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Autore: Samuele Sartorio
Titolo: Breve storia della filosofia Antica e Medioevale
Genere Saggistica
Lettori 3218 20 34
Breve storia della filosofia Antica e Medioevale
Sintesi ragionata modulata sull'impianto de "Il pensiero occidentale" di G. Reale e D. Antiseri, integrata con "Le parole dei filosofi" di C. Sini

“Come mi è venuto in mente di scrivere questa sintesi?” mi viene spesso chiesto. Semplice. Perché per quanto da autentico appassionato di filosofia mi sia adoperato per trovare presso le più prestigiose biblioteche milanesi e le più fornite librerie quel che cercavo non mi riuscì di trovarlo... Mancava una sintesi rigorosa ma non troppo estesa di tutta la storia della filosofia occidentale antica e medioevale. Un'opera pensata per veri appassionati di filosofia, in grado di comprendere e desiderosi di seguire anche passaggi non banali, che tuttavia non potessero o non volessero in questo momento accostarsi ad essa investendo una mole di tempo di cui non dispongono.
Così io, che tempo ne ho voluto e potuto trovare, consapevole che purtroppo molti non godono di tale privilegio, mi sono voluto cimentare in quest'ardua impresa.

Nel farlo ho cercato, nei limiti del possibile e delle mie facoltà, di non perdere il rigore e il senso del continuum logico che questa storia produce e ha prodotto nel suo dipanarsi (o di perderne il meno possibile). Ho cercato inoltre di non dar per scontata alcuna conoscenza prodromica a introdurre i diversi concetti che vengono man mano esposti, in modo da dar conto della costituzione progressiva di questo continuum anche a coloro che non abbiano rudimenti di filosofia. Ciò al fine di gettare luce sul percorso che il pensiero dell'umanità occidentale ha seguito. Un excursus che, partendo dall'antica Grecia, conduce fino a noi, delineando un sentiero concettuale che è peraltro, lo stesso che, per alcuni tratti, percorsero a suo tempo anche questi grandi pensatori.

Ho scritto questa sintesi nella speranza che rendere disponibile un tale percorso, agile e rigoroso possa risultare utile, in particolare ai giorni nostri. Ritengo infatti che possa contribuire a far meglio comprendere alcune delle dinamiche profonde dell'esistenza umana in generale, e in particolare di quelle della società contemporanea occidentale, nella quale siamo inseriti. Infine perché può offrirci conforto nell'interrogarci e nel valutare le nostre esistenze individuali, rendendoci più autonomi e consapevoli rispetto al contesto storico e sociale nel quale siamo immersi e, chissà, consentirci di scoprire che alcune delle posizioni personali che assumiamo nei confronti della complessità della vita e che sentiamo sorgive e “solo nostre”, fuoriuscenti esclusivamente dalla nostra personale visione del mondo, spesso possono, senza che ce ne si renda conto, poggiare sulle spalle di giganti del pensiero: i maestri della filosofia occidentale.

PARTE PRIMA

I FILOSOFI PRESOCRATICI

Capitolo primo
LA NASCITA DELLA FILOSOFIA

1. GENESI DELLA FILOSOFIA PRESSO I GRECI

La filosofia come creazione del genio ellenico. La filosofia, a differenza degli altri saperi, non ha corrispettivi presso altri popoli, nonostante alcuni di questi abbiano goduto di livelli di progresso simili a quelli greci e in alcuni casi superiori. La Filosofia cambierà la storia dell'uomo e dell'umanità, prima dell'Occidente e poi nel resto del mondo. Gli Egizi, ad esempio, avevano conoscenze matematico-geometriche e i Babilonesi astronomiche. Si tratta di conoscenze “scientifiche”, ma esclusivamente pratiche. I Greci proprio grazie al metodo filosofico creano teorie generali e sistematiche.

2. L'HUMUS DELLA CIVILTÀ GRECA CHE PREPARARÒ LA NASCITA DELLA FILOSOFIA
Per comprendere come poté nascere la filosofia in Grecia occorre far riferimento all'arte, alla religione e alle condizioni sociopolitiche di allora.

I poemi omerici ed Esiodo. Omero fu il depositario della tradizione culturale-religiosa greca. Questa è contenuta nell'Iliade e nell'Odissea. Omero nella sua opera ricorre raramente all'utilizzo di mostri e deformità, il che mostra e forma al contempo una disposizione alla ricerca dell'armonia e della misura, attenzione che la filosofia assurgerà a vero principio ontologico. Esiodo con la Teogonia narra della nascita di tutti gli dèi. Ognuno di essi coincide con una parte dell'universo. Da ciò deriva il termine cosmogonia: si tratta di una spiegazione mitico-fantastica della genesi dell'universo, prodromo della filosofia cosmologica tesa alla ricerca del principio primo. Dunque constatiamo che già l'arte tendeva a raggiungere per via fantastica, simbolica e mitica alcuni traguardi e scopi che diverranno tipici della filosofia.

La religione pubblica e i misteri orfici. La religione pubblica greca trova il suo modello ispiratore nelle rappresentazioni degli dèi forniteci da Omero, da Esiodo e da quelle contenute nei misteri orfici. Tali fonti denotano sia aspetti comuni, come il politeismo, che in netta antitesi. La religione ufficiale greca è “naturalista” perché non chiede all'uomo di modificare né la propria natura né le sue inclinazioni, ma bensì di assecondarle. L'Orfismo, che prende il nome da Orfeo (poeta tracio), proclama l'immortalità dell'anima (demone) che si reincarna (metempsicosi) allo scopo di espiare una colpa originaria. Questa, una volta espiata mediante le pratiche orfiche consentirà al demone di tornare presso gli dèi. È la colpa originaria, pertanto, la causa delle nostre sofferenze mortali. Tali sofferenze avrebbero così lo scopo di educare l'anima e chi si sarà purificato avrà diritto a un premio nell'aldilà. Tale principio è in netta opposizione con la libertà di comportamento professata dal naturalismo della religione pubblica greca, tendendo a dividere i comportamenti in virtuosi e viziosi, e raccomanderà di reprimere questi ultimi. Già da allora si ha modo di constatare il contrapporsi di una dualità che avrà grande parte sia nella storia della filosofia che della religione. Diviene così chiaro che senza l'Orfismo non si spiegherebbero alcuni tratti della filosofia di Pitagora, Platone, Eraclito e Empedocle. Un altro fattore che incentivò la nascita della filosofia in Grecia è dato dal fatto che i Greci non ebbero testi sacri, il che liberò il campo dalla dogmatica e dalle caste sacerdotali ipotetiche e privilegiate depositarie di tali dogmi. Ciò non accadde nel resto del mondo antico.

Condizioni sociopolitiche ed economiche che favorirono il sorgere della filosofia. Anche la libertà politica di cui godettero i Greci favorì la nascita della filosofia. Infatti essi ebbero la capacità di darsi libere istituzioni politiche. Da popolo prevalentemente dedito all'agricoltura, giunsero a dedicarsi sempre più ad artigianato e commercio. Ciò determinò maggiore ricchezza e maggior tempo libero. Tale cambiamento si manifestò dapprima nelle colonie (Mileto fu la prima). Tale mutamento, a sua volta, portò alla messa in discussione del potere aristocratico della nobiltà terriera, fino a determinare il passaggio dall'aristocrazia alla Repubblica. In seno a essa nacque la consapevolezza del potere d'emancipazione derivante dalla cultura: frutto e condizione della libertà. Dandosi la forma di governo della Repubblica, l'uomo greco cominciò a sentirsi cittadino e lo Stato divenne il suo orizzonte etico: il bene e la grandezza dello Stato erano anche il suo bene e la sua grandezza.
“Con i Greci la filosofia nasce grande” Heidegger

3. I CARATTERI ESSENZIALI DELLA FILOSOFIA ANTICA

Concetto e fine della filosofia antica. Fu Pitagora a coniare il termine “filosofia” (“sofia” significa sapienza completa, essa è prerogativa esclusiva degli dèi e “filo” significa amore mai appagato del tutto, appetito). La filosofia ha tre connotati salienti:
• Il contenuto. Cerca di spiegare la totalità, senza esclusioni o specificità (al contrario delle scienze particolari);
• Il metodo. Applica la pura razionalità: il logos. Parte dalle esperienze per risalire alla cause (invenzione del metodo “scientifico”);
• Scopo. È causata dal puro desiderio di conoscere e contemplare la verità.
“La filosofia nasce per il sapere e non per conseguire qualche utilità pratica” Aristotele
Probabilmente è per questo che nasce in un contesto nel quale un discreto numero di uomini ha risolto i problemi fondamentali legati alla sussistenza e all'assolvimento delle più urgenti necessità materiali.
La filosofia serve la ricerca della Verità per come le umane facoltà sono in grado di afferrarla. Infonde un'enorme energia morale. Anche i popoli orientali e del resto del mondo costruirono saperi che tentarono di spiegare il senso di tutte le cose, ma tali culture erano informate a metodi fantasiosi e mitici (arti e religioni).
La filosofia pone problemi che nella misura in cui vengono rifiutati menomano chi li rifiuta.

I periodi della filosofia antica:
• I primi filosofi furono fisici e naturalisti; la totalità del reale veniva vista come “physis” in generale. Erano ionici, pitagorici, eleati, pluralisti e atomisti;
• I sofisti e Socrate; Si concentravano più sull'uomo, sulla natura, sulla sua morale e sulla sua virtù: “areté”;
• Le sintesi di Platone e Aristotele; si ebbero nel IV secolo a.C.;
• Le scuole ellenistiche: Cinismo, Epicureismo, Scetticismo e Eclettismo;
• Il periodo religioso antico–pagano e antico–cristiano. Neoplatonismo. Da cui diparte il pensiero cristiano nel tentativo di formulare razionalmente il dogma rispettando le categorie dei filosofi greci. Sancirà la messa in crisi del pensiero greco e la base del pensiero cristiano europeo, ovvero della filosofia medioevale.
“Conosci te stesso” Sentenza scolpita sul tempio di Delfi
“Non troppo zelo: il meglio sta nel mezzo, e nel mezzo restando perverrai a virtù” Archiloco

Capitolo secondo
I NATURALISTI

1. I PRIMI IONICI E IL PROBLEMA DEL PRINCIPIO DI TUTTE LE COSE

Talete di Mileto (Mileto fine VII – inizio VI a.C.). Fu l'iniziatore della filosofia greca. Fu filosofo, scienziato e politico. Individuò l'acqua quale principio di tutte le cose (arché). L'acqua, infatti, permane identica al trasmutarsi di ogni cosa. Talete si riferiva a un'acqua originaria, rispetto la quale quella che beviamo è già una trasmutazione fra le tante. Egli fu il primo uomo a predire un'eclisse.

Anassimandro di Mileto (Mileto fine VII – metà VI a.C.). Compose il primo trattato filosofico in prosa. Sostenne che l'acqua era già un derivato del principio (ossia l'arché) e che questo avesse natura (ossia physis) infinita e indefinita. Indica tale principio con il termine à-peiron, che significa ciò che è privo di limiti, sia interni che esterni, sia quantitativi che qualitativi: l'origine di tutte le cose. Si consideri che non avendo né inizio né fine, tale principio supera in infinità persino le prerogative degli dèi stessi che se è vero che non muoiono, però nascono. Tale ipotesi di infinità determina automaticamente uno scadimento delle teogonie (le genealogie degli dèi). Anassimandro immaginò il mondo costituto da contrari che, eternamente, si sopraffanno l'un l'altro. La sofferenza proverrebbe dall'essere nati da opposti e dal continuo tentativo di sopraffazione in atto fra essi (in questa immagine vi sono evidenti richiami orfici). Il cosmo nacque da un movimento iniziale che scisse i primi due contrari fondamentali: il freddo e il caldo, formando i pianeti, non sorretti da niente, che restano fermi a causa di un qualche equilibrio fra le forze. Dall'elemento liquido, per l'azione del sole, nacquero i primi semplici animali.
Anassimene di Mileto (Mileto VI a.C.). Anche secondo lui il principio è infinito, ma si tratta dell'aria. Perché è sempre in movimento, si presta a modificazioni di temperatura e umidità, si invola, si esala e passa di stato (condensa e ghiaccia).

2. ERACLITO DI EFESO – L'OSCURO
(Efeso fra il VI e il V a.C.). Non volle in alcun modo partecipare alla vita pubblica. Scrisse in modo criptico per evitare di poter essere letto dagli ignoranti. Tutto si muove, tutto scorre: “Panta rei”, sosteneva.
“Non si può discendere due volte nello stesso fiume”
Perché tutto muta, noi stessi inclusi. Poiché ogni cosa esiste e diviene grazie al conflitto fra contrari è tale conflitto, in realtà, il padre di tutte le cose e ne determina anche l'armonia. È la fame che rende piacevole la sazietà, come la malattia che glorifica la salute, etc. Pone il fuoco come principio fondamentale in quanto rappresenta al contempo un perenne bisogno e la sazietà.
“Occorre guardarsi dalle opinioni degli uomini: sono basate sulle apparenze”
“I confini dell'anima non li potrai mai raggiungere, per quanto procederai” – si tratta del primo accenno verso una filosofia che si occupa di ciò che non è fisico.

3. I PITAGORICI E IL NUMERO COME PRINCIPIO

Pitagora e i cosiddetti pitagorici. Pitagora (Samo 550 – fine V a.C.). Fondò una scuola a Crotone con tratti mistici e ascetici che ebbe grande successo nell'Italia meridionale. Egli e i suoi adepti ricercavano la verità studiando insieme in una sorta di confraternita o ordine religioso che aveva precise regole, fra le quali, ad esempio:
• astieniti dalle fave;
• non raccogliere ciò che è caduto;
• non sprecare il pane;
• non attizzare il fuoco con il ferro;
• non guardare in uno specchio accanto a un lume.
Il fine della scuola era la realizzazione di un certo stile di vita in cui scienza e dottrina rappresentassero sia un mezzo per vivere che un segreto dischiuso ai soli adepti.

Il numero come principio. Secondo i pitagorici il numero è il principio. Tutta la natura si assimila ai numeri: rapporti, suoni, calendari e cicli di vita. Tuttavia anche i numeri provengono a loro volta dall'accordo fra due principi fondamentali uno determinato e l'altro indeterminato. Il 10 è il numero perfetto (teorizzazione del sistema decimale). Dall'assunzione che tutto è determinato dai numeri traggono la conseguenza che tutto è ordine (kosmos), da cui deriva il nome dell'universo. Con i pitagorici l'immagine del mondo cessa di essere dominata da oscure presenze per divenire ordinata. Pitagora abbraccia la metempsicosi orfica suggerendo, per sfuggirle, una nuova via non sorretta da riti magici, bensì dalla scienza e dal rispetto di una severa morale. I pitagorici suggeriscono di praticare una vita contemplativa (bìos theoretikòs) che sarebbe stata utile per ricercare la verità.  
Capitolo terzo
I FILOSOFI DELL'ESSERE (GLI ELEATI)

1. SENOFANE DI COLOFONE

Senofane, un pensatore indipendente. (Colofone 570 – 500 a.C.). Erroneamente indicato quale fondatore della scuola di Elea (colonia greca dell'antica Lucania), visse in Italia meridionale e viaggiò molto, fino a tarda età.

Critica alla concezione tradizionale degli dèi. Si schiera contro l'antropomorfismo degli dèi. Li ritiene troppo simili agli umani, anche riguardo qualità e difetti. Non crede nella spiegazione divina dei fenomeni naturali. Afferma che l'Uno è Dio. Ritiene terra e acqua i due principi fondamentali terrestri. Tali principi non valgono però nel cosmo che concepisce come eterno. I fossili dimostrano che dove ora c'è terra un tempo c'era acqua. Intelligenza e sapienza sono superiori a forza e robustezza “Come già mostrò l'Odissea nello scontro fra Ulisse e il Ciclope” afferma.

2. PARMENIDE E LA SCOPERTA DELL'ESSERE

Parmenide e il poema sull'essere. Parmenide (Palinuro VI – metà V a.C.). Fondò a Elea la scuola eleatica. Rinnova e rivoluziona la physis. Con lui la cosmologia (struttura materiale e leggi che regolano l'universo, concepito come un insieme ordinato) si trasforma in ontologia (teoria dell'essere).
“Il non essere non è e non può in alcun modo essere. L'essere è e non può non essere”
“Non si può pensare che ciò che è. Pensare il nulla significa non pensare. Perciò il nulla è inspiegabile e indicibile. Lo stesso è pensare ed essere”
Siamo di fronte alla prima grande formulazione del principio di non contraddizione: è impossibile che i contraddittori coesistano.
L'essere è ingenerato e incorruttibile. Altrimenti non sarebbe stato o non sarà. È conseguentemente eterno presente. È tutto uguale: non è pensabile un essere più essere o meno essere di sé. È indivisibile perché è compiuto e perfetto. Questa è la via della ragione, cioè della verità, o prima via.
Esiste una seconda via: quella dell'errore, ovvero la via dei sensi, che conduce al non essere, in quanto questi registrano il nascere e il morire, il movimento e il divenire.
Esiste anche una terza via: quella delle apparenze plausibili. Essa è valida a patto che non contraddica la prima via, ovvero quella del principio di non contraddizione. Tuttavia, anche in tal caso, i sensi spesso attestano il non essere.
I cadaveri, pertanto per Parmenide, restano nell'essere. L'essere di Parmenide è un continuo tutto uguale, giacché ogni differenza implicherebbe il non essere. È limitato e finito, nel senso che è compiuto, perfetto. Tale essere è indicato con l'idea della sfera (figura secondo i pitagorici perfetta).
Parmenide riconosce luce e notte come “essere”. Ma con ciò cade in un'aporia (contraddizione filosofica): come potevano “essere” se l'essere deve essere sempre identico a sé? Dunque il principio parmenideo salva l'identità dell'essere ma al prezzo di trascurarne i fenomeni.

Zenone e la nascita della dialettica. (Elea fine del VI a.C.). Torturato per aver combattuto il Tiranno, si recise coi denti la lingua per evitare di fare i nomi degli altri cospiratori. Scoprì la confutazione della confutazione, ovvero la dimostrazione per assurdo, dando origine alla dialettica. Difese le teorie del maestro Parmenide, in particolare quelle sulla negazione del movimento (permanenza dell'essere) ideando il celeberrimo esempio di “Achille e la tartaruga”, secondo cui essendo anche la tartaruga in costante, seppur lento, movimento, la distanza fra i due non sarebbe mai stata colmabile definitivamente.

Melisso di Samo e la conclusione dell'Eleatismo. (Samo fine del VI a.C.). Uomo di mare, politico e stratega. Sconfisse la flotta di Pericle. Revisionò la dottrina eleatica sull'essere affermando che l'essere deve essere:
• infinito, altrimenti dovrebbe confinare con il vuoto, il che è impossibile;
• essendo infinito deve essere uno, viceversa più infiniti costituirebbero reciprocamente dei limiti;
• incorporeo, cioè privo di forme, diversamente da quanto sostiene Parmenide (sfera Parmenidea). E aggiunse che in caso di contraddizione fra quanto sperimentano i sensi (realtà mutabili) e quanto realmente è (realtà immutabili) va negata la validità dei sensi;
• L'unica realtà è l'essere-Uno, eterno, infinito, uguale, immutabile e incorporeo, in quanto un ipotetico molteplice-essere dovrebbe essere costituito da molti essere-Uno.
Samuele Sartorio
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