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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Barbara Cappellani
Titolo: Grazie ma sono a dieta e prendo l'amore senza zucc
Genere Contemporary Romance
Lettori 2609 12 14
Grazie ma sono a dieta e prendo l'amore senza zucc
La città vecchia era deserta ormai, ma c'erano tracce umane lungo i marciapiedi e sulla strada: bottiglie abbandonate davanti alle vetrine dei negozi, carte stropicciate, mozziconi di sigarette e volantini sparsi ovunque sulle macchine posteggiate, sulle panchine e sul pavimento di pietra bianca del Corso principale.
La processione, come sempre, aveva coinvolto migliaia di turisti che erano accorsi in quei giorni di festa per assistere alla parata religiosa in costume d'epoca, e, a breve, prima dell'alba, la squadra del comune sarebbe intervenuta per ripulire tutto.
Jack camminava con passo lento respirando l'aria tiepida di quella bellissima serata d'estate e non riusciva a scacciare dalla mente le parole che lei gli aveva sbattuto in faccia mentre guardavano i fuochi d'artificio, stretti tra centinaia di persone: - Non posso farlo, mi dispiace, non posso! - .
Quel paesino barocco, le stradine ornate dai fiori che pendevano dalle tante finestrelle, le chiesette antiche con i portoni in ferro battuto, i lampioni dalla luce fioca, i gradoni della cattedrale, tutto gli parlava del loro comune progetto di vita.
Erano arrivati lì tre anni prima come due amici, ma poi le cose erano cambiate e, mentre il B&B prendeva vita, l'amicizia era diventata qualcos'altro. Senza che avessero avuto il tempo di rendersene conto, non furono più soltanto due soci in affari e si ritrovarono a dormire nello stesso letto, come una coppia, stretti l'uno nelle braccia dell'altra, e a fare l'amore in ogni posto che gli capitava a tiro, come due amanti, avvinghiati in tutte le posizioni che gli era stato possibile sperimentare.
E adesso, dopo tre anni insieme, dopo aver superato tutte le difficoltà che si erano presentate per realizzare quel loro progetto, inclusi l'addio alla vecchia vita, la partenza dal loro paese d'origine e il distacco dagli affetti familiari, dopo tutte le promesse che si erano fatti, adesso lei, lei decideva che non poteva farlo, senza neanche dargli una motivazione.
Raccolse da terra un piccolo borsello, un elemosiniere medioevale in cuoio recante la figura di un cuore; era malandato, e lui pensò che quello fosse un segno. La vita che gli stava dicendo: l'amore non si riceve come un'elemosina, l'amore si guadagna.
Decise che non poteva accettare la sua decisione, che avrebbe lottato per lei.
Arrotolò il cordoncino di quella piccola borsa attorno a un dito e affrettò il passo per raggiungere il B&B. Doveva parlare con lei e dirle tutto quello che prima non era stato in grado di dire.
Aprì la porta della camera, quella dell'ultimo piano dove loro abitavano stabilmente.
La luce era spenta. Non poteva credere che lei fosse riuscita ad addormentarsi, dopo quello che gli aveva detto, dopo quello che gli aveva fatto.
Accese la luce e si piazzò davanti al letto con le braccia incrociate e le gambe divaricate: - Dobbiamo parlare, Martha - .
- ! - .

***

Ma come diavolo è possibile?! Anche nella bozza Martha non c'è.
Sfoglio le pagine e avverto una sensazione di svenimento.
Tutte le battute di Martha e le descrizioni di ogni suo movimento, azione o pensiero, sono sparite come se qualcuno le avesse cancellate.
Afferro il mio notebook, digito la password di accesso ed entro nella cartella del romanzo. Apro il file pdf che ho mandato in stampa e anche lì mancano parole, frasi e paragrafi. Ci sono punti esclamativi e punti interrogativi che naufragano in mezzo al testo e Jack che parla da solo!
Ok, non devo farmi prendere dal panico: c'è il file word, quello principale, quello che ho salvato in decine di copie nel pc, nel tablet, nell'hard disk e nella chiavetta.
Trattengo il respiro, sposto il cursore sul file .doc e clicco due volte. Faccio scorrere le pagine fino alla terza e anche lì Jack è piazzato davanti al letto con le braccia incrociate e le gambe divaricate, e parla da solo! Faccio scorrere velocemente pure le successive pagine del file e la situazione è sempre la stessa: 576 pagine di disastro.
Ho appena controllato anche il file del tablet, quello dell'hard disk e quello della chiavetta. Sono disperata e avverto un'incontrollabile voglia di lanciarmi giù dal terzo piano del mio appartamento.
Un attimo! Prima di mandare il file in stampa, me lo sono inviato in allegato tramite e-mail.
Sono nervosa, mi tremano le mani e il mio cuore batte impazzito. Non ho il coraggio di cliccare l'allegato ma devo farlo. Lo faccio ma con gli occhi chiusi.
Sono pronta. Apro gli occhi. Pigio con un dito il tasto Ctrl della tastiera e con un altro schiaccio quello con la freccetta in basso, e, mentre le pagine scorrono velocemente, capisco che ogni speranza è morta e, siccome la speranza, si sa, è l'ultima a morire, credo di essere morta anche io poco prima.
Non mi spiego cosa sia successo. Martha, ma dove cazzo sei finita?!
Mi sovviene in mente il ricordo di quella voce petulante che ho sentito prima quando ero intenta a scrivere la presentazione per i book blogger e mi ricordo le sue parole: “Quand'è così, vado via. Non mi sentirai mai più parlare”.
Non è possibile, questo è un incubo. Devo svegliarmi. Mi assesto uno schiaffo sulla guancia ma non è cambiato nulla.
Agguanto bozza e copia autore e mi si raggela il sangue: Martha è sparita anche dalla copertina, che, fino a un attimo fa, raffigurava lei seduta di schiena al tavolino di un bar, nascosta da un ombrellino parasole in modo che si intravedessero solo le sue gambe affusolate e i suoi piedi in due sandali rossi tacco 12.
Adesso sotto l'ombrellino c'è una sedia vuota e, di lei, sono rimaste solo le sue scarpe.
Scaglio a terra entrambi i libri. Mi sembra di impazzire. Recupero la bozza dal pavimento e in preda a uno scatto di ira strappo via la copertina e le pagine a seguire. Sono disperata. Il lavoro di mesi andato in fumo, inspiegabilmente.
Guardo a terra e il pavimento è ricoperto di pezzi di carta. Quello che resta della mia bozza è una quarta di copertina con qualche foglio malandato ancora attaccato. Mi asciugo le lacrime. Raccolgo i resti e senza pensarci getto tutto nella pattumiera. Mi lancio sul letto in preda alla disperazione e con tutto il fiato che ho in petto urlo: - Marthaaaaaaa, dove cazzo sei??? - .
Mi sveglio di soprassalto. Sono bagnata del mio sudore. Oggi le temperature saranno altissime. L'hanno detto ieri al telegiornale.

Sto avanzando a passo veloce sulla strada che porta a casa di Lorenzo, il mio uomo.
Oggi pomeriggio lui non mi aspetta ma io ho bisogno di vederlo; non so esattamente per quale motivo ma mi sento giù, ho voglia di piangere e avverto il bisogno di essere confortata. Lorenzo, però, non è un uomo propenso ai sentimentalismi. Lui è un uomo di scienza. Perciò, mi inventerò un qualche disturbo fisico, uno di quelli improvvisi e apparentemente inspiegabili che susciteranno il suo interesse medico-scientifico, almeno per un po', finché, stremato dalle mie lamentele e dalla certezza di non essere in grado di fare una diagnosi, lui non mi dirà: Alice, sai qual è il problema? Le tue sintomatologie sono sempre eccessive rispetto all'evidenza. Ma mi basta. Mi accontenterò di qualche ora di empatia, e poi, per domani sera, giusto in tempo per la festa di compleanno di Carla, sarò guarita.
Io lo so che non dovrei mentire sul mio stato di salute, ma è più forte di me: è l'unico modo che conosco per attirare l'attenzione.
Quand'ero piccola soffrivo tanto perché mio padre, che, tra l'altro, avrebbe voluto un maschio invece che un'inutile femminuccia, non mi prestava mai attenzione ed era sempre totalmente distratto da mia madre, di cui era perdutamente innamorato.
Ma nel tempo, a poco a poco, realizzai che c'era un modo per distoglierlo dalle forme generose di mia madre: stare male.
Anche lui era un medico, un medico di famiglia non troppo realizzato, e, quando io accusavo un malessere, mi accudiva con una cura scrupolosa che mi gratificava e mi faceva sentire importante. Lui sfornava diagnosi e io ingoiavo pillole e cucchiai di sciroppo a gogo. Mi andava bene tutto, persino le iniezioni. Detestavo la sola vista delle siringhe ma, quando mio padre entrava nella mia stanzetta e si sedeva alla mia scrivania per preparare la soluzione da iniettarmi, io, sotto le coperte, mi sentivo felice, per ogni instante in più che lui trascorreva con me.
Sono arrivata davanti al cancello in ferro battuto del palazzo antico dove abita Lorenzo. Pigio l'unico pulsante della tastiera citofonica e resto in attesa.
Di certo, starà ancora dormendo. Lo troverò addormentato sul divano, in mutande e calzini spaiati; ne sono sicura. La notte scorsa ha avuto il turno notturno in ospedale. È un dirigente medico ospedaliero, il più sexy che io abbia mai visto nella mia intera esistenza. Ci siamo conosciuti anni fa, grazie al mio capo, l'avv. Antonio Renda, per il quale lavoro part-time come segretaria-tutto fare. Un giorno ci siamo recati presso lo studio privato di Lorenzo perché l'Avvocato aveva bisogno di parlare con lui a proposito di una perizia medico-legale per un suo cliente, e io, alla prima occhiata, mi ero già appiccicata a lui irrimediabilmente: quella che gli ho assestato quando siamo rimasti soli perché l'Avvocato aveva un'urgenza minzionale e lui si è presentato con quel suo modo di fare insolitamente friendly. - Ciao, sono Lorenzo Marra, quello che deve fare la perizia medica per il tuo capo - disse con un sorriso. Poi, mi guardò dalla testa ai piedi e aggiunse, strizzandomi un occhio: - Sei tu l'assistita che devo visitare? - .
Quella è stata la prima volta che l'ho visto in mutande; nella mia immaginazione, è ovvio. Senza calzini, però. Ed è stata anche la volta in cui ho deciso che lui sarebbe stato mio.
Non risponde. Pigio la seconda volta. Se non risponde ancora, sono autorizzata a utilizzare il mio mazzo di chiavi. Sto contando e al dieci girerò la chiave, che in realtà ho già inserito nella serratura non appena arrivata.
Dieci! Arrivo, amore mio.
Mi acconcio i capelli, pizzico le guance per dargli un po' di colore, inspiro, espiro e spalanco la porta di casa.
Mi avvicino al divano, lo aggiro pronta per fiondarmi su di lui e lui non c'è. In casa è tutto ordinato come sempre. Sul tavolino c'è il solito manuale di medicina legale e quella vecchia bottiglia di whisky impolverata, accanto a due bicchieri di cristallo, sul vassoio d'argento.
Attraverso il corridoio con passo felpato sui tappeti persiani, pronta per lanciarmi sul letto accanto a lui. Apro la porta della camera da letto ma lui non c'è.
Il letto non è stato toccato e sul servo muto ci sono una camicia e un paio di pantaloni.
La casa è silenziosa e, a questo punto, credo proprio che lui non ci sia, a meno che non sia svenuto da qualche parte.
Controllo nelle stanze da bagno, in cucina e nelle altre camere, per non lasciare nulla di intentato.
Lorenzo non c'è.
Non ci sentiamo da prima che iniziasse il turno in ospedale. Non mi ha neanche scritto un messaggio. Inizio a preoccuparmi. In effetti, non è che di solito lui mi riempia di messaggi, anzi, per nulla. Ma non è questo il punto. Il punto è che lui dovrebbe essere qui e, invece, non c'è.
Entro nel suo studio. Lo scrittoio è pieno di libri e su una sedia c'è la sua borsa da medico in cuoio; è aperta e si intravede il suo stetoscopio.
Questa stanza, ogni volta che ci entro, mi riempie di angoscia. È così tanto, troppo, vintage. Le librerie sono stracolme di antichi tomi sulla medicina, le tende sono rosse e l'enorme lampadario sovrasta l'ambiente con le sue innumerevoli gocce di cristallo.
Afferro il mio smartphone e seleziono Sexy Dott. Marra. Non ho mai voluto cambiare il nome in rubrica. Quando l'ho incontrato nel suo studio, per me era soltanto uno sconosciuto medico dotato di un esagerato sex appeal; ora è il mio uomo ma è pur sempre il più sexy dottore al mondo.
La linea suona ma lui non risponde. Riprovo la seconda e la terza volta ma ancora nessuna risposta.
Adesso la mia preoccupazione è diventata ansia.
Devo mantenere la calma e non lasciarmi trascinare dalla fantasia, scacciando immediatamente l'immagine di Lorenzo riverso sullo sterzo della sua auto con un rivolo di sangue sulla fronte.
Seleziono il numero del suo reparto e inoltro la chiamata.
- Sì, pronto? - . Ha risposto una voce annoiata.
- Buongiorno, sono la fid... di Loren... ehm, la compagna del dottor Marra. Non ho sue notizie da ieri pomeriggio e lui, la scorsa notte... - .
- Il dottor Marra non è in turno, Signora. E, comunque, non deve contattare questo numero: è riservato ai parenti dei pazienti ricoverati - .
- Certo, mi scusi. Ma io ho davvero urgenza di avere sue notizie. Perciò, se per cortesia potesse chiedere ai colleghi di reparto se il dottor... pronto? pronto? - .
Questa stronza mi ha chiuso il telefono in faccia. Mi annoto l'orario della chiamata, così Lorenzo saprà quale infermiera ha risposto e le farà una bella ramanzina. Sono la donna del dottor Marra, non possono mica trattarmi così.
Mi recherò direttamente in Ospedale e lì dovranno darmi conto e ragione.
Ho appena preso l'autobus che porta nella zona dove si trova l'Ospedale e intanto sto continuando a chiamare Lorenzo. Sono alla trentaseiesima chiamata e sono disperata, terrorizzata da quello che potrebbe essergli successo. Gli ho mandato anche alcuni messaggi whatsapp, che però non gli sono stati consegnati.
Alla reception c'è Sonia. Che fortuna! Lei sa chi sono ed è sempre tanto gentile con me.
- Buongiorno, signora Greco - , mi accoglie con un sorriso.
- Buongiorno a lei, Sonia - .
- Il dottor Marra non è in turno - . Solleva la cornetta da un telefono che sta lampeggiando e dice qualcosa al suo interlocutore. Riaggancia e mi sorride. - Mi scusi, Signora. Come le ho detto, il Dottore non è qui, oggi. Posso esserle d'aiuto? - .
- Grazie, Sonia. Può verificare se la notte appena trascorsa il dottor Marra è stato di turno? Perché oggi avrebbe dovuto essere di smontante ma... - .
- Signora Greco, ne abbiamo già parlato - , borbotta con un sorriso mentre appunta qualcosa su dei fogli, sollevandoli uno dopo l'altro da una pila che ha sul bancone. - Non posso dare informazioni di questo tipo sul personale dell'Ospedale - , mi lancia un'occhiata empatica e riprende a scarabocchiare con la sua bic blu. - E no, neanche a lei, anche se lei è la fidanzata del dottor Marra - , cantilena.
- Sonia, la prego. Sono davvero preoccupata. Ho ragione di credere che il dottor Marra non sia rientrato in casa dopo il turno... - .
- Vuole per caso mettermi nei guai? - , mi interroga inclinando il capo senza smettere di sorridere. - Adesso, mi scusi, ho mille cose da fare e devo dare conto a lui - , gira il palmo della mano verso il telefono che sembra un albero di Natale.
- Grazie, Sonia. Capisco. Ma la prego, se dovesse vedere il Dottore, gli dica di chiamarmi subito - .
Sonia ha incastrato la cornetta del telefono tra la spalla e l'orecchio, ha aperto una cartella e sta sfogliando velocemente alcuni documenti; alza un attimo lo sguardo verso di me, che sono rimasta in attesa di una conferma, e mi rivolge un piccolo accenno di accondiscendenza.
Me ne vado con la coda tra le gambe. Controllo il telefono e non ci sono né chiamate né messaggi. Decido di tornare a casa di Lorenzo: forse lo troverò lì, sul divano. Altrimenti, lo aspetterò. Prima o poi dovrà rincasare, ammesso che, come temo, non sia accaduto nulla di brutto.
E, invece, sono passate due ore da quando sono rientrata a casa sua e, di lui, nessuna notizia. Ho telefonato alla Polizia e ai Carabinieri per sapere se ci sono stati incidenti e, fortunatamente, non hanno ricevuto alcuna segnalazione, almeno in città. Ho anche controllato su internet le notizie delle ultime ore.
Tenterò con la trentasettesima chiamata.
La linea squilla a vuoto. Con il telefono incollato all'orecchio, cammino avanti e indietro per il salone pregando che questa volta mi risponda e, invece, la telefonata viene interrotta. Riprovo e il telefono è spento.
Mi sento più tranquilla perché penso che, se ha staccato la chiamata, almeno sarà vivo, tranne che il suo telefono non si sia scaricato a causa delle mie continue telefonate e abbia squillato a vuoto perché è gettato a terra, vicino al suo corpo senza vita abbandonato in un recondito tratturo pietroso.
La preoccupazione, però, adesso, sta lasciando il posto a un altro tipo di sentimento altrettanto invadente e doloroso: la gelosia.
È già successo in passato che Lorenzo sparisse inspiegabilmente per qualche ora, ma sono sempre stati falsi allarmi e mi sono beccata i suoi rimproveri, quelli del così non può andare avanti, non puoi controllare i miei movimenti, i tuoi sono atteggiamenti morbosi, e una volta, quando mi sono appostata nel posteggio dell'Ospedale, si è spinto fino al non cercarmi più.
Io, in quell'occasione, che è stata l'ultima, ho promesso che mi sarei controllata e che non sarebbe più successo. Perciò, devo stare molto attenta a non esagerare. Sono una donna adulta. Ho già superato i trent'anni e non posso più permettermi questi scivoloni.
Devo smetterla di pensare. Questo è il momento giusto per rileggere la mia prima copia del mio primo romanzo.
Ripenso a quello strano sogno, che sembrava così reale, e mi sembra di aver avuto una sorta di premonizione immaginando la scomparsa di Martha.
Tiro fuori dalla borsa il libro e mi sdraio sul divano, ma il pensiero va sempre a lui. No, non devo farlo: devo concentrarmi soltanto sul romanzo così il tempo passerà senza che io me ne renda conto. Lorenzo spunterà da quella porta, sano e salvo, bello e sorridente, e io finalmente potrò saltargli addosso.

Sento un rumore e avverto una luce che mi sbatte in faccia. Credo di essermi appisolata sul divano. Un rumore? La luce? Lorenzo!
Spalanco gli occhi. - Aaaah! - Mi siedo sul letto. - Chi cazzo sei tu? - , urlo terrorizzata.
Davanti a me c'è un uomo sconosciuto con le braccia incrociate e le gambe divaricate. - Dobbiamo parlare, Martha... m-ma chi diavolo sei, tu? - .
- Tu?! chi diavolo sei?! - . Tiro il lenzuolo sul petto perché mi sono appena resa conto che indosso una magliettina succinta, scollata sul seno, e una delle due è sgattaiolata fuori.
Sono in un letto?! Ero sul divano, ne sono certa. Ma cosa cavolo ci faccio, io, in un letto, in una stanza che non ho mai visto, davanti a uno sconosciuto che mi urla contro?!
- Dov'è Martha? Perché? Perché tu sei nel nostro letto e lei... e lei non c'è...? - , balbetta lui agitando un dito verso di me.
Mi volto di scatto verso la finestra. Oddio! Quelle tende! Sono le tende arancioni con il mandala. Le tende della stanza da letto di Martha e Jack. Adesso riconosco questa stanza. Non è esattamente come l'avevo pensata ma è quella: l'armadio verde neo-etnico, le pareti crema, le ceste in rattan, lo specchio con la cornice in legno chiaro e la poltrona color tortora. Se io sono al posto di Martha e questa stanza è quella stanza, lui non può che essere lui: Jack!
- Non dovresti avere i capelli così chiari! - , agito anche io il mio dito.
- Cosa? - , si passa una mano tra i capelli. - Che cosa c'entrano i miei capelli adesso? Io non ti conosco. Non ho idea di chi tu sia. Cosa sei? Una specie di barbona? Dannazione, vuoi dirmi dov'è Martha? - .
- Dovresti avere i capelli color cioccolato! Io l'ho scritto chiaramente: color cioccolato - .
- I miei capelli sono color cioccolato... - .
- No! Io intendevo cioccolato fondente... - .
- E, comunque, che vuol dire che l'hai scritto chiaramente? E vuoi uscire da quel letto?! Anzi, da questa stanza! - .
Ok. Forse ho preso il posto di Martha perché lei è sparita?! Vabbè, è chiaro che sto sognando. Di nuovo. Chiudo gli occhi e mi pizzico il braccio più forte che posso.
- Che diavolo stai facendo? - , urla lui.
Apro gli occhi e Jack è ancora lì, con le braccia incrociate e le gambe divaricate.
- Vuoi stare zitto?! Altrimenti non riuscirò a svegliarmi! - . Salto fuori dal letto.
- Oh, no! - . Lui volta di lato la testa e porta una mano davanti agli occhi.
Mi guardo dall'alto verso il basso e mi rendo conto che sono nuda per metà: sotto la maglietta non indosso altro e la maglietta arriva a malapena sotto l'ombelico.
Ops. Avevo dimenticato che Martha quando dorme non indossa gli slip. Mi infilo di nuovo sotto le lenzuola e mi lascio andare all'indietro sul cuscino. Prima o poi mi sveglierò.
Lo seguo con lo sguardo mentre è di spalle e sta rovistando dentro un cassetto. Noto con piacere che sotto i jeans è tutto regolare: i glutei sono proprio quelli di un ex giocatore di rugby. È chino sulla cassettiera e sotto la maglietta si intravedono i muscoli adduttori delle scapole che si muovono come se fossero dotati di vita propria. Ok, sul colore dei capelli credo proprio che sorvolerò. Mi lancia qualcosa sul letto.
- Ecco. Indossa questi - , mi dice. Ha di nuovo le braccia incrociate e le gambe divaricate. - Sono le tre del mattino, perciò, non posso mandarti via. Ho una stanza libera al secondo piano dove puoi stare per questa notte: una disdetta dell'ultimo momento. Passerai la notte qui e domani mattina andrai via - . Prende posto sulla poltrona e afferra la testa con le mani. - Dove cazzo è andata? - , sussurra e sospira.
Afferro gli short bianchi che sono finiti sul cuscino accanto. Li riconosco: sono quelli che Martha avrebbe indossato la mattina seguente, prima di lasciare il B&B, dopo il litigio furioso che è scoppiato tra di loro durante la notte, dopo che Jack l'aveva svegliata nel cuore della notte. Quelli che, mentre li disegnavo nella mia testa indosso a Martha perfettamente aderenti alle sue perfette natiche, ho pensato che non avrei mai potuto indossare. Li tiro su lungo le gambe, strisciando sotto le lenzuola, e balzo giù dal letto; mi vestono stile camicia di forza ma tutto sommato pensavo peggio.
- Grazie, Jack - . Lo osservo mentre pesa la sua testa e provo tenerezza per lui, perché io, più di chiunque altro, so cosa lui senta per quella donna, per quella stronza.
Solleva il capo e mi guarda con gli occhi sbarrati. - Io non ti ho detto il mio nome. Come fai a sapere che mi chiamo Jack? Noi ci conosciamo? È così? - .
Resto in silenzio perché non ho ancora deciso come giustificare la mia presenza.
Scatta in piedi e di nuovo incrocia le braccia e divarica le gambe.
Ho il sospetto che lui sia come in un loop. Finché non concluderemo questa scena, non smetterà di farlo.
- Sei tu! - . Inspira come se stesse trattenendo un'esplosione. - Sei l'italiana di cui Martha era innamorata quand'era una ragazzina. Quella che le ha spezzato il cuore. Quella di cui lei non ha mai voluto parlarmi. Cosa le hai fatto? Dov'è andata? Per questo ieri sera lei mi ha detto che... Ora capisco! È tutta colpa tua. Da quanto? Dimmi, da quanto vi vedete? - .
Giusto. Non ci avevo pensato. Elsa! Potrei spacciarmi per lei. Tanto sono nel mio romanzo, no? Posso fare quello che mi pare. Jack sa che esiste una donna nella vita di Martha ma crede che ormai faccia parte del suo passato; il nome di Elsa verrà fuori soltanto verso gli ultimi capitoli e i due non si incontreranno se non poco prima dell'epilogo.
- Mi dispiace, Jack. Non avresti dovuto scoprirlo così presto - , mi giustifico mentre cerco di entrare nel personaggio.
- Cosa?! Così presto?? Che stai dicendo? Che avreste voluto farmela sotto il naso ancora per un po'?! Da quanto va avanti questa storia? - .
Il mio esordio è stato pessimo. A casa, seduta al mio scrittoio con il pc davanti, avrei evidenziato e tagliato la battuta, ma qui non so davvero come fare.
- Così presto... così presto alle tre del mattino, intendevo dire - , replico battendo un dito sul polso. - Ti avremmo detto tutto domani, cioè tra qualche ora - .
- E, quindi, hai pensato di farti trovare nel nostro letto al posto di Martha? - . Mi guarda agitato.
- Ieri sera ci siamo sentite al telefono - , improvviso con la prima storia che mi viene in mente. - Mentre eravamo in conversazione, io ero seduta sul marciapiedi in mezzo alla folla e a un tratto un idiota mi è venuto addosso versandomi sui capelli un intero boccale di birra. Martha mi ha sentito imprecare ed è scoppiata a ridere. Mi ha detto che, poiché avevate appena avuto una discussione, tu, come al solito, per ripicca, non saresti rincasato prima dell'alba e che di certo avresti dormito in un'altra stanza. Perciò, mi ha invitato a passare per una doccia. Sarei dovuta restare solo per un po', ma poi... - .
- Ma poi... è chiaro quello che è successo. Indossi la sua maglietta. Soltanto la sua maglietta! - , sbraita.
- Che cosa?! No! - , obietto.
Non è adesso che Martha tradisce Jack. Non è adesso che lui le scopre amanti. Non può accadere tutto ora, altrimenti la storia del mio romanzo non avrebbe più senso e le vicende si susseguirebbero senza un congruente ordine logico e temporale. Devo rimediare.
- Tra di noi non c'è stato nulla - , lo rassicuro, - né questa notte né nei giorni passati. Ci siamo incontrate per caso giorni fa e ci siamo solo scambiate qualche messaggio innocente. Ma poi, ieri sera, la situazione è precipitata. Abbiamo litigato furiosamente e lei, prima di andare via sbattendo la porta... - , guardo verso il balcone. - Che ore sono adesso? - , domando.
Jack mi guarda perplesso ma mi risponde: - Le quattro meno un quarto - . Sembra più sereno e i suoi occhi implorano una spiegazione sensata, di certo che non implichi sesso tra me e Martha.
Perfetto. Se sono le quattro meno un quarto, un paio di indumenti di Jack dovrebbero essere già a terra in strada, dopo che Martha in uno dei suoi momenti di rabbiosa follia li ha afferrati dall'armadio e li ha buttati giù dal balcone.
Giro la maniglia dell'infisso e continuo: - Prima di andare via, lei ha afferrato i miei vestiti e li ha buttati giù. Guarda tu stesso, se non mi credi - .
Jack si avvicina timidamente al balcone e spinge fuori la testa. Lancia un'occhiata verso il basso e subito si ritrae. Annuisce. Lui conosce bene Martha ed è abituato alle sue follie. Non ha riconosciuto in quegli indumenti sparsi in strada la propria maglietta e i propri jeans preferiti. Ottimo.
- E poi, come ti ho detto, è andata via sbattendo la porta. Io ero ancora avvolta in un asciugamano; perciò, ho indossato questa maglietta e mi sono sdraiata sul letto pensando che sarebbe riapparsa a momenti, e invece... devo essermi addormentata. E questo è tutto. Io non ho idea di dove lei sia adesso - . Faccio spallucce per evidenziare la mia buona fede e mi siedo sul letto scuotendo la testa per manifestare tutta la mia perplessità.
- Se n'è andata sul serio - . Nasconde gli occhi con le mani e ha un trasalimento. - Ieri sera mi ha detto che stava pensando di partire per un po'. L'ho supplicata di non farlo, di non lasciarmi. Le ho chiesto di restare, se non per noi, almeno per il nostro B&B. È appena iniziata la stagione estiva e finalmente quest'anno siamo al completo, per i prossimi quattro mesi. Abbiamo tanti debiti da pagare e io non posso permettermi di assumere qualcuno... io non posso vivere senza di lei - . Si siede sul letto dandomi le spalle. - Pensi che tornerà? - . Mi domanda con disperata rassegnazione.
Anche se Martha con un inaspettato gesto anarchico è sparita qualche battuta in anticipo, io lo so che tornerà. Deve tornare. Non subito, tornerà tra qualche capitolo, ma non posso dirglielo. La scena in cui loro due si rincontrano, quando lui ha ormai perso le speranze, è un momento topico per la sequenza narrativa secondo cui poi si perdono di nuovo e poi si inseguono e ancora si ritrovano, e non posso rovinarla con inopportune anticipazioni.
- Non ne ho idea - . Rispondo aggirando il letto. Mi siedo accanto a lui e, poggiando una mano sulla sua gamba, gli dico: - Sappiamo entrambi com'è fatta Martha. Lei è imprevedibile - .
Lui è col capo chino e giocherella con le mani. - Andrò a cercarla. Sono sicuro che è tornata a Middletown nel Connecticut. Saprai di certo che siamo entrambi italo-americani, figli di siciliani, lei da parte di madre. Ci siamo conosciuti in Connecticut, abbiamo scoperto di essere compaesani e un giorno abbiamo deciso di venire qui, dove i nostri genitori sono cresciuti, per metterci in affari e per... - .
- Per ristrutturare questo vecchio palazzo che era di tua nonna e farne un B&B. Siete arrivati qui tre anni fa come due amici, ma poi le cose sono cambiate e, mentre il B&B prendeva vita, l'amicizia è diventata qualcos'altro e, senza aver avuto il tempo di rendervene conto, non eravate più soltanto due soci in affari e vi siete ritrovati a dormire nello stesso letto, come una coppia, stretti l'uno nelle braccia dell'altra, e a fare l'amore in ogni posto che vi capitava a tiro, come due amanti, avvinghiati in tutte le posizioni che vi è stato possibile sperimentare... - , sospiro, emozionata dalle mie stesse parole.
- Ti ha detto proprio tutto - . Si alza dal letto e, prima di uscire dalla stanza, aggiunge: - Se non tornerà entro l'ora di pranzo, partirò e la riporterò qui. Dovrò dare disdetta delle prenotazioni. Sarà un disastro, ma non intendo restare con le mani in mano. Vado a farmi un caffè, tanto ormai non dormirò più. La camera che puoi usare è al piano di sotto: la numero cinque. Ti prego di raccogliere i tuoi vestiti dalla strada: sono finiti proprio davanti all'ingresso - .
Vuole partire?? Dare disdetta?? No! Non deve farlo! Domani arriverà Marzia da Roma. Lui deve assolutamente conoscerla e innamorarsi di lei, cosicché, quando Martha si presenterà all'improvviso davanti a lui dopo mesi di assenza, lui entrerà in crisi, maltratterà Marzia che per lui si è trasferita qui in Sicilia, e Martha e Marzia si faranno la guerra, e lui alla fine lascerà Marzia per tornare con Martha e, poco dopo, Martha lo tradirà con Elsa e lo lascerà ancora una volta, e lui si sentirà uno stupido e cercherà di riconquistare Marzia, che a sua volta lo respingerà fino a quando non capirà che sta tirando troppo la corda e che Martha invece lo vorrebbe di nuovo per sé, e così via in un intricato dedalo di prendi e lascia. Insomma, lui deve assolutamente restare.
- Non puoi farlo! - , lo incalzo. - Non puoi mandare tutto all'aria. Questo B&B è la vostra creatura e, se lo distruggi, rischi di cancellare qualcosa che vi lega profondamente. Peggiorerai la situazione. Devi avere pazienza. Lei tornerà, ne sono certa. Lasciale un po' di tempo per riflettere - .
Jack è rimasto fermo di spalle, sull'uscio della porta. - In ogni caso, da solo, non potrei mai mandare avanti questo posto. Sarebbe comunque una disfatta. Nel giro di poco, le recensioni negative distruggerebbero tutto - .
- Resterò io! - , ribatto senza neanche pensarci. - Ti aiuterò io finché Martha non sarà tornata - .
Non ho idea di cosa mi risponderà. Sto procedendo a canovaccio. Siamo fuori da ogni schema. Ma Jack è un uomo saggio. Non è un impulsivo. Sono io che l'ho creato così; perciò, sono fiduciosa. Ha il capo chino e le spalle leggermente inclinate. Stringe un pugno e mi risponde: - Va' a dormire. Domani pomeriggio arriverà un gruppo di turisti da Roma. Ci sono da sistemare quattro stanze. Buonanotte - .
- Buonanotte - , gli dico. Ma lui è già per le scale.

Scendo le scale di corsa. Mi sento in ritardo ma non so per cosa.
Ho dormito nella stanza n. 5, quella in arte povera dove alloggerà Marzia per le prossime sei notti. Poi lei si sposterà al piano di sopra nella stanza di Martha e Jack. Quella stronza latitante se lo merita due volte, adesso. Per aver abbandonato Jack, in anticipo di qualche pagina, e per aver abbandonato me, che l'ho messa al mondo.
Sono al piano terra. Percorro il corridoio a destra e raggiungo la sala della colazione che è in fondo, subito dopo il bagno. Conosco benissimo gli interni di questo palazzo e mi sento a casa.
Non c'è nessuno. I tavoli della colazione sono colmi di tazze, tazzine, piatti con tovaglioli arrotolati sopra, mezzi cornetti, biscotti e brocche smezzate di succo d'arancia. Lancio un'occhiata verso l'orologio in ceramica appeso alla parete: sono le 10.00.
- È così che pensi di aiutarmi? - . Jack è uscito dalla cucina, ha una pezza sulla spalla e una maglietta turchese che fa a botte con i suoi occhi verdi.
- Mi dispiace. Avresti potuto chiamarmi - , replico risentita per l'appunto.
- Non so neanche come ti chiami - . Afferra una caraffa, riempie un bicchiere d'acqua e me lo porge.
Bevo tutto d'un sorso e gli riconsegno il bicchiere. - Alice. Alice Greco - .
Mi guarda dalla testa ai piedi e sorride.
Mi guardo dal mio naso in giù e arrossisco.
Sotto la magliettina sporgono i miei capezzoli come due chiodi e i pantaloncini di Martha sono così stretti che evidenziano il mio triangolino in modo da farlo sembrare paffuto.
- I miei vestiti li ho dovuti buttare. Un cane deve averci fatto la pipì sopra - , mento. Secondo copione, in effetti, è questa la fine che fanno i vestiti preferiti di Jack.
- È appena uscito il caffè, quello vero, fatto con la moka - , mi dice lui. Rientra in cucina e ne esce fuori, poco dopo, con due tazzine fumanti. Le poggia su un tavolo e mi fa cenno di raggiungerlo. Mi siedo e lui fa lo stesso.
- Zucchero? - , mi domanda porgendomi una bustina.
- No, grazie, sono a dieta, prendo il caffè senza zucchero - .
Ma che faccio?! È vero che sono a dieta. Per forza: sono sovrappeso di almeno dieci chili. Ma quella è una delle battute del romanzo e non avrei dovuto tirarla fuori, io, adesso.
Lui strappa la bustina e ne versa il contenuto nel suo caffè.
- Non dovresti farlo - , lo richiamo.
Jack corruga la fronte e intanto gira il cucchiaino nella tazzina.
- Lo zucchero è solo un veleno. Apparentemente addolcisce ma in realtà avvelena - , gli dico.
- Come l'amore - . Sorseggia il caffè. - Ci ho pensato. Accetto la tua proposta. Anche se non ho ben capito perché vuoi farlo. Tu mi aiuterai qui al B&B e io, in cambio, ti darò vitto e alloggio - . Allunga la sua mano verso di me e io la stringo forte.
- Ottimo - , sghignazzo. - Ne sono felice. Allora non partirai? - .
Lui scuote la testa e con un dito sposta delle molliche sul tavolo.
- Però dovrai dormire nella mia stanza. Tutte le altre saranno occupate per l'intera stagione - .
Le dita delle sue mani sono robuste e il suo avambraccio è possente.
- Ci sto! - , esclamo entusiasta.
Lui corruga la fronte.
- Sono felice di poterti essere utile, soprattutto se, in qualche modo, ho contribuito ai tuoi problemi con Martha - , aggiungo.
- Non è colpa tua, almeno se mi hai detto la verità. I nostri problemi sono iniziati mesi fa - , sposta la sedia e si alza, - ma ora non mi va di parlarne e c'è tanto lavoro da fare - , si guarda intorno passandosi una mano tra i capelli.
Vorrei dirgli che non occorre che lui mi dica nulla perché so bene quali sono i problemi tra loro due che hanno spinto lei a prendersi una pausa. Quello che non so, è se, in realtà, Martha è andata via per sempre e per colpa mia.
Abbiamo riassettato la cucina e le stanze. Sono già le due del pomeriggio. Abbiamo mangiato un panino. Il suo era stracolmo di salse e formaggio, il mio infagottava una fettina di bresaola.
Ho fatto una doccia e ora sono di nuovo sul letto di Jack. La stanza n. 5 è già pronta per Marzia. Lui è andato a fare un po' di spesa e io ho deciso di riposarmi un'oretta prima dell'arrivo dei clienti.
Sono stanchissima e ho la sensazione che questo sogno stia durando oltre la media. Sento gli occhi pesanti e non riesco a pensare ad altro che a Lorenzo.
Mi manca Lorenzo. Spero tanto che sia tornato.

Apro gli occhi di soprassalto e tutto intorno a me è buio. Il mio romanzo è aperto sulla mia pancia e avverto un formicolio lungo tutto il braccio. Sono sudata e ho la bocca asciutta. Mi siedo sul divano e agito il braccio in aria per far passare l'intorpidimento.
- Lorenzo? Lorenzo? Ci sei? - . Corro per la casa e guardo in ogni stanza. Il pianto prende il sopravvento, mi addosso alla parete del corridoio e lentamente mi piego su me stessa.
Non so se mi terrorizza di più l'idea che gli possa essere successo qualcosa o che sia semplicemente tornato dalla moglie.
Corro di nuovo verso il divano e agguanto il mio smartphone.
C'è la notifica di una chiamata persa, ma è dell'avvocato Renda. Domani mattina, cioè tra qualche ora, dovrei lavorare, ma non ne ho nessuna voglia. Accedo a Whatsapp e gli scrivo che non mi sento bene e che non potrò recarmi in studio.
Lancio una chiamata, la trentottesima, e sento una voce registrata che mi dice che il numero è irraggiungibile. Controllo la nostra chat e noto che ancora i messaggi che gli ho inviato questa mattina non sono stati consegnati.
- Brutto bastardo! - . Scaglio il telefono sul divano e mi lascio andare a ridosso dello schienale. Sono quasi certa che lui non voglia più sentirmi.
Dato che la tecnologia è sua complice, io userò carta e penna. Gli scriverò una lettera e poi sparirò da questa casa e dalla sua vita. Io, io sparirò. Non lui. Non gli permetterò di umiliarmi ancora.
Mi siedo sulla poltrona del suo scrittoio e apro il sottomano in pelle per estrarre un foglio. C'è una busta: è chiusa ma non è sigillata. La giro e sul retro c'è scritto: Per Alice.
Lorenzo mi ha scritto una lettera.
Il cuore sbatte contro il mio petto come se volesse sfondarlo. Apro la busta ed estraggo un foglio piegato in due. È stropicciato: sembra che sia stato arrotolato e poi disteso.
Lo spiego e mi appoggio allo schienale.

Mia amata Alice,
mi dispiace ma non posso continuare così. Tutta questa storia, la nostra vita, non ha più senso. Io non sono più lo stesso ormai e sento che devo andare via, che questo non è più il mio posto. Ti ho sempre voluto bene, anche se non sempre sono stato in grado di dimostrartelo come avrei voluto, ma adesso mi sento spento e ho la sensazione di non riuscire più a provare sentimenti. Perdonami. Non dirlo alla mamma, anche se probabilmente neanche capirebbe

La lettera si interrompe come se non avesse avuto il tempo o la voglia di completarla. - Maledetto bastardo! - , urlo. Voleva lasciarmi con un pezzo di carta e, mentre ha provato a farlo, si è preoccupato che io non lo dicessi a sua mamma?!
Ok. Sua mamma mi adora. Almeno, così dicono tutti i medici e le infermiere della casa di cura dove è ricoverata da tempo immemorabile. Lei è gravemente malata di Alzheimer. Non riconosce nessuno, neanche Lorenzo. Eppure, tutti dicono che, quando lei mi vede, i suoi occhi cambiano espressione e le sue labbra si distendono. Io vado spesso a trovarla e lo faccio perché mi va di farlo, non certo per compiacere quello Stronzo. Ci andrò anche oggi, più tardi, come previsto, e, se mi andrà, le dirò tutto. Lei, nel dubbio che possa capire o meno, ha il diritto di sapere che razza di bastardo è suo figlio.
Dopo penserò a lui e a come fargliela pagare.

- Buongiorno, Alice - . Alda si stropiccia la sua massa di capelli
ricci e aggira il bancone per raggiungermi. Mi abbraccia e mi strapazza un po'. - Margherita ti sta aspettando - .
- Grazie, Alda - . Le stampo un bacio sulla guancia e mi dirigo verso l'ascensore.
- Non venivi a trovarla da un po' - , aggiunge, mentre saluta con la mano un paziente che è in giardino, al di là della vetrata, sulla sedia a rotelle.
- Ho avuto da fare... - , le rispondo mentre mi infilo in ascensore, - ...mi farò perdonare con questi - , aggiungo a voce alta. Tiro fuori un pacco di cioccolatini dalla borsa e, prima che le porte automatiche della cabina si chiudano, allungo un braccio mostrando la scatola. Le porte si riaprono. Sento la risata di Alda. Ritiro il braccio, le porte si richiudono e raggiungo il piano.
Giro la maniglia. - È permesso? Sono io. Alice - . Mi affaccio e sbircio dentro.
Lei, come sempre, è seduta di fronte alla finestra e guarda fuori puntando il cielo. Indossa una vestaglietta rosa di cotone e tiene le mani tremolanti sulle gambe.
Trascino una sedia e la posiziono accanto alla sua. Le do un bacio sulla fronte e mi siedo.
Il suo sguardo è umido e sembra attratto dal cielo, ma non è detto che stia riconoscendo quello che vede: potrebbe vederci il mare in tutto quell'azzurro, o chissà cos'altro.
- Guarda un po' cosa ti ho portato? - , le piazzo sotto il naso la scatola di cioccolatini. Tiro il filo rosso del rivestimento trasparente e apro la confezione come se le mostrassi un gioiello. Scelgo quello con la copertura di cioccolato al latte, perché so bene che è il suo preferito: lo capisco dalla velocità con cui lo scioglie in bocca. Lo estraggo dalla scatola e lo porto alla sua bocca. Lei sembra assente ed è immobile, eccetto che per il tremore alle mani. Schiude le labbra e lascia che io vi introduca la pallina di cioccolato. Non dice nulla ma io so che mi sta ringraziando. Da tempo non parla più. Io non credo che non sia in grado di farlo, io penso che lei in qualche modo sia consapevole del fatto che direbbe soltanto cose senza senso, e perciò preferisce tacere. O forse, semplicemente, non ha più niente da dire.
- Lo so che stai pensando che vorresti lui, qui, al posto mio - , le accarezzo una guancia e percepisco la sua mandibola che si sta muovendo lentamente. - Ma lui è stato sempre così, refrattario alla sofferenza altrui. Prima ha abbandonato te, qui... - . Noto che il tremore delle sue mani è aumentato. Ci poggio sopra la mia e le stringo delicatamente. - ...e poi me - . Un filo di lacrime le inumidisce il contorno occhi, gonfio e scolorito. Gli infermieri dicono che si tratta d fotofobia e che, siccome lei si ostina a fissare il cielo, è soggetta a delle lacrimazioni improvvise, ma io non sono d'accordo.
Forse, è meglio che io non dica altro. Tra un po' io sarò fuori da qui e lei, invece, resterà seduta davanti a questa finestra con il ricordo di quel sapore dolce in bocca e chissà quali deliri in testa.
- Ora devo andare - , le sussurro abbracciandola, - ma non preoccuparti, io continuerò a venire. Non è mica colpa tua - . Afferro la mia borsa e vado via.
Sono appena scesa alla fermata della periferia della città che è proprio davanti alla villa di Lorenzo, anzi, della moglie di Lorenzo, perché, dopo che lui l'ha lasciata a causa mia, nei fatti è diventata sua. Hanno due figli ancora piccoli e, quindi, non ci sono storie: lei vince sempre. Vince durante i periodi di festa, vince durante le vacanze estive, vince ogni volta che Marco e Lucia hanno bisogno del papà.
Mi sono nascosta dietro un albero sulla strada, al di qua del confine di siepi, e osservo i ragazzi giocare in piscina. Oltre la porta a vetri intravedo una sagoma in movimento. Credo che sia lei: Eleonora. La strega che usa i figli come un sortilegio per tenere lui legato a sé.
Sono certa che Lorenzo sia tornato da lei. Il posto auto è alla fine del vialetto dietro la casa; quindi, non ho modo di verificare se la sua macchina sia qui.
La sagoma femminile sta trafficando a ridosso del bancone della cucina. Un uomo è appena entrato in cucina e adesso la sta abbracciando da dietro. Lei si gira tra le sua braccia e lui la bacia. Non riesco a capire se sia Lorenzo. Il mio cuore si è scatenato e ho la pelle anserina come se avessi la febbre. Devo avvicinarmi un po', se voglio vederci chiaro. Mi abbasso e piegata a novanta gradi cammino velocemente fino all'altra siepe, quella vicina al cancello, da dove la visuale è migliore. Eleonora ha portato una mano a paletta sulla fronte. Forse, sta controllando i figli che sguazzano nell'acqua. Cazzo, spero che non mi abbia visto. L'ultima volta è successo un gran casino e ho rischiato seriamente di perdere Lorenzo per sempre. Gli avevo promesso che non mi sarei più fatta vedere da sua moglie. Ma Lorenzo è un bugiardo e non si merita che io rispetti le mie promesse. L'uomo si avvicina alla vetrata e guarda fuori: è Lorenzo. Lo sapevo. Una vampata mi infuoca la testa e ho la bocca asciutta. Mi tremano le mani e sento le gambe cedere. Lui fa scorrere la grande vetrata ed esce fuori. Supera la piscina. È diretto verso il cancello. Verso di me.
Devo scappare. Adesso.
- Alice! - , mi chiama accelerando il passo.
Io sono sul ciglio della strada. Guardo a destra e a sinistra. Sto per attraversare ma sento una mano sulla spalla che mi trattiene.
- Perché sei qui? Avevi promesso - , mi dice con tono calmo.
Mi volto e punto i miei occhi nei suoi. Spero che colga tutta la mia disperazione e che il senso di colpa lo uccida all'istante. Lo odio per quello che mi ha fatto. Di nuovo.
- Come hai potuto farlo? Un'altra volta? - , scoppio a piangere.
- Alice, ti prego. Non qui. Non adesso. Ci sono i miei figli - , si volta indietro e resta a guardare verso la sua dannata villa.
- Io non ci riesco a vivere senza di te. Io ti amo. Devi lasciarla una volta per tutte. Tu non la ami e stai con lei solo per i tuoi figli. Devi dare una possibilità alla nostra storia - , lo supplico nascondendo il volto tra le mani.
- Ne abbiamo già parlato. Sai bene come stanno le cose. Io sono stato chiaro con te - .
- No! - , urlo. - Se non hai il coraggio di farlo tu, lo farò io, adesso. Dirò tutto a lei e ai tuoi figli! - . Corro verso il cancello aperto.
- Alice! - . Lui mi rincorre e mi afferra per un braccio. - Adesso basta! - , tuona. - Lascia in pace la mia famiglia! - . Mi strattona. I suoi occhi sono rossi dalla collera. - Io amo mia moglie e voglio stare con lei, non con te. Con lei! Non so più come dirtelo - .
- Sei un codardo! - . Scoppio in un pianto convulso. Mi divincolo dalla sua presa, estraggo il mazzo di chiavi di casa sua dalla borsa e gliele scaglio contro. - Ti odio! - , urlo con tutta la forza che ho in corpo. - Ti odio - . Lo spingo assestandogli due pugni sul petto e corro via.
Barbara Cappellani
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