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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Arsenio Siani
Titolo: I sentieri del male
Genere Giallo Storico
Lettori 3160 17 33
I sentieri del male
Creature nelle tenebre.

Velzna, 295 a.c.

Le tre ombre scivolavano silenziose lungo il crinale della collina. Un cavallo trotterellava alle loro spalle, con un grosso fagotto caricato sul dorso. Le nuvole nel cielo notturno oscuravano la luna facendo piombare la landa nell'oscurità assoluta, rendendo difficoltoso il cammino del gruppo che procedeva a tentoni. Si udì un rumore di sassi e ciottoli che venivano smossi e l'uomo che camminava in testa imprecò. - Basta! Fermiamoci. Non possiamo procedere con questo buio, rischiamo di romperci l'osso del collo. -
- Ti sei bevuto il senno oltre all'otre di vino che portavi a tracolla? Siamo troppo vicini a Velzna, se una ronda notturna ci beccasse sarebbero guai! - replicò l'uomo che lo seguiva, mentre quello che chiudeva la fila, il più giovane, retrocedeva verso il destriero e portava le mani sul fagotto per assicurarsi che non cadesse mentre la bestia scalciava, innervosita da quella brusca fermata. La cura e delicatezza nei suoi gesti lasciavano intendere che il contenuto dell'involto fosse molto prezioso. - Aleso ha ragione, non possiamo continuare. Dal sorgere del sole non ci siamo mai fermati, siamo sfiniti, con questo buio rischiamo di cadere in un dirupo e sto facendo una fatica immane a governare il cavallo, è nervoso perché anche lui è stanco. Credo sia giunto il momento di accamparci. -
- Sarebbe auspicabile che cadeste tutti e due e sbatteste col cranio su una pietra. Ho sentito gente con strani mali alla testa fare discorsi più sensati dei vostri. - L'uomo puntò un dito di fronte a lui a indicare dei flebili fuochi lontani che testimoniavano la presenza di una città sulla cima di un colle. - Vedete quanto siamo vicini? Sapete cosa fanno gli Etruschi ai briganti? Se finissimo nelle loro mani ci aspetterebbe una fine orrenda! -
- Calmati, Gavio. Basterà essere accorti. La distanza da Velzna è sufficiente a non rivelare la nostra presenza. E comunque quei debosciati hanno altro a cui pensare con i Romani che premono ai loro confini, non credo che si preoccupino più di tanto di qualche ladruncolo che attraversa i loro territori. - Aleso tirò fuori dalla borsa due pietre focaie unitamente a un fascio di legnetti secchi che adagiò in terra, iniziò a sfregare le pietre tra loro generando una pioggia di scintille che ricaddero sui sottili arbusti.
- Che stai facendo? - urlò Gavio, poi scalciò i legnetti che andarono a disperdersi tutt'intorno. Le nuvole in cielo si diradarono lasciando passare un fascio di luce lunare che illuminò il suo volto segnato dalla rabbia e dall'orrore.
- Così rivelerai la nostra posizione. Vuoi davvero farci arrestare, allora! -
Aleso, irritato dal gesto di Gavio, tirò fuori un coltello da una fodera che gli pendeva dalla cintura. I suoi occhi diventarono istantaneamente bianchi per la ferocia mentre faceva un passo verso il suo compagno. Il giovane corse a frapporsi tra i due. - Calmatevi! Aleso, non mi sembra il caso di prendersela tanto... -
- Chiudi la bocca, Caio! Fatti da parte se non ne vuoi anche tu! - . Scostatolo bruscamente si avvicinò ancor di più a Gavio. Gli portò il coltello al mento e fece danzare la lama a una spanna dal collo dell'uomo. - Devo ricordarti chi è che comanda? - gli chiese, mentre le labbra gli tremavano per la fatica di trattenere un'esplosione di violenza. - Rispondi! - alzò la voce, avvicinando la testa di scatto verso il petto del compagno come una fiera che si slanci per azzannare la preda.
- Sei tu il capo, Aleso - replicò Gavio con un filo di voce, quasi un bisbiglio. - Però... non voglio morire... -
- Quante volte vi ho salvato la pelle? In quante occasioni vi ho tirato fuori dagli impicci? Vi ho promesso che vi avrei riportato a casa, Falerii è vicina, entro il tramonto di domani saremo alle porte della nostra città. E tu continui a dubitare delle mie doti? -
- Non è questo... però... -
- Ho detto che non corriamo pericoli. Ci accampiamo qui, mangiamo, beviamo, dormiamo e alle prime luci dell'alba ripartiamo. Intesi? -
Aleso sputò quelle parole con rabbia, accompagnate da gocce di saliva e un alito pestilenziale che sapeva di vino e erbe macerate dai succhi gastrici che spinsero Gavio ad abbassare la testa e distogliere gli occhi. Aleso annuì soddisfatto, poi ordinò ai due compagni di recuperare la legna sparpagliata per terra e di raccoglierne altra. Quando ne ebbero messo insieme un fascio di una quantità consistente accese il fuoco intorno a cui i tre consumarono un frugale pasto a base di pane raffermo, formaggio imputridito e vino. Caio intanto continuava a tenere d'occhio il fagotto poggiato contro una roccia. Infine, vincendo ogni riluttanza, si avvicinò, sciolse i lacci e disfò le pelli da cui emerse una fanciulla. - Mangia - disse il giovane, porgendole una pagnotta, ricevendo in cambio un'occhiata assente. Una mano candida e sottile si sollevò lentamente e afferrò il cibo che portò alla bocca, tuttavia la durezza della crosta e la debolezza che sembrava pervadere quel corpo quasi privo di vita le impedivano di spezzarlo, così Caio lo riprese, lo spezzò in due parti e ne diede una alla ragazza. Deglutì mentre contemplava il suo volto, gli occhi a mandorla, l'ovale perfetto del viso, i capelli neri che le cadevano in tanti boccoli ai lati del volto. La sua aria distaccata, quasi insofferente rispetto alle pene che aveva subito, le davano un aspetto etereo; Caio pensò che somigliasse a una dea.
- Guarda che quella è la tua parte di cibo. Non avrai altro da mangiare se lo dividi con quella - lo ammonì Aleso.
- Non ho fame - rispose Caio senza distogliere gli occhi dall'oggetto della sua contemplazione.
- Magari hai sete. - Gli porse un otre da cui si era già abbondantemente servito, al punto che le sue guance erano diventate rosse e gli occhi si erano inumiditi. - Vieni, ragazzo, dobbiamo celebrare le nostre gesta. -
Gavio, che fissava il fuoco con aria meditabonda mentre sbocconcellava la sua pagnotta, smise di masticare e guardò l'uomo con aria contrariata, incapace di realizzare cosa ci fosse da esaltare nelle gesta di una banda di briganti. Lo stesso sguardo perplesso si formò anche sul volto di Caio che si avvicinò per prendere una patera ricolma di vino e porgerla alla prigioniera. - Bevi, ti riscalderà - le disse con tono affettuoso.
- Ohohoh, cosa vedono i miei occhi. Il nostro ragazzo si è infatuato del nostro bottino! Non ti ci affezionare troppo, appena giunti a Falerii la venderemo come schiava. -
- Dovresti trattare meglio la tua merce, capo. Una schiava debole e malata non vale un granché. - Caio strinse i denti e la mano nel tentativo di dominare la rabbia.
- Ma davvero? Da quando in qua i giovani possono permettersi di dare lezioni agli adulti? Che tempi... è proprio vero che le cose stanno cambiando, tutto va all'incontrario... -
Un lieve boato, accompagnato da un percettibile tremolio del suolo, coprì le ultime parole, rimaste indistinguibili per i suoi ascoltatori che, allarmati, si guardarono intorno. L'unico a non scomporsi fu Aleso, che si carezzava la barba compiaciuto. - Questo è un segno divino, Soranus si è manifestato per rimarcare le mie parole. Appena giunti in città cammineremo sui carboni ardenti tenendo tra le mani le viscere degli animali sacrificati in suo onore! - . Sollevò una coppa verso il cielo e tracannò in un sol sorso l'ennesima porzione di vino.
- Stai bevendo troppo. Forse dovresti smetterla. - Gavio, ricompostosi dallo spavento causato dalla scossa di terremoto, poggiò una mano sul braccio di Aleso per fermare il gesto con cui questi cercava di riempire nuovamente la sua coppa attingendo dall'otre.
- E perché mai? Vino ne abbiamo in abbondanza, è il cibo che manca. Almeno beviamo, ci rinvigorisce... -
- Se continui a bere così domani non sarai nelle condizioni di viaggiare e dovremo ritardare il nostro arrivo a casa. -
- Bah! Voi giovani siete proprio smidollati. Credete davvero che Aleso, la roccia dei Falisci, possa essere fermato da un po' di gozzoviglia? - . Si colpì il petto con un pugno vigoroso, buttando giù dell'altro vino. - Dammi quella patera - disse, rivolgendosi a Caio per farsi restituire il recipiente con cui aveva abbeverato la ragazza. Gliela porse e Aleso a sua volta la diede a Gavio; puntò il dito sul bordo della patera, dove sorgeva una scritta: foied vino pipafo, cra carefo .
Gavio rimase immobile, osservava la patera tra le sue mani a bocca aperta ed emise un suono di stupore misto ad angoscia.
- Cosa c'è? Pensavo che sapessi leggere - lo punzecchiò Aleso, e bevve un altro lungo sorso direttamente dall'otre.
- L' hai rovinata! Ora non potremo più venderla! -
- Il nostro bottino è molto ricco. Terrò la patera per me - disse Aleso, accompagnando le parole con una risata sguaiata.
- Non così tanto da permetterci il lusso di sprecare la merce! Abbiamo rischiato la vita innumerevoli volte stando alle calcagna dei Sanniti mentre devastavano le campagne nei dintorni di Tarchna e assalivano villaggi etruschi, per poi raccattare gli avanzi dei loro saccheggi... e tu vanifichi così i nostri sacrifici? Ti metti a imbrattare le coppe faticosamente scampate alle razzie con delle frasi sdegnose? -
- La stai facendo troppo lunga. Era solo uno scherzo, voi giovani siete troppo pomposi, lo dico sempre io che sono tempi bui, questi. Avete anche smesso di divertirvi... e poi, chi ti dice che quel coso non abbia acquisito valore? Qualche ubriacone di Falerii potrebbe riconoscersi in quel motto e pagare profumatamente per averlo. Conosco un nobile che passa le sue giornate a tracannare vino speziato che potrebbe fare al caso nostro. -
- Ne ho abbastanza! - . Le parole di Gavio furono accompagnate da un tuono. Il cielo si era riempito di nubi scure che si accendevano di lampi proiettati sul terreno. Ne susseguirono a brevissimi intervalli di tempo l'uno dall'altro, illuminando a giorno la landa. “ Sei soltanto uno straccione, un arrogante, vecchio, stolto, alcolizzato. Sono stufo della tua prepotenza, delle umiliazioni a cui ci sottoponi.”
Nonostante i fumi dell'alcol Aleso riuscì a scattare in piedi senza barcollare e dopo un istante stringeva di nuovo tra le mani il suo coltello. “E quindi?” mormorò, sprezzante, fissandolo negli occhi con un sorriso compiaciuto. Gavio afferrò un sasso da terra, le fiamme del focolare illuminavano la sua figura contratta in una tensione che presagiva un balzo rabbioso contro il suo avversario.
- Smettetela! - Caio si fece di nuovo avanti, ma appena guardò i due negli occhi capì che non poteva fare nulla. Lo scontro, troppe volte rimandato, era inevitabile. Si fece da parte e andò a sedersi accanto alla prigioniera che intanto osservava la scena con aria spenta e indifferente.
Gavio osservava il suo avversario. La pioggia iniziò a cadere e spense il fuoco facendo adagiare di nuovo un manto nero su quel lembo di terra. Ormai restavano solo i lampi a fornire un po' di luce con cui mantenere il contatto visivo con Aleso. Buio... luce... buio... luce..., i fulmini sembravano cadere quasi a intervalli regolari e tenebre e chiarore si battevano per guadagnarsi frazioni di tempo in cui stabilire il loro predominio. Buio... luce... buio... luce... La pietra divenne viscida e sembrò scivolargli dalla morsa delle dita. La strinse ancora più forte mentre le gocce di pioggia, sempre più scrosciante, gli appannavano la vista. Aleso, fermo come una statua, sembrava insensibile alle intemperie e capace di scrutarlo attraverso l'oscurità come una bestia feroce è pronta a fiondarsi sul debole coniglio. Buio... luce... buio... luce... I lampi divennero sempre più numerosi quasi quanto le gocce d'acqua. Si alzò anche un forte vento che sferzava i due granitici corpi. Non si smossero, immobili nella loro fiera determinazione. Buio... luce... buio... luce... Gavio e Aleso si fronteggiavano a poche spanne di distanza l'uno dall'altro, buio... luce... buio... luce... Gavio decise che avrebbe fatto la prima mossa e si sarebbe lanciato contro Aleso. Buio... luce... buio... luce... “vada come deve andare” pensò, buio... luce.... buio... luce... buio... “dopo il prossimo lampo scatterò in avanti...”, luce... il volto di Aleso gli comparve davanti all'improvviso, a meno di una spanna dal suo naso. Gavio sentì bruciargli il ventre, poi una fitta terribile lo trapassò da parte a parte e cadde in avanti. Aleso si scostò per lasciarlo cadere a terra. Gavio si portò le mani sulla pancia e sentì qualcosa di viscido che gli imbrattava il chitone. Con le dita studiò lo strappo sul tessuto e sentì qualcosa di molliccio che fuoriusciva dallo squarcio sulla pelle. Le sue viscere si riversarono sul terreno, mescolandosi con fango e pioggia. Le forze lo abbandonarono, il freddo lo inondò mentre, nel tentativo di muoversi, gli riuscì solo di scalciare le gambe verso l'alto, come se fossero mosse da una forza invisibile.
- Gavio! No! - Caio si lanciò su di lui e poggiò i palmi sulla sua schiena. Quel contatto fu sufficiente a fargli capire che aveva smesso di respirare. Stava toccando un cadavere.
- Sei un assassino! - urlò, rivolto ad Aleso che intanto si rifugiava dalla pioggia sotto a uno sperone di roccia.
- Piantala di sbraitare e vieni a rifugiarti se non vuoi beccarti un malanno. -
Le raffiche di vento si fecero più intense e convinsero Caio, a malincuore, a rifugiarsi insieme alla fanciulla accanto ad Aleso. L'uomo aveva ripreso a bere, attaccando un altro otre con le sue avide labbra.
- Ho dovuto farlo. Hai visto anche tu. Ha cominciato lui. La mia vita contro la sua, funziona così. -
Caio non rispose. Cercò istintivamente il contatto della fanciulla, allungò una mano in cerca della sua. Lei non la ritrasse e lasciò che gliela stringesse mentre il ragazzo, addolorato, osservava il corpo del suo amico battuto dalla pioggia.
- Mi dispiace. Dico davvero. Domani gli daremo una degna sepoltura. Tra pochi giorni ci sarà il Decimatrus e faremo dei voti al tempio in suo nome. -
- Porteremo il corpo con noi. Lo seppelliremo a Falerii - disse Caio, tra i singhiozzi. - Tornerà a casa anche lui. Glielo dobbiamo. -
- Questo non è possibile, figliolo. Qualcuno potrebbe causarci delle grane, vedendo che ha la pancia aperta. Non voglio rogne con i magistrati. Certo, potremmo inventarci un agguato da parte di qualche predone ma se non ci credessero sarebbero guai. Lo seppelliremo su queste colline, ammucchiando dei sassi per fare un piccolo tumulo. Una tomba degna di un brigante qual era. - Si grattò la barba, sbadigliò. - Ricordiamoci di recuperare le sue monete prima di seppellirlo. Un simile dono non è degno di vermi e lombrichi. -
- Sei un vigliacco. -
- Piantala! Tieni, fatti un goccio. - L'otre gli scivolò dalle mani, senza che una mano lo raccogliesse.
Intanto il temporale non accennava a diminuire d'intensità.
Aleso vomitò il vino che aveva trangugiato e, indebolito dai conati, iniziò a battere i denti per il freddo. - Senti, fammi posto. Mi sto ghiacciando, ho bisogno di scaldarmi un po' con quella puttana. -
- No! Non la toccare! - urlò Caio facendo scudo alla ragazza col suo corpo.
- Sì, sì, lo so cosa vuoi dire... ora mi rifarai la ramanzina sulla merce che va mantenuta integra, se no il prezzo si abbassa... - mentre parlava faceva dondolare la testa e sorrideva con aria ebete, imitando il tono autoritario che poteva avere un padre di famiglia. - Mi hai stufato con questi discorsi. I soldi non sono la cosa più importante. Ciò che conta di più... - sciolse la cintura che gli legava il chitone impregnato d'acqua e se lo tolse, rimanendo nudo - ...è godere. -
- Non la toccherai! - Caio alzò i pugni, pronto a difendere la fanciulla.
- Che paura mi fai, ragazzo mio! Insomma, ti sei innamorato di quella sgualdrina? Te lo avevo detto di non affezionartici troppo. Voi giovani non volete dare retta ai consigli degli adulti, e questo è un guaio. Che tempi, che tempi... - Il cielo si accese di nuovo per un lampo, Aleso studiò la traiettoria e fece scattare il braccio in avanti, afferrò Caio per i capelli e li tirò con forza mentre con l'altra mano colpiva il volto del ragazzo con vigorosi schiaffi. - Chi è che comanda qui? Possibile che ve ne scordiate sempre? Eppure ero stato chiaro fin dall'inizio. Perché disobbedite tutti? Anche mia moglie, quella vacca... e quel giovanotto che si faceva nel mio letto mentre io ero a spaccarmi la schiena... anche a lui, lo avevo avvisato quando mi ero accorto che aveva messo gli occhi addosso alla mia donna. Gli avevo detto di stare alla larga se non voleva guai e invece ha giaciuto con lei. Nel mio letto! Nel mio letto! Ha sporcato col suo sangue il mio giaciglio quando l'ho sgozzato, a lui e a quella baldracca! -
Caio cadde di lato, stremato dai colpi mentre Aleso infieriva. - Nessuno mi ascolta! Nessuno mi ascolta! -
Il fiato gli si condensava davanti alla bocca, i muscoli iniziarono a dolergli per lo sforzo della tensione. Infine mollò la presa e fissò l'oscurità davanti a sé, nel punto dove si trovava la ragazza.
- Vediamo se almeno tu sei ubbidiente. Se farai la brava non esagererò. Dipende da te. - Allungò una mano verso le sue vesti e afferrò di nuovo il coltello. - Il migliore rapporto della mia vita l'ho avuto con una prostituta zoppa. Non aveva un piede, glielo avevano amputato per via della cancrena. Ma come si muoveva lei... faceva delle cose... oh, che goduria, solo a pensarci. - Leccò l'arma e carezzò il filo con un dito per valutare quanto fosse affilato. - Sono convinto che dipendesse dalla menomazione. Era così brava a letto perché le mancava un piede. Ora te ne mozzo uno e, se la mia teoria è esatta... -
Il nuovo bagliore aveva illuminato un punto vuoto sotto la roccia. La sorpresa di constatare che la ragazza non fosse più lì fu grande, si guardò intorno, imprecando contro se stesso per essersi fatto distrarre da Caio consentendole la fuga. Infine notò un dettaglio che, nonostante l'appannamento mentale dovuto alla sbronza, destò in lui un'allarmata attenzione: il corpo di Gavio era sparito. Sulla pozza di sangue cadevano gocce di pioggia, alimentandone la dimensione; da una parte si notava una striscia nel terreno fangoso lasciata dal corpo trascinato... o forse si era trascinato da solo? Possibile che fosse ancora vivo? No, impossibile. Quella ferita che gli aveva inferto non lasciava scampo. L'unica spiegazione plausibile era che fosse stata la ragazza a spostare il corpo. Ma perché scomodarsi a portare via un cadavere perdendo del tempo prezioso per la sua fuga?
Il temporale terminò, facendo piombare Aleso nelle tenebre più scure. Smise anche di pensare, come se la mancanza anche del più flebile barlume avesse spento le sue funzioni cognitive. Ora aveva freddo, sentiva un gelo pungente penetrargli fin dentro le ossa e si trovava nell'impossibilità di scaldarsi, le pietre focaie erano fradice così come ogni ramo di legno nell'arco di migliaia di passi tutt'intorno. Accendere un fuoco era impensabile, così come coprirsi con una veste asciutta. Il sacco con i beni trafugati nelle scorrerie doveva essere ancora sul dorso del cavallo ma non sentiva più i suoi versi: probabilmente la prigioniera era fuggita servendosi dell'animale.
La sensazione di intirizzimento divenne presto insostenibile, le dita di mani e piedi cominciarono a dolergli fin quando sentì di averne perso la sensibilità. Ebbe un'idea. Benché lo avesse percosso con vigore, Caio doveva essere ancora vivo, il suo corpo poteva fornirgli una fonte di calore. Bastava aprirgli la pancia e infilare le mani nelle viscere. Poi sarebbe passato gradualmente a riscaldare anche le altre parti del corpo col suo sangue ancora caldo.
Cercò a tentoni il corpo del giovane mentre teneva il manico del coltello tra i denti per lasciare libere le mani.
Era certo di aver setacciato ogni punto sotto lo sperone di roccia in cui Caio avrebbe potuto trovarsi: non lo trovò. Anche lui svanito. Una risata folle proruppe dalla sua bocca mentre si colpiva petto, gambe e braccia per mantenere viva la circolazione. - Non ha senso... tutti svaniti... anche i morti. Ma sì, è un sogno. Tra poco mi sveglierò, sarà l'alba e continueremo il nostro viaggio verso Falerii e quando arriveremo, saremo ricchi, con tutto ciò che abbiamo trovato. -
La percezione di un rumore proveniente dall'oscurità arrestò il movimento come anche il delirio di parole. Aguzzò le orecchie per udirlo di nuovo e dopo qualche attimo sentì un fruscio, poi una serie di colpi secchi che potevano essere generati da una massa che si stava spostando.
- Chi c'è lì? - Aleso tremava, ora non più solo per il freddo. Puntò l'arma in avanti: - Sappi che sono armato. Farai meglio a rispondere se non vuoi ritrovarti una lama in corpo. -
Un grugnito terrificante fu l'ultima cosa che udì. Un dolore indescrivibile gli attraversò una gamba, come se fosse trafitta da artigli. Fu trascinato via mentre con una mano menava fendenti nel vuoto. Quando la forza ignota terminò di trainarlo, Aleso provò a scattare in avanti ma si sentì schiacciare sulla schiena da una forza abnorme. Il suo viso affondò nel fango e nel tentativo di urlare inghiottì e inspirò terra e acqua, i polmoni e lo stomaco gli si riempirono fino a farlo quasi soffocare mentre qualcosa gli lacerava la nuda schiena. Le stesse grinfie che lo avevano trascinato affondarono in un fianco e il suo corpo fu rigirato. Finalmente poteva nuovamente respirare. Un respiro caldo e bestiale gli solleticava la pelle tra il mento e il petto. Le nuvole in cielo si stavano diradando. Aleso poteva vedere le stelle.
Arsenio Siani
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