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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Arsenio Siani
Titolo: Ritorno a Nulvis e altri racconti
Genere Giallo Storico
Lettori 2584 13 13
Ritorno a Nulvis e altri racconti
“E infine, ci risiamo.”
Aker fece vagare lo sguardo sulle pozze davanti a lui. Erano arrivati nel sito termale a cui giunsero quella notte di un anno prima durante il loro viaggio verso Nulvis per risolvere il mistero dell'omicidio del giovane rampollo della famiglia Lecne.
“Signore, cosa intendi fare?” chiese Vel notando che Aker si stava sciogliendo i lacci della tebenna.
“Ovviamente intendo fare un bagno ristoratore. Quest'acqua è come un balsamo curativo su un corpo acciaccato da un lungo viaggio, ricordo molto bene la sensazione di benessere dello scorso anno.”
“Certo, padron Aker, anch'io ricordo molto bene quella notte, e come abbiamo rischiato di rimetterci la pelle a causa di quei briganti. Che senso ha mandare via gli acciacchi se poi rischi di ritrovarti un coltello conficcato nella gola?”
Mentre Vel continuava a parlare Aker, denudatosi, completamente, si era avvicinato a una delle pozze inferiori, intinse un piede sulla superficie e, constatato che non era eccessivamente calda, ci si immerse completamente. “Coraggio, entra anche tu, Vel.” Invitò il suo schiavo a raggiungerlo mentre, con due bracciate, raggiungeva uno dei bordi di pietra della pozza per poggiarvi la nuca. S'immerse fino al mento e chiuse gli occhi lasciando andare tutto il suo essere al caldo abbraccio di quei flutti.
“Preferisco restare di guardia. Piuttosto cerca di sbrigarti, il sole è ancora alto ma manca ancora un pezzo per giungere al villaggio e vorrei arrivarci prima di sera.”
“Abbiamo tempo, stavolta conosciamo la strada. Saremo a Nulvis per tempo, stai tranquillo. Vieni a rilassarti anche tu, Vel. Per essere un Rasenna sei troppo poco ozioso, dovresti rispettare di più usi e costumi del tuo popolo.”
“Ti ripeto che non posso. Anzi, non voglio.”
S'incupì e voltò le spalle bruscamente sollevando nuvolette di polvere sotto ai suoi piedi mentre roteava il busto. Raccolse della legna secca e la ammucchiò poi prese le due pietre focaie dal sacco che gli pendeva dalla cintura. Le sfregò più volte, senza risultato. Nessuna scintilla veniva prodotta e l'aria si riempì soltanto di un rumore stridulo che ricordava quello di un rapace a caccia di prede. Vel accelerò i gesti e la forza di sfregamento tra le pietre fin quando fece scivolare l'indice della mano sinistra troppo oltre il bordo della pietra e se lo schiacciò. Urlando per il dolore e imprecando scalciò il fascio di legna ed erbe secche che si disperse tutt'intorno, alcuni rami colpirono il cavallo che riposava lì accanto, la bestia, spaventata dall'inaspettato gesto, iniziò ad agitarsi e scalciare.
“Fermo! Stai fermo stupido animale”urlò Vel tirandogli con forza la criniera, ottenendo così soltanto di farla imbizzarrire ancora di più. Aker, uscito dall'acqua, si era avvicinato al cavallo lentamente tenendo un braccio leggermente piegato in avanti e il palmo della mano rivolto verso il suo muso. Il magistrato fece un verso facendo schioccare la punta della lunga contro il palato e dopo pochi istanti posò le dita nello spazio della testa del cavallo compreso tra i due occhi. Poi, in quel medesimo punto, vi poggiò la fronte. Aker, col corpo che emanava vapore, rimase in quella posizione per un tempo sufficiente a calmare ogni nervosismo dell'animale.
“Ti riesce tutto troppo facile, padron Aker. A volte penso che la tua perfezione sia davvero odiosa.”Vel lanciò ad Aker un panno per consentirgli di asciugarsi poi sparì dietro un cespuglio. Quando tornò con un nuovo fascio di legna tra le braccia il falò era già vivo e scoppiettante. Aker contemplava la viva fiamma mentre se ne stava seduto su una roccia. In un piccolo tagenon aveva messo a tostare dei legumi. Spostò gli occhi su Vel e per l'ennesima volta notò quanto fosse diventato emaciato il suo schiavo negli ultimi tempi. Il viso era scavato e pallido, dal ventre che un tempo era stato tondo pendevano rotoli di pelle. Gli occhi spenti erano solo una grottesca imitazione di quelli vivi e curiosi che aveva visto ardere di determinazione e impavidità anche nei momenti più difficili.
“Mi fa male al cuore vederti così, amico mio.”Aker strizzò la barba così forte da sentire dolore, le gocce di acqua termale ricaddero ai suoi piedi ed evaporarono all'istante rilasciando un odore sulfureo che dava all'ambiente una parvenza di oltretomba.
“Sto bene, padron Aker”replicò Vel adagiando un pezzo di legno nel fuoco, ma il tono di voce, incrinatosi per la sofferenza che non riusciva più a contenere in quelle membra indebolite dal digiuno e dall'agonia, tradirono la sua reale condizione.
“Posso fare qualcosa per te? Dimmi come posso aiutarti, ti prego.”
“Sto bene”ripeté Vel mentre afferrava il tagenon con la mano già ferita. Urlò e imprecò di nuovo, sfogò la frustrazione contro il tronco di un albero che iniziò a scalciare furiosamente. Infine crollò come l'argine di un fiume in piena e iniziò a singhiozzare. “L'ultima volta che il mio essere si è posato su questi luoghi ancora non avevo conosciuto Ailish. Ancora non ero felice. Di lì a poco la mia vita sarebbe cambiata.”
Il passato era tornato, e Vel non era mai stato bravo a fare i conti con i segni che ogni persona lascia quando attraversa la nostra esistenza. Ogni evento, ogni incontro, rappresentava un prolungamento del suo essere, e la consapevolezza di ciò che non è più gli procurava un dolore paragonabile a quello causato dall'amputazione di un arto.
“Vel...”
“Mi dispiace, padron Aker. Perdonami. Ho sempre cercato di essere un servitore degno della tua fama e del tuo nome e invece ti ritrovi a dover fare affidamento su un essere meschino come me.”
“Non dirlo nemmeno.”Aker gli posò una mano sulla schiena scossa dai singhiozzi e spinse, premette verso il basso come se volesse trasferirgli un po' della sua forza; come se volesse aiutarlo a contenere quel dolore. “Non dirlo nemmeno”ripeté, come una formula magica. Continuò a ripetere quella frase e a tenere la mano su quella schiena ossuta fin quando Vel, scivolando con la fronte sulla corteccia dell'albero, s'inginocchiò. Posate le mani sulle cosce, trovò la forza di rialzarsi. Calò il silenzio, rispettato anche dalle creature della natura, insetti, animali e spiriti dei boschi. Fu allora che Vel, intento ad ascoltare solo i battiti del suo cuore, lo udì: “Padrone” bisbigliò.
“Lo so.”
Non erano più soli.
Aker, udito il rumore di una corda che viene tesa, afferrò Vel e scattò di lato; un istante dopo la punta di un dardo era penetrata nel tronco.
“Fermo!”
L'ordine, giunto da una voce autoritaria e possente, rimbombò tra gli arbusti mentre lo zilath e Vel si lanciavano tra le fronde per celare la loro presenza, ma non sembrava rivolto a loro. “Sciagurato! Ti ho forse ordinato di scoccare? Rispondi, razza di stupido!”
Aker, riconoscendo un tono familiare in quella voce, allungò la testa oltre un arbusto. “Sei Xestes, vero? Sono Aker Perkna, zilath mexl rasnal di Velzna, tornato in queste terre in virtù di una richiesta di aiuto del vostro marnux.”
L'uomo replicò con un ululato. “Razza di cialtrone! Ti farò scuoiare vivo, accidenti a te e a quella baldracca che ti ha dato i natali!”
“Come osi parlare così al magistrato supremo della città di Velzna?”L'indignazione di Vel fu più forte della paura e lo spinse a fuoriuscire dal suo nascondiglio. Trovò tre soldati in ginocchio mentre Xestes, il comandante della guarnigione, percuoteva con le sue grosse mani callose un giovane arciere che, piangendo, implorava pietà.
“Inutile donnicciola, prostrati al cospetto del tuo signore Aker Perkna e accogli la giusta punizione che vorrà comminarti per il tuo oltraggio.”Tirò un calcio nel didietro all'arciere che rotolò tra le foglie secche fino a giungere a pochi passi da Aker che intanto, intuito il malinteso, aveva iniziato a rivestirsi.
“Perdona se il tuo arrivo in questi territori è stato così turbolento, signore”anche Xestes si era inginocchiato, prostrandosi in un modo ancor più profondo degli altri guerrieri, “questo sciagurato fa parte da poco della guarnigione, è abile con l'arco ma impulsivo e sanguigno. La vedetta vi ha visti arrivare e, temendo che foste briganti, siamo giunti in ricognizione. Non vi abbiamo immediatamente riconosciuto perché eravate di spalle, così...”
“Tutto chiaro”lo interruppe bruscamente Aker.
“Disponi pure di questo irresponsabile come più ti aggrada.”
“Non c'è bisogno che me lo ricordi, Xestes. In quanto zilath mexl rasnal della città che amministra questi territori so bene quali sono le mie prerogative.”
Xestes chinò ancora più profondamente il capo mentre con una mano spingeva la nuca dell'arciere verso il basso facendo sprofondare il suo viso nel terreno. Il ragazzo dapprima non accennò nessuna reazione poi, resosi conto che il comandante non mollava la presa, iniziò a dimenarsi perché gli mancava l'aria.
“Lascialo”ordinò Aker e Xestes obbedì all'istante. L'arciere, tossendo e sputando fili d'erba e polvere, si rizzò in piedi trovandosi davanti a sé Aker che lo scrutava con ciglio severo. “Qual è il tuo nome?”domandò lo zilath con una profondità nello sguardo che pareva rovistargli negli anfratti dell'animo.
“Pi-pinos.”L'arciere balbettò poi chinò ancora la testa in segno di sottomissione ma anche per distogliere l'attenzione da quello sguardo che bruciava come un tizzone ardente.
“Pinos... un nome da fornaio, o al limite da oste. Non certo da guerriero. Per di più, un nome che attesta la tua origine umbra, o picena. Sei un mezzo etrusco, Pinos l'arciere?”
Il ragazzo non rispose, lacrime grosse come perle si staccavano dai suoi occhi per cascargli sui piedi mentre teneva la fronte bassa. “Perdonami, signore”fu l'unica cosa che riuscì a dire.
“Non m'interessano le tue scuse. Perché hai scagliato quella freccia?”
“Perché pensavo che foste dei briganti.”
Aker rimase immobile e in silenzio; sembrava che aspettasse qualcosa.
“Non è questa la risposta che mi aspettavo, Pinos. Torno a chiederti: perché hai scagliato quella freccia?”
Pinos strinse l'arco con più forza, si poteva udire scricchiolare il legno dell'impugnatura. L'altra mano, contratta a pugno, tremava.
“Perché avevo paura.”Parlò veloce, sputando quelle parole come se volesse lasciarle a volteggiare in quello spazio mentre lui fuggiva lontano. E invece rimase lì, ad attendere la punizione che gli spettava.
“Esatto, Pinos. Tu hai avuto paura. E hai rischiato di uccidere me o qualunque altro innocente che oggi avesse avuto la sfortuna d'incrociare il tuo cammino. Capisci la gravità del tuo gesto?”
Annuì.
“Guardami negli occhi quando rispondi.”
Pinos sollevò lo sguardo pavidamente, con lentezza. Le lacrime, quelle lacrime che stava cercando di tenere nascoste ad Aker, gli stavano solcando il viso.
“Anche adesso hai paura, Pinos. Le tue lacrime non mentono. Cosa devo fare con te? Questo mondo difficile e pericoloso non ha bisogno della tua paura. Le persone che non riescono a dominarla sono un rischio per gli altri, è l'emozione più dannosa. Perché ti fa arrendere a un nemico che reputi più forte, ti fa distruggere chi potrebbe rappresentare un minaccia in futuro per te e ti fa scoccare una freccia senza aver prima valutato se il bersaglio sia meritevole di beccarsi un dardo nel petto.”
“Basta così, signore. Ti prego! Fammi passare a fil di spada, fammi lapidare ma frena questo tormento. Comminami la giusta punizione così che io possa recuperare il mio onore.”
“Non l'hai ancora capito? E' questa la giusta punizione.”Aker sorrise, poi gli diede una pacca su una spalla. “Per vincere la paura devi diventare più forte, ragazzo. Più è grande la tua paura e più dovrà essere grande la forza che gli anteporrai. Diventa l'arciere più lesto e più forte di tutti se è l'unico modo per acquisire un coraggio che sia degno dell'armatura che porti.”
Fece per montare in sella al suo cavallo quando fu fermato da Xestes che gli afferrò un braccio.
“Signore, sei sicuro che è tutto qui?”
“Il ragazzo ha imparato la lezione. E' sufficiente.”
“Ma...”
“Invece di sbraitare come un cane e di lanciare insulti che servono solo ad umiliare impara a soppesare le tue parole. Credi di aver avuto un atteggiamento degno di un comandante?”
“Signore: io ho agito in quel modo perché ho avuto paura per la tua incolumità...”Xestes si bloccò e sgranò gli occhi mentre portava le pupille in un punto indefinito verso le creste delle colline di fronte a sé.
“Brutto sentimento, la paura. Quante cose sciocche fa fare. Temo che anche tu debba allenarti molto se vuoi diventare un buon comandante. Ora andiamo. Seguimi, Vel.”
Vel si lasciò alle spalle il manipolo di soldati e trotterellò accanto al suo padrone che faceva procedere il suo cavallo a passo d'uomo. Risalirono per lo stretto sentiero che conduceva alle pozze per imbeccare la strada principale verso Nulvis.
“Semmai torneremo ancora in questi territori faremo bene a evitare questa stazione termale. Secondo me è maledetta, ogni volta che ci fermiamo lì rischiamo la vita”brontolò Vel.
Aker si limitò ad annuire ma dentro di sé fu felice di constatare che il suo amico avesse ancora la vitalità con cui accennare certe reazioni.
Il cielo cominciava a imbrunire e i contorni delle nubi si stavano colorando di un tenue rossore quando videro spuntare i tetti di paglia delle capanne di Nulvis. Si fermarono ad ammirare quel panorama che evocava ricordi piacevoli ma anche immagini terrificanti: il piazzale al centro del villaggio definito “piazza del cinabro”, non perché la pavimentazione fosse rivestita con tale materiale ma per via del suo utilizzo come luogo di esecuzione dei criminali condannati a morte il cui sangue inondava il polveroso terreno donandogli una coloritura vermiglia, la bassa e larga costruzione quadrata che ospitava la taverna, le piccole abitazioni disposte in maniera ordinata lungo il sentiero sterrato che tagliava in due il villaggio, il palazzo dei Lecne, la nobile famiglia reale dal tragico destino. Infine, la meta finale del loro viaggio, la capanna che ospitava il marnux, il capo del villaggio. Giunti davanti alla porta della capanna Aker sollevò il pannello di legno ed entrò, seguito da Vel. L'ambiente, illuminato da una torcia, mostrava le poche suppellettili presenti: uno sgabello di legno, un basso tavolo e un kline; anche lì non era cambiato nulla... o quasi. Aker ebbe l'impressione che mancasse qualcosa. Una minuta figura, piegata su una tavola di argilla su cui stava incidendo un testo con uno stilo di legno, si sollevò e gli venne incontro rivelando i propri connotati alla fiamma della fiaccola pendente da una delle pareti.
“Sono Aker Perkna, zilath mexl rasnal di Velzna, e lui è il mio schiavo Vel”proclamò Aker con voce dapprima perentoria poi più sfumata quando si rese conto che il suo interlocutore era solo un misero e decrepito vecchio.
“Perdonami signore per non averti accolto con i dovuti onori ma nessuno mi ha avvisato del tuo arrivo”implorò l'uomo chinando la testa e tremando come se si trovasse davanti a una belva feroce pronta a sbranarlo.
“Non angustiarti per questo: ci hanno già pensato i membri del corpo di guardia ad accoglierci in modo adeguato.”
L'anziano non dovette cogliere l'ironia nel tono di voce di Aker poiché emise un sospiro di sollievo e il viso, dapprima contratto, si rilassò. Accomodatosi su uno sgabello, invitò Aker e Vel a sedersi di fronte a lui sull'unico kline disponibile nella stanza.
“Ti ringrazio per la pronta risposta alle mie richieste e per la tua celere venuta, signore.”
“Cosa stavi scrivendo?”domandò Aker senza badare ai convenevoli mentre continuava a osservare il tavolo su cui era riposta la tavoletta d'argilla.
L'uomo si strinse nelle spalle come se ciò che stava per dire gli causasse un profondo senso di vergogna. “Una richiesta alla famiglia Ulfnei di effettuare una donazione per il villaggio. Sono cambiate molte cose dalla tua ultima visita, la morte di ogni componente della famiglia Lecne ha creato una condizione di caos da cui ancora non ci siamo totalmente liberati. Era il capo famiglia a organizzare e amministrare il lavoro agricolo, con la sua dipartita abbiamo perso il punto di riferimento per mandare avanti il nostro sostentamento.”
“Quindi siete costretti a chiedere aiuto ai vostri vicini.”
“Non abbiamo altra scelta, quest'anno il raccolto è stato parecchio magro, se vogliamo sopravvivere dobbiamo fare ricorso alla bontà dei nostri consanguinei a cui non possiamo promettere altro che ricambiare il nostro debito di gratitudine in caso fossero loro, in futuro, a essere colpiti da qualche sventura.”
“Capisco; ma veniamo a noi. Non mi hai ancora detto il tuo nome.”
“Velthur”rispose l'anziano con un filo di voce per sottolineare la soggezione che provava nei confronti dell'autoritarietà di Aker.
“Molto bene. Esponi i tuoi fatti Velthur, marnux di Nulvis.”
L'uomo parve indeciso, guardò Vel come se cercasse in lui un consenso a parlare. Accortosi che lo schiavo lo ignorava distogliendo continuamente lo sguardo, si decise ad accogliere la richiesta del magistrato.
“Sono il secondo successore di Elaksantre, colui che ben conosci... non credo che ci sia bisogno di aggiungere altro. Il primo fu un uomo più anziano di me, anzi, il più anziano di tutto il villaggio, Caecis. Ha amministrato Nulvis per poco tempo, infatti dopo appena tre lune dall'inizio del suo incarico fu trovato morto sul kline su cui state sedendo.”
Vel a quelle parole emise un secco urlo e scattò in piedi con un'espressione di disgusto e orrore nel viso, poi si spolverò le vesti battendole con una mano come se fossero state contaminate da un morbo letale.
“Lo trovarono al mattino i soldati della guardia per constatare il motivo della sua assenza all'assemblea del villaggio che doveva presiedere. Xestes, il capo delle guardie, riferì che il viso era contratto in una smorfia di puro terrore, come se la visione di Carun, giunto per portarlo negli inferi, lo avesse colto di sorpresa.”
Aker, a quelle parole, si agitò sulla panca e piegò la testa portandosi una mano verso il mento.
“Il cerusico del villaggio ha ritenuto che Caecis fosse semplicemente giunto alla fine dei suoi giorni, era molto anziano e malato al punto che doveva fare attenzione agli sforzi fisici se non voleva ritrovarsi con un dolore al petto così lancinante da togliergli il respiro.”
“Da come parli sembri insinuare che il cerusico si stesse sbagliando. Ci stai per dire che sospetti che Caecis sia stato assassinato?”Vel, poggiatosi alla parete, anticipò il pensiero del suo padrone che intanto se ne stava meditabondo sulla panca a osservare un punto indefinito del pavimento, perso nelle sue riflessioni.
“Lasciami finire”disse Velthur infastidito, sollevando una mano per invitare Vel a tacere. “Come dicevo, ho dunque ereditato il ruolo di Caecis, tuttavia ho subito notato che c'era qualcosa che non andava: dapprima ho pensato che fosse un dettaglio di poca importanza invece l'evolversi degli eventi ha gettato una luce diversa su quel fatto; ovvero, la presenza di uno dei rotoli di papiro componenti i libri rituali con una peculiarità singolare.”
Vel si guardò intorno in cerca di una cassa o di un cratere che fungessero da contenitore dei rotoli.
“Quando mi cadde l'occhio sul malloppo di rotoli la prima volta in cui ho preso possesso di questa capanna ho notato che uno di questi sembrava nuovo. La differenza rispetto agli altri era evidente, questi presentavano sui bordi i segni dell'usura e del passare del tempo mentre quello era perfettamente conservato. Ho interrogato l'aruspice per sapere se avesse realizzato una copia di uno dei rotoli ma mi ha detto di non saperne niente, abbiamo esaminato insieme il manoscritto ma non abbiamo trovato tracce di manomissione. Decisi quindi di lasciar perdere fin quando un evento successivo ha fatto riemergere i miei sospetti: i rotoli sono spariti tutti. Mi sono svegliato un mattino e non c'erano più. Qualcuno durante la notte deve essere penetrato qui dentro e ha portato via i papiri mentre dormivo.”Velthur deglutì mentre descriveva una scena in cui era totalmente alla mercé di un malintenzionato penetrato nella sua abitazione.
“Capisco”annuì Aker, “quindi, se ho capito bene, Caecis potrebbe essere stato assassinato da qualcuno penetrato nella capanna per portare via un solo papiro che ha sostituito con una copia per non destare sospetti. Stando alle tue indicazioni sulla condizione di salute di Caecis può anche darsi che sia morto per lo spavento di ritrovarsi di fronte a un estraneo. Si sarà svegliato per un rumore e vedendo un'ombra che si muoveva furtiva sarà stato invaso dal terrore che ha prosciugato del tutto la linfa vitale in quel corpo canuto.”
Gli occhi di Velthur brillarono nonostante non vi fosse nessun riflesso della torcia in essi.
“In seguito il ladro è tornato per portare via tutti i rotoli, forse si era reso conto di aver preso quello sbagliato la volta precedente o forse ha capito di aver bisogno di tutti i rotoli... per qualche motivo. Stavolta tuttavia non si è preoccupato di non farsi accorgere del suo gesto criminoso.”
“Eccellente Aker, signore. Ero sicuro che avresti fatto immediatamente una ricostruzione impeccabile dei fatti”disse Velthur gongolando. La luce che il suo volto irradiava in quell'istante diede l'impressione ad Aker e Vel che fosse ringiovanito di almeno dieci anni.
“Quale tipo di indagini sono state fatte?”
“Ho incaricato il corpo di guardia di setacciare l'intero villaggio, ogni capanna, ogni contenitore, coppa o sacco che fosse, alla ricerca della refurtiva. Inutile aggiungere che la ricerca è stata vana; credo che possiamo asserire, con assoluta certezza, che i rotoli non si trovano più a Nulvis. D'altronde non sapremmo di chi sospettare come potenziale ladro di un simile malloppo se pensiamo che quasi nessuno in questo villaggio sa leggere. Cosa ne farebbero mai?”
“Potrebbero venderlo altrove”suggerì Aker “in fondo i testi sacri hanno un certo valore, non solo religioso. Tra l'altro mi pare di ricordare che quelli custoditi in questo villaggio siano parecchio antichi, addirittura risalenti all'epoca della fondazione dei primi insediamenti Rasenna in queste terre. Un motivo in più per ritenerli un ricco bottino. Comunque, volendo dare ragione alla tua obiezione, hai provveduto a interrogare tutti coloro presenti in questo villaggio che sappiano leggere e scrivere?”
“Certo, mio signore. D'altronde non è stata un'attività impegnativa: a parte io, i sacerdoti, il cerusico e qualche donna che spera di dare un'istruzione alla propria prole per garantirgli un avvenire migliore in qualche città dell'Etruria nessun altro ha un livello di conoscenza tale da interpretare e riconoscere i segni della nostra scrittura. Gli abitanti di questo luogo sono dei grandi lavoratori, pensano solo a portare il cibo a casa e non hanno tempo per farsi un'istruzione.”
“Inutile aggiungere che da questi interrogatori non è emerso nulla.”
Velthur scosse la testa. “Abbiamo perquisito con ancora più minuzia le loro proprietà e i possedimenti ma è stato tutto vano: chiunque sia stato deve aver portato via da Nulvis i rotoli.”
Aker cominciò a passeggiare per la stanza tenendo le mani incrociate davanti al petto. La sua mente vagava già in territori inesplorati in cerca di risposte che potevano derivare solo dalla congiunzione dei pochi pezzi messi insieme fino a quel momento. Afferrò la torcia e si avviò verso l'uscita. Un'aria fresca penetrò nella stanza dalla porta aperta insieme a un buio tagliente: era giunta la sera.
Aker agitò in basso la torcia muovendola a semicerchio; sembrava che stesse studiando il terreno.
“Se cerchi delle tracce del ladro mi dispiace padron Aker ma non ce ne sono. Abbiamo provveduto a cercare impronte o segni ma non abbiamo trovato nulla. D'altronde il terreno è arido, non piove da giorni, se ci fosse stata un po' di pioggia sarebbe stato più probabile trovare delle orme nella fanghiglia ma in queste condizioni la ricerca di orme o impronte che siano non può che rivelarsi vana.”
“Se fossi un ladro starei attento a certi dettagli, credo che non sia un caso che abbia deciso di colpire durante la stagione secca”suggerì Vel.
“Ottima deduzione, amico mio. Vedo che la mia compagnia ti sta giovando e cominci a ragionare come me. E cos'altro ne deduci da questa storia?”
“Ehm, vediamo... dunque, probabilmente il ladro è qualcuno di esterno al villaggio. Potrebbero entrarci gli Ulfnei? Forse hanno commissionato la rapina dell'unica ricchezza di questo luogo dimenticato dagli déi?”
“Sei andato troppo oltre, procediamo per gradi. D'altronde non abbiamo ancora le prove per scagionare totalmente tutti gli abitanti di Nulvis, né abbiamo motivo di dubitare della correttezza degli Ulfnei.”
“E invece sì, ricordati che sono creditori di questo villaggio, si saranno sentiti autorizzati a impossessarsi dei rotoli come corrispettivo per i beni forniti. Io credo che dovremmo andare a fare una chiacchierata con questa famiglia.”
Aker esaminò le tenebre con occhi da rapace. “No. Abbiamo altre urgenze. Ad esempio, capire da dove è giunto il ladro quella notte. Ragioniamo continuando a immedesimarci in lui: se tu fossi un ladro da dove passeresti per raggiungere il luogo del furto?”
“Sicuramente non dalla strada principale.”
“Esatto. Sarà giunto attraverso il bosco.”Aker allungò il braccio per illuminare flebilmente gli anfratti della selva che si dipanava davanti a loro discendendo verso la piana in cui scorreva il fiume.
“Vuoi setacciare palmo a palmo tutta la boscaglia? In piena notte?”chiese Vel, affranto. Sapeva che l'intenzione del suo padrone era proprio quella e che niente lo avrebbe fatto desistere da quell'intenzione.
“Non sei obbligato. Procederò da solo, vai pure a mangiare un boccone alla taverna e chiedi a Velthur di procurarti un giaciglio per la notte.”
Vel portò lo sguardo in alto, verso le stelle, e sospirò. Non avrebbe mai fatto un gesto del genere. Ed era consapevole che il suo padrone lo sapeva, infatti Aker sogghignava mentre udiva Vel andargli dietro mentre s'intrufolava tra gli arbusti.
Velthur, dopo che ebbe informato Aker e Vel che preferiva non avventurarsi di notte tra i boschi data la sua veneranda età, si congedò tornando all'interno della capanna.
Vel accennò una protesta facendo notare che la loro ricerca sarebbe stata più fruttuosa l'indomani con la luce del sole ma Aker nemmeno gli rispose e continuò a scivolare verso il basso muovendosi con l'agilità di un cerbiatto. Saltellava su massi sporgenti e si sosteneva con dei rami per evitare di cadere mentre Vel, dietro di lui, preferiva scivolare col sedere sulla nuda terra per guadagnarsi le spanne che li separavano dalla radura.
Incapparono in un trogolo per cinghiali alimentato da un rimasuglio d'acqua, una piccola sorgente che rivelava la presenza di una falda acquifera in quel punto, lo esaminarono brevemente in cerca di qualche traccia interessante ma non ne trovarono nessuna: la vasca di fango fresco doveva essere stata utilizzata da poco dagli animali e se pure il ladro fosse passato di lì e vi avesse lasciato qualche segno era ormai sparito.
Infine il cerchio di luce generato dalla torcia illuminò un tronco da cui sporgeva un basso ramo spezzato: era troppo alto per essere stato opera di qualche animale. Esaminata la fibra sporgente dal punto di rottura Aker notò che la frattura doveva essere recente.
“Ci siamo, Vel. Il nostro amico deve essere passato di qui.”A pochi passi di distanza Aker notò un rovo circolare attorcigliato su se stesso, un cerchio separato dal roveto principale che si trovava accanto. Qualcuno, impigliatosi, doveva averlo spezzato per liberare la sua veste. Aiutandosi con un bastone Aker lo raccolse e lo avvicinò alla fiamma: una delle spine presentava un piccolissimo lembo d'indumento.
“Sembra un tessuto raffinato, forse appartenente a una tunica o a un mantello”Vel notò la buona fattura nell'intreccio della strisciolina e un'intuizione gli fece aggrottare le sopracciglia. “Questo indizio conferma i miei sospetti, solo un nobile può permettersi l'indumento da cui proviene questo frammento. Ho ragione io, padron Aker, devono essere stati gli Ulfnei!”Vel era raggiante e Aker valutò se non fosse meglio lasciarlo ancora un po' a godersi quella sensazione di ritrovato vigore, era felice che il suo schiavo avesse momentaneamente accantonato le sue pene d'amore tuttavia il suo incarico era troppo importante per permettersi delle simili deviazioni dal suo compito.
“Mi dispiace deluderti Vel ma stai ancora giungendo a conclusioni affrettate fraintendendo gli indizi che stiamo trovando. Questo frammento non prova un bel niente, credi davvero che i membri di una famiglia tanto nobile e potente si scomoderebbero personalmente per compiere il furto? O è più verosimile pensare che avrebbero dato l'incarico a un loro servitore?”
“E allora sarà stato un servitore benestante, d'altronde ci sono diversi padroni generosi come te”protestò Vel, imbronciandosi.
“Teniamo da parte questa informazione”suggerì Aker per assecondarlo, “qualora trovassimo altre prove prenderemo in considerazione l'ipotesi.”
Un guaito lontano fece scattare entrambi, Aker portò una mano al manico del suo pugnale infoderato nella cintura, pronto a sguainarlo. “Sarà stata una volpe”concluse, riprendendo la sua discesa.
O un lupo pensò Vel desistendo dal proposito di condividere questo timore. Si ricordò le parole di quel pomeriggio rivolte da Aker a quel giovane: l'uomo non ha bisogno della paura. Il suo padrone non sapeva che farsene. Ed era una delle tante cose che voleva imparare da lui. Ailish, il loro bambino, il sogno di una vita insieme: doveva imparare ad accantonare la paura di perdere tutto ciò; pensare che, comunque andasse, avrebbe avuto sempre il suo amato padrone su cui contare, lo rincuorò e scacciò l'accenno di tempesta dal suo cuore.
Infine giunsero alla radura formata da un'ansa di un torrentello che scorreva docile ai confini dell'immensa foresta formata da fitte file di alberi ricoprenti pianure e colli fino a giungere ai piedi dell'antico vulcano che si stagliava in lontananza, coi contorni appena visibili grazie alla flebile luce lunare.
Al centro della radura era presente il tronco di un albero spoglio, morto. Avvicinatisi notarono che era cavo. “Qui c'è qualcosa”disse Aker allungando una mano nel foro presente sulla corteccia che rivelava la cavità interna del tronco. Toccò un oggetto dalla consistenza molle, sottile, con una superficie liscia. Quel semplice tocco fu sufficiente a fargli comprendere di cosa si trattasse. Quando Aker ritirò la mano stringeva in esso un rotolo di papiro.
“Ce l'hai fatta padron Aker! Li hai trovati!”
“Ce n'è solo uno”replicò il magistrato aguzzando la vista per guardare meglio all'interno del tronco. “E so anche di quale si tratta.”Aker fece notare a Vel i bordi perfetti e lisci e la superficie per niente sbiadita della facciata esterna del rotolo. “E' la copia. Quella di cui parlava Velthur, con cui il ladro ha sostituito uno dei rotoli la prima volta che è entrato nella capanna del marnux.”
“Quindi il ladro l'ha nascosta lì? E perché? Dove sono gli altri rotoli?”
Per trovare una risposta a quelle domande che agitavano anche il suo essere Aker srotolò il documento. Il testo era diviso in colonne e l'estensione delle linee rispettava la misura dell'esametro. Lesse le minuziose descrizioni dei rituali che i sacerdoti dovevano porre in essere; in particolare, quel foglio sembrava descrivere la dottrina del tempo e le preghiere che potevano essere formulate agli dei per ottenere una vita longeva. Tuttavia il testo si interrompeva in maniera brusca.
Aker capovolse il foglio e notò che in un angolo della parte esterna vi era un'iscrizione. “Strano, in genere i rotoli sono scritti solo nella facciata interna”osservò Vel.
“Tra l'altro questa scritta sembra successiva”replicò Aker rincarando la dose di sospetto “è un'aggiunta postuma, realizzata con un calamo contenente un inchiostro più scuro.”
Aker aguzzò la vista per leggere la minuscola iscrizione, poi la pronunciò a voce alta: “al centro del mondo, nel ventre della madre, sulla soglia dell'altrove.”
“Che cos'è? Una specie d'indovinello?”
“Un'indicazione, sembra una frase figurata per indicare un luogo...”
“Il nascondiglio dei rotoli?”
Aker attese per un istante prima di rispondere: “non lo so.”
La frase andava interpretata ma qual era il tipo di linguaggio con cui individuare la chiave di lettura di quella criptica frase?
Al centro del mondo, nel ventre della madre, sulla soglia dell'altrove... Aker la ripeté più volte in maniera ossessiva in attesa che si aprisse qualche porta della percezione che gli spalancasse una nuova consapevolezza o un'intuizione con cui attingere ai misteri dell'anima dell'uomo.
Si arrese quando capì l'impossibilità di trovare la risposta giusta se non avesse aggiunto qualche altro tassello di comprensione.
Qualcuno aveva nascosto il rotolo copiato in quel tronco d'albero: perché? E per quale motivo era stato così semplice ritrovarlo? E se il ladro avesse appositamente seminato quegli indizi per farlo giungere a quel nascondiglio?
Se la risposta non arriva guarda in terra e non in cielo: le parole di un maestro con cui aveva dimorato in Attica anni addietro giunsero come un nettare per la sua essenza affamata di risposte. Si ricordò che tenere lo sguardo verso il basso aiutava a concentrarsi mentre il guardare in alto faceva perdere la mente tra le meraviglie dell'infinito, così posò gli occhi sulle sue calzature e notò che i bordi erano sporchi di terra rossiccia, la stessa che insozzava i sandali di Vel. Guardò l'erba dietro di sé e notò le impronte che avevano lasciato al loro passaggio poi volse lo sguardo in avanti e oltrepassò il tronco continuando a fissare la terra su cui poggiava i piedi. Infine un sorriso trionfante gli accese i connotati. “Credo di aver capito dove si trovano i rotoli.”
“Dove?”chiese Vel, ansioso.
“A Nulvis. Sono ancora lì.”
“Velthur dice che hanno perlustrato tutto il villaggio.”
“Non tutto. Hanno dimenticato di setacciare il luogo più impensabile tra tutti.”
“E quale sarebbe?”
“Te lo mostro subito. Torniamo indietro.”
Arsenio Siani
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