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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Manuale di pubblicazione Amazon KDP. Sempre più autori emergenti decidono di pubblicarse il proprio libro in Self su Amazon KDP, ma spesso vengono intimoriti dalle possibili complicazioni tecniche. Questo articolo offre una spiegazione semplice e dettagliata delle procedure da seguire e permette il download di alcun file di esempio, sia per il testo già formattato che per la copertina.
Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Maria Cristina Bellini
Titolo: I miracoli dei gatti
Genere Fantasy Sentimentale
Lettori 3571 39 55
I miracoli dei gatti
Vittoria era emozionata, non poteva nasconderlo. Diede un'occhiata veloce nello specchio del salotto e tornò indietro. Aveva sempre apprezzato il proprio aspetto e le dicevano spesso che non dimostrava affatto la sua età. Sorrise nervosamente mentre aggiustava una ciocca di capelli, l'idea di conoscere il collega della sua carissima amica veterinaria in qualche modo la imbarazzava. O meglio, il fatto di incontrare un uomo di cui aveva sentito molto parlare. Si disse che stava esagerando e di tornare con i piedi per terra, in fin dei conti da tempo non aveva occasione di andare da Paola al lavoro perché non le capitava di ospitare un micio in cerca di sistemazione. Perciò non poteva ignorare ancora i suoi inviti a conoscere Mirtilla dopo aver saputo del suo comportamento a dir poco curioso.
Così quel pomeriggio dall'aria decisamente novembrina ruppe gli indugi e andò, tanto prima o poi l'avrebbe dovuto vedere, quel veterinario. Prese un bel respiro e bussò sul vetro come faceva sempre. Paola la vide e andò ad aprire la porta secondaria: - Vieni, abbiamo appena finito una visita. Ecco Mirtilla! - . La micia aveva lasciato la sala d'attesa richiamata dalle voci e cominciò a strusciarsi. Faceva caldo nell'anticamera perciò si tolse sciarpa e guanti che mise nella borsa e sbottonò il cappotto color testa di moro facendolo scivolare sulle spalle. - Ma guarda che bel carattere hai! Ho sentito grandi cose su di te, sei stata davvero brava - - disse accovacciandosi per accarezzarla. - Eh sì, siamo ancora stupiti e fa davvero poche bucce, cerca le coccole da chiunque. Se potesse anche rispondere al telefono! –esclamò l'altra. Entrarono nella sala visite trovando Filippo che stava sistemando il lettino – Eccoti qua. Ti presento il mio collega - . - Buonasera! - - disse lui andandole incontro sorridente e allungò la mano. Lei non riusciva a parlare perché era rimasta ipnotizzata dalle scarpe. La sua idea era che le calzature dicevano praticamente tutto della persona che le indossava, anche quello che non avrebbe mai voluto rivelare. Le definì dentro di sé estremamente comode, solide e affidabili, intramontabili e sempre alla moda con un tocco di glamour. Lui se ne accorse: - Le piacciono le mie scarpe! In effetti ne vado fiero - .
Lei si riscosse lasciando la mano: - Mi scusi, sì, sono abituata a vedere solo zoccoli qui - . - Sono estremamente comode, solide e affidabili, intramontabili e sempre alla moda con un tocco di glamour - - aggiunse. Lei sbatté le palpebre, aveva usato le sue stesse parole. - Vedo - continuò lui – che anche il suo cappotto è di questo colore, ma che combinazione! - . Paola stava osservando la scena in disparte, il feeling fra quei due era palpabile. Sospirò, si ripeté che non erano per niente affari suoi e non doveva impicciarsi. - Andiamo a prendere un aperitivo e lasciamo che se la sbrighi da solo, ti va? - - propose, entrambi accettarono e mentre l'altra si cambiava Vittoria dedicò la propria attenzione a quello che c'era oltre le scarpe. Bello era bello, ammirare non costa nulla e rifarsi gli occhi ogni tanto magari ce ne fosse! Soprattutto le sembrava un tipo con le proprie idee che ragionava con la sua testa, chissà poi se era vero. A lei piaceva crederlo perché aveva un bellissimo sorriso, di quelli che ti scaldano il cuore.
La veterinaria ci stava mettendo un po' tanto a vestirsi ma loro due non se ne accorsero perché stavano conversando cordialmente. Non poteva tergiversare più di tanto, sarebbe stato scortese e anche sospetto perciò rientrò: - Eccomi, sono pronta - . - È stato un piacere, a presto - - disse lui allungando la mano. Il calore di quella stretta le piaceva, salutò sorridendo e se ne andarono. Mirtilla si mise a strusciare Filippo per rassicurarlo che mica rimaneva da solo e che contasse pure sul suo aiuto. Uscite nella nebbiolina Paola, infilandosi i guanti rossi di lana e sforzandosi di nascondere l'eccitazione chiese: - Allora che te ne pare? - . L'amica rispose: - È davvero un bel ragazzo, per i miei gusti, soprattutto lo trovo simpatico - . - Anch'io e lavorandoci insieme ho avuto modo di apprezzarne la serietà e la coerenza, è un uomo che si assume le proprie responsabilità. Di questi tempi è raro e come vedi comunque esistono tipi così - .
Vittoria cambiò discorso, quell'argomento la imbarazzava: - Hai già scelto per il viaggio? Quando lo farete? - . La veterinaria non si lasciò fuorviare e ignorò la domanda: - Credo che potreste frequentarvi. Ogni tanto ci capita di conversare perciò so che ha parecchi interessi e ragiona con la sua testa, è interessante - . L'altra sbuffò: - Ma quanto è giovane? È un ragazzino! Vedremo, se ci incontriamo ancora, chissà - . Non voleva frustrare del tutto i suoi tentativi, sapeva chiaramente che si comportava così per affetto e per il suo bene solo che l'aveva appena conosciuto se così si poteva dire. Le era piaciuto, sì, ma da qui a vederlo come partner ce ne correva e poi no, così giovane, no, troppo, assolutamente no. Tenne per sé quel pensiero, non voleva discuterne ancora e non era proprio il momento per immaginarsi una storia perché purtroppo aveva altre questioni per la testa.
L'amica aveva capito che non era il caso di approfondire: - Sabato prossimo organizzo una cena per festeggiare. Stavolta a casa mia, saremo al massimo una decina. Voglio una cornice più intima e familiare del ristorante e soprattutto poco formale - . Intanto erano arrivate al bar e aprendo la porta furono colpite dalla musica a tutto volume: - Accidenti, dietrofront! - Vittoria dovette urlare per farsi sentire. Una volta fuori commentò - No, non abbiamo più l'età per questi locali - . - Se vanno avanti così vedrai che fra poco quelli che li frequentano non avranno più l'udito! Cerchiamo qualcos'altro in cui poter fare due chiacchiere. Mi è venuta in mente quella pasticceria qui vicino così ne approfitto per ordinare la torta. Adesso ne fanno di talmente belle che è quasi un peccato mangiarle. La chiederò colorata sul lilla - .

Oscar

Lo sapevo. L'ho sempre saputo. Fin dalla mia prima vita da gatto Mau accanto alla regina Nefertari. Agli altri della mia stessa razza lasciavo l'incombenza di liberare dai roditori gli enormi silos di grano che si stagliavano nel sole in mezzo alla sabbia, di riprodursi e accudire la prole per assicurare il futuro e la diffusione della specie.
Niente esplorazioni dei giardini, delle piramidi, niente rincorse a topi, uccellini e farfalle, niente giochi con altri gatti. Io ero antenna fra l'Universo e gli esseri umani. Mio era il compito di fare da tramite recapitando i messaggi del grande disegno. La bellissima regina, dotata e sensibile, dalle mani così morbide, mi chiedeva di saltarle in grembo sulle fruscianti vesti di seta dorata ogni volta in cui aveva una decisione da prendere, un destino da indirizzare, perché lei era l'Egitto. Accarezzandomi mentre facevo le fusa la sua mente entrava in quello stato che la portava nel mezzo del nulla da cui tornava poi alla realtà con un indizio, una soluzione per il bene di tutti. E quando avevo un messaggio da recapitarle, anche nel cuore della notte stellata non esitavo a raggiungerla attraversando sicuro i corridoi dalle alte volte dell'immenso palazzo reale, ombra fra le ombre. Le nerborute guardie a torso nudo erano abituate a vedermi passare, nessuno poteva fermarmi.
Anche se ero gentile con tutti il mio amore e interesse erano solo per Nefertari. Saltavo sulle lenzuola profumate di kyphi, la miscela dalla formula segreta creata solo per la regina, un trionfo di incenso, mirra e cannella di cui si cospargeva i capelli per favorire il sonno e i bei sogni. Acciambellandomi appoggiato a lei univo la mia mente alla sua e, quando il sole filtrava dalle sontuose tende nella camera rimbalzando sui mobili di squisita fattura, si svegliava credendo di aver visto in sogno la strada da intraprendere. La mia vita era felice e privilegiata, accudito da oracolo quale ero e anche se gli umani erano inconsapevoli del mio ruolo pure avevano d'istinto grandi riguardi nei miei confronti. Venivo trattato come una divinità, avevo addirittura un assaggiatore personale, come i sovrani, per scongiurare il pericolo di essere avvelenato da chi tramava contro la dinastia e voleva impossessarsi del potere.
Vidi Mosè, vestito da principe egiziano e con la testa rasata da cui scendeva una piccola treccia scura, stringere il braccio di Ramses in segno di amicizia, lì nell'immensa sala, dalla mia cesta degna di un re vicina al trono. Sapevo quali percorsi aveva in serbo per lui l'Universo, sapevo che l'avrei rivisto con le vesti variopinte del popolo ebraico e nemico del re egizio se avesse accettato il proprio destino e quello della sua gente.
Lasciai quell'esistenza serenamente prima di assistere allo strazio della regina che poneva piangente il corpo del figlio, ucciso nella notte dall'Angelo della Morte come gli altri primogeniti egiziani, sulle ginocchia dell'immensa statua di Anubi dalla testa di cane, implorandolo di ridargli la vita. Le piaghe d'Egitto avevano risvegliato nel re solo ira e sete di vendetta, lei non poteva più influenzarlo, il mio compito lì era finito. Il mio corpo fu imbalsamato e le viscere riposte nei vasi canopi dentro la tomba faraonica che un giorno avrebbe accolto anche Nefertari e Ramses.
Il mio aspetto è cambiato nelle reincarnazioni e sono stato il primo di molte razze che si sarebbero poi diffuse in seguito. Da gatto Certosino ho suggerito l'idea degli specchi ustori ad Archimede durante l'assedio di Siracusa e lui mi stava accarezzando la testa dalla vasca quando esclamò: - Eureka! - perché aveva trovato il suo Principio. Sono stato il gatto d'Angora rosso di Confucio, “il messaggero che nulla ha inventato”, nell'era delle primavere e degli autunni, tempo di anarchia e d'instabilità politica. Sapevo che le guerre tra i signori dei vari stati feudali si sarebbe trascinata nell'epoca successiva, il periodo dei regni combattenti, e che il sogno e la preveggenza del filosofo si sarebbe avverata dopo un paio di secoli anche se non come lui l'avrebbe voluta. Il Guerriero Senza Nome, con la complicità di Cielo, Neve Che Vola e Spada Spezzata, si sarebbe avvicinato alla distanza di dieci passi dal tiranno e non lo avrebbe ucciso perché aveva capito che questi avrebbe unito la Cina sotto un unico cielo ridando poi pace e prosperità al popolo.
Il momento che preferivo insieme a Confucio era quando si dedicava alla lettura e consultazione dell'I Ching, Il Libro dei Mutamenti, il millenario testo sapienzale. Sentivo la presenza dei Santi Saggi e la loro gioia per il suo contributo all'interpretazione. Conclusi anche quell'esperienza, grato per averla vissuta, e rimasi a lungo nel limbo. Seguirono tempi bui per la mia razza e anche se la mia vita è sempre stata protetta il mio compito è facilitare la prosperità e progredire con energia nel bene. Infatti, se facciamo al male il favore di combatterlo colpo su colpo alla fine perdiamo perché in tal modo anche noi rimaniamo coinvolti nell'odio. Perciò, restai spettatore del succedersi degli eventi umani e delle epoche in attesa di tornare in questo piano di esistenza.
Isabella di Spagna mi donò, nella mia forma di Main Coon, e insieme ai suoi gioielli più preziosi, per finanziare l'impresa, a Cristoforo Colombo. Con lui divisi l'alloggio nell'ammiraglia, la Santa Maria, durante il viaggio verso il Nuovo Mondo mentre gli altri gatti si occupavano di liberare la cambusa dai topi. Io rassicuravo Colombo che il suo progetto di arrivare alle Indie era giusto quando per giorni e giorni non c'era altro che l'oceano e l'equipaggio insisteva nell'invertire la rotta minacciando di ammutinarsi. Gli ero in braccio quando lui vide una luce in lontananza, come una piccola candela che si levava e si agitava, la notte precedente l'avvistamento della costa. Sbarcai al suo fianco e i nativi non riuscirono a vedermi perché non erano ancora pronti a ricevere l'informazione della mia presenza.
Sono stato il gatto di Manx dell'astrologo di Bess, Elisabetta I, la regina che guardava gli ospiti come attraverso una lastra di vetro. Erano tempi di congiure, di alleanze prima firmate e suggellate dalla ceralacca con il sigillo reale e poi disattese per motivi religiosi di assoluta convenienza o per creare nuove alleanze più proficue, come durante il regno del padre Enrico VIII. Tempi di matrimoni combinati per assicurarsi il favore dei potenti e garantirsi la sicurezza mettendo in pratica il motto latino “se non puoi vincerli, alleati”. Ma nonostante i giochi, gli scambi di terre e possedimenti, l'avidità umana non conosce limiti di linea di sangue, alleanze o coerenza.
Quando la Spagna dichiarò guerra all'Inghilterra, ovviamente per motivi puramente legati alla religione come fosse una nuova crociata contro gli infedeli, Bess era molto preoccupata per il destino del suo popolo. Chiese consiglio all'astrologo, che mentre mi accarezzava le disse di incendiare le navi sul Tamigi per sbaragliare l'Invincibile Armada spagnola perché quella notte il vento avrebbe mutato direzione portando la vittoria all'esercito inglese. William Shakespeare, Francis Bacon e gli altri poeti alla sua corte mi hanno coccolato e tenuto in grembo dando poi vita ai loro capolavori e teorie filosofiche.

Pilù

Non doveva stare lì. Lo trattavano bene, la casa era grande, con il giardino, era coccolato, poteva andare dove gli pareva solo che non era quello il suo posto. La gatta di famiglia aveva partorito nella stalla e loro avevano tenuto quel maschio bianco e tigrato dal pelo lungo con righe nere intorno agli occhi verdi, sembravano truccati con maestria come gli egiziani. Era sornione e aveva come un che di misterioso, sembrava che la sapesse lunga. Così una calda mattina salì sulla macchina aperta mentre scaricavano le sporte, si nascose fra i due sedili e si godette il viaggio. Quando la macchina si fermò uscì furtivo, il guidatore non si accorse di nulla e il gatto continuò il suo viaggio, non sapeva dove l'avrebbe portato ma che andava fatto. - Come sei bello! Ma di chi sei? - . La volontaria se lo trovò un giorno nella colonia felina che accudiva, lui aveva sentito l'odore del cibo e si era fatto avanti deciso perché era davvero affamato dopo tanta strada. Lei lo prese in braccio constatando che era sano e abituato alle persone, chiamò Vittoria per chiederle se poteva tenerlo e si misero d'accordo.
- Ti chiamerò Pilù - - disse, chissà come le era venuto in mente. Lui era impegnato a far fuori la scatoletta e del nome non gli interessava, l'importante era arrivare da chi doveva. Finito di mangiare lo mise dentro la gabbietta, la coprì con un panno azzurro, la caricò, fece il suo solito giro nella colonia poi portò a destinazione il micio che stava buono buono, neanche miagolava, sembrava che non ci fosse. Rimase tranquillo anche arrivati da Vittoria che lo soprannominò gatto delle piramidi per via di quelle linee nere intorno agli occhi. “Se tu sapessi” - pensò lui lasciandosi ammirare e controllare per bene. Si vede che non è randagio. Adesso faccio le solite ricerche e metto gli annunci - . La padrona di casa lasciò entrare dal giardino Julie che si avvicinò con circospezione al cucciolo sul tavolo, lo annusò e allungò un leccotto che andò a vuoto. Il piccolo dal canto suo non fece una piega, la micia se ne andò in retromarcia, quella pallotta di pelo non gliela dava ad intendere. Doveva lasciarlo stare, non era certo una minaccia per lei e il suo territorio.
Fecero i volantini con le foto, nessuno si fece avanti per riconoscerlo e Pilù allargò la schiera dei gattini da adottare rimanendo da Vittoria che per pura combinazione una bella mattina incontrò Marta al bar in cui era andata a fare colazione. Di solito la faceva in casa ma era troppo caldo per restare al chiuso e le venne voglia di gustarsela seduta all'aperto. Fu felice di vedere l'amica, era sempre un piacere perché si volevano bene pur essendo molto diverse.
Difatti l'altra, ben oltre la quarantina, non si curava del proprio aspetto e della forma fisica, vestiva in tuta e scarpe da ginnastica. Era sovrappeso, non le interessavano né uomini né donne, stava bene da single, non sentiva il bisogno di una compagnia e aveva sempre detto che per lei il sesso non esisteva. E neanche la tinta per capelli perciò li teneva brizzolati con una pettinatura a caschetto che schiacciava la figura verso il basso e il trucco era acqua e sapone, il sogno di un'esperta di restyling. Come borsa portava sempre uno zainetto verde scuro che aveva conosciuto tempi migliori. Vittoria l'invitò al proprio tavolo e cominciarono ad aggiornarsi finché le confidò di voler prendere un gatto, ormai era da tempo che non ne aveva e quelli sì che le erano sempre piaciuti tanto: - Ne ho proprio uno da sistemare, buono e bello, hai tempo per venire a vederlo? - . Quella mattina era in ferie perciò, finita la colazione, andò volentieri dall'amica che abitava poco distante per incontrare Pilù.
Lui la riconobbe subito, il suo viaggio era finito, l'avrebbe portato a destinazione. A lei piacque quel cucciolo dagli occhi truccati, quel suo modo di fare pacioso, la sua aria misteriosa e decise di adottarlo. Vittoria la fornì di una gabbietta in cui lo portò dalla veterinaria e poi a casa. Aveva ancora i giochi, le ciotole e la cassetta degli altri mici che erano stati con lei, li tirò fuori dalla credenza in cucina e li sistemò, era proprio contenta di quella nuova compagnia. Intanto il gatto esplorava l'appartamento che rispecchiava la personalità della proprietaria, disordinato e non pulito a fondo ma comunque dignitoso. L'arredo non mostrava uno stile e una cura per i dettagli e si sarebbe potuto definire minimalista. Stava cercando la stanza, salotto no, camera da letto no, eccola! Lo studio, questo gli interessava.
Marta era impiegata nel settore pubblico, il che le consentiva di essere indipendente, pagarsi il mutuo e le spese ma, da anni, la lettura delle carte era la sua vera passione che purtroppo non veniva per nulla ricambiata. Infatti come si suol dire non ci prendeva in una casa. Non c'era verso, le stese erano insulse, con carte contraddittorie vicine fra loro, non si vedeva niente, non c'erano indicazioni.
Le sue amiche la lasciavano fare, quelle sere in cui le invitava a cena si sapeva che poi avrebbe fatto i consulti. Loro non avevano cuore di dirle di no e cercavano di assecondarla anche se le informazioni che dava non corrispondevano al vero. Aveva sistemato nella seconda camera da letto tutti i libri e le riviste specializzate, letti e riletti come testi sacri, messo cristalli di diverse forme e colori seguendo i consigli ricevuti in uno dei corsi che aveva frequentato investendo un sacco di soldi sia negli uni che negli altri. Niente, stendeva le carte e guardandole le sembrava di sentire sempre lo stesso messaggio: - L'utente chiamato non è al momento raggiungibile, la preghiamo di riprovare più tardi - . Ma più tardi quando!

Julie

- La Madonna, ho visto la Madonna, sono salva! - . Ma raggiungerla non fu per niente facile, miagolando cercò un varco, finalmente lo trovò e passando dallo spiraglio del cancello riuscì a farsi prendere. Come era grata, la micina, ronfava a più non posso leccando il naso di Vittoria. - Grazie, come sei affettuosa! Con un musino così di sicuro sei femmina. Sei proprio una piumina - .
Quella mattina di dicembre era andata a fare il suo giro in giardino in un orario diverso dal solito e guardando sul prato circostante i suoi occhi avevano incrociato quelli della cucciola in mezzo all'erba alta. Vedendo che portava un collare con il sonaglino concluse che fosse di qualcuno nei dintorni, certo che era ben piccola dato che avrà avuto sì e no tre mesi. Per far uscire i gatti dei vicini che ogni tanto si nascondevano dentro casa prese una scatola di croccantini, l'agitò e ne versò alcuni nel cortile. Quando vide che la piccola, incurante dei due gattoni, si era avventata sul cibo considerò che si fosse persa e che non mangiasse da un po' quindi la chiuse dentro. Allestì una lettiera mettendo della terra in un sottovaso, le preparò una ciotola d'acqua e una di cibo, prese una cesta e la foderò di vecchie maglie poi uscì per andare a chiedere lì intorno se qualcuno avesse perso una gattina tigrata marrone con gli occhi verdi. Nessuno ne sapeva niente perciò nel pomeriggio chiamò il gattile.
Le volontarie vennero a fotografarla, lei intanto l'aveva fatto con il telefonino. Solita procedura, annunci e attesa. A Vittoria dava fastidio il sonaglino, pensò che probabilmente stava con una persona anziana per quello e perché, dopo pranzo, andava nella sua cesta a fare un pisolino. Le saltava sulle ginocchia, si rannicchiava sotto il suo scialle e lei diceva che faceva il cuccio. La lasciava andare in giardino timorosa che non tornasse e invece fatte le sue esplorazioni rientrava sempre: - Per me sei Julie, come la protagonista del film “Delicatessen”, hai proprio un bel musino alla francese - . La cucciola apprezzò il nome tanto da rispondere al richiamo. Il tempo passava e non arrivavano notizie dal gattile ed era difficile non affezionarsi anche se cercava di mantenere le distanze.
Quando rientrava le andava incontro e poi mangiava: - Ohoh, mi sa che tu avresti già deciso, stiamo a vedere cosa succede. Comunque sappi che per me va bene - . Dopo un mese buttò via il collarino ed ebbe l'impressione che la micia avesse scelto subito lei e quella casa. Paola la visitò e quando le fece il vaccino mostrò subito di non essere d'accordo, soffiava con quanto fiato aveva in corpo, mostrava i denti e si divincolava, sembrava una furia. Non restò imbronciata a lungo, una volta lasciata andare mise i piedini davanti sul viso di Vittoria e cominciò a leccarlo anche se brontolava ancora. - Guarda che roba, è chiaro che tu e Julie siete un branco! - - commentò la veterinaria. - Sarà, è che a me sembra che il capo sia lei! - - replicò l'amica e scoppiarono a ridere.
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