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Dacia Maraini nasce a Fiesole (Firenze). La madre Topazia appartiene a un’antica famiglia siciliana, gli Alliata di Salaparuta. Il padre, Fosco Maraini, per metà inglese e per metà fiorentino, è un grande etnologo ed è autore di numerosi libri sul Tibet e sull’Estremo Oriente. Nel 1943 si trova con la famiglia in Giappone e vive la drammatica esperienza di un campo di prigionia. Ad oggi, è considerata a pieno titolo "la signora della letteratura Italiana".Gli ultimi romanzi pubblicati con Rizzoli, sono Corpo Felice e Trio.
Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
"Il destino di ogni uomo è un segreto sepolto nel silenzio" A pronunciare queste parole è Glenn Cooper, uno scrittore che ha venduto milioni di copie in tutto il mondo e che ha un legame particolare con la storia Italiana. Il suo ultimo libro si intitola Clean - Tabula Rasa e racconta di una epidemia mondiale molto simile a quella che abbiamo appena vissuto.
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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Andrea Corcione
Titolo: La Teoria Degli Equilibri
Genere Romanzo Umoristico
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La Teoria Degli Equilibri
Era una domenica di aprile, faceva già piuttosto caldo, stavo rientrando a casa, potevano essere le due del pomeriggio. Davanti al portone di ingresso del mio condominio vidi una persona, un tizio alto e grosso con una camicia chiara e un libro in una mano. Era intento a leggere le targhette con i nomi sul citofono. Scorreva i nomi dall'alto al basso, con il ditone puntato. Erano già diversi secondi che lo osservavo, lui non si era ancora accorto della mia presenza. Continuava a scorrere un nominativo alla volta con il suo grosso indice. Mi avvicinai, chiesi permesso, si era piazzato davanti al portone di ingresso, io volevo solo rientrare a casa, ma metà del suo culone ingombrava il passaggio. A quel punto si girò di scatto, mi sorrise, con un evidente difetto di pronuncia, la cosiddetta zeppola, mi disse:

- Abita qui? Io faccio parte dei Testimoni della fede, sono in giro per far conoscere la parola di Dio... -

Mi venne quasi da ridere, aveva una voce stridula, quasi da bambino, oltre alla zeppola del gatto Silvestro. Comunque tagliai corto, gli dissi un secco no, entrando nell'androne del mio condomino. Richiusi violentemente il portone come gesto chiaro e inequivocabile, non ero interessato alle chiacchiere, soprattutto le sue. Non avrei mai sprecato il mio tempo con quelle sciocchezze. Tornai a casa, nemmeno il tempo di togliere la giacca, il suono del citofono. Un suono continuo, qualcuno stupidamente stava tenendo il dito poggiato sul tasto, senza mai staccarlo.
Velocemente raggiunsi l'apparecchio, qualche deficiente stava suonando al mio citofono in quel modo, alle due del pomeriggio. Poggiai l'auricolare della cornetta all'orecchio, una voce fastidiosa urlava qualcosa di incomprensibile. Era ancora lui, Domenico Forchetta, aveva fatto partire il suo pippone evangelizzatore al citofono. Percepivo di tanto in tanto qualche frase, c'era notevole fruscio di fondo. Il ciccione con la Bibbia intanto andava avanti da solo, mi disse che la fine era vicina, che mi dovevo pentire e che Gesù mi amava. Gli risposi subito, in questi casi non bisogna perder tempo. Gli dissi di aver già scaramanticamente grattato i miei coglioni, che non avevo nulla di cui pentirmi e che ringraziavo per il bene del buon Gesù, ma non me fregava un cazzo. Provai anche a chiedere di lasciarmi in pace, lui imperterrito continuò la sua filastrocca senza prendere fiato.
A quel punto riattaccai la cornetta, violentemente. Ero nervosissimo, non ho mai sopportato le persone insistenti. Negli anni ho mandato a quel paese decine di venditori di enciclopedie, un paio di suore missionarie in cerca di soldi per un fantomatico ospedale da costruire in Africa, e anche un assillante ragazzotto in giacca e cravatta che voleva vendermi una super aspirapolvere, tra l'altro costosissimo, a cui ho proprio sbattuto la porta in faccia. Non feci nemmeno in tempo a scegliere il termine preciso con cui mandare a fare in culo quel tizio con la Bibbia, quando il mio citofono tornò ad emettere quel fastidioso trillo. Un suono continuo, l'imbecille teneva sempre premuto il suo ditone sul tasto senza mai staccarlo. A quel punto mi precipitai giù, feci le scale a due a due, volevo vedere meglio il volto di un'idiota simile. Quando arrivai nell'androne lui era ancora all'esterno, sempre intento a suonare al mio citofono. Fu in quell'istante che feci uscire dal profondo di me stesso la parte più ignorante e volgare, mitragliai quell'uomo con una serie di imprecazioni, bestemmie, maledizioni, una serie infinita di sconcezze tutte dette a voce alta, quasi un minuto di insulti osceni e irripetibili. L'uomo che avevo davanti non mosse neanche un muscolo, anzi sorrise, aprì lentamente la Bibbia, schiarì la voce, cominciò a leggere:

- Ecco perché, come per mezzo di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo, e per mezzo del peccato la morte, e così la morte si è estesa a tutti gli uomini perché tutti hanno peccato... -

Poi sorrise ancora, fiero, soddisfatto, fu forse quello l'inizio della fine. In seguito seppi che questi predicatori porta a porta sperano di trovare una persona come me, lo sognano. Un uomo così miscredente e bisognoso di Dio è per loro come un campo arido da irrigare. Io forse rappresentavo per lui un punto di arrivo, una conquista. Compresi dal suo sguardo orgoglioso, dietro le sue spesse lenti, che non mi avrebbe più mollato. Convertire me sarebbe stato il suo più grande successo, una specie di grosso trofeo da mostrare ai suoi superiori. Citò ancora un paio di passi della Bibbia, con il dito puntato verso il cielo accennò nuovamente al fatto che la fine del mondo era ormai vicina e che mi sarei dovuto pentire di tutti i miei peccati.
A quel punto, dopo aver grattato violentemente le palle, minacciai di chiamare i carabinieri. Lui, sempre sorridendo, provò a tendermi la mano, che io non accettai. Conosceva anche il mio nome, lo aveva letto dalla targhetta sul citofono, sentirmi chiamare da quel coso sudato e occhialuto mi fece ribollire il sangue. Gli dedicai di cuore un ultimo vaffanculo e feci ritorno a casa. Alla televisione ho sentito parlare spesso dei cosiddetti stalker, poveri squilibrati che torturano donne indifese con atteggiamenti ossessivi e pericolosi. In quel periodo Domenico Forchetta divenne il mio stalker personale. Ho provato sulla mia pelle cosa vuol dire avere una persona che ti aspetta sotto casa, che ti citofona più volte al giorno solo per ricordarti di amare Dio e rinnegare Satana. Vissi giorni difficili. Nel frattempo il Forchetta studiava tutti i miei orari piazzandosi sotto casa, anche per ore. Quando uscivo mi seguiva come un'ombra, camminando sparava i suoi predicozzi da moralizzatore. Fui costretto a chiamare i carabinieri, lo feci davvero. Purtroppo, per la legge, quell'uomo non stava commettendo nessun reato, era insistente ma non pericoloso. Fu solo ammonito, fu pregato di non avvicinarsi più al mio condominio. Tutto risultò inutile, era un osso duro, uno con qualche rotella in meno forse, ma era tenace. Fui preso da una certa angoscia che non durò molto. Non potevo certo dargliela vinta. Ero pur sempre Pietro Santini e decisi di giocarmela tutta, decisi di studiare meglio la preda e poi far scattare il piano, avrei avuto vendetta. Come un giocatore di carte professionista iniziai a barare, mi sarei finto disponibile ad ascoltare le sue parole. Avrei poi calato l'asso vincente. Prima toccava soffrire un pochino. Scesi in strada e invitai il Forchetta a salire da me. Dissi di aver dormito male, che le sue parole mi avevano sconvolto, che avevo tanto bisogno di credere.
Il ciccione con la Bibbia cadde nella trappola senza problemi, il mio cambiamento repentino non insospettì minimamente l'idiota. Per una settimana buona, tutti i giorni fui costretto a sentire storie assurde sulla fine dei giorni, sul diavolo tentatore, di Gesù Cristo in croce e di tutti i suoi fratelli. Un tormento incredibile doversi fingere interessato a certe cavolate. Avrei voluto fargli delle domande vere, importanti, avrei dovuto chiedergli come si fa ad amare Dio, cosa vuole dire credere. Mi avrebbe dato probabilmente le solite risposte preconfezionate, quelle scritte da qualche suo superiore, quelle da proferire in casi del genere. Mi limitai a inscenare un finto coinvolgimento, annuendo quando necessario, lasciando parlare lui. Pregustavo già il momento della vittoria, ma tuttavia necessitarono ancora un paio di giorni nei quali feci una richiesta importante, non una richiesta a caso, chiesi al grosso Forchetta di poter confessare tutti i miei peccati, specie quelli commessi carnalmente. Ci vollero appunto due giorni per vuotare tutto quel ben di Dio. Non tralasciai nemmeno un particolare, partendo dalla signora dell'amore dei miei quindici anni, fino alla puttana di colore che mi scopavo regolarmente tutti i venerdì, anni e anni di peccati mortali che avevano ridotto la mia anima ad una sporca latrina.
Inizialmente Forchettone prese tutto molto seriamente, seduto sul divano in salotto ascoltava i miei racconti, scuotendo il capo talvolta mi ammoniva.

- Come hai potuto Pietro, quelle donne erano il diavolo e tu non te ne sei mai reso conto? -

Con la mano poggiata sulla mia testa chiese più volte allo Spirito Santo di scendere su di me, di decontaminare la mia anima tormentata. A dirla in breve tentò di esorcizzarmi più volte, io da attore consumato finsi pure un accenno di contorcimento, come se quelle parole stessero davvero cacciando un demonio dal mio corpo. Tuttavia quando i miei racconti iniziarono a farsi più ricchi di particolari, quando usai parole trasudanti di erotismo, di libidine, il Forchetta incominciò a cambiare espressione. Smise di esorcizzarmi, mise da parte la sua Bibbia per un momento, iniziò a sudare tantissimo. Mostrò un certo interessamento, cominciando a fare domande specifiche, mi chiese dei particolari. Ad un passettino alla volta l'occhialuto predicatore stava entrando nel mio trappolone, il giorno della vendetta era sempre più vicino. A mano a mano Domenico Forchetta fu sempre più incuriosito e preso dai miei racconti, ormai non citava nemmeno più i passi della Bibbia. Se ne stava seduto con gli occhi sbarrati e lo sguardo incredulo. Probabilmente l'uomo non aveva mai conosciuto nessuna donna, era puro come un giglio. Forse la permanenza in quella setta lo aveva tenuto lontano da ogni tipo di tentazione, non fumava, non beveva, non diceva parolacce, ma soprattutto non scopava. La curiosità è insita nell'uomo, le mie parole infatti dovettero, con molta probabilità, risvegliare interessi sopiti. Secondo il mio cinico punto di vista poi, Forchettone, aveva una incidibile voglia di sesso, un qualcosa che aveva continuamente represso negli anni. A colpi di versetti della Bibbia e di continue privazioni, aveva compresso tutta quella energia dentro di sé, tutta quell'astinenza lo avevano reso un enorme boiler ad altissima pressione. Il mio piano consisteva quindi nel togliere le catene, liberare l'omone da ogni tabù, da ogni costrizione. Avrei dovuto fare una sorta di esorcismo, non per liberare la sua anima, un esorcismo al contrario. Gli avrei dato le chiavi del paradiso per un paio d'ore, come lo spirito del Natale passato di Dickens, avrei dato al Forchetta la possibilità di vedere come sarebbe stata la sua vita se avesse conosciuto il fantastico mondo della topa. In questo modo la sua anima candida sarebbe stata macchiata indelebilmente dal peccato, forse in questo modo avrebbe smesso una buona volta di suonare ai citofoni e rompere i coglioni alla gente. Recitai ancora la mia parte e Domenico Forchetta era sempre più incuriosito alle mie confessioni, ormai mi incontrava solo per ascoltare le mie porcate. Rosso in viso, sempre più sudato, in alcuni momenti più che attento apparve piuttosto arrapato. Era chiaro, un uomo con la mia storia lo attraeva, io per lui rappresentavo il fascino del male. Abbandonò finalmente l'idea di redimermi, di salvare la mia anima e mise definitivamente da parte la Bibbia. Ora era completamente sottomesso, soggiogato dalla mia presenza, lo avevo in pugno, era questo il momento di calare l'asso.

- Grazie Domenico, mi sento veramente svuotato, le tue parole mi hanno fatto capire tante cose, sono stato un grande peccatore, oggi però mi sento meglio, mi sento pronto a seguirti in questo cammino, vorrei chiederti se posso unirmi a te, accompagnarti nella tua opera di evangelizzazione. Vorrei trovare altre anime tormentate da liberare, nel mondo ci sono tante persone che non conoscono Dio e vivono nel peccato. -

Per qualche istante il Forchetta tornò se stesso, aveva vinto il suo trofeo, era sul podio, poteva finalmente tornare tutto festante dai suoi fratelli di fede e urlare vittoria. Uno come me, una fottutissima pecorella smarrita ritornava all'ovile. Aveva desiderato per una vita intera quel momento, però qualcosa in lui era cambiato, aveva perso lo smalto iniziale, quella boria da predicatore incorruttibile era alquanto sfumata. Si percepiva in lui un velo di amarezza.

- Vado via Pietro, condurti sulla retta via mi è costata tanta fatica, vado a casa, puoi proseguire il cammino con le tue gambe. -

- Aspetta Domenico, ci sarebbe un'ultima cosa, ti prego non dirmi di no. -

Domenico Forchetta mi guardò incuriosito.

- C'è una mia amica, un'altra pecorella smarrita, che ha tanto bisogno del tuo aiuto, è una donna che vive nel peccato, che ha tanto sbagliato nella vita, sarebbe bellissimo liberare anche lei dal demonio. -

Forchettone mi fissò per qualche secondo ancora, era perplesso, era tentato. Del resto, non capita tutti i giorni di riportare sulla retta via due persone in così poco tempo. L'idiota dovette pregustarsi il momento in cui i suoi fratelli superiori avrebbero appreso la notizia. Sarebbe divenuto un anziano capo, era quello il nome con cui i testimoni della fede chiamavano il più alto di rango. Quello che aveva salvato più anime. Domenico Forchetta sarebbe così diventato un graduato, una specie di generale. Avrebbe potuto comandare un piccolo plotoncino di grassi evangelizzatori con la Bibbia sotto al braccio. Portandoseli con sé avrebbe insegnato loro tante cose partendo dalle basi, ad esempio suonare al citofono di perfetti sconosciuti e rompere i coglioni alla gente alle due del pomeriggio di domenica.
Il coglione accettò, era fatta, tutto era andato secondo i piani.
Ci demmo appuntamento il pomeriggio del giorno seguente, a casa mia avrebbe già trovato la povera donna, la peccatrice di cui avevamo parlato.
Io sarei arrivato dopo, a cose fatte, un paio d'ore dopo, per la precisione.
Ci salutammo cordialmente, il poveretto ignaro di tutto andò via felice.
A quel punto chiamai la Wanda, una mia carissima amica, una puttana felice. Ho sempre definito in questo modo Wanda, era una donna a cui piaceva prostituirsi, una delle poche che non aveva storie particolarmente infelici alle spalle. Era una persona normalissima, una donna piacente con i capelli rossi e un bel seno, ma nulla di più, non era uno schianto, una di quelle donne che ti fa girare la testa. Aveva però quello sguardo malizioso e ammaliatore, quello che ti intriga, quel pizzico di porcaggine nel modo di osservarti che attraeva gli uomini come api attorno al miele. Sembrava la bocca di rosa di una famosa canzone, lei infatti lo faceva per passione. Senza remore, senza rimpianti, lei amava la vita e amava la lussuria, amava il sesso più di ogni altra cosa. Wanda è stata la compagna di tante avventure, ho frequentato casa sua per anni, eravamo felici. Dopo aver consumato di solito ci mettevamo pure a mangiare, oltre ad essere una dea del sesso, Wanda era pure un'ottima cuoca. Mi preparava le fettuccine con ragù, una specialità, una prelibatezza. Pensai a lei per la faccenda del Forchetta, lei era la donna giusta. Quando le raccontai del giovane predicatore lei fu felicissima di accettare l'incarico. Quando poi seppe che il nostro uomo era probabilmente vergine scoppiò a ridere, ma conoscendola bene questo fu il motivo che le fece dire sì. Era maiala nel profondo dell'anima, l'idea di sverginare uno come il Forchetta, così casto e illibato, le fece ribollire il sangue nelle vene. L'idea la eccitò al punto che entusiasta mi disse:

- Se riesco nell'impresa non voglio nemmeno i soldi, lo faccio gratis, è un idea che solo tu potevi avere... -

In effetti solo io potevo avere l'idea di scagliare contro il povero Forchetta Belzebù in persona, di far incontrare il diavolo e l'acqua santa, di rinchiudere per un paio d'ore una donna affamata di sesso e un timido e pio testimone della fede nella stessa stanza. Il pomeriggio successivo, puntuale come un orologio, il predicatore suonò alla mia porta. Wanda era seduta sul divano, si era preparata a dovere, era vestita pochissimo, aveva un vestitino corto, fino al pelo. Una scollatura vertiginosa e aveva sciolto i suoi lunghi capelli rossi. Quando la donna slegava i suoi capelli di rame erano davvero cazzi. Voleva dire che aveva già una fornace tra le gambe, che era eccitata. Il Forchetta tutto questo non lo sapeva ancora. Andai ad aprire. Il grosso Forchetta notò subito la donna e la salutò timidamente.

- Domenico, lei è Wanda, la donna di cui ti parlavo, ha bisogno del tuo aiuto, ti prego, dona pace alla sua anima inquieta, io vi lascio soli per un paio d'ore così potrete parlare liberamente. -

Forchettone dovette forse percepire qualche strana vibrazione nell'aria, cambiò completamente espressione, quasi avesse paura. Infatti con la sua zeppola e la sua voce stridula rispose:

- Ma Pietro, non so se sono in grado, è un caso difficile e non sono nemmeno un anziano capo, resta anche tu, pregheremo insieme, puoi darmi una mano. -

- No Domenico, puoi farcela da solo, e poi hai Dio dalla tua parte, le parole della Bibbia ti daranno la forza necessaria. -

Forchettone a quel punto ingoiando la saliva si avvicinò al divano dove sedeva Wanda. La stronza intanto era seduta in modo da mostrare chiaramente le mutandine, un chiaro segnale che fece un certo effetto pure su di me. Per un attimo pensai di mollare tutto e buttarmi nella mischia. Un ménage a trois, con Forchettone e la Wanda. Poi ci ripensai, in effetti l'idea di vedere scopare quel grosso bue, nudo e sudato, spense in me ogni forma di eccitazione. Era il momento di andare via, lasciai al suo destino il grosso predicatore. Salutando feci l'occhiolino alla Wanda, che mi sorrise. I due erano seduti sul divano uno accanto all'altro, Domenico prese la Bibbia e cominciò a leggere. Dopo qualche minuto ero già in strada, me ne andai ai giardinetti. Non distante da casa mia c'era un piccolo parco pubblico con un laghetto e quattro papere spennate al suo interno. Quei poveri pennuti erano le vittime preferite di giovani teppisti con la fionda, di qualche deficiente a cui piace la papera al sugo. Negli anni la popolazione di papere diminuì drasticamente, una decina di anni prima quel laghetto contava una trentina di esemplari. Con il passare del tempo ne restarono davvero pochissime, poche e acciaccate. Ce n'era una con un grosso sfregio su un occhio, una con mezza ala, ad una delle papere mancava addirittura una zampa. Era una giornata meravigliosa di primavera, c'era un sole caldo e piacevole. Seduto su di una panchina quasi scordai la faccenda di Wanda e del predicatore. Il tempo passò senza che me ne rendessi conto. Poi lentamente feci ritorno a casa. Erano passate due ore abbondanti, io morivo dalla voglia di sapere cosa stessero facendo quei due. Percorsi le scale fino al secondo piano, poi giunsi davanti alla porta del mio appartamento. Feci scivolare le chiavi nella serratura e lentamente dischiusi la porta. Giusto il tempo di capire, di mettere a fuoco, poi tutto fu più chiaro. Davanti ai miei occhi una scena incredibile. C'era la Wanda, nuda, a carponi sul pavimento. Ricordo ancora le sue grosse mammellone penzolanti, lo sguardo rivolto verso di me. Dietro di lei un ammasso di carne rosa, un grosso maiale sudato, proprio dietro il suo culo. Era lui, Domenico Forchetta, completamente nudo, la stava montando. Nemmeno fece caso alla mia presenza, tanto era impegnato a sbattersi la rossa meretrice. Aveva gli occhi socchiusi e spingeva il suo grosso bacino avanti e indietro emettendo dei versi, come dei grugniti. Quella stronza della Wanda mi sorrise, segno che tutto era andato nel verso giusto. Ricordo ancora i loro vestiti sparsi per la stanza, sul divano c'erano le calze e la cravatta del predicatore, la sua bibbia era volata via, c'erano poggiate sopra le mutandine della Wanda. Richiusi piano la porta, andai via sorridendo. Da quel giorno persi le tracce del predicatore, Domenico Forchetta non si fece più vivo. Fu una grandissima soddisfazione, mi ero finalmente liberato di quel grosso rompicoglioni. Passarono quasi due anni, quella mattina di ottobre ero in fila alle poste. Uno di quei momenti assurdi e interminabili della vita passati ad attendere, minuti inutili trascorsi ascoltando le chiacchiere della gente, quei luoghi comuni, sempre gli stessi.

- Bisogna dirlo, qui non funziona più nulla, si stava meglio quando si stava peggio, ai nostri tempi non accadeva... -

Io ho sempre ascoltato in silenzio, spesso avrei voluto commentare a modo mio, avrei voluto sottolineare che da più di mezzo secolo sono costretto a sentire le stesse cazzate. Che tu sia alle poste, dal medico, in banca, la musica non cambia. Dove c'è una fila, dove le persone si mettono in attesa, c'è sempre lo stronzo di turno che rimpiange il passato.
Qualcosa attirò la mia attenzione dall'altra parte della strada, alla fermata dell'autobus vidi una persona. Inizialmente feci poco caso a lui, se non fosse stato per alcuni particolari, l'altezza della fronte, la forma del viso, la sua fisicità. Era Domenico Forchetta, aveva perso una decina di chili almeno e aveva cambiato taglio di capelli e la montatura degli occhiali, ma era lui. Aveva dei blue Jeans attillati, delle scarpe sportive e una camicia tipo hawaiana. Era cambiato tanto, anche l'atteggiamento completamente diverso. Fissandolo dovetti probabilmente attirare la sua attenzione, i nostri sguardi si incrociarono, ma lui fece finta di nulla. Poi giunse un autobus da cui discesero una decina di persone, tra queste una bella ragazza bionda molto graziosa. L'ultima volta che ho visto Domenico è stato proprio quella, ricordo che i due si tenevano per mano dopo essersi scambiati un bacio da innamorati. Mi sono sempre chiesto che impatto devo aver avuto sulla vita di quell'uomo, quanto possa aver influito l'incontro con la Wanda.
Una cosa è certa, Domenico Forchetta dopo aver scoperto la figa divenne un altro. Forse ho contribuito in qualche modo a renderlo un uomo migliore, non potrò mai saperlo. Ora appariva come un ragazzo normale, uno come tanti, sicuramente più libero.
Andrea Corcione
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