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Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Writer Officina
Autore: Giannicola Nicoletti
Titolo: La Cattedrale del Male
Genere Thriller Horror Esoterico
Lettori 2867 13 13
La Cattedrale del Male
I - L'inizio.


Elawer, Chiesa di St.Paul - Venerdì 17 Luglio 1998
Ore 7:02

Estate.

Era un'altra giornata calda come le altre, il sole già splende-va nel cielo azzurro e chiaro. Ero appena arrivato a Elawer, un piccolo paesino, frazione della vicina Soulville, dove vivevamo io e alcuni dei miei colleghi di lavoro.
Elawer era molto piccola, situata quasi sul picco di una mon-tagna. Aveva pochissimi abitanti, prevalentemente anziani. Pre-ferivano vivere lì grazie all'aria più fresca della città, alla tran-quillità del posto e al loro affetto per l'antica grande chiesa vi-cina.
L'edificio sacro era posto proprio sulla vetta della montagna, circondato da alberi e rallegrato da un enorme e verde giardino, in cui erano presenti fiori dai mille colori. Il luogo era molto curato e pieno di edicole con statuette sacre, appoggiate sui loro piedistalli, dove i fedeli di passaggio si raccoglievano in pre-ghiera per alcuni minuti prima di continuare la loro giornata.
Non ce n'erano molti a quell'ora, ma gli abitanti del luogo, in particolare due, che conoscevo ormai molto bene, iniziavano a farsi vivi sin dalle prime ore del mattino. Alcune volte, scen-dendo dal furgone, mentre addentavo una mela, mi fermavo ad osservarli. Quanta fede ci sarebbe voluta per essere lì, puntuali ogni giorno. Che ci fosse il sole o la pioggia non mancavano mai.
Pulivano sempre le statuette e le piccole lastre di marmo si-tuate ai loro piedi, rimuovendo rami e foglie secche che cade-vano dagli alberi circostanti mossi dal vento che, durante le ore notturne di questa torrida estate, donava agli abitanti un po' di refrigerio. Tenevano molto a questo posto e io sorridevo, guar-dandoli lavorare in quel modo goffo e lento, pensando che al loro posto probabilmente non ci sarei mai riuscito.
Come ogni giorno, dopo qualche minuto, padre Luis usciva sul sagrato della chiesa e dava il buongiorno ai laboriosi anzia-ni.
In seguito, eseguiva il classico gesto del segno della croce rivolto alla loro dedizione, sventolando le mani nel vuoto da-vanti a sé. Durante il bisbigliare delle sue parole incomprensibi-li, gli anziani si fermavano, e con il capo chino, ricevevano la sua benedizione in silenzio e a mani giunte.
- Amen. - pensai.
Era il momento del cambio di turno. Mi diressi alle spalle della chiesa, dove il mio collega Brad stava cominciando a se-lezionare l'attrezzatura necessaria per finire il lavoro.
- Allora Johnny, iniziate da quella parte e, man mano vi av-vicinate alla scalinata della sacrestia. Cercate di finire entro l'ora di pranzo, così sarete liberi per il resto della giornata. -
Il nostro caposquadra ci stava consigliando come proseguire l'opera, ma io lo interruppi e risposi, sorridendo:
- Buongiorno anche a te, Viktor -
- Hey Baker, non rompermi i coglioni! Ho lavorato tutta la notte e non ho nessuna voglia di scherzare. Adesso datevi da fare e non chiamatemi per nessun motivo. Il mio amico “Single Malt” è a casa che mi aspetta, mi ubriacherò e dormirò fino a lunedì - disse, scoppiando in una grassa risata.
Viktor era un tipo molto irascibile, ma in fin dei conti un buon uomo. Brizzolato, con l'occhio destro più chiuso del sini-stro, fumava almeno cinquanta sigarette al giorno e aveva un debole per il whisky.
Questo aiutava il suo carattere a peggiorare ogni giorno di più. Inoltre era venerdì, la settimana era stata molto dura e i suoi livelli di stress e fatica erano di molto aumentati.
Di sicuro non vedeva l'ora di tornare a casa e riabbracciare il suo vecchio amico “Single Malt”, restando in sua compagnia fino a quando non sarebbe svenuto sul divano. Finalmente ci aspettavano due giorni di riposo.
Avevamo fretta di finire i lavori prima di sera. Da lì a poco si sarebbe celebrato un matrimonio e non avremmo potuto lascia-re materiali e attrezzature sparsi dappertutto, dovevamo darci da fare dunque, anche se, tutto sommato, eravamo già a buon pun-to.
- Okay, tranquillo. Va pure a casa, al resto pensiamo noi. -
Così ci salutammo. Subito dopo si incamminò verso la sua auto, accendendosi l'ennesima sigaretta.
- Dai, Brad, cominciamo subito e cerchiamo di finire in un paio d'ore così potremmo attenerci al nostro piano. -
Ricordai al mio amico Brad, con cui ero di turno quella mat-tina che, se avessimo finito in tempo, ci saremmo imbucati al matrimonio, come pianificato il giorno prima, cercando di scroccare qualcosa al buffet e fare commenti sulle ragazze che sarebbero state vestite in modo attraente ed elegante.
Ci eravamo portati dei vestiti puliti da poter indossare per entrare nella chiesa, sperando di confonderci con il resto degli invitati.
- Oh, puoi starne certo! - rispose lui, sembrando molto più su di giri di me e ci mettemmo subito al lavoro.

II - Incontro sgradito


Elawer, Chiesa di St.Paul - Venerdì 17 Luglio 1998
Ore 8:37

Mentre aspettavo che Brad ultimasse il lavoro, decisi di af-facciarmi sulla parte frontale della chiesa per vedere come stes-sero andando i preparativi per l'imminente cerimonia. Lo avvi-sai che sarei tornato a breve, e mi incamminai lungo il perime-tro posteriore dell'enorme chiesa rivolgendo lo sguardo verso l'ingresso.
Appena voltai l'angolo, notai in lontananza alcuni facchini che stavano sistemando le fioriere. Avevano già steso il tappeto rosso dinanzi alla scalinata della chiesa e i primi invitati giun-gevano in auto lussuose, altri, invece, già si salutavano, adot-tando i soliti convenevoli accompagnati da formali strette di mano. Tornai velocemente da Brad che intanto aveva finito di sistemare tutto e ci dirigemmo nella sacrestia per indossare gli abiti puliti.
La sacrestia era ormai divenuta il nostro spogliatoio persona-le. Era stata messa a disposizione da padre Luis per tutti gli operatori, dicendoci che in quel periodo si sarebbe spostato in una camera nella grande casa di Buck, il custode.
La sua abitazione era situata ad una cinquantina di metri a destra dell'ingresso posteriore della chiesa.
La casa del custode era fatiscente rispetto al suo circondario. Un vero peccato, a mio avviso, poiché deturpava il meraviglio-so paesaggio offerto da quel posto immerso nella natura.
Fortunatamente non era così vistosa, grazie alla folta vegeta-zione. Alcuni grandi alberi ne ostruivano la veduta e la sua ubi-cazione sul retro la nascondeva alla vista ancora meglio.
Era una casa antica su due piani. Dinanzi ad essa c'era un grande capanno, anch'esso non molto visibile perché costruito più in basso, quasi sul fianco della montagna.
Di fronte alla porta di casa c' erano dei vecchi barili e botti di legno ammassate in un angolo, alcune delle quali erano rotte.
C'era anche uno di quei vecchi carretti in ferro battuto che un tempo venivano trainati dagli animali e un enorme cassone in lamiera arrugginita su ruote. Il tutto era infestato da rovi ed erbacce lasciate libere di prosperare a loro piacimento.
Sembrava quasi l'ingresso di una discarica, un vero peccato. Sicuramente Buck non si curava molto di tenere l'ingresso del capanno in ordine; del resto, bastava guardarlo in viso per capi-re che anche in lui c'era qualcosa che non andava.
- Sei pronto? -
- Un attimo, devo solo prendere i miei occhiali da sole. -
- Va bene! Ti aspetto fuori. -
Stavo quasi per uscire dalla sacrestia quando, all'improvviso, il cuore mi saltò in gola.
- Cazzo! Per poco non mi viene un infarto. -
Nel frattempo, Brad era giunto alle mie spalle, allarmato dal-le urla e, posandomi una mano sulla spalla, disse:
- Tutto bene, John? -
Mi voltai verso di lui, lo rassicurai e con un gesto della ma-no indicai l'uomo che era fermo immobile davanti a noi. Era Buck, il custode della chiesa. Mi era apparso all'improvviso davanti e mi aveva fatto saltare dalla paura.
- Dove credete di andare voi due? E perché siete vestiti co-sì? -
- Non sono affari tuoi, Buck, e ora spostati che siamo in ri-tardo! -
Brad, infastidito, cercò di spostarlo con un braccio. Buck non si mosse di un centimetro, ma lo colpì sul naso, facendolo cascare per terra.
Il volto di Buck aveva cambiato espressione: aveva i denti scoperti e i suoi occhi strizzati fissavano Brad che giaceva per terra. Sembrava irritato.
- Hey, datti una calmata! -
- Con chi diavolo credi di parlare, ragazzo! - disse infuriato.
- Sta' calmo, è tutto a posto - intervenni io, mentre cercavo di aiutare Brad a rialzarsi da terra.
Il naso di Brad esplose sotto la potenza di quel colpo e il sangue, schizzato fuori subito dopo, macchiò la camicia e la cravatta appena indossate per l'occasione.
Avevo sempre sospettato che Buck fosse un tipo strano. Al-cuni lo dicevano anche po' tonto. Dicevano che era vissuto da solo per quasi tutta la sua vita.
Aveva circa sessant'anni, era molto robusto e parlava poco. Non avrei mai immaginato che potesse avere una reazione del genere, almeno non per così poco. Nessuno lo conosceva bene e nessuno conosceva il suo passato eccetto padre Luis. Sembrava sapere tutto di lui, ma non ne parlava mai.
- Buck è un uomo difficile, - diceva soltanto. - Lasciatelo in pace. -
Mi voltai verso di lui e gli dissi:
- Buck, cosa ti dice il cervello? Noi qui non vogliamo pro-blemi. E adesso vattene! -
Il suono di un cellulare interruppe la discussione. L'uomo ti-rò fuori il telefono e lo osservò. Lesse qualcosa, se lo infilò in tasca e, senza proferir parola, ci voltò le spalle e si allontanò.
- Mi ha rotto il naso quello stronzo! Aaaah! Fa male, cazzo! Devo andare a Soulville, in ospedale. -
- Sei sicuro di farcela a guidare fino in città? -
- Certo, non preoccuparti! Tu resta qui, ti chiamo più tardi. -
Brad rientrò in sacrestia e si cambiò. Lo aiutai, mettendo il suo abito sporco di sangue nella borsa. Lo accompagnai al fur-gone facendo il giro largo per evitare lo sguardo degli invitati, che, intanto, si azzuffavano al buffet, e buttai la sua borsa sui sedili posteriori, dicendo:
- Appena finisci, vattene a casa col furgone. Chiederò a mia moglie di venirmi a prendere. -
Si stava già riprendendo dallo stordimento, ma la faccia ar-rossata cominciava a gonfiarsi vistosamente sotto gli occhi, co-sì gli consigliai di fare presto.
Fece un cenno con la testa premendo un panno insanguinato sulle narici e mise in moto il furgone.

III - Scoperta inaspettata


Elawer, Chiesa di St.Paul - Venerdì 17 Luglio 1998
Ore 10:00

Il sole era alto e cominciava ad arroventare l'aria. I rintocchi del campanile della chiesa comunicavano che erano le dieci in punto.
Avevo deciso di fare un salto nella chiesa per dare un'occhiata, sicuro di passare inosservato, cosa che credevo fa-cile visto il numero degli invitati che si stavano raggruppando al suo interno. Entrai, dunque, calpestando il morbido tappeto rosso ancora pulito steso sui gradini.
Il profumo delle rose bianche e dei fiori d'arancio freschi po-sizionati nei grandi vasi lungo il percorso, mi accompagnò per tutto il tragitto. L'organista suonava una musica dolce, mentre una donna dalla voce soave salmodiava alcune parole in latino.
La gente, sorridente, era sparsa in piccoli gruppi qua e là. Pa-renti e amici, donandosi generosi abbracci, cercavano di ricor-dare quanto tempo fosse passato dall'ultima volta che si erano incontrati.
La sposa aveva gli occhi tremolanti e colmi di lacrime men-tre fissava il viso del suo amato. D'un tratto, però, qualcosa at-tirò la mia attenzione. Un po' più a destra, dietro l'ingresso, che il sacerdote era solito usare per apparire dinanzi ai fedeli, intra-vidi padre Luis girato di spalle. Stava parlando concitatamente con Buck, che gli stava davanti e con lo sguardo puntato verso terra, come se stesse ricevendo un rimprovero. Nessun altro li notò.
Pensai che, probabilmente, Buck avesse raccontato a padre Luis cosa aveva fatto a Brad. Impossibile sentire quello che gli stesse dicendo, vista la distanza che c'era tra noi e il brusio pro-vocato dalla gente, ma ero deciso a chiarire la situazione con lui.
Mentre mi avvicinavo, il prete alzò un braccio e indicò all'uomo qualcosa sul retro, quindi si allontanò in quella dire-zione, come se gli fosse stato impartito un ordine da svolgere immediatamente.
- Ciao, Johnny! -
Qualcuno aveva urlato il mio nome, una voce femminile. Mi voltai e la vidi. Angela, una vecchia amica con cui avevo stu-diato insieme durante gli ultimi anni di scuola, era lì, e con la sua famiglia.
- Hey, Angela! Wow.... sei bellissima! -
- Grazie! Cosa ci fai qui? -
- Stiamo facendo dei lavori di manutenzione e mi sto assicu-rando che sia tutto a posto. Voi invece? -
- Mia cugina sta per sposarsi. Loro sono mio padre, mia ma-dre e il mio fratellino. -
Non volevo essere scortese, ma, dopo essermi velocemente presentato con la sua famiglia, mi scusai e mi allontanai uscen-do dall'ingresso principale.
Lei sembrò un po' delusa dalla noncuranza che usai nel co-noscere la sua famiglia, ma decisi comunque di allontanarmi rapidamente. In passato, avevamo avuto una relazione ed era finita quasi allo stesso modo.
Niente di speciale, comunque, tra noi era finita perché io l'avevo abbandonata insieme ai miei studi. Di sicuro, quindi, non sarebbe stato quello il momento di rivangare vecchi ricordi.
È sempre stata una donna in cerca di attenzioni e c'era rima-sta male dal momento in cui non mi ero fatto più sentire. Per me, sinceramente, era stata solo una semplice esperienza ses-suale, ma sembrava che lei non l'avesse ancora capito.
Una mia amica, un po' di tempo dopo, aveva saputo che quella storia non le era andata giù e che avrebbe voluto farmela pagare. Di sicuro non le avrei mai dato una simile opportunità e il conto in sospeso che avevo adesso con Buck era, senz'altro, più importante del suo.
Dopo tutto adesso ero sposato e le nostre scopate erano solo un lontano ricordo. Dunque, ritornai sui miei passi, andando-mene nella direzione opposta alla sua.
Ero incuriosito da quella dannata discussione tra i due avve-nuta poco prima dietro l'altare e volevo capire se aveva qualco-sa a che fare con quello che era successo quella mattina, quindi a passo svelto, cercai di raggiungere Buck.
Appena uscito, mi scontrai con un uomo anziano che sem-brava si stesse quasi nascondendo con un suo coetaneo, per fu-mare una sigaretta.
- Hey, ragazzo, che diavolo ti prende? -
- Mi scusi! - gridai, continuando a camminare senza fermar-mi.
L'altro uomo non interruppe il discorso che stavano facendo. Parlava di pesca, vantandosi delle sue ultime catture, almeno credo fu quello che mi parve di sentire, mentre mi allontanavo. Probabilmente si erano appartati per non recare disturbo agli altri ospiti con il fumo passivo.
Superai il marciapiede in marmo che circondava la chiesa e vidi Buck entrare nella sua abitazione.
- Hey, Buck! - provai a chiamarlo, ma non mi sentì.
Continuai a seguirlo. Volevo chiedergli cosa stesse succe-dendo e se avesse detto qualcosa a padre Luis su quello che era accaduto in precedenza con Brad, ma, quando giunsi dinanzi alla porta di casa sua, era già sparito. Allora decisi di aspettarlo lì qualche minuto, appoggiato con la spalla sulla pila di barili e con lo sguardo rivolto verso la porta di casa sua.
Guardai le finestre della casa, ma non vidi nessun movimen-to. Ad un tratto, udii una voce molto debole in lontananza, una specie di lamento. Non riuscivo a capire da dove provenisse, quindi iniziai a muovermi lì attorno.
Sembrava che qualcuno avesse bisogno d'aiuto. Una voce smorzata, come se stesse gridando in una scatola di cartone, talmente fioca e debole che quasi credetti essere frutto della mia immaginazione.
Non riuscivo ancora a capirne la provenienza, ma sembrava che si facesse più chiara nel momento in cui mi diressi verso il capanno. Poi di colpo più nulla.
- Che idiota! - mi rimproverai.
Pensai che probabilmente era solo la voce di un televisore rimasto acceso in casa di Buck e ritornai vicino alla porta, men-tre un sorriso schiudeva le mie labbra.
L'espressione del mio volto però, cambiò all'istante quando un debole alito di vento permise a un fortissimo odore di rag-giungere le mie narici.
Era un puzzo nauseabondo, pungente, disgustoso, che mi co-strinse istintivamente a tapparmi il naso con la mano. Notai che dal cassone in lamiera lì vicino fuoriusciva del liquido attraver-so una piccola crepa creata dalla ruggine.
Nonostante quel lezzo orrendo continuasse a bruciarmi le na-rici, decisi di avvicinarmi. Afferrai la maniglia del pesante co-perchio. Era rovente a causa del sole. Con la mano sinistra lo alzai velocemente e, con il naso nascosto nel gomito del braccio destro, cercavo di difendermi da quell'orrido tanfo.
Quella visione inaspettata scatenò un brivido di terrore lungo tutta la mia colonna vertebrale. Arrivò dritto al cervello come un fulmine, paralizzandomi nell'assistere quella scena per più di qualche secondo.

IV - Sospetti


Elawer, Chiesa di St.Paul - Venerdì 17 Luglio 1998
Ore 10:31

In un liquido denso e giallastro, galleggiavano due torsi ri-versi a faccia in giù. Ero agghiacciato. I corpi erano nudi, tron-cati di netto dalla cintola in giù, e avevano delle enormi cicatri-ci sulla schiena, che partivano dalla base del collo e arrivavano all'altezza dei reni.
Le enormi ferite erano ricucite in modo grossolano con uno spago nero molto spesso. Un bagliore proveniva da sotto di essi che permetteva di vederli chiaramente. Si trattava di una luce artificiale come quelle che usano gli speleologi, che una volta spezzata e agitata emettono una fluorescenza che dura per molte ore.
Una testa era ricoperta da lunghi capelli biondi, l'altra invece era mora, probabilmente si trattava di due donne. Non avevano più le braccia.
Sembravano essere state segate, smembrate brutalmente, con l'ausilio di uno strumento rudimentale, visto i lembi di carne che galleggiavano ancora attaccati alle spalle.
Ero sconvolto da quello che avevo appena visto. Non riusci-vo ancora a muovermi. Quella visione, insieme all'odore, che continuavo inevitabilmente a respirare, mi instillò un senso di svenimento. Ero paralizzato da quello che stavo vedendo.
Per fortuna, il dolore fisico proveniente dalla mia mano, ustionata dal calore del coperchio bollente, mi fece tornare in me.
Lasciai volontariamente cadere il pesante coperchio. L'impatto con il bidone di lamiera arrugginito provocò un forte rumore. Feci qualche passo indietro e lanciai un'occhiata alle finestre della casa, per vedere se avessi attirato l'attenzione di qualcuno. E, infatti, lui era lì.
Era alla finestra più alta, nell'angolo destro della casa, e mi fissava. I miei occhi incrociarono i suoi e sentii il suo sguardo vitreo penetrarmi l'anima, trasmettendomi un senso di panico che non avevo mai provato prima. La saliva nella mia bocca si era asciugata di colpo e faticavo a respirare.
Iniziai la mia fuga correndo nella direzione da cui ero arriva-to, pur non avendo la minima idea di quale sarebbe stata la mia destinazione.
Correvo più veloce che potessi, sentivo l'aria calda che im-pattava il mio viso. Provai ad inghiottire. La mia gola era secca come la mia bocca e riuscii a malapena a sentire l'aroma nau-seante di morte, respirata poco prima.
Sfrecciai dinanzi ai due vecchi che erano ancora lì a fumare:
- Ti farai venire un infarto! - gridò uno dei due.
Correndo, incrociai per un attimo i loro sguardi che si gira-rono nella parte opposta alla mia all'unisono attratti da un ru-more. Fu solo una rapida occhiata, appena un attimo prima di svoltare l'angolo, che con la coda dell'occhio intravidi Buck, già fuori di casa, che camminava nella mia direzione.
Mi stava seguendo. Cercai di correre ancora più in fretta, convinto in maggior misura di essere in pericolo. Non riuscivo a pensare cosa fare, non ero ancora abbastanza lucido da rico-minciare a ragionare e istintivamente mi diressi verso un grup-petto di case che erano poco più avanti certo di trovare un posto dove nascondermi.
Costeggiai le siepi lungo il giardino con le statue, che vede-vo tutte le mattine, mentre nella mia mente avevo ancora im-presso ciò che avevo visto poco prima. Quei corpi mutilati. C'erano delle persone a mollo in quel bidone.
“Credo sia stato Buck a ridurli così, altrimenti perché mi sta-rebbe seguendo? Vuole sbarazzarsi di me? Sono in pericolo. Adesso cosa faccio? Devo parlare con padre Luis. Ma come faccio a sapere che non sia coinvolto anche lui? È, forse, per quello che poco prima parlava con Buck in modo così concita-to? Quella mattina Buck era strano, più degli altri giorni” con-tinuavo a pensare.
“È per questo che aveva avuto quella reazione con Brad? Forse, sperava che così facendo ci avrebbe allontanati da casa sua?”
Mille domande per le quali non avevo una risposta.
Raggiunsi la prima casa, e mi infilai sotto un portico spo-standomi sul retro dell'abitazione. C'era un piccolo giardino, ben curato, con un vecchio albero piantato nel suo lato destro.
Vicino ad esso c'era un altro recinto, ricoperto da un'enorme siepe che ne delimitava l'intero perimetro. Sentivo il cuore bat-termi velocissimo e bussarmi nelle tempie.
Non so se ero più spaventato o affaticato a causa di quella frenetica corsa. La saliva cominciava a tornare, ma il respiro restava affannoso e molto pesante. Avevo bisogno di aiuto, su-bito.
Afferrai il telefono e cercai di chiamare Amelia, ma non mi rispose. Allora decisi di inviarle un messaggio:

Amelia vieni a prendermi ad Elawer. Sono in pericolo. Fai presto!!!

Speravo che mi chiamasse prima di partire. Amavo molto quella donna. Avevo accettato tutti i suoi difetti, ma, a essere sincero, c'era una cosa su tutte che proprio non sopportavo, e cioè che non aveva mai il telefono con sé.
Chiunque la conoscesse si lamentava del fatto che non riu-scisse mai a parlarle a telefono, per lo meno mai al primo tenta-tivo.
Non le erano mai piaciuti i telefoni cellulari, diceva che vio-lavano la sua privacy. Quel suo modo di essere un po' naif e sempre distratta mi faceva impazzire.
- Non parlare di privacy con me! Cazzo sono tuo marito! - le dissi un giorno, durante l'ennesima discussione.
Avevo capito ormai che quel suo modo di fare, di prendere sempre tutto alla leggera, facesse parte del suo carattere, ma mai come in questo caso avrei voluto sbagliarmi.
Provai a sporgermi appena dietro la parete, per vedere se Buck era ancora sulle mie tracce. Non vidi nessuno e riappog-giai le spalle al muro.
Sopra di me c'era una finestra chiusa. Stando attento a non farmi vedere, scivolai strisciando le spalle sulla parete, fino a sedermi per terra. Il respiro cominciava a raggiungere un ritmo più regolare, ma ero ancora molto spaventato.
Improvvisamente il cellulare vibrò nella mia mano:
- Eccola! -
Il telefono mi sfuggì e cadde nell'erba. Ero ancora molto nervoso. Lo recuperai e guardai lo schermo. Non era lei, ma solo un sms di un negozio locale di cui ero cliente, che pubbli-cizzava l'inizio dei saldi.
- Ma vaffanculo! -
Decisi, quindi, di chiamare la polizia.
- 911. Qual è l'emergenza? -
- Si, mi chiamo Johnny Baker, credo che ci sia stato un omi-cidio, dovete mandare subito qualcuno. -
La voce mi tremava.
- Si calmi, signore. Da dove sta chiamando? -
- Sono a Elawer, vicino alla chiesa di St. Paul. Venite fate presto! -
- Signor Baker, si calmi e mi spieghi cosa è successo -
- Non lo so... non so cosa sia successo. Ho visto due cadave-ri in un bidone. Sono stati smembrati, il custode della chiesa credo ne sia il responsabile, mi sta seguendo, sono in pericolo. Fate presto! -
Mentre parlavo al telefono con la polizia, avverti un dolore lancinante alla base della testa. Sobbalzai. Qualcosa di duro e freddo stava premendo contro la mia nuca tanto che una smorfia di dolore comparì sul mio volto.
Una voce profonda mi intimò di alzarmi. Forse Buck mi aveva raggiunto. Cercai di voltarmi per vedere chi fosse, ma l'uomo parlò di nuovo dicendo:
- Fuori dalla mia proprietà! -
Non era Buck. Continuava a spingere la canna del fucile sempre più forte nel mio collo e faceva dei gesti con la testa indicando la direzione in cui andare.
- Mi scusi, signore, ho bisogno di aiuto, mi aiuti la pre... -
- Fuori dalla mia proprietà! -
Cercai di guardare meglio il suo viso, tenendo le mani alzate e voltandomi lentamente. Lo riconobbi. Era il vecchio Bill, uno degli anziani che quella mattina avevo visto pulire la statuetta della Madonna nel giardino della chiesa. Conoscevo il suo no-me perché, una volta, avevo sentito padre Luis chiamarlo.
- Signor Bill, mi riconosce? Sono uno degli operatori che sta lavorando per padre Luis, ci siamo visti anche questa mattin... -
- Sei sordo per caso? Ho detto fuori! -
Mi interruppe ancora, urlando a squarciagola. Cercava di af-fondare ancora di più la canna del fucile nel mio collo, non eb-bi, quindi, altra scelta che assecondarlo silenziosamente.
Mi spinse in avanti fino a quando giungemmo all'uscita an-teriore di casa sua, poi mi lasciò camminare da solo verso un piccolo cortile, tenendo comunque il suo fucile puntato su di me. Quando ebbi oltrepassato il confine della sua abitazione, rientrò in casa sbattendo la porta con forza.
L'impatto provocò un forte rumore, secco, che fortunatamen-te non poté essere udito, poiché coperto dal suono delle campa-ne che proveniva dalla chiesa. La funzione religiosa era termi-nata.
Il vecchio signor Bill! Ero talmente nervoso che iniziai a parlare da solo ad alta voce:
“Vecchio rincoglionito! Avermi trattato in quel modo senza neanche darmi la possibilità di spiegargli. Alcune persone non sanno proprio cosa sia essere umani.”
Non che avrebbe dovuto, dopotutto non ci conoscevamo nemmeno, ma era da una settimana che ci vedevamo tutti i giorni, sapeva chi ero.
Lo salutavo tutte le mattine con un cenno del capo o della mano...
In effetti, adesso che ci penso, lui non ha mai ricambiato. Si è sempre voltato dall'altro lato. Sarebbe bastato quello a farmi capire che non avrei dovuto aspettarmi niente di buono da un tipo del genere.
- Inutile pezzo di merda! - sussurrai sputando ai miei piedi.
“E se fosse stato anche lui a conoscenza di quello che succe-deva lì? Magari un altro complice. Per questo ha ignorato la mia richiesta di aiuto?”
Scartai subito questa mia ultima osservazione, poiché, se fosse stato un complice, dubito che mi avrebbe lasciato andare via così.
Giannicola Nicoletti
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