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Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Writer Officina
Autore: Domenico Del Coco
Titolo: Sulle Ali Del Sogno
Genere Fantasy Young
Lettori 3434 33 126
Sulle Ali Del Sogno
Alle prime ombre del mattino, sui lunghi pascoli che si estendevano su tutto il fianco della montagna, si raccoglieva del foraggio. Nel villaggio di Karsten non c'erano stregoni ma solo una strega che si occupava di trovare oggetti particolari e guarire ferite che avrebbero potuto essere mortali. Si chiamava Petronilla. Donna severa e puzzolente, con i capelli grigi e gli occhi rossi, a causa del fumo dei fasci d' erba che era solita raccogliere nelle notti di luna piena e che bruciava su ciocchi ardenti per preparare pozioni magiche. Le sue orribili caratteristiche non si fermavano solo al fatto che emanasse un orribile odore e fosse paurosa da vedersi, possedeva pure un naso lungo, delle labbra sottili ed era priva di denti. Su una guancia aveva una verruca grossa come il nocciolo di un'albicocca, completamente ricoperto da irti peli. Petronilla sapeva di non essere ben accetta nel castello di Karsten, ma comunque decise di farvi una capatina. Il castello, ben tenuto ma cupo nella sua imponenza, svettava dalla cima del monte più alto. Vi abitavano tutti i briganti meno importanti del regno di Karsten.
I briganti all'arrivo della orribile strega Petronilla, si misero a tremare terrorizzati perché temevano che potesse maledirli con qualche sortilegio.

“ Bene vedo che non sono stata invitata!” ringhiò cupamente la strega.
“ Gettate fuori dalle mie mura questa ignobile donna.” Ordinò Karsten il capo supremo dei briganti.
“ Non disturbarti nel farmi accompagnare fuori da questo luogo, sappi però che questa notte nascerà tuo figlio che in giovane età si innamorerà di Grethe, figlia di Olar, vostro temuto rivale!” disse Petronilla.

A quel punto, la strega fece un giro su se stessa e puntando il lungo dito adunco verso il pavimento, scrisse con la magia le lettere: A e G.
La scritta rimase incisa sulla pietra emanando una forte luce verdognola.

La notte in cui nacque Arnor una furiosa tempesta di neve si abbatté sulla montagna, rendendola ancora più incantata, quasi magica.
Strani esseri cercavano rifugio nelle loro tane. Avevano accumulato tanta stanchezza e adesso era finalmente giunto il momento di andare in qualsiasi anfratto potesse dare loro riparo. Avevano raccolto tante provviste e quindi avrebbero potuto dormire il lungo sonno invernale. Solo le strigi, le cui fattezze erano simili a grandi rapaci, volavano nel cielo carico di neve, emettendo un assordante stridulo simile a quello delle aquile. Erano insopportabili e risultavano sciocche.
Il villaggio dove era nato Arnor chiamato Noth Hiert, si trovava sulla sommità del Monte Kjell. Nella foresta che lo circondava, le strigi cattive trovavano il loro rifugio.
Berta, moglie di Karsten giaceva sul letto spossata dai dolori provati per la nascita di Arnor. Accanto, senza perderla di vista si trovava Karsten, alto e magro con un mento sfuggente e una chioma di lunghi capelli corvini. Le sue sottili labbra non lasciavano trasparire nessun tipo di sentimento. Severo e taciturno era rispettato perché lavorava il ferro con grande abilità.
Berta, non sopportando i versi striduli emessi dalle strigi che volavano continuamente intorno al castello, chiese al marito di fare qualcosa perché la smettessero di strillare.

“Manda via quelle strigi cattive, voglio cantare ora che è nato nostro figlio!”

A quel punto Karsten prese la fionda e con una mira eccellente, colpì le perfide creature, ma le strigi erano abili nel nascondersi quindi schivando le pietre si misero ad urlare:

“Cacciaci, ma il tuo piccolo erede è brutto perché figlio della neve e del ghiaccio; nemici della foresta!”

Nel castello, intanto, fervevano i preparativi per festeggiare il nuovo nato che avrebbe portato gioia e prolungato la discendenza dei Karsten.

****

In un altro castello poco distante, la moglie di Olar capobrigante e rivale di Karsten, dette alla luce una bambina alla quale venne dato il nome di Lovisa.
Il padre restò deluso, perché sperava in un figlio maschio. Dopo aver riflettuto a lungo decise che l'avrebbe istruita per diventare una perfetta brigantessa.
Nel castello di Karsten in festa, i briganti guardavano il minuscolo Arnor. Erano alquanto preoccupati perché il piccolo appariva molto debole e decisamente malaticcio. Chiacchieravano tra loro e il padre sentendoli li redarguì, dicendo loro:

“Siete degli idioti, è solo un neonato! Farò di lui un brigante forte e coraggioso.”

Gli uomini allora decisero di tacere e intonarono le loro goliardiche ballate bevendo e saltellando per tutta la notte.

Se il regno di Karsten era in festa, quello di Olar batteva la fiacca.

“Una femmina è nata e una femmina dobbiamo tenerci!” Continuava a ripetere Olar.

La moglie cercava di consolarlo dicendogli:

“Aspetta, vedrai che saprò darti un altro erede maschio!”.

Purtroppo la promessa non venne mantenuta. Nei successivi anni la consorte diede alla luce due altre femmine. Olar non si aspettava un simile sgarro dalla sorte. Forse qualcuno aveva maledetto lui e la sua dinastia. Infatti, una colomba bianca era apparsa davanti alla finestra della loro camera da letto, mentre Iselin la moglie partoriva. Poteva essere un segno malefico?

Preso dalla rabbia, Olar decise di recarsi nella foresta per uccidere l'ultima nata alla quale avevano dato il nome di Grethe. Ma nello stesso istante in cui sguainava la spada, la bianca colomba che li aveva seguiti in volo , si trasformò come d'incanto in una bellissima fata e con un solo gesto spezzò la spada di Olar.
Il brigante credendo che fosse un chiaro segno del destino, fece ritorno al suo castello tenendo in braccio la minuscola Grethe. Un unico timore lo assillava: sarebbe stato difficile crescere tre mocciose!


Dal momento in cui nacque Arnor, dopo aver lanciato il proprio anatema incidendo sulla pietra le due iniziali, la strega Petronilla non smise di seguire la crescita di Arnor, di Grethe e delle sorelle Kassandra e Lovisa.

Continuò a raccogliere oggetti che i briganti abbandonavano lungo le strade dopo avere saccheggiato interi villaggi e si perdeva nella foresta alla continua ricerca di erbe medicamentose. In una notte di plenilunio, la strega venne assalita da uno stormo di strigi che, bloccandola a terra con i loro lunghi artigli le strapparono il cuore.
Petronilla non restò a lungo sul terreno coperto di foglie e muschio, perché un lampo di luce incandescente scaturito dal nulla, la incenerì in pochi istanti.

Olar guardava crescere le sue tre bambine.
Lovisa e Kassandra assumevano atteggiamenti raffinati e principeschi, mentre Grethe si dedicava a giochi di guerra. Impazziva di gioia quando riusciva a distruggere le bambole delle sorelle e a tirare loro le lunghe trecce bionde. Costruiva con le proprie mani splendide fionde e perfette spade che intagliava con un coltello sottratto di nascosto al padre.
Nel villaggio di Noth Hiert, invece il giovane Arnor cresceva educato e gentile. Un bel bambino dai capelli corvini, molto nobile negli atteggiamenti. Vestiva in modo elegante e nessuno avrebbe pensato fosse figlio di un brigante. Solo quando danzava durante le feste, desiderava apparire goliardico e forte, proprio come un vero brigante.

La giovane Grethe, spesso osava avventurarsi da sola nei boschi del Monte Kjell. Da lontano aveva scorto l'altro castello, ma non sapeva come raggiungerlo. Ne aveva parlato con il padre, il quale si infuriò della sua curiosità, affermando che lassù vivevano creature maligne e pericolose. Il brigante Olar non voleva che la figlia si interessasse a quel castello. Anche ad Arnor veniva proibito di avvicinarsi alle terre di Olar, poiché tra i due clan briganteschi non correva buon sangue. L'odio che provavano reciprocamente faceva sì che ad ogni primavera, riprendessero a combattere la loro stupida guerra, dove nessuno ne usciva vincitore!
Arnor non desiderava combattere perché trovava inutili le guerre. Sperava semplicemente di scoprire le vere sembianze degli altri briganti. Li pensava brutti, sporchi e pelosi; la stessa identica idea frullava nella testa della piccola Grethe. Entrambi i genitori raccontavano loro castronerie, fantasie dettate dall'astio che provavano l'uno nei confronti dell'altro:

“È basso.”
“È tozzo.”
“Non si lava.”
“Odora di fango.”
“Ha i denti gialli.”
“Ha le mani da scimmia.”
“Ha le braccia molto pelose.”

I due giovani ascoltavano quelle descrizioni restando con la bocca spalancata per lo stupore. Ma Grethe non si spaventava di quei racconti, anzi si intestardiva pensando:
“Prima o poi li vedrò! Non mi fanno paura.”

Al padre chiedeva continuamente:
“Papà, desidero avere un cavallo, ho sette anni e posso andare da sola nel bosco. Voglio cacciare perché sono forte e astuta.”
“No Grethe! Non è il momento” rispondeva preoccupato il padre.
“Lasciala provare, l'oracolo ha predetto che compiuti i sette anni la bambina dovrà scoprire il mondo,” affermava la madre risoluta.
A quel punto Olar, cedeva.
“Ti lascio provare, ma se mai dovessi perderti nel bosco, mi raccomando, cerca una grotta dove ripararti e restaci fino al sorgere del nuovo giorno! Porta con te del pane, del formaggio e delle erbe medicinali!”
Con un cenno del capo, Grathe salutò entrambi i genitori, uscendo dal castello.

Salì sul cavallo, spronandolo alla corsa con un lieve battito di briglia, allontanandosi dal villaggio.

Arnor si trovava in riva al fiume e stava leggendo, quando Grethe dopo avere cavalcato per molte ore, decise di riposarsi e di abbeverare il suo cavallo.
E lo vide.
I loro sguardi si incontrarono, indugiando entrambi sugli abiti che indossavano. Grethe che esibiva dei pantaloni di cuoio tipicamente maschili, restò comunque impassibile di fronte al ragazzino così ben vestito con una bianca camicia, un elegante gilet e morbidi pantaloni di fustagno.

“Chi sei?”
“Chi sei tu? Lo sai che hai valicato il mio territorio?”
“Territorio? Io sono Grethe figlia di Olar.”
“Io sono Arnor figlio di Karsten.”
“Quello che fa il brigante?”
“Ma anche tuo padre non fa il brigante?”
“Come lo sai?”
“Me l'hanno detto i miei genitori!”
“Anche i miei. Inoltre mi hanno detto che devo stare lontana da voi, siete cattivi!”
“Ah ah ah. La stessa cosa l'hanno detta anche a me. Ma ora che ti guardo meglio, lo sai che sembri un maschio?”
“Già, e ne vado fiera, sappi che ho con me la mia spada di legno.”
“E io ho il mio arco con le frecce!”
“Mi sembri simpatico...”
“Anche tu. Ora però devo andare. Finirò di leggere il mio libro a casa.”
“Cos'è un libro?”
“Questo!” Arnor glielo diede in mano.
“Ma non sono capace di leggere”, dichiarò la ragazzina.

Arnor stava divertendosi alla grande, quindi si mise a ridere come un matto.

“Non è divertente, smettila!” urlò la bambina
“Non posso crederci che tu non sappia leggere, ragazzina!” Continuando a ridere...
“Smettila! Finiscila di ridere, stupido bambino!” Infuriata e offesa ci mise un nano secondo a stampargli sul viso un ceffone degno del nome che portava.

Arnor smise subitissimamente di ridere, prendendo per i capelli Grethe e trascinandola a terra. Parevano due indemoniati! Calci, sputi e graffi, ma la bimba che si muoveva con agilità, preso un coltellino che teneva nei larghi pantaloni, si mise a tagliuzzare un lembo della bella camicia di Arnor, il quale si fermò di botto! Sapeva che tornato al castello avrebbe dovuto subire le lunghe ramanzine della madre. Questa volta era evidente che non avrebbe potuto dare la colpa ai rovi. Prendendo il libro, l'arco e le frecce, si mise a correre verso il bosco.

“Ti serviva una bella lezione, ragazzetto impertinente e maleducato.” Gli urlò a squarciagola la piccola Grethe.

Aggrappandosi al suo cavallo per fare ritorno a casa, pensò che Arnor fosse davvero un bambino odioso e che in un altro incontro avrebbe usato la sua spada!

Tornato al castello, Arnor non fece alcun commento, allora Karsten prese la parola.

“Chi è stato a ridurti in questo stato? Un altro brigante? Hanno cercato di derubarti? chiese il padre.
“Può essere stata Grethe, la figlia di Olar.” insinuò Berta.
“E quella selvaggia sarebbe una bambina? Astrid è arrivato il tuo momento”, disse il padre rivolgendosi alla civetta.
“Padre, cosa vuoi fare?” chiese Arnor.
“Stai a vedere!” rispose Karsten.

Vergò un messaggio su di una pergamena e fissandola alla zampa della civetta le comandò di volare verso il castello di Olar.
Poco tempo dopo, nel maniero dell'altro brigante ci fu confusione e gran vociare...

“Gretheeeeeeeeeeeee!!!!!!!” Urlò Olar arrabbiato.
“Che succede padre? Cosa desiderate?”
“Cosa hai fatto al figlio del nostro rivale? Sei una femmina e non un maschiaccio!”
“Mi ha derisa perché non so leggere!”
“Ti ho offerto moltissime opportunità, ma tu non hai mai voluto coglierle! Da questo momento sei obbligata a recarti ogni giorno dalla badessa Gertrude! Dovrai imparare a leggere e scrivere. In soli trenta giorni, né più né meno. Rimarrai relegata nelle tue stanze senza poter uscire dal castello! Sono stato chiaro?” Urlò arrabbiato il padre facendo quasi oscillare le mura del castello.

E fu cosi che Grethe dovette confrontarsi con la dura legge scolastica impartita dalla badessa, mentre il giovane Arnor stando seduto sulle rive del fiume continuava a leggere i suoi libri in tranquillità.
Fu un periodo sereno, perché sul Monte Kjell non si sentirono né urla né stridii di armi.
La bambina pur applicandosi con tenacia, si annoiava. La svogliatezza la stemperava facendo smorfie, sbadigli e sonnellini con la testa adagiata sul piano del tavolo.

“Come si può leggere un libro senza una figura? Che noia! E poi perché affaticare gli occhi davanti a quelle cose scritte sulla carta”, pensava.
“Lettere. Si chiamano lettere, mia cara bambina e servono a comporre parole, scrivere pensieri in modo tale da farli conoscere agli altri. Su dai andiamo avanti!” la incoraggiava Gertrude

Le due sorelle, Lovisa e Annika giocavano con le loro bambole. Simulavano di apparecchiare lunghi tavoli dove sedevano numerosi ospiti.
La fata bianca le osservava e senza farsi notare, faceva apparire vicino ad esse pupazzi vestiti da cavaliere. Allora le bimbe strillavano dalla gioia, perché amavano inventare storielle cariche d'amore.
Grethe prese una pausa dallo studio e, dimenticandosi delle parole del padre, si diresse verso il bosco ma la fata l'aveva già preceduta e l'aspettava. Magicamente si trasformò in un cavaliere alto e longilineo, vestito con una corazza bianca, armato di lucide lance nere e mutò la voce rendendola dura e mascolina.

“Ehi bambina, dove stai andando?”
“Non sono affari tuoi cavaliere!” Rispose scorbutica Grethe.
“Non ci si rivolge con questo tono ad un cavaliere! Dimmi, dimmi perché sei così tanto arrabbiata?”
“Perché devo saper leggere e scrivere. Sono una ragazza e non ho bisogno di imparare!”
“Invece se vuoi continuare ad essere forte, lottare e usare armi, devi anche saper leggere e scrivere, perché così potrai farti valere di più. Ora vado, buona fortuna piccola, buona fortuna,” disse il cavaliere, spronando il proprio cavallo e scomparendo in un solo minuto.

Invece Arnor sperava di diventare un buon brigante, imparando a rubare le galline perché aveva la mano lesta e il passo silenzioso. Le galline si avvicinavano quando spargeva loro piccoli chicchi di grano e lui subito le metteva nella borsa di juta senza farsi mai scoprire. Karsten era contento del figlio.

“Bravissimo” diceva. Per poi aggiungere: “tua madre sarà contenta! Sei proprio figlio di un brigante!”

Ma Arnor compiva questi misfatti solo per compiacere i suoi genitori. A lui sarebbe piaciuto condurre una vita normale, lavorando onestamente. Nel suo cuore, infatti, aveva un grande segreto che nessuno avrebbe ma i dovuto scoprire: il suo forte sentimento per Grethe.

Un caldo pomeriggio di maggio, Arnor era come al solito seduto vicino al fiume Sven-Åke. Stava leggendo incurante del sole, degli animali che lo osservavano e di altre creature misteriose... ancora una volta giunse “la fata” che si trasformò in un'oca e si avvicinò al bambino. Il piccolo sorrise nel vederla, quando l'oca cominciò a parlare.

“Cosa stai leggendo bel bambino?”
“Un'oca che parla?” Arnor era allibito.
“Ma certo tutti gli esseri parlano”, disse l'animale.
“È così!” , s'intromise un pesce saltando fuori dal fiume.
“Anche noi!” Disse un cervo.
“Ma io non capisco, non può essere vero, forse ho letto troppo per oggi”, balbettò il ragazzo.
“Facciamo parte dell'immenso regno animale e ti osserviamo sempre. Ora sfogati con noi” , disse l'oca. “Perché sei sempre così triste?”
“Non puoi capire”, rispose Arnor.
“Suvvia, non ti arrabbiare. Ma è tutto così chiaro: ti piace Grethe, vero?”
“E tu OCA come lo sai?”
“Oh bè, io so molte più cose di quanto tu possa immaginare! Tuo padre è perennemente in guerra con Olar il brigante, non è forse vero?”
“Si è vero!”
“Se ti svelo un segreto, prometti di non parlarne con nessuno?” chiese l'Oca
“So mantenere i segreti, stai tranquilla Oca!”

A quel punto l'animale riprese le sembianze umane. Bellissima, i suoi capelli color del sole, i grandi occhi azzurri che sprigionavano dolcezza, regalavano serenità ma soprattutto forza e sicurezza. Affettuosa ed indulgente, conquistò immediatamente il bambino.

“Ti piacerebbe incontrare nuovamente Grethe?”
“O sì, certo che si. Lo desidero tanto”, sussurrò il ragazzo.
“Allora vai vicino al fiume”, lo consigliò la fata.
“Ma io ho paura dell'acqua. Molta paura...”
“Fidati di me, non ti accadrà nulla di male!”

Arnor guardò l'acqua scorrere e improvvisamente si fece più scura, quasi torbida e all'improvviso come in un riflesso increspato, vide Grethe. Stava studiando con la badessa mentre le sorelle giocavano. Provò a toccare l'immagine con la mano ma questa scomparve come d'incanto.
Anche la bella fata si dissolse velocemente, e in quel preciso istante Arnor avvertì qualcosa che si adagiava sul suo petto. Era un ciondolo. Meravigliato, lo guardò a lungo senza sapere cosa farne. Con un'alzata di spalle si accinse a riporre il suo libro nella sacca che teneva stretta intorno alla vita e con grande meraviglia trovò un messaggio scritto in bella grafia:

“Quando vorrai scoprire dove si trova una persona, avvicina questo magico ciondolo al fiume e otterrai la risposta!”

Arnor si sentiva felice mentre celava il ciondolo sotto la camicia, la cui catenina finemente lavorata lo rendeva quasi impalpabile. Nessuno l'avrebbe mai notato.

Chissà se un giorno avrebbe rivisto la stupenda fata? Pensava.

Passò un altro lungo mese. Lento per Arnor ma velocissimo per Grethe che intanto faceva progressi insperati. La fanciulla si era quasi scordata il volto del bambino. Giunse anche giugno e con esso il caldo torrido. Grethe faceva lunghe passeggiate nel bosco, saltellando e rincorrendo ogni sorta di animale, fischiettando e cantando allegre canzoni. Fino a che un giorno si avvicinò nuovamente al fiume. Il gran baccano infastidiva i folletti del luogo, risvegliandoli dal loro sonno. Essi erano alti più o meno due spanne, senza barba e con un naso a patatona. Osservarono con attenzione un bambino silenzioso che leggeva un libro e guardarono una bambina saltellare da tutte le parti. Rumorosa e decisamente maschiaccio.
Allora i folletti per punirla evocarono un forte vento che turbinando e soffiando fece allontanare la bimba, spingendola con forza. Grethe non si spaventò e, spinta da quelle violente folate, giunse al fiume. Ma Tutto risultava vano.
Arnor, preso dalla lettura non si accorse di ciò che stava succedendo. Vista la testardaggine della bimba, i folletti decisero di intrappolare Grethe in una rete, così avrebbe smesso di lottare contro il vento.
Stanco di leggere e affamato si alzò da quel lembo di prato a ridosso del fiume per andare a raccogliere le mele che pendevano dai vicini alberi. Stava per avvicinarsi ad uno di essi, quando scorse la bimba intrappolata in una rete e appesa come un salame ad un ramo. Gridò per lo stupore e la paura!

“Cos'è successo? Cosa ti han fatto?”
“Stavo cercando di raggiungerti, ma i folletti del bosco mi hanno chiusa in questa rete!”
“Stai ferma, tento di liberarti.” disse il bambino arrampicandosi sull'albero.

Divertiti, i folletti spiavano la scenetta, perché fondamentalmente avevano un animo altamente dispettoso e cattivo. La bella fata bianca li conosceva molto bene.
Arnor le provò tutte per liberare Grethe e mentre si rendeva operoso sentì uno strappo al collo. Vide cadere sul prato il ciondolo prezioso, dono della fata. I folletti, scaltri e veloci se ne impossessarono immediatamente.
La fata, che comunque vigilava dal suo anfratto tra le fronde di querce millenarie, allarmatasi, velocemente si materializzò sul posto. Per incutere terrore ai folletti, si trasformò in una strige, con il corpo di un volatile e il volto di una donna. Dal capo spuntavano lunghe corna nere e così trasformata si avvicinò ai malvagi folletti.

I due bambini, ammutoliti dalla paura, rimasero fermi di fronte alla strige.

“Ditemi un po' Folletti Birki, cosa volevate fare a questi due mocciosi figli di briganti? Folletto Birki, ti ordino di consegnare il ciondolo ad Arnor se non vuoi che ti divori in un solo boccone. Ho un leggero languorino e tu saresti un piatto delizioso. Si si, questa sera metterò a cuocere sulle braci uno di voi!” disse la fata.
“Pietà maestà! Consegno subito il ciondolo al bambino.”
“Libera i bambini, immediatamente e consegnameli.” Ordinò la strige-fata

Grethe era molto arrabbiata.

La strega si avvicinò ai folletti che tremavano dalla paura. L'incantatrice sempre più possente e arrogante emise una risata folle. Gli animali della foresta non si scomposero, perché sapevano distinguere le vere strigi da quelle false. I folletti urlando chiesero “perdono” e, dileguandosi rapidamente, si rifugiarono nella loro tana. La strige con una risata beffarda scomparve nel cielo.

Grethe e Arnor a quel punto furono salvi.

“Ma tu volevi liberarmi?” Chiese Grethe
“Si certo. Mi spiaceva vederti dentro in quella rete.”
“Davvero? Arnor... vorrei dirti che...”
“Sì?”
“Nulla, nulla...”
“Come nulla...dai cosa volevi dirmi? Sono curioso di sentire le tue parole!”
“Mi piaci! Sei proprio bello, sai? Oh si è fatto tardi devo andare!” Sentendosi intimidita da ciò che aveva appena rivelato.
“Anch'io! Tra poco il sole tramonterà e devo tornare al castello. Ci vediamo domani?”
“Sì promesso”, rispose la fanciulla. Con delicatezza, sfiorandogli la guancia, gli mise il ciondolo al collo.
Entrambi si misero a correre per giungere ai rispettivi castelli, consapevoli di provare qualcosa di infinitamente tenero l'uno nei confroOlar stava facendo colazione con una farinata di legumi, mentre Iselin cucinava un alce. I dodici briganti mangiavano con la stessa voracità dei lupi. Durante il pranzo erano soliti intonare una canzone: La Canzone dei Lupi; ma quel giorno Grethe non era in vena di cantare. Se ne stava silenziosa. Annika e Lovisa invece facevano le sciocchine giocando con le loro bambole. Guardando Grethe, Olar il brigante si sentiva triste.
Grethe pensava ad Arnor che invece nel suo castello stava come al solito ascoltando le lamentele del padre. Il brigante Karsten non era assolutamente d'accordo che si incontrasse con la figlia del suo acerrimo nemico.

“Quante volte ti ho detto che non devi vedere quella bambina?”
“Sempre.”
“È cattiva ed è figlia di Olar. Tu sei buono, lei no! Sappi che oggi, durante la tua solita passeggiata ti farà compagnia il “vento Eskil,” devi ascoltarlo e stai attento alle strigi, alle vere strigi. Eskil mi ha riferito che la fata vi ha salvato tutte e due; ma ricorda che le strigi sono cattive e se mai dovessi incontrarle non guardare mai il loro volto. I loro occhi ti ridurrebbero in pietra. Hai compreso ciò che ti ho appena detto, Arnor?
Segui sempre il percorso e non addentrarti nella foresta fitta e buia. Porta con te questa corda, del cibo e acqua a volontà. Se hai paura, usa questo fischietto di terracotta, il suo suono mi condurrà al tuo cospetto! Un'ultima raccomandazione: non dimenticare mai di guardarti le spalle... ora vai, figlio mio.”
“ Seguirò alla lettera le tue raccomandazioni, papà!” Baciando sulla guancia entrambi i genitori, uscì dalla tenuta familiare.

Un vento leggero accarezzava il volto felice di Arnor, sussurrandogli:

“Cosa ne pensi se andassimo su quella montagna?”
“No, c'è il castello di Grethe e non voglio deludere mio padre!”
“Hai ragione”, soffiò il vento: “volevo dire l'altra montagna.”
“Ma ci abitano le strigi”, disse senza speranza il bambino.
“Giusto! Andiamo là. Vedrai, ci divertiremo. Te la senti di guadare il fiume?”
“Si”, rispose Arnor, “è un'ottima idea! Andiamo!”

Avanzando, il vento si fece meno intenso, sfiorando quasi i prati. Tutti gli animali della foresta osservavano stando ben fermi. Arnor saltellava sui sassi passando in mezzo al fiume. L'acqua limpidissima rifletteva la sua immagine come se stesse guardandosi in uno specchio.

“Ti piace?” chiese Eskil il vento.
“Oh si tantissimo. E' divertente, molto divertente...”
“Nasconditi”, sibilò ad un tratto il vento! “Subito! Ci sono le strigi.”

Un gruppo solitario di strigi errava alla ricerca di cibo. Una di esse aveva il volto completamente verde, gli occhi rossi e le labbra color del sangue. I suoi capelli neri, lerci ed arruffati, inquietavano.
Altre strigi svolazzavano intorno ad un' alce ferita, pronte a divorarla appena fosse spirata.

“Che schifo, che orrore e che maniera di mangiare”, disse Arnor.
“Sono strigi cattive, prive di educazione, animali volanti. Ora vediamo cosa faranno”, rispose Eskil il vento.
“Stanno bevendo l'acqua del fiume. Oh no, guarda Eskil l'acqua è diventata verde!”
“L'hanno avvelenata,” disse il vento. “Ma ci penso io. Darò loro una bella lezione!”

Eskil il vento, prese potenza e soffiando come un enorme mantice, sollevò l'acqua avvelenata, inzuppando le malefiche strigi.

“Vento inutile fatti vedere!” Urlarono con voce stridula le orribili strigi
“Io ti vedo strige verde”, disse ridendo il vento!
“Non devi prenderti gioco di noi”, biascicò una di loro. “Sono Dagny regina delle Strigi! Smettila di sfiorare le mie piume vento sciocco e inutile.”
“Mi diverto. Eccome se mi diverto”, ululò il vento.
“Siete affamate?”, chiese
“Certo stupido! Stanche e affamate...”
“Allora vi consiglio di andare al castello di Olar, dove staranno cuocendo dell'ottima carne.”
“Chiamate tutte le strigi!” – ordinò Dagny la regina suprema.

Arnor, che si era nascosto nella folta boscaglia vide una trentina di strigi volare verso il castello del povero Olar.

“Sali sulla mia groppa” disse Eskil al giovane Arnor, assumendo l'aspetto trasparente di un umano. Lo caricò sulle spalle, avvolto come un mantello e così protetto lo riportò al castello.

Appena vi giunsero, Karsten il brigante fece loro una sonora ramanzina.

“Spiegatemi perché avete mandato le strigi nell'altro castello? Ditemelo!!!!” urlò rosso dalla rabbia.
“Io non ho fatto nulla”, piagnucolò Arnor.
“ZITTO!” tuonò il padre

Il castello pareva dovesse crollare, tanto la voce del brigante echeggiava tra quelle dure pietre.

“Le ho mandate io le strigi dal tuo nemico, ma solo per salvare tuo figlio dalla cattiva strige verde.” disse Eskil.
“Tu hai osato mandare le strigi all'altro castello per salvare mio figlio? Zitto! Ho visto la scena e ho sentito che parlavi con la strige verde. QUANTE VOLTE TI HO DETTO CHE NON DEVI RIVOLGERLE LA PAROLA? QUANTE?” urlò sempre più furioso Karsten
“Papà, sono sano e salvo”, si intromise timidamente Arnor, per difendere il vento.
“Leggete qua! Presto nessuno potrà sentirsi al sicuro! Eskil da questo momento non dovrai più stare vicino alla mia famiglia! Leggi questa tremenda missiva e poi vattene!”

Karsten, maledetto brigante, stai mandando le strigi nel mio castello!
Io ti manderò l'esercito.
Vuoi la guerra e guerra sarà!
In questa guerra non ci saremo solo noi con i nostri eserciti
Voglio che combatta anche Arnor!
Con me ci sarà la mia Grethe.
Questa volta, la nostra guerra sarà terribilmente dura!
Vedremo chi ne uscirà vincitore!

Il silenzio calò nella stanza, poi il brigante ordinò al vento di scomporsi e sparire. Arnor venne obbligato a rifugiarsi sulla torre più alta del castello, ma appena giuntovi decise di richiamare il vento.

“Esssssssssskil dove sei?”
“Bambino, bambinello eccomi qua, sono il tuo venticello...”
“Eskil, tu devi aiutarci. Io non voglio perderti come amico!”
“Bambino, bambinello, lo sai... potrai sempre contare sul tuo venticello...”
“Grazie, Eskil. Tu sei prezioso. Promettimi che ascolterai i discorsi di papà senza che scopra la tua presenza e poi, mi riferirai ogni parola!”

Quella sera nel castello di Karsten, c'era euforia. Una nuova guerra contro Olar stava per cominciare e i briganti erano al settimo cielo.

“Finalmente vedremo chi la spunterà”, andava dicendo Kik
“Quella palla di lardo con tre figlie, perderà” – aggiungeva Zuk
“Si certo che perderà! Sua figlia non è da meno. E' brutta come la morte” rincarava la dose Borka.
“Buoni miei briganti. Tra due giorni inizierà la dura battaglia! Tu, Berta, dovrai preparare i pasti migliori e abiti adatti alla guerra. Armi, corazze e frecce, più un carro colmo di sassi taglienti!” Cosi dicendo, Karsten tentava di rabbonire i suoi uomini.

Arnor provava molta paura per l'imminente guerra.
In uno di quei giorni gli apparve la fata, sempre tanto bella e amorevole. Il bianco della veste che indossava e i monili d'argento che portava, la rendevano ancora più delicata nelle fattezze. La fata gli sorrise con dolcezza.

“Mio caro Arnor dei briganti, afferra il tuo ciondolo e posalo sopra il catino di zinco. Aspetta e vedrai qualcosa... sappi che la guerra che prosegue da anni, grazie all'amore due piccole creature, potrebbe finire. Loro saranno in grado di mutare il corso della storia. Basta solo crederci. Ora prendi l'arco e la freccia più piccola che trovi: scrivi un messaggio a Grethe. Tu Eskil, farai in modo che la freccia lanciata da Arnor raggiunga la stanza della sua amata. Fallo subito...”, disse dolcemente la fata.

Arnor ubbidiente, prese la freccia e la scagliò verso il castello di Grethe. Incisa sul legno vi era questa semplice frase: Ti Voglio Bene! Fatto questo, guardando nel catino vide sprigionarsi un fuoco con una tale furia da distruggere qualsiasi cosa.

La fata se ne andò, lasciando Arnor senza risposte e leggermente confuso. Per la troppa stanchezza il ragazzino si addormentò. Intanto il vento era riuscito a portare a Grethe il messaggio inciso sulla piccola freccia. La bambina lesse le parole di Arnor. Una strige odiosa e puzzolente la stava osservando, deridendola.

“Sei brutta. Sei nata in una serata di pioggia come quell'altro brutto bambino di Arnor. Cosi le tue sorelle. Pure loro brutte. Fai paura! Guarda i tuoi capelli, arruffati e sporchi. In nome delle strigi cattive sarai il mio pranzetto e anche la cena!”
“Non ho chiesto la tua opinione.” Rispose con rabbia la giovane Grethe.
“Oh si, brutta mia. Sappi che scorrerà tanto sangue e noi strigi ne saremo felici. Ah Ah Ah...”
“Io non ne sarei sicura!” disse una voce.
“Chi ha parlato? “ chiese tremante la bambina.
“Sono Pietralbero! Ho ascoltato i vostri discorsi e vi dico che stanchi di essere preda del fuoco delle vostre armi, sapremo difenderci!”
“Voi alberi non farete nulla.” disse la strige con rinnovata cattiveria.
“Staremo a vedere. Vi schiacceremo tutte.” Rispose l'albero.
“Parole, solo inutili parole!” Aggiunse frettolosamente la strige prima di allontanarsi dal castello. Sembrava una macchia nera che volava incontro alla luna.
“Buona notte, Grethe.” disse l'albero facendole l'occhiolino.

Quella sera, Grethe cercava faticosamente di addormentarsi, perché nella testa gli frullavano un nome e un volto amato: Arnor! Gli piaceva così tanto, ma non poteva essere sua amica per questioni familiari assai complicate e tutto ciò la rattristava immensamente. Per non piangere si mise a canticchiare la canzone dei lupi:

All'alba mi sveglierò
Nella foresta andrò
Per poter cacciare
E potermi sfamare
Onestamente lotterò
E la mia preda avrò
In un giorno di sole
Io così andrò
I miei fratelli
Nel branco mi proteggono
Anch'io sarò lì con loro
E mai più li lascerò.

Alla fine il sonno la colse, tanto era stremata. Sognò la pace tra le due bande rivali di briganti. Anche Pietralbero chiuse gli occhi, abbandonandosi al sonno.
Gli alberi erano da sempre amici degli uomini, per questo i briganti obbligavano chiunque ad averne il massimo rispetto.

Anche Eskil il vento, si era affezionato ad Arnor e Grethe, figli di due famiglie nemiche, tanto da non volere più soffiare a favore di una o dell'altra. Nel gruppo di Olar c'era già chi preferiva non combattere.
Matis, per esempio, aveva compreso che tra Arnor e Grethe era nato qualcosa di importante.
Olar, che spiava i propri compari, sentendo questi discorsi, si arrabbiava e con furia obbligava gli uomini a tacere.

“Non voglio che si parli di mia figlia! Tanto meno del figlio del nostro nemico!”

Le due bande si preparavano all'imminente battaglia e le strigi si consultavano. La riunione fu tenuta vicino a un dirupo. La voce stridula e beffarda delle strigi urtava i nani della foresta.

“Tor, stai dormendo?”– chiese Dagmar
“Povera trulla a sentire quelle voci, mi vengono i brividi” rispose Tor
“Vorrei dare tante di quelle legnate a quelle strigi” aggiunse Dagmar, che stava ricamando.
“Arriverà il momento.” sospirò Tor mentre riempiva il camino della sua pipa.
“Chiamiamo gli altri nani della montagna: Claes, Erkki, Gert, Håkan, Olavi, Åse, Hilma, Kajsa, Ottilia. Si deve indire una riunione e studiare la maniera di distruggere una volta per tutte, le maledettissime strigi.”

In quel momento apparve la fata bianca. I due nani si misero in ginocchio davanti a lei.

“Oh, fata bianca io e mia moglie stavamo disquisendo su come eliminare le cattive strigi.”
“Miei cari nani non temete! Gli alberi verranno in vostro aiuto! Procuratevi molte frecce. Quelle si che servono! Io mi tramuterò in un'oca così che possiate saltare sopra di me, uno a uno vi condurrò sul campo di battaglia. Ma ora dormite, saranno giorni tempestosi!”

La fata si rese invisibile per ascoltare i discorsi delle strigi che come in un sabba infernale si erano intanto riunite sotto il dirupo più impervio del bosco.

“Oh siii, Grethe e Arnor sono i miei favoriti. Diventeranno il mio pranzetto! Tanto sangue succulento”, disse una strige sbattendo le ali.
“Noi divoreremo gli altri briganti e saremo sazie per un anno intero”, ridacchiavano le altre.
“E le due bambine, quelle che giocano a fare le principesse, ci cucineranno i briganti. Saranno ridotte in schiavitù! Ohhhhh siiiiiiii.... Che deliziosi pensieri abbiamo!”
“Dobbiamo però stare attente alle oche. Dicono che una di loro sia mooolto cattiva. Il suo nome è Akka e possiede poteri magici.”
“L'importante è che non tenti di trasformarci in formiche o piccoli animali. Sarebbe la nostra fine. Già la strega del Monte Kjell ci ha ridotte così. Orribili, senza gambe e braccia... senza un vero corpo...”

La fata aveva ascoltato abbastanza! Ora sapeva come castigare le strigi senza doverle uccidere.
Domenico Del Coco
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