti chiami? - mi chiede gentilmente.
È molto diverso ora, ha un modo di fare totalmente sconosciuto da quello visto in aula.
- Mi chiamo Celine, professor Albert - .
Sono imbarazzata. Le guance prendono colore.
- E dove hai detto che studi? - .
Le sue sono colpi di mitraglia, non domande. L'una dietro l'altra. Che confusione. Non so più cosa fare, non sono pronta a tutto ciò. Grazie Chiara, ricorderò questo giorno per sempre.
- Sono iscritta all'accademia dove lei insegna - .
Perché poi tutte queste domande?
- Ah, giusto! Scusami, ma con tanti alunni... - si giustifica.
Che carino, però. Indossa una camicia bianca e un completo a quadroni grigio con qualche linea sottile di rosso. Adorabile.
- Cosa le ha detto la mia amica? - gli chiedo gentilmente, ho finalmente il coraggio di affrontare la situazione.
- Beh, nulla di preciso. C'è qualcosa che dovrei sapere? - .
- No no, nulla di particolare - .
Mi sorride. Sembra anche lui confuso, proprio come me. L'imbarazzo incomincia nuovamente a salire nel momento in cui i suoi occhi incontrano i miei.
- Hai forse messo un po' troppo trucco stamattina - , ride.
Mi tocco d'istinto le guance, ricordo di non essermi truccata affatto.
- Non è il trucco - replico imbarazzata. Nuovamente.
Il rossore è di ben altra natura. Continua a non distogliere lo sguardo, è come se volesse leggermi dentro.
- Celine, una di queste sere ti va andare a bere qualcosa? - mi chiede.
È gentile, un vero gentiluomo.
- Professore, non mi sembra il caso - .
Uscire con il mio professore sarebbe un po' complicato. Potrebbe perdere il lavoro, o chissà... Sarei sulla bocca di tutti, saremmo su tutte le tv e i miei mi metterebbero sicuramente in punizione a vita. Chissà quanti anni abbiamo di differenza. No, non può funzionare. Dovrei levarmelo dalla testa e farla finita con i sogni.
- La tua amica mi ha detto che hai bisogno di ripetizioni - .
Lo guardo: bella idea! Chissà se avrò il coraggio di accettare l'offerta.
- Oh... sì! Le ripetizioni - .
Il terrore appare nei miei occhi.
- Tutto bene, Celine? - mi chiede, ma non ho il tempo di rispondergli.
- Professore, come sta? - è Chiara.
Non mi sono accorta del suo arrivo, forse nemmeno lui. Non riesce a mollare lo sguardo, sembriamo calamite con poli opposti: pronti a unirci.
- Certo Chiara, tutto bene - replica.
Si alza con molta cautela dalla sedia e fa posto alla ragazza, che a breve massacrerò di baci ma allo stesso tempo di botte. Che coraggio, però.
- Buona colazione, ragazze - e sistemando l'abito se ne va.
Esce dal bar con i suoi amici, che gli stanno attaccati dietro come cozze. È sicuramente un uomo importante, non è da tutti avere una cattedra in accademia e uno studio privato d'avvocato.
Ormai ho lo stomaco chiuso, contiene così tante farfalle che non ci entra più nulla.
- Ma che gli hai detto? - le chiedo.
- Proprio nulla. Gli ho lasciato il tuo numero e ho un appuntamento con un suo amico - .
- Cosa?! - mi sorprende.
- A te piace il professore, e io ho un numero di telefono – risponde ridendo – Ma se va male con te, ci provo io! - continua.
In che guaio mi sto cacciando. Mi sento così viva, ma allo stesso tempo ho una gran paura. Una bella sensazione è entrata nelle mie vene: accadrà qualcosa di bello. È giusto, forse Chiara un che di buono l'ha fatto, e pure bene. In qualche modo ci aiuterà a unirci.
- Celine, a cosa pensi? - mi chiede Chiara interrompendo ogni mia piccola fantasia.
- Nulla, riprendiamo - .
Chiara adesso ride. Ormai mi conosce più delle sue stesse tasche.
Abbiamo lezione nel pomeriggio, l'intera mattinata è dedicata allo studio. Chiara non apre bocca su Albert e non lo faccio nemmeno io, anche se al dire il vero un po' ci rimango male. Vorrei tanto sapere cosa nasconde quella piccola testa rossa.
Sono passate ormai ore e il mio stomaco inizia a protestare.
- Chiara, ho un certo languorino - frigno.
- Sono le tredici, vediamo se ci portano qualcosa da mangiare - .
- Va bene, ci sto! -
Ci sediamo alla mensa e lei chiama il cameriere. Sul menù del giorno ci sono delle splendide penne al sugo che solo a pronunciarle viene l'acquolina. Le ordiniamo, arrivano dopo un po' e nel frattempo guardo confusa Chiara: perché non mi chiede di Albert?
- Cosa c'è, Celine? - d'un tratto mi domanda.
Il cameriere ci interrompe: - Buon appetito ragazze - .
Ringrazio gentilmente, il tizio ci sorride e se ne va.
Che profumino! Chiara ha già incominciato a mangiare e... si comporta come nulla sia accaduto.
- Buone Celine, vero? - .
- Ottime direi - .
Le penne di Chiara spariscono in un secondo dal piatto, meno male che quella ad avere fame ero io. Abbasso lo sguardo e prendo a giocare con il cibo.
- Sei preoccupata per tutti gli argomenti da studiare? - mi chiede.
- Ma no, figurati. Vuoi dirmi tu qualcosa invece? - .
Mi guarda perplessa, forse non si aspettava la mia domanda.
- Cosa dovrei dirti, scusami - .
- Per esempio perché ti sei stranita quando il professore mi ha parl... - .
Mi interrompe bruscamente: - ... Ma dai Celine, come sei pesante - .
Poi si alza e si avvicina alla cassa; io invece sono ancora lì che attendo una risposta. Non sono affatto pesante, c'è davvero qualcosa nel suo sguardo che non mi convince.
- Celine? Hai finito?! - urla Chiara già dall'altra parte del locale.
- Sì, certo - replico distratta.
Abbandono la sedia lasciando il piatto ancora mezzo pieno sul tavolo e la raggiungo.
- Attenta, che ti farai del male - mi dice ancora, scoppiando in una grossa risata.
- Chiara smettila, ci guardano tutti - .
Che fastidio, è imbarazzante ma ormai è già troppo tardi.
- Hai una bella cotta, conviene che gli stai alla larga - .
Usciamo dal bar e restiamo a parlare godendo dell'aria appena rinfrescata: la pioggia ha da poco smesso di cadere.
- Confessa - mi chiede ancora.
- Cosa? - le rispondo irritata.
- Ciò che stai trattenendo - .
- È così evidente? - .
Esplodo improvvisamente, la ragazza mi ha dato il via libera: - Perché non hai aperto bocca dopo che lui è venuto da me? - .
Sono un fascio di nervi, mentre lei si aggiusta i capelli guardandosi allo specchietto di un'auto.
- Perché so già come andranno le cose - .
- Non capisco - , la guardo perplessa.
- Lo capirai, tesoro... Adesso invece devi dirmi una cosa: perché proprio lui? - .
Questi sbalzi d'umore di Chiara mi stanno mandando in tilt il cervello. Vorrei ricevere una botta alla testa solo per cambiare argomento, ma di certo la ragazza non si fermerà tanto facilmente, è più che evidente.
Rimango in silenzio per qualche istante, poi sputo il rospo.
- L'ho sognato - .
- Uhm, oggi è la giornata della verità... - .
Ecco, ho confessato, ficcanaso che non sei altro.
- Tutto qui? - aggiunge.
- Sì, tutto qui - .
- Nient'altro? Qualcosa che mi stai nascondendo? - .
Non si arrende.
- Nulla ti ho detto, tutto qui - .
- Quindi vuoi dirmi che ti sei innamorata perdutamente del tuo professore non appena hai sognato le sue chiappe? - ride.
- Sì, certo - .
Sto al suo gioco, non so più cosa inventarmi. Almeno non sono io quella che ha cambiato argomento.
Sta ancora ridendo e mi fissa. Beata lei che si rallegra, la ragazza però è troppo intelligente per bersi una cosa simile.
- Sei preoccupata per il test? - .
Le rispondo di no ma la verità è che lo sono, pure tanto. Non conosciamo ancora il professore e la notizia di quel test è trasmessa tramite mail. Che strano istituto.
- Tu invece? Ci stai pensando? - .
- Naaaa per niente! - .
Appoggia una mano al mio viso e mi dice: - Tranquilla Celine, andrà tutto bene - .
Lascia la presa e non mi chiede altro, come se nulla fosse.
Entriamo in accademia presto e subito corro in bagno. La ragazza dalla chioma rossa mi segue per rifarsi il trucco. Secondo il suo modo di vedere un buon rossetto di certo sistema sempre le cose: anche un test di storia. Povera me, sono disperata. Non sarà mai tanto facile.
- Sbrigati, dobbiamo entrare - mi dice sistemando in fretta il suo beauty-case.
La campanella suona alle 15.30, precisa come sempre.
- Ci sono. Andiamo - .
Entriamo in aula e raggiungiamo insieme i nostri posti: in ultima fila, come sempre. Mi siedo, anche se l'aula è ancora praticamente vuota. Dove sono gli altri? Vorrei utilizzare i pochi minuti che restano per ripetere, ma Chiara non fa altro che interrompermi e chiedermi consigli su prodotti di bellezza di cui non so nemmeno l'esistenza.
Che disastro, tra qualche secondo entrerà il professor Morgan.
- In bocca a lupo, Celine - mi dice infine.
Le sorrido, ma senza aggiungere altro. Sembra lo faccia apposta. Intanto giro le pagine della monografia, anche se è ormai troppo tardi: il professore è arrivato.
- Buongiorno ragazzi, finalmente è giunto il giorno tanto atteso! - .
- Buongiorno, Professore - risponde la classe, ora al completo.
Ha l'aspetto di Babbo Natale, basso e con un bel pancione, due grossi baffi, guance rosse e appariscenti occhiali rotondi che gli incorniciano il viso.
Si accomoda alla cattedra, posa la valigetta a terra e inizia l'appello.
- ... Signorina Celine? - .
È già arrivato il mio turno?
- Presente - .
- Ricevuta la mail? - .
Vedo un sorrisetto sotto quei baffoni. Perché proprio a me questa domanda?
- Certo - rispondo imbarazzata.
Vorrei sprofondare ed essere salvata da Chiara con uno dei suoi piani infallibili. Me lo deve. Il mio primo test, che agitazione.
Il professore finisce l'appello e con un cenno della mano mi indica di avvicinarmi: - Signorina, venga qui accanto - dice semplicemente.
Le gambe mi tremano, guardo Chiara ma la sua attenzione è rivolta alle unghie delle sue mani. Mi avvicino alla cattedra e mi consegna dei fogli da distribuire alla classe. Lo faccio e torno a sedermi al mio posto.
- Signorina Celine? - ripete il tizio dalla barba bianca, questa volta con un tono di voce alto.
Di nuovo? Mi scaverei la fossa da sola se servisse a nascondermi.
- Ritorni qui per favore - .
- Mi dica - rispondo gentilmente.
- Tranquilla signorina – mi rassicura il professor Morgan – Vorrei che facesse il test qui, in mia compagnia - .
- Va bene, Professore - .
Resto in silenzio mentre mi scruta attentamente. È uno scherzo?
Sento una voce dall'esterno della classe: - Signor Morgan? - .
Un uomo bussa alla porta: forse sono salva per un pelo.
- Mi dica, Albert - risponde il professore di storia.
Chiara mi guarda con un ampio sorriso sul volto. Non ci sto più capendo nulla, cosa ci fa lui qui?
- Mi scusi se interrompo la sua lezione, ma avrei bisogni di un vostro alunno - chiede.
- Faccia come se fosse a casa sua - risponde Morgan con un ghigno imperscrutabile.
Albert inizia a dare un'occhiata di qua e in là. Sono alla cattedra: come fa a non vedermi?
- Celine? Signorina Celine? - .
La sua voce mi pietrifica. Non sono ancora corsa alla scialuppa di salvataggio.
- Signorina Celine... Mi segua - dice infine quando mi trova.
Il cuore mi batte forte. Passo dopo passo mi avvicino a lui, da lontano vedo Chiara che fa il tifo per me. Perché chiamarmi adesso? Vuole parlarmi di questa mattina al bar? Ha il mio numero, potrebbe inviarmi un messaggio.
Esco dall'aula, siamo assieme a breve distanza l'uno dall'altra.
- Signorina Celine, finalmente l'ho trovata - mi dice a gran voce.
- Mi chiami Celine e basta - .
Mi sorride, anche se la sua attenzione è rivolta a quel grande fascicolo che stringe tra le mani.
- Celine, voglio avvisarla che c'è un errore nei suoi dati anagrafici. Sarebbe possibile avere il suo documento di riconoscimento? - .
- Certo, lo porterò in Segreteria non appena terminerà la lezione - .
Perché non alza gli occhi?
- La ringrazio, molto bene. Buona lezione - .
E si allontana senza nemmeno rivolgermi lo sguardo. Albert! Sono io, la ragazza di questa mattina, ricordi? Perché comportarsi in questo modo?
Rientro in aula. Vorrei ritornare al mio posto e magari nascondermi tra i libri, ma il professore me lo impedisce.
- Signorina, il suo posto è qui. Ricorda? - .
- Scusami Morgan - . Senza volerlo gli do del tu. Tutti alzano lo sguardo, la prima è Chiara. - Professor Morgan, mi scusi - mi correggo mortificata.
- Celine, non si preoccupi. Adesso si accomodi - .
Mi siedo al suo fianco e mi consegna il test. Non ho il coraggio di guardarlo negli occhi, resterò in silenzio fino alla fine della lezione.
Osservo il foglio bianco davanti a me: Descrizione del costume ottocentesco. C'è davvero solo questo argomento? Strano, pensavo peggio.
Le parole mi escono dalla penna senza freni e in pochi minuti riesco a terminare il tutto.
- Professor Morgan, ho finito il compito - .
- Ottimo. Adesso può tornare al suo posto - .
Mi alzo con molta cautela per non disturbare chi ancora deve terminare.
- Celine... un secondo - .
Che succede? Il professore si avvicina a me. Ho sbagliato qualcosa?
- La sua amica... non me la racconta giusta - .
Annuisce e mi fa l'occhiolino. Perché dirmi questa frase? Mi siedo senza fiatare.
- Cos'è successo? - mi chiede Chiara.
- Nulla - le rispondo.
Non aggiunge altro, e il mio viso parla da sé. Mi prendo un minuto per isolarmi dal mondo, ma la campanella mi riporta nuovamente sul pianeta Terra.
- Andiamo, vieni con me - . Chiara mi prende la mano e mi porta al bagno. - Cos'e successo? - alla fine chiede.
- Cosa vuoi sapere? - .
Vuole notizie del professor Morgan o di Albert?
- Cosa ti ha detto Albert? - .
Ah, ecco.
- Nulla di che - .
- Non ti credo, stai arrossendo - .
- È la verità. Siamo due perfetti sconosciuti - .
- Celine siamo qui, non al bar - .
- Lo vedo anch'io - .
Chiara mi guarda perplessa, ma alla fine mi sorride complice.
- Non avevi detto che non ti piaceva? - aggiunge.
- Infatti è così, non mi piace affatto - .
- Ti crescerà il naso se continui di questo passo - ribadisce mentre fa per andarsene.
La fermo: - Chiara, il professor Morgan mi ha detto una cosa - .
- Di che si tratta? - .
Mi guarda. È allegra, come se già sappia tutto.
- Celine, girano strane voci sul mio conto. Non crederci - .
Voci?
- Magari un giorno te ne parlerò. Adesso andiamocene, dai - .
Esce dal bagno. Ho intenzione di seguirla, ma il mio cuore improvvisamente ricomincia a battere. Mi sento come l'arcobaleno: vivo in un giorno di tempesta.
- Pianeta Terra chiama Celine... Celine? - bisbiglia Chiara.
Siamo in aula, il professore ritira i test.
- Sono qui - le rispondo divertita.
Ho distrutto la mia matita colorata, ma non m'importa. Non vedo l'ora che arrivi stasera.
- Non fai altro che sorridere da quando sei uscita dal bagno - sospira.
- Ma cosa dici? - .
Forse c'è davvero qualcosa che non va in me. Chiara estrae un ingombrante specchio dallo zaino: ha per caso rubato la borsa a Mary Poppins?! Chi porta uno specchio così a scuola?
- Perché conservi uno specchio enorme nella borsa? - .
- Dobbiamo essere pronte a ogni evenienza - .
- Dobbiamo? - .
- Sì, dobbiamo. Adesso però osservati bene - mi dice rivolgendo lo specchio verso la mia direzione.
- Chiara, non mi serve - e mi sposto.
- Mi stai nascondendo qualcosa, vero? - mi chiede irritata.
Perché s'inalbera tanto?
Le sorrido. Vorrei tenerla sulle spine ancora per un po', ma decido di non farlo. Le inoltro il messaggio che mi è arrivato poco prima.

Passo da te alle otto.
Carmen Capasso
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