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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
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Writer Officina
Autore: Myrddin Emrys
Titolo: Quel maledetto silenzio
Genere Romanzo Rosa
Lettori 3449 35 55
Quel maledetto silenzio
Damiano sbatté le palpebre, non riuscendo a capire. Serena gli stava dicendo che si era innamorata di un altro e che non voleva più sentirlo né vederlo. E lo diceva con tono sostenuto, come se lo accusasse di qualcosa che lui neppure sapeva di aver fatto.
In quel preciso istante, mentre il suo mondo crollava, riusciva a vedere solo l'alito di lei che si condensava al freddo, come se quella nebbiolina li stesse separando definitivamente.
La vide girare sui tacchi con aria impettita e allontanarsi dall'ateneo dove entrambi studiavano. Il primo impulso fu quello di raggiungerla per chiederle maggiori spiegazioni, per capire dove avesse sbagliato; ma poi rifletté su quelle tre parole: amo un altro.
Aveva detto tutto e la colpa non era di nessuno se il sentimento era svanito.
Sospirò, sentendosi morire. Aveva plasmato la sua vita su quegli ultimi quattro anni, consapevole di aver trovato la donna giusta per mettere su famiglia; invece Serena lo aveva liquidato con una freddezza che lo aveva lasciato senza parole.
Con passo lento uscì dal centro storico di Perugia per andare a prendere la moto che lo avrebbe condotto a Spello, dove lavorava per mantenersi agli studi. Si sentiva intontito e avvertiva con fastidiosa insistenza che quella sensazione se la sarebbe portata dietro per un bel po'.

***

Si fermò dinanzi al cartello esposto sulla vetrina del negozio e lesse: “Cercasi commessa esperta full-time”.
Alzò lo sguardo sull'insegna e vide che si trattava di una pizzeria a taglio, una di quelle che a Roma abbondavano e che altrove erano quasi sconosciute.
Una commessa, non un commesso. Per di più esperta, mentre lui non aveva la più pallida idea di come servire dietro un bancone. Non lo riteneva difficile, tuttavia non lo aveva mai fatto. Aveva bisogno di un impiego per mantenersi altrimenti sarebbe dovuto tornare a Roma, e dopo tutti quegli anni trascorsi a studiare a Perugia la prospettiva non lo allettava. Non solo avrebbe significato il fallimento dei suoi propositi ma, soprattutto, avrebbe significato tornare in una città che per lui racchiudeva dolorosi ricordi.
Già da qualche giorno aveva iniziato a spulciare i giornali che riportavano richieste di lavoro e aveva fatto diversi tentativi prima di notare quella di Spello. Gli era sembrata una buona occasione. Non aveva avuto sentore che si trattasse di una pizzeria a taglio: l'annuncio parlava solo di lavoro full-time e poiché la distanza tra Perugia e Spello non era enorme, aveva deciso di provare.
Guardò l'orologio al polso, si strinse nel giubbotto ed entrò. Non era ancora ora di pranzo e nel negozio trovò solo due adolescenti che stavano acquistando una lattina di birra. Birra a quell'ora? Il solo pensiero gli fece venire la nausea.
Quando i due giovani uscirono, il commesso dietro il bancone lo guardò e lo invitò:
- Mi dica. -
Rossano mise le mani nelle tasche del giubbotto, osservò il grembiule bianco che indossava il ragazzo, la bustina nivea che cercava di nascondere i capelli chiari e rispose:
- Ho letto l'annuncio e il cartello esposto. -
L'altro esitò, preso alla sprovvista e dalla cucina alle sue spalle si udì qualcuno trafficare con pentole e teglie.
- Ah, sì... Scusa se te lo dico, - sogghignò sorvolando sulle formalità, - ma per essere una donna sei piuttosto brutto. -
A quelle parole Rossano non riuscì a trattenere un sorriso divertito e rispose:
- Sì, suppongo di sì. Però mi chiedevo se fosse comunque possibile fare qualche giorno di prova. -
L'altro posò il forchettone e il tagliapizza sul bancone e spiegò con calma:
- Fosse per me non avrei problemi, ma il principale ha detto che preferisce una ragazza. Magari anche giovane e bella. - aggiunse con un moto di complicità.
Rossano annuì, inebriato dal profumo che emanavano le pizze nei forni e che in quegli anni gli era mancato, quindi provò a insistere:
- Si è già presentato qualcuno per questo posto? -
Il commesso scosse la testa e Rossano fece un gesto eloquente con la mano, continuando:
- Allora, se non si è presentato nessuno perché non posso provare io? Male che vada avrò buttato qualche giorno e voi avrete avuto un po' di aiuto. -
Damiano lo guardò, inquadrandolo per quello che era: uno studente in cerca di sostentamento per terminare gli studi. Esattamente come lui. Solo che questo sembrava più giovane, forse ancora al triennio, mentre lui stava per laurearsi in storia dell'arte.
Si soffermò sul bavero del giubbotto alzato che incorniciava un volto ovale, dai lineamenti delicati e per una frazione di secondo si domandò se Serena si fosse innamorata di un tipo simile. No, non doveva pensare a lei, sebbene la separazione di due giorni prima fosse ancora una ferita aperta che gli impediva di distogliere il pensiero.
- Sei romano, vero? - domandò Rossano distraendolo dalle sue riflessioni.
Damiano sbatté le palpebre tornando al presente e rispose:
- Sì. Anche tu, a quanto sento. -
- Già. E chi meglio di un romano conosce la pizza? - ammiccò.
Damiano ridacchiò, si sporse sul bancone e indicando con il pollice alle proprie spalle suggerì:
- Non farti sentire dai napoletani. Soprattutto dal capo: è partenopeo. Senti, - disse infine raddrizzando la schiena e pulendosi le mani sul grembiule, - te lo chiamo, così ci parli di persona. -
Con un sorriso speranzoso Rossano ringraziò e rimase in attesa, mentre il commesso spariva in cucina.
In quel momento una cliente entrò nel negozio e dopo aver visto il bancone senza l'inserviente, portò l'attenzione su Rossano.
- C'era prima lei? - s'informò.
- No, faccia pure. - rispose tirandosi indietro.
La giovane gli rivolse un sorriso di apprezzamento, nel momento in cui Damiano si affacciava dalla cucina e si apprestava a servire.
- Buongiorno, mi dica. - disse il ragazzo riprendendo in mano forchettone e tagliapizza.
La giovane continuò a fissare Rossano per un po', palesemente interessata a ciò che stava ammirando e solo quando Damiano si schiarì la voce si decise a ordinare. Dopo aver pagato e preso il pezzo di pizza incartato, si rigirò verso Rossano e gli sorrise di nuovo, ricevendo in cambio un'occhiata compiaciuta.
- Ah, però! - mormorò Damiano con tono divertito. - Il capo farebbe meglio ad assumerti: saremmo sommersi da donne! -
Rossano rise, consapevole di avere un certo ascendente sull'altro sesso e quando vide un signore emergere dalla cucina, si fece serio e inspirò a fondo.


Capitolo 1


Damiano si fermò sotto casa di Rossano e attese dopo aver controllato l'ora. Sperò che l'altro non facesse tardi poiché ci voleva circa mezz'ora per arrivare a Spello. Se solo avessero usato la sua moto avrebbero fatto prima, ma Rossano aveva rifiutato, argomentando che non aveva gli indumenti adatti per andare in motocicletta in inverno e che temeva di ammalarsi.
Avevano stabilito di comune accordo di andare al lavoro insieme, in modo tale da spartirsi la spesa della benzina: era un modo come un altro per risparmiare e per socializzare anche al di fuori dell'orario lavorativo.
E loro due, essendo romani, avevano simpatizzato subito. Avevano iniziato a frequentarsi anche dopo l'orario di lavoro e ogni tanto si ritrovavano a bere una birra in un locale prima di rientrare a casa a studiare.
Nell'attesa, Damiano girò lo sguardo intorno e ammirò ancora una volta lo stile architettonico di Perugia. C'era di meglio, lo aveva scoperto in quegli anni scorrazzando tra Umbria e Toscana, eppure il capoluogo umbro aveva il suo fascino.
E se avesse sbagliato a studiare arte anziché architettura? Scosse la testa e si strinse nel giubbotto: no, amava troppo i dipinti e gli stili pittorici.
Alcuni ragazzi gli passarono accanto, apprestandosi ad andare a lezione in facoltà, mentre alcune mamme con bambini infagottati si avviavano al bar per chiacchierare e trascorrere il tempo. La vita a Perugia scorreva tranquilla e lui in quei sette anni ci aveva fatto l'abitudine.
Era partito da Roma a vent'anni, dopo un infruttuoso anno in un ateneo caotico dell'Urbe.
Essendo figlio unico era cresciuto viziato e coccolato e sua madre aveva fatto di tutto per non farlo partire, adducendo la scusa che non sarebbe riuscito a cavarsela da solo. Ed era stata quell'insinuazione che lo aveva reso risoluto: avrebbe dimostrato come anche un viziato poteva cambiare e imparare a sostentarsi da solo.
Certo, all'inizio se l'era presa comoda, preferendo divertirsi anziché perdere tempo sui libri ma quando aveva conosciuto Serena le cose erano cambiate. A quel punto si era reso conto che avrebbe dovuto dare una svolta alla sua vita se voleva costruire qualcosa con lei. Si era messo di impegno a recuperare il tempo perso e quando i suoi genitori gli avevano tagliato i viveri, stanchi del suo continuo nicchiare, si era visto costretto a cercare un lavoro per affrontare l'ultimo anno di università.
Si adombrò, pensando che tutti i suoi sacrifici volti a mettere su famiglia si erano volatilizzati in quelle ultime due settimane, da quando Serena lo aveva lasciato.
- Eccomi. - si palesò Rossano uscendo dal portone.
Damiano tornò al presente, relegando i propri problemi in un angolo della mente e osservò l'amico, notando le occhiaie sul suo volto.
- Dormito male? - domandò.
- Magari avessi dormito! - esclamò Rossano divertito. - Erika è rimasta da me. -
- Ah, capisco. Vecchio marpione! - e gli assestò una gomitata nel fianco.
L'altro rise e con calma si avviarono verso il parcheggio. Rossano aprì la macchina e si mise alla guida, soffiando sulle mani per scaldarle.
- Guarda. - disse Damiano tirando fuori dalla tasca del giubbotto una chiavetta USB.
L'attaccò alla presa dello stereo e si udirono le note di una canzone di Vasco Rossi.
- E andiamo! - esclamò Rossano con un sorriso.
Cantarono con voce stonata e Damiano si divertì a imitare Vasco anche nelle movenze, facendo ridere l'altro. La musica aveva avuto il potere di avvicinarli e ascoltarla, soprattutto di mattina, li metteva di buonumore per affrontare la giornata lavorativa.
Damiano smise di urlare e dimenarsi e si concentrò su Rossano, intento alla guida.
- Torni a Roma per Natale? - domandò.
- Sì, ci torno tutti gli anni. E tu? -
- Anche io. -
Rossano rifletté un attimo, quindi commentò:
- Mi sa che quest'anno, però, farò solo due giorni. -
- La pizzeria lavora parecchio in questo periodo. Siamo fortunati che Toto chiuda per Natale e S. Stefano, altrimenti avremmo dovuto lavorare anche in quei giorni. -
L'altro annuì, pensando che, tutto sommato, era meglio così e mormorò:
- Sarà un'ammazzata, ma non me la sento di mancare. I miei ci tengono. -
- Di che zona sei? - domandò Damiano.
- San Basilio. - rispose reprimendo una smorfia.
- Prati. -
Un'espressione sorpresa si dipinse sul volto di Rossano, che commentò:
- Bella zona. Facoltosa. -
- Sì, piena di soldi e piena di preti! - rise.
- Già. - convenne tornando a concentrarsi sulla guida.
Damiano indugiò un attimo, osservando il profilo dell'altro, quindi domandò:
- Ci vai con Erika? -
- Sì. Ormai stiamo insieme da due anni e a lei Roma piace. - commentò Rossano facendo un vago cenno con la mano.
- Aha! Sento un tono strano. Che c'è? Roma non ti piace? -
- Non ho detto questo. - rispose lanciandogli una rapida occhiata. - E tu che sei di Roma hai capito cosa intendo. -
Damiano non poté far a meno di convenire con lui, ricordando con fastidio la vita frenetica fatta nella capitale e la decisione presa di trasferirsi a Perugia.
- Allora? - riprese cambiando tono. - Da due settimane hai iniziato a lavorare da “Pizza Magia” e non mi dici nulla? -
Rossano abbozzò un sorriso e rispose:
- Cosa vuoi che ti dica? Lavoro sì, ma ora ho meno tempo per studiare. E tu da quanto tempo lavori da “Pizza Magia”? -
L'altro emise un grugnito rassegnato e replicò:
- Un anno. So bene cosa significhi lavorare e studiare: fuori corso sistematico. Quanto ti manca per laurearti? -
- Altri sei esami. E tu? -
- La tesi. -
Rossano lo guardò un attimo prima di concentrarsi di nuovo sulla guida, pensando che a lui, di quel passo, sarebbe occorsa una vita.
Damiano non aggiunse altro e continuò a guardarlo per un po', impossibilitato a staccare gli occhi da lui; quindi portò la mano alla fronte e subito dopo riprese a cantare insieme a Vasco.
Era strano, eppure il fascino discreto di Rossano lo aveva in qualche modo colpito. Fin da quando aveva messo piede nel negozio si era accorto che qualcosa in lui aveva attratto la sua attenzione e se per un po' aveva immaginato si trattasse solo di curiosità, con il tempo aveva dovuto arrendersi all'evidenza che gli piaceva guardalo.
E la cosa lo lasciava alquanto perplesso.

***

Il cliente che stava mangiando seduto a uno dei tavolini non faceva che tracannare una bottiglia di birra dietro l'altra e quando ordinò l'ennesima, Rossano scambiò un'occhiata preoccupata con Damiano.
Questi gli fece cenno di rimanere dietro il bancone mentre lui si avvicinava all'uomo, sfoderando un sorriso che nell'intenzione avrebbe dovuto essere conciliante.
- Mi dispiace, signore, ma la birra è terminata. - annunciò.
Il cliente ciondolò la testa prima di alzarla per guardarlo e ringhiò:
- Che cazzo hai da ridere? Vuoi prendermi per il culo? - e indicò il frigorifero pieno di bevande.
Da dietro il bancone Rossano seguiva la scena con attenzione e si allarmò quando udì quelle parole. Lanciò un'occhiata fuori del negozio, nella speranza di veder tornare Toto, il datore di lavoro e proprietario della pizzeria; ma l'uomo era dovuto andare in banca a Foligno e non si sapeva quando sarebbe tornato.
Pertanto, se la sarebbero dovuta vedere lui e Damiano.
- La birra è terminata per lei. - spiegò Damiano con tono fermo, continuando a sorridere con fare conciliante.
L'uomo, che indossava un impeccabile abito che contrastava con la barba lunga e i capelli arruffati, registrò con difficoltà le parole del ragazzo, già preda dell'alcool che gli inibiva la mente, e quando capì si imbufalì.
Rossano lo udì sbraitare, insultare e minacciare il suo amico, che rimaneva ieratico sotto quel fiume di volgarità, mentre lo invitava a pagare il conto e andarsene. Era la prima volta, da quando aveva iniziato a lavorare lì, che gli capitava di assistere a una scena simile e in cuor suo sperò che non arrivassero clienti: non avrebbe saputo come comportarsi.
Quando vide l'uomo alzarsi con chiare intenzioni, facendo rovesciare la sedia dove era stato seduto, il primo istinto fu di cercare un coltello per andare a difendere il collega. Ma poi lo vide barcollare e reggersi a mala pena sulle gambe e comprese che non era pericoloso.
Lo vide dare una spinta a Damiano, che fece un passo indietro e un attimo dopo il vassoio dove l'uomo aveva mangiato finì sulla testa del suo collega, facendogli volare via la bustina.
A quel punto non resistette più, girò intorno al bancone, afferrò l'uomo per la giacca e lo strattonò, pronto a colpirlo con un pugno. La mano di Damiano lo bloccò agguantandogli il braccio e Rossano rimase incredulo dinanzi a quel gesto.
- Non farlo, se non vuoi che ci denunci. Lascia fare a me. -
- Ma ti ha tirato il vassoio! -
Un secondo dopo il pugno che Rossano avrebbe voluto tirare gli giunse in volto, colpito dall'uomo che si era sentito aggredito. Strinse gli occhi per il dolore alla mandibola e mollò la giacca, finendo tra le braccia di Damiano.
Questi si accertò che stesse bene, quindi prese il cliente per un braccio e lo trascinò fuori del negozio, per evitare che combinasse altri guai, mentre gridava all'altro:
- Chiama i carabinieri! -
Ancora stordito per il pugno preso, Rossano ubbidì e con voce alterata spiegò al centralinista cosa stesse accadendo mentre teneva d'occhio l'uomo che lottava con Damiano. Si accorse che alcuni passanti si erano fermati per osservare e i proprietari dei negozi limitrofi si erano affacciati, pronti a intervenire se le cose fossero degenerate.
- Sì, grazie, fate presto. - concluse richiudendo la comunicazione.
Dopo di che si portò all'entrata della pizzeria e scambiò un'occhiata con l'amico, indifferente al freddo decembrino che faceva condensare gli aliti.
- Ubriaco? -
Si girò verso la commessa del negozio di abbigliamento che aveva parlato e annuì.
- Era da tanto che non succedevano cose simili. Ma sotto le feste, chissà perché, la gente impazzisce. -
Rossano rifletté su quelle parole e girò lo sguardo sugli addobbi natalizi in quel momento spenti ma che al crepuscolo si sarebbero illuminati per rendere variopinta la serata e donare un senso di calore.
Lui odiava il Natale. No, odiava tornare a Roma per Natale, ma non poteva farne a meno. Lui e Patrizia si alternavano per non incontrarsi e ogni volta era uno stillicidio. Tutto sommato, con la scusa del lavoro quell'anno avrebbe fatto solo due giorni e già la situazione sarebbe risultata più sostenibile delle due settimane degli anni passati.
Le forze dell'ordine arrivarono nel giro di pochi minuti e l'uomo fu portato via, mentre un carabiniere entrava in pizzeria seguito da Rossano e Damiano per stendere il verbale.
Mentre Damiano spiegava l'accaduto, Rossano si mise a ripulire il danno causato dal cliente ubriaco, accorgendosi solo in ritardo dell'odore di bruciato.
- Oh, no! - gemette correndo al forno.
L'unica teglia che Toto aveva infornato prima di andarsene era irrimediabilmente persa e Rossano immaginò la reazione del principale appena fosse tornato. Si accorse dell'occhiata di Damiano seduto al tavolino con il carabiniere e si morse le labbra, mortificato.

***

Damiano si osservò allo specchio piccolo attaccato sopra il lavandino del bagno e imprecò sommessamente. La bustina e una parte di capelli erano unti e sporchi di pomodoro, quanto rimaneva del pasto del cliente.
Dalla cucina si udiva Toto bofonchiare con il suo stentato italiano infarcito di napoletano, mentre il gestore di un negozio contiguo gli raccontava l'accaduto.
Damiano distolse lo sguardo da sé per posarlo sull'immagine riflessa di Rossano, immobile alle sue spalle. Aveva l'aria sconfortata per aver lasciato bruciare la teglia di pizza e nel negozio si annusava ancora l'odore acre che continuava a rammentargli la disattenzione.
Si girò e lo rassicurò:
- Non è colpa tua. Anche Toto lo ha detto. -
- Non cambia nulla. -
Damiano rigirò la bustina sporca tra le mani e con stizza la gettò nel lavandino. Inspirò a fondo, si toccò i capelli unti e aprì il rubinetto per cercare di lavarli e togliere il grosso dello sporco.
Rossano lo guardò un attimo, quindi gli bloccò il braccio e mettendosi tra lui e il lavabo esclamò:
- Vuoi ammalarti? Non abbiamo un asciugacapelli e con questo freddo rischi di prenderti un raffreddore. Vuoi rinunciare a trascorrere il Natale a Roma? -
Damiano sospirò e rispose:
- Lo so, hai ragione, ma non posso mostrarmi ai clienti in queste condizioni. Che figura ci faccio? -
- Già. - convenne meditabondo.
Rifletté, studiò la parte di capigliatura sporca e alla fine tolse la propria bustina e la pose sulla testa dell'altro, un po' di sbieco per nascondere il danno. Quindi lo squadrò con aria seria e infine sorrise agitando la mano.
- Ecco: così può andare. -
Damiano non rispose, troppo scosso per farlo.
Era rimasto immobile a fissare il volto di Rossano così vicino al suo da notare le pagliuzze dorate negli occhi nocciola, la bocca morbida, i denti candidi, il naso alla francese e la frangetta che gli sfiorava le sopracciglia castane. E si era irrigidito maggiormente quando aveva preso coscienza dello strano batticuore che aveva iniziato a rimbombargli nelle orecchie.
Distolse lo sguardo da lui che sorrideva, realizzando che quel sorriso lo illuminava, rendendolo più affascinante del solito. Cosa gli stava accadendo? Perché un uomo gli procurava quelle emozioni così strane? Capiva come il fascino di una persona potesse attrarre gli sguardi, gli era già capitato. Tuttavia il suo cuore non aveva mai preso una folle rincorsa come in quel momento.
Forse doveva decidersi a trovare una nuova ragazza che gli facesse dimenticare Serena e ritrovare uno slancio affettivo.
Deglutì e fece un passo indietro, preferendo mettere un po' di distanza tra loro.
- La mandibola? - domandò con voce strozzata.
Rossano si toccò la parte sinistra del volto che aveva ricevuto il pugno e abbozzò una smorfia.
- Dolorante, ma va bene così. Si gonfierà e mi ritroverò con una schiera di donne pronte a farmi da infermiera. - concluse facendo l'occhiolino.
Quella battuta lo riportò alla realtà e annuì divertito.
- Ah! È questo il segreto? Fare leva sulla sindrome della crocerossina? Allora vedrò di farmi venire un bernoccolo dove mi ha colpito il vassoio, così sarò sommerso di coccole anche io. -
Rossano sogghignò e passò una mano tra i capelli, borbottando:
- Già immagino la faccia che farà Erika stasera. Dovrei metterci un po' di ghiaccio, quantomeno non si gonfierà. -
Damiano allungò la mano e toccò con delicatezza il volto dolorante dell'altro, notando che si era arrossato e che erano visibili i segni delle nocche dove il pugno lo aveva colpito. Con le dita indugiò sulla guancia e arrivò a toccargli i capelli intorno all'orecchio, ad attorcigliarli alle dita in una carezza delicata.
Rossano rimase immobile, sorpreso da quel gesto. La sua espressione era più incuriosita che altro e solo in quell'istante Damiano si rese conto di cosa stesse facendo.
Ritirò la mano, sentendosi arrossire fino alla radice dei capelli e si girò di scatto per non mostrare il turbamento. Bofonchiò qualcosa riguardo alla botta ricevuta in testa, si schiarì la voce e sorridendo esortò:
- Andiamo, altrimenti Toto ci darà per dispersi. -

***

Erika sorrise e gli buttò le braccia al collo, mentre Rossano richiudeva la porta di casa. I baci che lei gli posò sulla guancia lo fecero sussultare dal dolore e la ragazza lo guardò con apprensione.
- Che succede? Ora non vuoi più neppure che ti baci? -
Lui scosse la testa e si sciolse dall'abbraccio, mostrando la guancia tumida e livida. Erika sgranò gli occhi, tolse il cappotto gettandolo sul divano che aveva conosciuto giorni migliori e si concentrò sull'ematoma.
- Che significa? - domandò.
- Un cazzotto. - rispose tornando a stirare.
Vivendo da solo, aveva imparato a badare a tutto ma da quando aveva iniziato a lavorare era stato costretto a lasciare indietro un po' di faccende domestiche. Il giorno prima si era accorto che non aveva più nulla da indossare e di corsa aveva messo su la lavatrice e steso i panni sopra i termosifoni per farli asciugare il prima possibile.
Ora doveva assolutamente stirare se voleva indossare qualcosa di pulito il giorno dopo.
- Hai fatto a pugni con Damiano? - s'informò Erika.
Rossano la guardò incupendosi e rispose:
- Cosa c'entra Damiano? E poi cosa significa “ora non vuoi più neppure che ti baci”? Neppure? - sottolineò inarcando un sopracciglio.
Erika posò la mano su quella di Rossano che teneva il ferro da stiro, senza staccargli gli occhi di dosso e con espressione scontenta spiegò:
- Da quando lavori non riusciamo più a stare insieme come prima. -
Il ragazzo la guardò, riflettendo. Aveva ragione: da quando aveva iniziato a lavorare la sua esistenza era cambiata. Certo, ora aveva i soldi necessari per poter continuare a studiare, però non aveva più una vita sociale. La sua famiglia aveva fatto fin troppo in quei sei anni e ora che quei pochi soldi che gli spedivano non bastavano più, aveva preferito cavarsela da solo anziché chiedere ai genitori.
Con un sorriso posò il ferro e allargò le braccia in un chiaro invito. Lei gli si strinse addosso, posò la testa e la mano sul suo torace, giocherellando con i bottoni del maglione.
- Lo sapevi che il tempo a nostra disposizione sarebbe diminuito. - riprese Rossano accarezzandole i capelli con dolcezza. - Faccio fatica anche a trovare il tempo per studiare. -
- Devi per forza lavorare tutto il giorno? -
- Se avessi potuto scegliere avrei preferito mezza giornata. Ma questo è quanto sono riuscito a trovare. E mi reputo fortunato. -
Lei fece una smorfia, alzò la testa e lo guardò prima di passargli la mano dietro la nuca per tirarlo a sé e reclamare un bacio. Rossano non si fece pregare e la strinse tra le braccia, sentendola gemere come una gattina. Con una mano le alzò il maglione e si impossessò di un seno, sussurrando tra un bacio e l'altro:
- Sei bellissima, lo sai? -
Erika sorrise e lasciò scivolare le dita fino alla zip dei suoi jeans, rispondendo:
- Anche tu. -
Il ragazzo trattenne il respiro e chiuse gli occhi al tocco delle sue mani. Per un attimo nella sua mente transitò l'immagine di Damiano che gli accarezzava la guancia e i capelli sopra l'orecchio, e sentì il cuore perdere un battito.
Stordito da quella visione, si accorse che la mente lo stava riportando indietro nel tempo, all'ultimo anno trascorso a Roma prima di trasferirsi a Perugia.
Con un gemito iniziò a spogliare Erika, concentrandosi su di lei e non sul cuore lasciato nella capitale.

***

Era diventato un dato di fatto: all'ora del pranzo la pizzeria si riempiva di commesse dei negozi vicini che, anziché portarsi il mangiare da casa, avevano deciso che era meglio andare da “Pizza Magia” e scambiare due chiacchiere con Rossano e Damiano.
I tre tavolini -l'unico lusso che poteva permettersi il negozio- erano lasciati ai turisti, mentre le giovani preferivano rimanere in piedi accanto al bancone per stare più vicine ai due commessi. E loro, quando lasciavano a Toto il posto dietro al bancone e si ritrovavano in cucina per consumare il pranzo, si divertivano a commentare i vari tentativi di approccio e a lodare o denigrare le fattezze fisiche di ognuna.
E nel frattempo arrivò il Natale e sia Damiano sia Rossano tornarono a Roma per trascorrerlo in famiglia.
Quando, tre giorni dopo, ripresero il lavoro, Damiano annunciò che aveva trovato una nuova ragazza.
Myrddin Emrys
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