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Autore: Roberto Minucci
Titolo: Le grandi famigli contadine
Genere Storia Sociale Contemporanea
Lettori 2580 14 16
Le grandi famigli contadine
Nascita, sviluppo e decadenza del modello di famiglia plurinucleare patriarcale.

“ ... Noi s'era in tanti in famiglia e tutti si lavorava ... e si dava ogni anno la metà al padrone che se ne stava al calduccio nella sua villa ... noi colla tramontana e con l'acqua ... il podere era il suo, ma lui non l'aveva mai lavorato.”
Questa definizione spontanea di un anziano mezzadro, non solo sintetizza il concetto e la realtà della mezzadria ma, individua anche quella dicotomia insanabile, tra capitale fondiario e lavoro contadino, gestita mediante il contratto mezzadro per oltre sette secoli.
Il termine mezzadria trae la propria origine dalla divisione a metà, tra padrone e contadino, delle spese, dei guadagni e dei prodotti ottenuti dalle coltivazioni dei campi oggetto del contratto mezzadrile.
In effetti con il termine mezzadria si intende uno specifico contratto stipulato tra un proprietario fondiario ed un contadino, di durata variabile, per la gestione della terra.
Nel contratto mezzadrile o patto colonico, il proprietario metteva a disposizione il podere, cioè la terra e la casa colonica, mentre il contadino o mezzadro metteva il proprio lavoro e quello della sua famiglia.
E' stato un rapporto quello mezzadrile, che già dal XIII secolo, ha disciplinato il mondo agrario di alcune aree dell'Italia settentrionale come l'Emilia e il Veneto ma, particolarmente nell'Italia centrale con specifico riferimento alla Toscana.
Una sovrapposizione, quella tra Toscana e mezzadria, comunque non totalmente corretta. E' pur vero che già dall'inizio dell'età moderna, si evidenziarono in questo territorio condizioni naturali e civili simili, che portano ad individuare un forte elemento di unificazione ma, è altrettanto vero che la diffusione del sistema mezzadrile investiva particolarmente le aree rurali di Firenze, Arezzo, Siena, Pistoia e Pisa. Ne restavano pertanto escluse quelle zone ai margini della regione come la Lucchesia, la Lunigiana o la Maremma influenzate da realtà geografiche e politiche diverse da quelle del resto della regione. Singolare infine il caso di Livorno privo di un proprio retroterra rurale.
Il più antico documento notarile testimoniante la stipula di un contratto di affitto di alcuni campi ed una casa colonica fra un proprietario terriero, Orlando Righetto ed un contadino, Gianni di Gherardo, risale al 15 agosto 1221 in Siena.

1221, 15 agosto, Siena.
Orlando di Righetto, per se e per i propri nipoti, concede a mezzadria per tre anni a Gianni di Gherardo un suo podere, sito a Monteliscai, eccetto alcune terre vigne e i boschi e il prato. Si impegna, sotto pena di dieci lire, a non levagli il podere e a mettere la metà del seme. Gianni promette, sotto pena di dieci lire, di lavorare bene la terra e di non tagliare gli alberi, di comprare e di tenere a mezzo tutto il bestiame, di lasciare alla scadenza del contratto tutta la paglia e il letame sul podere, di consegnare a proprie spese la metà delle granaglie, del mosto, dell'acquerello, dell'olio, degli ortaggi e di ogni frutto: le granaglie condotte a Siena o a Monteliscai, come piacerà al proprietario, tutto il resto a Monteliscai.

Questo contratto è particolarmente importante, non solo perché il più antico ma anche come rappresentante di un cambiamento politico-economico nelle aree sopracitate. E' in effetti unanimemente riconosciuto che prima di questa forma di compartecipazione, i terreni erano coltivati dagli stessi proprietari.
Cambiava, nell'età moderna, quello che era il rapporto tra città e campagna. Erano i mercanti dei centri urbani che investivano i loro guadagni nelle campagne, acquistando proprietà fondiarie che gestiranno ma non coltiveranno mai direttamente.
E' proprio nel cambiamento del rapporto tra città e campagna che deve essere individuato un elemento portante del sistema mezzadrile.
Dall'analisi dei contratti pervenutici, se ne deduce infatti che una metà dei proprietari era rappresentato da privati cittadini mentre il restante da Enti, come ospedali, monasteri e chiese.
E' comunque da rilevare il rapporto impari, già dal XIV secolo, tra la diffusione della mezzadria e, la quantità di contratti che la regolamentavano rinvenuti.
Gli studi effettuati hanno, dimostrato ad esempio , come dall'esame di fonti archivistiche prettamente senesi, siano usciti documenti relativi ad altre aree, come quella fiorentina; questo non esclude dunque la presenza di atti riguardanti il senese in archivi di altre province, anche minori, tutt'ora da catalogare. Deve inoltre essere tenuto presente anche la possibilità del ricorso sistematico a “rapporti tipo”. Il ricorso cioè ad “imbreviature” usate dai proprietari o, chi per loro, indistintamente nei contratti di affitto dei poderi di loro pertinenza, senza peraltro ricorrere alla legittimazione notarile. Può essere un esempio parte della documentazione rinvenuta negli archivi Santa Maria della Scala di Siena dove si evidenzia l'identificazione di responsabili di grancie a cui era demandato anche l'obbligo della tenuta dei registri. Se da un lato dagli archivi Santa Maria della Scala è scaturita una delle più ricche documentazioni, dall'altro, questo numero risulta notevolmente inferiore alla quantita' dei possedimenti. Importanti sono dunque ritrovamenti come il memoriale di Frate Angiolieri, amministratore della Grancia di Poggibonsi che annota l'arrivo nei poderi di nuovi mezzadri senza però fare riferimento ad alcun tipo di contratto. Probabile quindi, come già detto, l'uso di contratti tipo, stipulati in forma privata, o il rinnovo tacito dopo la scadenza che, pur mantenendo, disciplinando o modificando il rapporto tra le parti, non ha lasciato traccia di documentazione scritta.
Il rapporto di mezzadria non si è mai cristallizzato nel suo status iniziale ma, al contrario si è costantemente modificato in base ai diversi rapporti di forza delle parti contraenti. Ha teso, in quella “locazione ad medium” a decentrare l'equilibrio tra spese e guadagni del padrone e del contadino, quasi sempre a favore del primo. In effetti venivano inserite delle clausole minori o accessorie che regolavano il contratto, come le sementi, le concimazioni, le rendite accessorie, che risultavano continuamente rinegoziate. Già nel più antico contratto rinvenuto e datato 1221, risultano evidenti i termini di locazione; cessione del podere e delle terre, impegno da parte del contadino sia dalla prestanza lavorativa che dal mantenimento dei beni ricevuti in custodia, le spese a metà delle sementi e del bestiame, nonché la successiva divisione dei raccolti. Erano inoltre stabiliti eventuali gravami di trasporto per la consegna delle merci al proprietario, nonché penali economiche per chi avesse disatteso i patti.
Evitando di entrare nello specifico della questione, è comunque utile evidenziare come proprio la modifica anche lieve di
questi rapporti di collaborazione, andasse via via spostando quel concetto di “metà” quasi sempre a favore del proprietario. Ad esempio, nei contratti trecenteschi e quattrocenteschi, spesso la vigna aveva una posizione di rilievo, tanto da essere talvolta menzionata nei contratti a parte o addirittura ceduta con un ulteriore contratto. Lo stesso principio, non era applicato, perlomeno all' inizio, agli ulivi che venivano spesso assoggettati agli altri alberi da bosco. Anche il bosco, raramente menzionato nei contratti anche se parte integrante del podere, veniva spesso identificato con gli stessi alberi domestici, presenti all'interno della proprietà e di cui ne era proibito il taglio. Per quanto riguardava l'allevamento bovino, la proprietà ed il mantenimento erano frutto di accordi antecedenti la stipula del contratto. Quello ovino, originariamente molto diffuso, prevedeva la specifica della cessione del “claustrum”, che veniva differenziato in atto dallo “stabulum”, insieme alle modalità di spartizione dei prodotti.
Anche la presenza di un garzone per l'accudimento degli animali doveva essere specificato negli atti; così per le sementi, le percentuali di approvvigionamento si spostano, andando talvolta a completo carico del contadino. Anche gli attrezzi da lavoro, erano inizialmente ripartiti a metà, per postarsi poi tendenzialmente a carico del solo colono.
Le attrezzature e scorte vive, qualora il contadino non avesse la possibilità economica di fornirle, venivano anticipate dal proprietario, che le riscuoteva successivamente sotto forma di prodotti, contribuendo così ad indebitare e legare ulteriormente a sé il contadino e la sua famiglia.
Il propie... il contadino non aveva cioè di quello che era nel podere [...] Sia l'arnesi sia il bestiame [...] Sia tutto questo convolgeva pe lavorà la terra era tutto il pa... di proprietà del padrone quindi loro lui il contadino metteva la mano d'opera [...] Parecchia ma metteva la mano d'opera il il gli arnesi venivano consumati e venivano dato ogni anno cioè mh'na manutenzione pe certi pe certi arnesi [...] Noi [...] L'addebitava a noi [...] Sul libretto colonico pe dire un so quest'anno c'è stato a quei tempi mille lire du mila lire di spese pe la manutenzione questa qui [...] Era tutta la spesa per la manutenzione? [...] No a metà [...] Era sempre a metà [...] Tutto a metà nonché con questa legge ch'ha fatto Mussolini allora il pa...il contadino [...] Veniva compartecipante di metà del bestiame che era in quel podere che lui [...] Favoriva a sistemà a mantenello e adoperallo [...] quindi questa legge fu fatta nel '35 ...[...] E... e l'arnesi e l'arnesi dopo [...] Una parte di arnesi li doveva mette ma lì c'è anche il discorso di prima chi sì e chi no [...] Una buona parte di arnesi doveva mette il contadino a parte l'arnesi grossi ma la zappa la falce [...] Questa era sempre un discorso rimaneva così nun è che [...] Nun è che riportava nel libretto [...] O la legge che era obbligatoria fa questo un contadino per avè un arnese in più lo comprava lo pagava e buonanotte [...].

Come vedremo più avanti, infatti, quando il contadino sottoscriveva il contratto vincolava, rappresentandola, anche tutta la sua famiglia.
Ulteriori clausole, frequentemente rinvenute, si riferiscono alle “regalie”.
I proprietari, ritenevano le regalie il giusto compenso per le attività svolgibili all'interno del podere e legate indirettamente al contratto mezzadrile, come l'orto, il pollaio ed altre strutture simili. I mezzadri, anche se la richiesta era economicamente modesta, le ritenevano una prepotenza, ed hanno sempre cercato nelle loro lotte, anche nel novecento, di abolire questa forma di sudditanza medievale.
Devono infine essere citate quelle norme, sotto forma di incentivi, previste a favore del mezzadro per le colture come il tabacco che, altrimenti non sarebbero state coltivate dato che, a differenza dei cereali, non contribuivano direttamente al sostentamento alimentare della famiglia ma necessitavano del confronto con il mercato.
Prima della divisione a metà era comunque generalmente previsto che dal monte comune fosse tolta la decima per il parroco, il veterinario ed il fabbro per la manutenzione delle zappe e dei vomeri.
Appare evidente che per tutto il periodo della sua durata, la mezzadria era il fenomeno dominante dell'agricoltura senese, anche se con mille sfaccettature diverse.
Questo continuo adattamento oltre che sugli aspetti contrattuali, si rifletteva anche su quelli strutturali. Ad esempio nel tardo cinquecento, dopo la guerra tra Siena e Firenze, nelle campagne avvengono saccheggi e stragi, particolarmente nei piccoli borghi rurali mal difesi, che portarono nel corso del XVI e XVII secolo all'abbandono di molte campagne con conseguente quasi azzeramento degli investimenti e dei profitti.
La reazione a questo stato di crisi arriverà nel 1700 con la diffusione delle “fattorie” che diverranno il centro di gestione dell'intera proprietà divisa in poderi ed i luoghi deputati alla trasformazione e conservazione di vino, olio e grano.
Dall'ottocento vengono unificati, su base provinciale, gli elementi comuni ai vari contratti mezzadrili per proporne un modello unico. Inizia da questo momento un lungo contenzioso, attorno alla direzione tecnica del podere tra contadino e padrone, ed alle lavorazioni finali della produzione, ormai accentrate all'interno delle fattorie. A fine ottocento si accentuava poi la tendenza, a subordinare il mezzadro alla fattoria. Nei primi articoli di questo contratto unificato, si parlava in effetti del diritto del proprietario alla direzione tecnica, agraria ed amministrativa del fondo, con la possibilità di modificare grandezza del podere, rotazione delle colture, numero del bestiame, tempi e modi di coltivazione. Ancora più marcata era la possibilità del proprietario di intervenire nell'organizzazione e nella divisione dei compiti all'interno della famiglia mezzadrile. Il proprietario poteva cambiare in ogni momento ed a sua completa discrezione, il capoccia, la massaia ed il bifolco. Il colono era inoltre obbligato a denunciare le nascite e le morti all'interno del suo nucleo familiare, nonché chiedere il benestare per i matrimoni, al fine di non alterare l'equilibrio demografico del podere. Pena prevista per il mezzadro che non avesse rispettato queste regole era la disdetta del contratto.
Non so, che era diciamo una cosa tremenda, una cosa che rimaneva...che lì magari, lì nun era niente, dopo... Quando uno, il contadino, si sposava...[...] Prendeva moglie... [...] Doveva andare dal fattore, o chi per esso, a dirgli: “sor fattore (se era il fattore), prendo moglie, mi sposo, è contento?” [...] Signora c'era questo [...] Questo era... Questo era un vincolo grave. Magari lì per lì uno nun ci...Ma ora, ripensandoci ora, che schiavitù era! Io dovevo andà dal padrone a dirglie, o al fattore, se era contento di piglià quella donna per moglie e poi ...[...] E capitavano che dicessero alcuni che non gli andava bene e ti impediva di sposare? Si, capitava, impedivano...[...] A me, noi, no. [...] Io ci so' andato come i mi' fratelli, nessuno ha detto... Però era capitato dei... dell'aziende che l'aveva impedito...[...] S'era a questi livelli. Questo era avanti alla guerra, eh! Non erano quelli dopo, per carità!

Il sistema mezzadrile è definibile come un microcosmo autosufficiente. La sopravvivenza della famiglia ed il funzionamento del sistema dipendevano dall'equilibrio tra l'autoproduzione e l'autoconsumo. In questi termini, un'alterazione demografica della famiglia mezzadrile era considerata pericolosa per il futuro stesso del sistema. La vita e l'organizzazione della famiglia colonica erano quindi slegate dalla volontà dei singoli componenti. Il capoccia, sottoscrivendo il contratto di mezzadria, vincolava a quelle condizioni anche tutto il resto del suo nucleo familiare. Al lavoro veniva subordinata qualsiasi esigenza individuale e collettiva. Generalmente quelle mezzadrili erano famiglie allargate composte cioè da più nuclei, anche se in qualche caso, raro per la verità, sono documentati gruppi senza rapporti di consanguineità ma, basati su una convivenza finalizzata alla collaborazione lavorativa.
La famiglia era dunque costituita da diversi gruppi nucleari, ognuno dei quali composto da padre, madre e figli, legati gli uni agli altri da relazioni parentali. Convivevano tutti nella stessa dimora, la casa colonica appunto e, cooperavano nel lavoro domestico, dei campi e della stalla.
Diciamo, bè ... di miseria! Si po' dì, perché effettivamente non si dice niente di particolare dicendo tutti questi problemi di miseria. Effettivamente ce n'era tanti perché... le famiglie, maggiormente quelli che eran parecchi, trenta persone, ventisette, ventotto...[...] Numerose... eran numerose, quindi lei deve capire, le spese se le facevano male, mangiavano e basta, e debiti allo scrittoio... che il padrone non dava niente, e cioè: no, non doveva regalare niente, però non è che... Il suo lo voleva in tutti i modi anche se c'erano delle miserie! [...] Poi magari uno poteva esse costretto dalla vita d'allora a dovè stare insieme perché in effetti era difficile, per cui o per amore o per forza si doveva andà d'accordo [...] Ti tiene lì. [...] Purtroppo, le situazioni che erano, o beve o affogare... [...] Per dire, è una battuta.Bisognava stà lì, pecchè dove s'andava? [...] C'erano le famiglie, quando io ripeto trenta o quaranta persone... C'erano non tante ma una buona parte, l'un per cento, il due per cento, il tre per cento, ora non posso dire con sicurezza... che erano trenta persone in una famiglia... Adesso si vuole rende conto quante genie c'erano in questo...[...] La nuora, fratelli, nipoti, poi bisnipoti, poi si va ai nipoti, poi si va alle donne, la nora, la soc... Si immagini, da ultimo da ultimo manca po' appena erano parenti, pe dire, no? [...] Andando a lungo erano parenti perché quelli portavano lo stesso cognome.

Il complesso familiare era quindi di tipo patriarcale multiplo a carattere virilocale e, solitamente era la donna che andava a vivere presso la famiglia del marito. Nel tempo, la famiglia vedeva i maschi legati da rapporti di consanguineità, mentre le donne erano affini. La famiglia mezzadrile si sviluppava attorno a due figure fondamentali, il capoccia e la massaia. Altra figura importante era quella del bifolco, addetto alla cura ed al mantenimento degli animali da stalla.
All'interno della famiglia si assisteva ad una netta divisione del lavoro, anche se le donne, eccetto la massaia, partecipavano talvolta ad alcuni lavori agricoli, come la mietitura, la vendemmia, la raccolta delle olive.
Anche questo tipo di famiglia tendeva nel tempo a modificarsi sia come numero di componenti che come tipologia. Poteva avvenire un incremento o un decremento demografico all'interno della famiglia allargata. Nel primo caso, il podere non sarebbe stato più sufficiente a soddisfare le necessità primarie della famiglia; nel secondo, la forza lavoro sarebbe stata insufficiente rispetto alla grandezza del podere. Poteva inoltre cambiare il rapporto numerico tra uomini e donne e, una eventuale sproporzionata presenza femminile, avrebbe tolto forza lavoro dai campi. Tutto ciò avrebbe mutato e reso meno funzionale il rapporto tra la famiglia contadina ed il podere, a scapito dei guadagni del proprietario.
Dove s'andava? Dove andava? Dove s'andava? Possibilità d'avere una famiglia, di dire, d'affrontare, andare a fare un altro... Andare a fa il contadino in un altro posto non c'erano perché i gruppi diventavano minimi anche allora. Eran tanti, ma come numero nun erano tanti. Maggiormente poi se si riferiva nella gioventù, nei ragazzi...[...] E quando uno andava a chiede il podere padrone domandava: “quanti omini sete?” [...] “Quanti siete grandi? Che età avete? Quante donne?” Ecco, rimaneva difficile, difficile. E allora, costretti o bene o male stare tutti lì in questo gruppo familiare...[...] Ecco, quelli sotto i diciott'anni venivano considerati ragazzi anche se vengono venti... giorni. C'era questa situazione perché si stava... cioè, c'era questa discriminazione, che ritornando un pochino indietro le famiglie toccava sta pe forza dentro anche se c'erano delle conseguenze nelle famiglie, disaccordi, liti... Perché c'era questa situazione fine uno non avevano un... Uno pe dire erano tre fratelli, una famiglia uno per dire aveva due o tre figlioli, voleva andare a fare il contadino per dire, perché non avevano ventun'anni non si poteva presentà. Quelli non lo prendevano in considerazione anche se avessero dato il lavoro più di uno magari di trenta o quaranta, non ha importanza. Questo era il principio, queste erano tutte discriminazioni che facevano perché volevano mettere in condizioni cioè di fare come credevano loro.

Ecco il perchè di quelle clausole contrattuali che permettevano al “padrone” di intervenire anche in questioni private della famiglia colonica , come i matrimoni.
Allora quando ci si sposava... anche io eh... Io mi so' sposato nel '43... va bene... era sempre nel periodo bellico... e così si vuol dire doveva andà a chiede l'ordine al padrone o al fattore. [...] Ecco, l'ho detto... anche io diceva:”è contento sior fattore?” – se era fattore – “...Io mi sposerei...”Con chi?” ... “Con la tale, è contento?”... C'era questo e guardi questo è una cosa vera... Questa è una cosa... e insomma è la cosa che m'è rimasta più impressionante di tutta la mi' vita, che ho fatto dei sacrifici... che io devo andà a chiede il parere a una persona estranea... a dì se è contenta che devo prende quella... certe volte c'erano dei ribelli... dicevano di no... e a me questo non m'è capitato. [...] Insomma davano istruzioni...'ndavano a sentì la donna, le qualità, com'era... se era lavoratora, se era... facevano queste indagini eh, prima di dì di sì facevano queste indagini... come facevano le indagini certamente quando un contadino cambiava il podere...

Il capoccia era il capo indiscusso, decideva ed organizzava il lavoro nei campi, dettandone i tempi e i modi di svolgimento. Rappresentava la famiglia nei confronti del padrone e, faceva periodicamente i conti con il fattore. Si recava ai mercati e alle fiere per fare acquisti e mercanteggiare il bestiame. Gli altri componenti della famiglia, gli si rivolgevano per chiedere il permesso di “andare a veglia”, fare delle spese personali, sposarsi.
Era un ruolo delicato poichè implicava gestire più nuclei familiari evitando di far sorgere gelosie o privilegiare qualcuno. Capitava così che il capoccia fosse un uomo scapolo, in modo da evitare trattamenti particolari al proprio nucleo familiare.
Normalmente, però, nelle famiglie coloniche il capoccia era il padre e la massaia la madre. In mancanza di queste due figure, i ruoli venivano coperti dai più anziani. Era un delicato equilibrio di potere, per questo il capoccia era “l'uomo più adatto della famiglia” cioè il più attento ed il più esperto.
C'era ‘l' capoccia c'era, eh! Una famiglia c'era un capoccia... [...] E questo aveva diciamo in mano tutta la famiglia... [...] ...le redini, il comando di tutta la famiglia... E poi magari, cioè diversi famiglie che eran parecchi... Allora era un po' il discorso anche di fatto di genitori, ognuno i suoi figli se l'abituava... che nelle famiglie c'era anche cinque o sei, cioè... uomini insomma, cinque o sei famiglie cioè di di tutti in... parenti, tutti insieme... Però erano anche cinque o sei persone che avevano dei figliuoli. Quindi, allora ognuno abitava quel suo. Però diciamo la direttiva proprio... [...] ...direttiva per tutti, partiva dal capo famiglia. [...] Se diceva'l capoccia allora, ora si dice il capofamiglia...[...] E quindi, ecco, era tutto sotto questa responsabilità, con un comando no severo però, con insegnamento abbastanza si può dire retto, che ‘un si fuggiva. Nun è che si scappava tanto facile, no! Co' le cattive maniere, un insegnamento veramente... proprio... oggi lo so, forse lo posso dire... [...] No, senza... Oggi s'è tutto diverso insomma... Parliamoci chiaro, oggi ognuno è... Poi so' famiglie più piccole, ormai famiglie che so più...[...]

Alla massaia spettava la direzione delle attività domestiche circa la casa, l'orto e gli animali da cortile. Organizzava il bucato, la panificazione, coordinava e controllava il lavoro delle altre donne di casa. I lavori di maggior responsabilità riguardano l'amministrazione dei beni alimentari e la preparazione dei pasti. Compito suo era anche la gestione della vendita delle uova e dei polli al “treccolone”. Il suo ruolo era considerato talmente importante dagli altri componenti della famiglia, da essere l'unica donna, esonerata dal lavoro dei campi.
Poi c'erano certamente discussioni fra nora, fra suocera, sa, lì ‘l discorso era questo... [...] Lì comandava la massaia. Forse sarà stato meno... sarà stato male, però non tutti avevano... [...] Un comando ci vuole, un comando ci vole.

Il bifolco era un uomo adulto della famiglia a cui era affidata la cura del bestiame. Aveva un ruolo importante perché l'allevamento del bestiame rappresentava una risorsa fondamentale per il lavoro del mezzadro, sia come forza lavoro per le attività dei campi che come fornitore di letame indispensabile alla concimazione dei terreni. Curava il bestiame, lo custodiva, puliva la stalla, assisteva alle monte ed ai parti, addomesticava gli animali al giogo e li guidava nei lavori dei campi.
Perché poi io, devo dire la verità, siamo stati... Io sono stato bifolco... [...] Lo sa che vol dire bifolco? [...] Che pensa... Sono stato un grande passionista... [...] Che, devo dì la verità, mi sono levate tante soddisfazioni, e me la godo perché ero passionista. Le bestie le tenevo... me lo devo... ma no ne me sta a me a dillo pecchè...[...] Se no si, potrei dire anche una cosa... Però questo è vangelo: io le tenevo bianche come... come un lenzuolo! Aveo una stalla pulita come... come questa stanza. Non vedevo rignatele non vede... Tutti i vetri lavati. La mattina io m'alzavo presto, gli lavavo il sedere se erano sporche, le bestie, gli untavo le corna. Era... era una cosa meravigliosa.

Accompagnava il capoccia alle fiere del bestiame. Per il suo odore di stalla, dovuto alla continua vicinanza delle bestie, era sovente oggetto di scherno da parte dei paesani.
Il fattore non faceva parte della famiglia colonica ma, occupava un ruolo determinante nel sistema mezzadrile. Era Il fiduciario del padrone ed il punto, spesso l'unico, di riferimento del capoccia e della famiglia contadina. Il fattore aveva una posizione sociale che lo poneva al centro della dicotomia padrone-mezzadro. Amministrava e gestiva i beni per conto del padrone ed intratteneva i rapporti con la famiglia colonica. Godeva della piena fiducia del proprietario fondiario ed era a conoscenza anche dei singoli problemi della famiglia contadina che talvolta nella sua autonomia, anche economica, poteva contribuire, se non a risolvere, perlomeno ad alleviare o rimandare, concedendo ad esempio prestiti che poi venivano recuperati alla divisione dei raccolti a cui partecipava e presiedeva personalmente.
Il precedente accenno al treccolone merita di essere approfondito, non tanto per la sua figura, quanto per la sua funzione nei confronti della famiglia contadina. In effetti il patto colonico non prevedeva la possibilità per i mezzadri di poter trarre, dal proprio lavoro, un reddito monetario soddisfacente. Era quindi mediante il piccolo commercio di uova o eccedenze di animali da cortile, (che sovente il treccolone non monetizzava, ma barattava con altra merce, anche se poi lui nei mercati ne traeva beneficio monetario), sommati a piccoli commerci di ortaggi o immettendo direttamente nel mercato parte delle loro spettanze, che i contadini potevano ottenere un reddito alternativo. Tutto ciò dipendeva anche dalla fertilità dei terreni ed in misura maggiore dalla presenza di colture specializzate come la vite, l'ulivo, gli alberi da frutto o i gelsi. Questa situazione non era comunque generalizzata. Nei poderi con prevalenza di seminativo, era costituita dall'allevamento del bestiame, anche se con scarsi margini di profitto.
E' da questo contesto che nacquero quelle consuetudini contrattuali e di aggravio addossate ai mezzadri nel corso dell'età moderna. Si rifletteva in quell'atteggiamento contrattuale da parte dei proprietari la volontà di una maggiore intensificazione delle prestazioni coloniche, sia esplicitamente imposte mediante l'accettazione dei patti, che implicitamente provocate; diminuendo ad esempio la superficie coltivabile del podere. In tal caso il colono era costretto ad aumentare i propri sforzi per elevare al massimo la redditività della terra, o ad opere gratuite per scontare i soccorsi padronali tesi a coprire il suo disavanzo alimentare. Risultava pertanto diverso il grado di indebitamento dei mezzadri e la loro conseguente capacità di opporsi alla volontà padronale.
Roberto Minucci
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