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Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Writer Officina
Autore: Mauro Drago
Titolo: Le due metà di Yvette
Genere Fantasy
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Le due metà di Yvette
Scegliamo sempre noi dove condurre la nostra vita, cosa farla diventare, come modificarla. Sono le scelte che facciamo ogni giorno, i percorsi che tracciamo, i punti di arrivo che ci portano a diventare ciò che siamo e ciò che diventiamo.
Più il modo di essere di ogni individuo è determinato, più questo ha possibilità di scegliere dove condurre la propria esistenza.
Yvette Rêveur è di certo una donna, che per la sua giovane età, ha già le idee molto chiare su quello che vuole diventare nella vita. Un diploma conseguito con ottimi voti, una laurea in economia raggiunta con molta determinazione all'Università di Bordeaux, un ragazzo che pensa di sposare e un amore incondizionato per l'archeologia. Ma quello a cui aspira con maggior determinazione è il sogno comune di tanti: avere una famiglia, uno studio di commercialista, una vita priva di troppi imprevisti e senza troppe imperfezioni.
È così determinata che non fa mai qualcosa tanto per perdere tempo e in ogni progetto mette la passione, la dedizione e l'impegno. Lei sa, dove vuole arrivare ed è consapevole che superando in qualità gli altri, i risultati arrivano sempre.
E così, come nella vita, anche negli hobby, pianifica gli obiettivi e li raggiunge.
Di certo il corso di teoria e tecnica delle costruzioni storiche, organizzato dall'università e che ha frequentato nell'ultimo anno prima della laurea, non l'ha scelto a caso, sapeva che tra gli studenti che si fossero distinti in quel corso, alcuni avrebbero avuto la possibilità di partecipare a uno scavo archeologico come assistenti.
E ben presto, per lei, i risultati arrivarono.
Appena conseguita la laurea, il responsabile del corso che stava frequentando, le annunciò che in Italia c'era la possibilità di partecipare a uno stage su uno scavo archeologico che, la Soprintendenza di Pompei stava iniziando su una dimora romana a Ercolano.
Doveva solo scegliere se andare oppure no, l'incarico era già suo.
Yvette era una ragazza decisa e sapeva di volerci andare, ma oltre al suo lato razionale doveva fare i conti sia con l'emotività che l'aveva fatta innamorare di Flavien Moreau, e sia con quella parte che desiderava attenzioni e approvazioni da tutte le persone che le stavano accanto.
Aveva bisogno del loro sostegno nelle scelte importanti, perché lei era, sì, una ragazza determinata, ma con un lato umano fatto di debolezze, e come tanti, voleva sentirsi rincuorata e appoggiata, dalle persone che amava e con cui si confidava, quindi, annunciata la sua decisione alla sorella Corinne, a Flavien e al suo amico Isidore e ricevuta la loro approvazione, decise di accettare e di partire per l'Italia in quella primavera del 2007, quando attorno alla città storica di Ercolano si sentivano i profumi sognati nell'immaginario di Yvette e descritti in maniera eccellente da Goethe nei suoi viaggi a Napoli, in quelle righe che, lei aveva letto e riletto fino alla noia.
Nei giorni a seguire, oltre a occuparsi dei preparativi per la partenza cercava di capire su cosa sarebbe andata a lavorare, la sua indole di pianificatrice non le permetteva di avventurarsi verso qualcosa a lei sconosciuta. Chiese, al tutor del corso di darle materiale per documentarsi. Fece anche delle ricerche per conto suo, chiese ad amici e parenti, ma non riuscì a raccogliere granché.
Da tutte le persone interpellate, ricevette soltanto un fascicolo con delle nozioni molto grossolane, che descrivevano in maniera, sommaria il sito oggetto dello scavo.
Si trattava della “Casa del gran portale”, edificata a Ercolano dopo il terremoto del 62 D.C. Secondo le informazioni reperite dai sovrintendenti italiani, sotto il suolo delle stanze della dimora romana doveva esserci una parte con le mura originarie dell'adiacente “Casa Sannitica” e quindi era intenzione della Soprintendenza di Pompei, riportare alla luce i reperti che documentassero gli usi e i costumi degli abitanti del luogo.
Notizie troppo generiche, ma che stimolarono, lo stesso, la curiosità e lo spirito di ricerca di Yvette, che anche prima della partenza continuò, senza tregua, a cercare quante più informazioni possibili.
Intanto, i giorni scorrevano e quella data era sempre più vicina.
Aveva scelto di anticipare la partenza, rispetto la data d'inizio dello stage perché voleva vedere qualcosa dell'Italia e la sua prima tappa sarebbe stata Roma.
Era il 23 aprile, quando dall'aeroporto Mérignac di Bordeaux, lasciò la Francia, diretta verso quella che per alcuni mesi sarebbe stata la sua nuova dimora.
Diede, un bacio a Flavien, un abbraccio agli amici e alla sorella Corinne, scorse con lo sguardo gli orari, prima dei controlli e si mise in coda al gate.
Non le pesarono di certo, né la fila, né l'attesa. Era molto eccitata all'idea di partire, era troppo felice per riuscire a pensare ad altro.
Volò con lo sguardo smarrito nei suoi pensieri e senza mai chiudere gli occhi fissò dal finestrino: il cielo e le Alpi. Si perse nei colori di quel tramonto e nei movimenti di quelle nuvole tinte di arancio, mentre s'imbattevano nei picchi dei monti, quasi a farli sembrare dei giganti che camminavano sulla neve.
Il viaggio non fu lunghissimo e l'atterraggio non proprio leggero, ma poco le importò, d'altronde Yvette, non era ragazza da avere tante pretese, si adattava bene a qualsiasi situazione.
Fu un pomeriggio ventoso ad accoglierla. Scesa dall'aereo, prese un taxi e si fece condurre in hotel.

Era la sua prima volta a Roma e ciò che le apparì, fu una città diversa da come l'aveva vista nelle raffigurazioni dei libri di scuola.
Era un luogo pieno di colori, di profumi, una città che la parte sognatrice ed emotiva di Yvette, la faceva sembrare magica e piena di riflessi indimenticabili.
Girò in lungo e in largo, i percorsi pianificati, con cura prima della partenza, ma al contrario di tante altre volte, lasciò che la magia di quei rioni invadesse la sua anima, che per la prima volta nella sua vita, le fece provare una strana voglia di sbagliare, e in ogni errore che commetteva, lei scopriva una nuova meraviglia in quella città, dai tanti, definita eterna.
E fu proprio in una di quelle imperfezioni che conobbe Claudio De Santis, un giovane architetto che abitava e lavorava in corso Rinascimento, un romano dall'aspetto molto modesto ma brillante, dallo sguardo tenero e diretto, un uomo di poche ambizioni a suo dire.
Una di quelle persone che nella vita non aveva grandi sogni, un soggetto che ricercava più la serenità che i guadagni.
Una persona che si accontentava, insomma.
Yvette lo conobbe dentro un negozio di articoli sportivi, dove si era recata per comprare una tuta. Gli chiese delle informazioni sui capi esposti, scambiandolo per un addetto alle vendite e lui con grande disinvoltura cercando di comunicare con quel poco di francese che aveva imparato a scuola, le consigliò di rivolgersi a una commessa anziché a lui.
Quello scambio di professione scoppiò in una risata interminabile, sotto gli occhi imbarazzati della vera commessa che non capì cosa stesse accadendo. Fu Claudio a chiarirle tutto e prima di incamminarsi verso l'uscio del negozio, diresse uno sguardo a Yvette e si lasciò incantare dalla meraviglia dei suoi occhi verdi.
La attese finire i suoi acquisti in silenzio, poi, con i modi di un vero gentiluomo la invitò a prendere un caffè passando, quell'ultimo pomeriggio romano di Yvette a chiacchierare e a passeggiare per le vie del centro.
Appena fattasi sera, i due, si lasciarono con una semplice stretta di mano e con la promessa di un altro caffè, qualora lei, fosse mai ripassata da quelle parti.
Yvette, trascorse l'ultima serata a Roma, oltre che a preparare i bagagli per l'indomani, a pensare a quante belle sorprese le aveva portato un incontro imprevisto, e a considerare la possibilità di evitarne il più possibile, perché per lei erano i progetti e le pianificazioni a fare il successo di ogni riuscita, non certo l'inatteso.
Partita, l'indomani per Napoli, raggiunse nel pomeriggio il gruppo di archeologi e di assistenti che la aspettavano in stazione per andare insieme, a prendere alloggio a Ercolano.
Giunti a destinazione furono sistemati in una casetta in prossimità degli scavi. Un alloggio troppo modesto, anche per le attese di Yvette che in prima battuta ne fu contrariata e si lamentò con il responsabile del gruppo, che con un certo disdegno le disse: - Sei qui per faticare, non per farti la vacanza! -
Una frase che non riuscì a controbattere, visto il modo diretto con cui Ennio Serra la ammonì.
- Che razza di zotico deve essere questo responsabile. - Rifletté Yvette, mentre sentì dentro una reazione incontrollata e inaspettata di rabbia che la attraversò, perché quella frase, detta in maniera così secca e schietta, l'aveva irritata e destabilizzata, tanto che, dopo quell'episodio, fu presa da un'immediata inquietudine che la fece sentire, inadeguata al posto, al ruolo e addirittura alle persone.
Senza nessun controllo, fu colta da un'insofferenza che mai avrebbe pensato di provare, quella sua parte emotiva e irrazionale, che da sempre era riuscita a controllare, ora, aveva preso il sopravvento su di lei, come se dentro, qualcuno aveva modificato quegli interruttori che lei aveva sempre saputo spegnere a suo piacimento, mantenendo un certo controllo, ma tutto questo durò poco, perché la sua personalità combattiva e forte le fece provare una tale indignazione verso i modi diretti e sgarbati di Ennio che pensò subito di ritornare da lui e fargli notare quanto era stato poco cortese.
Non fece niente di tutto questo, razionalizzò la sua esplosione emotiva e valutò quali erano i motivi della sua presenza in quel luogo.
Yvette, era lì per approfondire una sua passione, non di certo per litigare con Ennio, che tra l'altro, era il suo responsabile, da seguire, da ascoltare e magari da sopportare.
Capì che tutti quei pensieri erano suoi e di nessun altro, e che stava varcando troppo in avanti, le soglie di un futuro che non poteva conoscere.
Pertanto, fece una doccia, sistemò le sue cose nella stanza che le avevano assegnato e raggiunse gli altri per la cena.
E lì trovò una grandissima sorpresa, cose che nella sua Bordeaux lei non aveva mai né visto, né vissuto.

Trovò gli altri ad aspettarla all'ingresso della trattoria: “Gli immortali”, una locanda a conduzione familiare, tipica e modesta, dove si respirava un piacevole profumo di sugo e di famiglia.
Quanta semplicità e genuinità si odoravano in quelle portate per lei sconosciute, erano sapori forti e imponenti, semplici da vedere, ma complessi da gustare.
Ne rimase impietrita e affascinata, tanto da non riuscire, né ad aprire bocca, né a introdursi nelle conversazioni che si facevano a tavola.
Non era mai stato semplice, per lei, accettare i discorsi qualunquisti delle masse, né aveva mai compreso il senso del pettegolezzo, cosa che quegli italiani sapevano fare molto bene.
Fu Ennio a strapparla al suo silenzio, cercò con uno strano francesismo di introdurla ai discorsi del gruppo, poi però staccò la sua attenzione su di lei e assumendo un'aria alquanto professionale, iniziò ad annunciare e a spiegare, per sommi capi, quali erano i motivi della loro presenza lì: i loro ruoli, i compiti e su cosa dovevano lavorare.
Assunse un'aria da professore, scandiva le parole e guardava tutti negli occhi per assicurarsi che capissero cosa diceva.
Incontrò spesso lo sguardo di Yvette, che non essendo italiana, poteva avere, più di tutti, difficoltà nella comprensione.
Anche lei lo guardò a fondo, ed era affascinata dalla sua grande professionalità nell'affrontare la materia dell'oggetto dei lavori. Apprezzò, anche, quella sua particolare forma di attenzione che aveva nei riguardi di tutti gli elementi della squadra. La percepì come una forma di rispetto e di altruismo verso quelle persone viste per la prima volta.
Ennio descrisse i tratti e i lineamenti di quella dimora, che per ben sei mesi sarebbe diventata la loro seconda casa, come se in quelle mura e nel suolo dove era stata eretta, c'erano più dei soliti frammenti di terracotta da cercare. Descrisse la “Casa del gran portale” come qualcosa di magico.
In questo, lui, era davvero professionale, ma un po' tendente al teatrale e per tale motivo riceveva la giusta attenzione dai suoi interlocutori.
Aveva questa particolare caratteristica, ogni volta che parlava del suo lavoro, che amava più di ogni altra cosa, gli brillavano gli occhi, ed emanava così tante emozioni che a stento riusciva a contenere.
Dietro quel modo tecnico e professionale, che esternava con grande imponenza, c'era l'amore per quello che faceva e lo rendeva respirabile anche nell'aria.
Spiegò che il nome della dimora derivava dal bel portale che faceva da ingresso alla stessa. Disse che aveva una strana forma, quasi anomala rispetto al resto delle edificazioni limitrofe, e che la cosa più affascinante e misteriosa di tutta l'abitazione era un affresco che raffigurava Sileno seduto tra due satiri, mentre osservava Arianna, figlia di Minosse Re di Creta, abbracciata a Dioniso, Dio della viticultura, ma, all'improvviso, Ennio, smorzò la loro attenzione, con una battuta, così idiota che tutti si guardarono intorno senza nemmeno capire dove si trovavano.
Disse che Arianna era la tipica morta di fame che cercava di accasarsi con un uomo ricco che la potesse campare e scoppiò a ridere fragorosamente, coinvolgendo tutti nel gruppo, che lo seguirono, forse più per circostanza che per l'ilarità di Ennio.
Tutti tranne Yvette, che vide il vuoto creato da quella persona, una mancanza, che fino a quel momento, lui aveva colmato con il fascino delle sue parole e l'attenzione per tutti i suoi ascoltatori. Vide, contrariamente a qualche istante prima, un uomo tanto superficiale quanto puerile.
Difatti, Ennio, questo era, un continuo cambiare di atteggiamenti, era una persona che Yvette aveva sempre evitato come la peste.
Vide in lui una parte affascinante, altruistica, ma anche una completamente irrazionale e infantile. Un soggetto che mutava i suoi comportamenti con una rapidità quasi compulsiva.
Quella prima impressione, su Ennio, fu per lei talmente contorta che nelle prime settimane di scavo le fece evitare ogni contatto con lui. Lo interpellò solo per ragioni professionali e lavorative, e la medesima cosa fece con gli altri elementi del gruppo. Gli unici dialoghi che ebbero, furono per chiarimenti lavorativi o per nozioni d'italiano parlato.
In tanti notarono questo suo distacco dal resto della squadra, anche perché ogni sera, mente tutti uscivano, lei rimaneva chiusa in camera a conversare un po' con Flavien e il resto con la sorella Corinne, che sentiva molto la sua lontananza.
Non si erano mai separate, prima di allora. Yvette per Corinne era sempre stata un punto di riferimento. Era la sua cura, era l'àncora di salvezza alla sua fragilità innata, che copriva con un fare a volte impulsivo, altre arrogante, ma così tenero da riuscire a incantare.
Questo distacco dal gruppo, lo notò perfino Ennio, che era sempre molto attento a tutto, anche se in quel primo periodo dei lavori era troppo impegnato a fare la corte a una delle ragazze della squadra. Compresero il suo interesse per Caterina e a tutti sembrò alquanto normale, considerato, che anche lei non disdegnava per nulla le sue attenzioni.

Sembrava che tutto stesse andando com'era stato programmato e progettato. A distanza di un solo mese dall'inizio dei lavori dello scavo, vennero ritrovati parecchi frammenti di terrecotte utilizzati dagli antichi abitanti di quelle dimore, ma non solo, furono rinvenuti anche utensili da cucina realizzati in ferro e in ottone e qualche gioiello appartenuto alle donne che abitavano quelle mura. Un pomeriggio, prima della fine del turno, accadde qualcosa che ebbe davvero dell'incredibile, una scoperta che lasciò tutti a bocca aperta.
Fu proprio Caterina a fare questo rinvenimento.
Mentre toglieva gli ultimi strati di terra, notò che sotto di quelle polveri, c'era come una specie di tavola scritta, ma non riusciva bene a comprendere cosa fosse.
Poteva essere una lapide, ipotizzò, oppure qualcosa di più importante, ma prima di continuare a ripulirla chiamò Ennio che si recò immediatamente da lei, e al seguito tutti gli altri della squadra, che con enfasi e curiosità raggiunsero la ragazza.
Era una cosa inaspettata ciò che ritrovò, un qualcosa che nessuno aveva programmato e previsto, quindi bisognava procedere con tanta cautela.
Pertanto, Ennio, che aveva intuito l'importanza del ritrovamento e la delicatezza con cui occorreva procedere, decise di chiudere tutto per quella sera, riservandosi, per l'indomani, la facoltà di verificarla personalmente.
Caterina non riuscì ad accettare, del tutto, la scelta di Ennio e tra i due, poco prima di cena, ci fu una furibonda discussione. Non voleva essere allontanata da quel ritrovamento, si sentì come estradata e visto il rapporto che aveva instaurato con lui e pensando di essere la sua preferita, espresse come meglio poté il suo dissenso. Gli disse che, se si fosse permesso di allontanarla dal ritrovamento, lei avrebbe abbandonato la squadra, i lavori e perfino lui.
In un primo momento, Ennio, anche per cercare di chiudere la discussione, acconsentì a Caterina la sua richiesta, ma la sera, durante la cena, accadde qualcosa che nessuno si aspettava.
A tavola, la tensione si respirava come il profumo dei maccheroni con il sugo di pomodoro e basilico, che avevano appena servito, nessuno diceva niente, era la prima volta in un mese che a cena oltre a Yvette, nessun altro fiatava.
Tutti notarono il volto compiaciuto di Caterina che guardava, non solo Ennio, ma anche gli altri con un sorriso soddisfatto, quasi a dire: - Lui, fa quello che voglio io. - E tutti notarono che lui, più di ogni altra sera aveva esagerato con il vino, tanto che ne ordinò ancora, anche dopo la frutta.
Qualcuno tentò di fargli notare che stava esagerando e che faceva fatica pure a tenere le braccia sul tavolo, ma lui non rispose a nessuno e quel silenzio imbarazzante continuò per tutta la cena, fino a quando Caterina, con un tono quasi di sfida gli fece notare che era ora di smetterla e di andare a dormire.
Quella fu la scintilla che scatenò l'ira di Ennio, che senza nemmeno accorgersene, si scagliò con parole durissime contro di lei. Le disse di impicciarsi dei fatti propri, che né lei, né nessun'altra doveva osare intromettersi nelle sue scelte e decisioni. Le disse, anche, con i toni sempre più accesi, che lei, non era nessuno, anzi, era solo una stupida assistente.
- Ora vattene a letto e non mi rompere...! - Aggiunse con un tono per niente felice, sotto gli occhi e l'imbarazzo degli altri e del titolare della trattoria, che lo chiamò in disparte e gli fece notare che il suo comportamento era stato poco cortese e lo pregò di evitare, in futuro, simili atteggiamenti, se voleva continuare a cenare da lui.
Ennio, con l'ammonimento da parte dell'oste, si sentì molto mortificato e si scusò con lui, dicendogli che mai sarebbe più accaduta una cosa simile, che la colpa era del vino perché era troppo buono, e così con una risata i due chiusero quella chiacchierata, ma per Caterina ed Ennio, la lite non era ancora finita, tanto che i due si ritrovarono nella sua camera e ripresero a discutere, stavolta anche più animatamente di prima.
Dalla discussione si arrivò agli insulti, e Caterina presa da un raptus d'ira, afferrò una bottiglia di vetro e la scagliò con violenza contro Ennio. Essa colpì la parete e rompendosi, un frammento di questa si conficcò nella guancia, di lui, che cominciò a gridare per il dolore, sotto gli occhi impietriti di Caterina che non ebbe il coraggio né di dire, né di fare nulla, incredula del gesto che aveva compiuto.
Le urla e le richieste di aiuto di Ennio si sentirono dalla stanza di Yvette, che come ogni sera a quell'ora, chiacchierava con Corinne, e che udito ciò, chiuse la chiamata con lei, e corse verso la stanza dove erano i due.
Al suo arrivo, trovò Caterina in lacrime ed Ennio con un asciugamano pieno di sangue appoggiato al viso.
Chiese cos'era capitato, ma i due si guardarono senza darle spiegazioni. Poi con un filo di voce che sembrava quasi un sibilo, Ennio disse a Caterina di andarsene via e di non farsi più vedere, che in quella squadra non c'era più posto per lei e senza aggiungere altro, uscì dalla stanza seguito da Yvette.
- Fammi vedere cosa hai, credo sia il caso di darti una disinfettata - gli disse lei mentre lo seguiva. 
- Niente, è solo un graffio. - Le rispose lui, fermatosi a guardare la luna che quella sera era immensamente stupenda e luminosa.
- Dai, fatti vedere! - Riprese lei, mentre gli tolse l'asciugamano dalla guancia. - Hai ancora il frammento di vetro dentro, dobbiamo toglierlo, disinfettare e medicare la ferita, non è niente di grave ma è meglio se ti lasci aiutare, vieni in camera mia, lì ho tutto ciò che ci occorre. -
I due salirono nella stanza di Yvette, sedendosi l'uno di fronte all'altra. 
- Ora ti faccio un po' male. - Gli disse lei, appoggiandogli le mani nel viso ed estraendo il frammento di vetro con una pinzetta per sopracciglia. - Non ti preoccupare, guarirai presto, per fortuna il frammento non è andato troppo in profondità. -
Fatto questo, disinfettò la ferita e la medicò come avrebbe eseguito una vera infermiera professionista.
I due rimasero, per un attimo, a guardarsi negli occhi, Ennio aveva lo sguardo impaurito e tenero, lei quasi materno. Si era creata una strana atmosfera tra i due, nel silenzio di quella stanza. Il tempo era come se si fosse fermato, bloccato in quel fissarsi pieno di tante sensazioni, ma quel momento così intenso fu ben presto interrotto dalla suoneria del telefono di Yvette che distogliendo lo sguardo da Ennio, gli disse: - Scusami è il mio fidanzato che mi chiama. Potresti lasciarci soli? Per favore? -
Ennio non capì subito che doveva lasciarla sola, lo realizzò poco dopo e senza nemmeno salutarla e ringraziarla per quello che aveva fatto, uscì dalla stanza, lasciando Yvette con la voce di Flavien al telefono.
Percorse il corridoio, preso più che dal dolore che aveva per la ferita, dai pensieri di quel momento. Non l'aveva mai vista così, fino a quell' attimo, l'aveva sempre considerata una palla al piede, una presenza scomoda venuta dalla Francia. Un impiccio in più, ma da quell'istante il suo atteggiamento nei confronti di Yvette cambiò e quel ripensamento determinò anche il corso della prosecuzione dei lavori, che da quell'istante presero una piega ben diversa..
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