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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Andrea Scavino
Titolo: La Luna Grigia
Genere Fantasy
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La Luna Grigia
Parte 1.

Il re guardava dall'alto la landa su cui il suo castello, oramai, volava. I cavalieri dal manto bianco non cadranno mai si ripeteva nella testa, come fosse un rituale. Osservava dalle mura bianche di Darconia la battaglia che stava avvenendo, battendo le dita cinte da anelli d'oro, contro la pietra liscia e dura. Sopra la landa, corpi di guerrieri draconici e di draghi combattevano e si attorcigliavano come liane contro le viverne e i cavalieri oscuri che li stavano, poco a poco, decimando.
- Signore, sarebbe meglio intervenire - sentenziò un guerriero vestito di un'armatura bianca e oro, poggiato sulla pietra di fianco a lui. - Stiamo perdendo guerriero dopo guerriero, mentre gli altri sembrano moltiplicarsi. -
Il re digrignò i denti, emettendo un piccolo ruggito. I suoi occhi diventarono gialli, con pupille fini e nere. - Non ancora, Entrio, non è il momento - disse, dopo aver individuato una viverna con un cavaliere dal mantello viola.
All'improvviso, un cavaliere oscuro si lanciò dalla sua cavalcatura. Cadde sulle mura con un tintinnio leggero, e caricando si lanciò contro il re in un affondo talmente veloce che Entrio fu quasi preso alla sprovvista. Quasi. Con una piroetta schivò il colpo, lasciandolo sfilare fianco alla sua armatura. Giratosi velocissimo, l'elmo del nemico fu a tiro. Caricò un pugno e prese il cavaliere oscuro in piena faccia. Il suo elmo si fracassò in mille pezzi, mentre lui cadeva dall'alto delle mura. Accennò un'occhiata al re che non lo degnò di un accenno. Il cavaliere lo seguì, facendo segno ad altri due cavalieri di proteggere il re in sua assenza. Ricevette un cenno vago. Atterrò leggero sul marmo bianco, poggiando il ginocchio per attutire meglio il salto. Osservò il cavaliere oscuro alzarsi e guardarlo. Il suo viso era coperto da fasce stracce, attraverso cui gli occhi rossi e una bocca con denti appuntiti e gialli apparivano.
- Devi colpirmi più forte, cavaliere. Per me quel pugno è una carezza, caro. Non trattenerti per piacere - affermò sorridendo e mettendosi dritto.
All'improvviso il cavaliere si trovò di fronte una nube scura che circolava. Questo non è un buon segno pensò Entrio, mentre i cumuli avanzavano e si allungavano verso di lui.
Due ali nere sbucarono da essa e sbattendo la diradarono, facendo uscire alla luce quello che non era più un cavaliere. Una creatura alta il doppio di lui, con squame su tutto il corpo. Zampe con unghie appuntite avevano sostituito mani e piedi. Sulla schiena, oltre alle ali, uscivano grossi spuntoni neri e viola. Il muso si allungava dal collo altrettanto lungo, mentre una cresta di piume lo adornava. Gli occhi rossi lo osservavano, mentre una bocca con due paia di file dentate gli sorrideva, facendolo sembrare ancora più ambiguo e spaventoso. Niente del genere avevano ancora visto.
L'anima mia è oramai delle viverne, in cambio di questo corpo immortale giunse un pensiero. Anzi, quasi un incubo. Il cavaliere indietreggiò leggermente. In quel momento, un ruggito giunse dal cielo. Entrambi guardarono verso l'alto, mentre Entrio cominciò a sorridere. Anche la mia anima è dedita a qualcuno.
Nelle nubi che si stavano formando, un enorme drago celeste spuntò dal cielo in picchiata. Il mostro saltò indietro, prima che il drago atterrasse con un sordo tonfo sul marmo.
Scusa il ritardo, Entrio, una viverna mi stava dando un certo fastidio giunse subito un pensiero al cavaliere. Era l'opposto di quello di prima. Rassicurante, dolce, benvolo. Proprio ciò che ci voleva in quel momento.
Mentre la paura gli scivolava via, egli guardò il cavaliere oscuro davanti a lui. Nella sua espressione c'era rabbia, come anche la paura. Oppure qualche altra cosa che non riusciva a comprendere? Si era allenato tutta la vita a capirli, ma questa volta non riusciva a infrangere quel muso.
- Ora te la prenderai con uno della tua taglia - disse il drago, innalzandosi in tutta la sua magnificenza. Alto il triplo della creatura, possente e invincibile, avanzò verso il mostro. Le sue enormi zampe unghiate tintinnavano, mentre la sua coda si muoveva a destra e a sinistra come una frusta. Le squame brillarono al primo fascio di luce che riuscì a filtrare attraverso la coltre di nubi. Le enormi ali si trascinavano a terra. I suoi denti sembravano un sorriso, mentre i suoi occhi luccicavano e brillavano di adrenalina. Entrio notò comunque che alcune ferite gli solcavano e gli rovinavano le squame sul fianco, ma l'immensità di quella creatura non veniva sciupata.
Caricando, si lanciò sul cavaliere oscuro, azzannandolo coi denti e spezzandogli il collo con una facilità sovrumana. Con un colpo di zampa fece volare il corpo senza testa e senza vita contro una parete del castello. Il sordo tonfo che ne seguì fu spaventosamente liberatorio. Dalla sua bocca scendevano rivoli di sangue, colorando i denti di rosso. Girò la testa verso il cavaliere, avanzando verso di lui. Quando gli fu a pochi passi, chinò il muso in modo che la mano accarezzasse il suo enorme naso.
- Sei stato grande, come al solito. Ti devo la vita - disse Entrio.
Non mi devi niente, compagno. So che quando arriverà il momento mi restituirai il favore rispose con un pensiero il drago. Così facendo, spiegò le ali, sfoggiandole in tutta la loro grandezza e, dopo aver preso il cavaliere tra le zampe, cominciò a batterle, producendo un polverone enorme. Ora tieniti, ti riporto sopra dal re e da Thruba.
Quel vento sfrigolava contro l'armatura, facendola muovere e tintinnare. In pochi colpi, prese quota e lo poggiò sulle mura in pochi istanti.
Il re era ancora immerso nella visione della battaglia, impassibile, immobile.
- Ora vado. Hanno bisogno di me gli altri - ruggì, prima di lanciarsi nella battaglia.
- Oh, sei arrivato. Pensavo ci metteste di più, ma siete stati bravi. Thruba mi ha fatto vedere tutto, attraverso le immagini dei tuoi pensieri. Ringrazia il tuo drago per l'ennesima volta. - Le parole del re erano stuzzicanti.
- Sì. La vita è il minimo che gli devo. Oramai è parte di me - rispose Entrio, rimettendosi a osservare dalle mura.
Mentre la battaglia imperversava, il re produsse un ruggito soffocato. Poi lo liberò, pieno di agonia. Si mise le mani in bocca.
- Thruba, sta' calmo! - urlò il re, piegandosi in due, come se un dolore lancinante lo avesse colpito all'improvviso.
Entrio si avvicinò. - Tutto bene? - chiese il cavaliere poggiandogli la mano sulla spalla.
- Sì, è solo Thruba. -
Io sono qua che guardo attraverso i tuoi occhi, mentre loro sono là a combattere per me e a morire per me, senza che io faccia qualcosa. Giunse un pensiero feroce che spezzò la mente del re in due.
- Thruba, - rispose - non dobbiamo cadere nella loro trappola. Vogliono che ci lanciamo in mezzo alla battaglia, in modo che possano prendere la tua anima. Siamo l'ultima speranza noi qua. Devi lasciare reagire i tuoi compagni. Noi dobbiamo pensare a proteggerci e a proteggere il dono che custodiamo. -
- No! Non ne lascerò cadere ancora uno dei miei compagni. Dobbiamo intervenire. - Giunse come una supplica.
Il re guardò verso la landa. Migliaia di draghi e viverne erano a terra. Coperti dalla polvere e dal sangue che gocciolava dal cielo. Non si muovevano, non producevano alcun gorgoglio. Nulla poteva contro quelle creature, ma neanche loro potevano vincere la morte. Girandosi all'improvviso, guardò Entrio negli occhi.
- Proteggi a tutti i costi quello che custodiamo. Lo utilizzerà lui a fin di male se gli finisce tra le mani. Proteggilo con la vita. - E così dicendo balzò.
Entrio, velocissimo, si sporse da esse, guardando il re che assumeva le forme di un'enorme creatura alata bianca. Quattro enormi ali argentate, due enormi code piene di affilate punte, quattro zampe armate, un corpo bianco, muscoloso e massiccio, un collo e una testa enormemente spaventosi, con un paio di denti rosso fuoco. Atterrò, sbriciolando il terreno sotto di sé. Girò la testa verso il cielo e, dopo un fragoroso ruggito, produsse una fiammata che arrivò fin sopra le mura del castello volante.
Mentre la battaglia si bloccava per un attimo, Entrio guardò il re e Thruba entrare per la prima volta in battaglia da quando era diventato cavaliere. La loro forza era così immensa, la loro magnificenza era così iraggiungibile, che pure una guerra di fronte a loro si fermava.
Quando tutto riprese, i draghi erano più motivati e combattevano con più foga. Ricordandosi dell'ordine dato dal re, Entrio si girò di scatto e, seguito dagli altri due cavalieri, si diresse verso la sala principale, dove il dono era custodito.
***
La landa era coperta di corpi dilaniati. Sangue sgorgava da ogni corpo e si univa in piccoli rivoli che solcavano un terreno brullo e incandescente. Ovunque l'odore di zolfo riempiva le narici di quell'aroma acre che riferiva alla morte. Nulla era più naturale, oramai quella landa era stata distrutta dal fuoco e dalla lava. La vista poco a poco tornò a farsi viva, dopo essersi offuscata per un momento, quasi risvegliata da una serie di grida che giungevano all'orecchio. Tastò il terreno sotto di sé con le mani, cercando un appoggio per alzare quel suo corpo oramai coperto non solo dalla vergogna, ma anche dal dolore lancinante degli arti. Si mise a fatica seduto. Oramai i suoi compagni erano già fuggiti oltre il paesaggio visibile, correndo e inciampando, quasi impauriti dalla loro stessa ombra. Guardò verso i corpi, socchiuse gli occhi cercando di scorgere quello che cercava. Ed eccolo, appoggiato sul corpo di una creatura che non pareva avere la parte inferiore del corpo. Un conato di vomito gli salì alla gola, acido e duro, veloce come l'attacco di un serpente. La mano si mise davanti alla bocca, ma oramai era già fuori, già piegato. Si alzò a fatica, dopo essersi pulito con la manica, e accennò un passo. Una fitta gli giunse alla schiena, ma non lasciò che il suo corpo si piegasse al dolore. Doveva raggiungerli. Si mise ad avanzare, scavalcando i corpi martoriati, poggiando i piedi sulla fanghiglia che si era formata. La testa girava, ma sapeva che un attimo di disattenzione in quella terra significava morte certa. Sentì un leggero ronzio sotto i suoi piedi. Con la poca forza che aveva si lanciò di fianco, schivando la creatura che stava uscendo dal terreno a tutta velocità. Un verme dalle molteplici file di denti che roteavano nella sua bocca e dalle molteplici zampe appuntite. La bava scendeva a gocce da quell'arma famelica. Si lanciò all'attacco, ma il guerriero era ancora veloce abbastanza da schivare il corpo. Cadde sulla schiena, mentre la fanghiglia gli sporcava i vestiti. Per terra aspettava l'attacco del nemico, che si era rintanato nei sotterranei. Tastò il terreno al suo fianco in cerca di qualcosa che desse un po' di conforto al suo corpo, mentre con lo sguardo continuava a puntare quell'oggetto che stava a pochi passi da lui. La mano si posò su qualcosa di appuntito, liscio, levigato alla perfezione, freddo... una lama di spada. Prese l'elsa e la strinse con la mano. Fece per alzarsi, ma ecco che leggere vibrazioni giunsero alle sue gambe. Rotolò sul fianco ed ecco l'enorme verme spuntare dal terreno coi suoi denti famelici, cercando di azzannare il guerriero. Si girò e si lanciò all'attacco, quasi avesse capito che il sottosuolo non le dava alcun vantaggio, ma il guerriero, alzatosi a fatica, piroettò sul fianco e menò un fendente dall'alto verso il basso, tagliando in due la creatura. Un fiotto di sangue nero violaceo schizzò sulla sua faccia. Era viscido e solido. Che schifo. Un conato di vomito salì nuovamente, ma questa volta riuscì a trattenerlo. Si girò verso il luogo dell'oggetto, ma non c'era più. L'ansia salì come un fiume in piena. Cominciò a cercare con la vista ovunque, si mise a camminare avanti e indietro, solcando quelle lande di dolore immenso, senza risparmiare neanche un granello di energia. Improvvisamente, un dolore lancinante al braccio, un dolore che poco a poco ti paralizza e ti conduce al buio. Si guardò il braccio e vide un taglio. All'apparenza era piccolo e innocuo, se non fosse stato tutto nero con una strana poltiglia che usciva dalla ferita. Sentì le gambe cedergli sotto il peso del corpo, volando per terra, sciogliendosi come un pupazzo al sole. Il suo corpo, oramai, non rispondeva più ai comandi.
Con la vista lo intravide, quell'oggetto che tanto cercava, un uovo bianco a macchie marroni che sembrava essere un gingillo; ma non era in mano sua, bensì nelle mani di un uomo vestito di nero, incappucciato, che puntava il dito contro di lui.
- Non morirete, ma l'agonia sarà per voi eterna. -
In quel momento cominciò a sentire bruciare i piedi, poi le gambe e poi il busto. Guardò per l'ultima volta quella persona prima che gli occhi si chiudessero nel buio e le fiamme la cingessero, bruciandola nel dolore sordo della morte.
***
Lo vedeva roteare e menare il fendente al verme, che così si spezzò in due.
Ah, debole e lento. Non avrà vita lunga pensava. Guardò l'uovo sotto di sé. Luccicò sotto i suoi occhi, illuminato dalla lava che ogni tanto spruzzava dal terreno. Si piegò in avanti per prenderlo, lo abbracciò in modo paterno e amichevole.
- Ora ti proteggo io, non sarai più in pericolo. -
Mentre il guerriero si girava per menare il fendente, disse due parole e lui e il verme si fermarono. Si avvicinò tranquillamente, soppesando ogni passo come se fosse l'ultimo. Era rischiosa quella magia. Quando gli fu abbastanza vicino lo guardò in faccia, togliendosi il cappuccio. Era spaventato e impaurito, la vergogna sgorgava da quegli occhi verdi. Sentiva la sua vita poco a poco andarsene. Così, girando attorno al corpo, estrasse la spada nera.
In questo stato almeno non patirai dolore. Allungò il braccio conficcando la spada nel corpo del guerriero. Sentì le ossa rompersi e il sangue colare lungo la lama. Estraendola il corpo cadde inerme sul terreno, mentre prendeva fuoco dal calore della lava.
- Ora giustizia è fatta. - E sporgendosi verso l'uovo, sussurrò: - Ora cerca colui che ci salverà nuovamente. Il futuro è oramai alle porte, l'era delle lune si sta nuovamente avvicinando. I popoli hanno bisogno di una guida e tu sarai il suo compagno. - Così dicendo, allungò le sue braccia verso il cielo e le nubi avvolsero l'uovo, allontanandolo dalla landa sotto i suoi occhi.
***
Incredibilmente, le sue gambe lo stavano reggendo in piedi. Oramai era un ragazzo, ma nulla valeva come quella cerimonia incredibile. Le sue gambe tremavano sotto il peso di quello che sarebbe stato il cambiamento di vita più importante di sempre. Leggere gocce di sudore scendevano sulla schiena, dandogli la sensazione di freschezza che in quel momento mancava in un luogo così afoso. Gli occhi guizzavano nel buio come lupi alla ricerca della luce, ma nulla trovavano in quel posto. Capiva di essere in un ambiente chiuso; le narici si riempivano di polvere e quasi producevano uno starnuto. Mai aveva starnutito senza fermarsi, ma in quel caso si sarebbe lasciato andare con piacere a quel privilegio.
Mentre il battito del cuore saliva sempre di più al cervello, ecco uno scricchiolio giungere al suo orecchio come un fischio di flauto. La luce si fece spazio nella stanza, attraverso una coltre di polvere grigia. Una mano cinse la sua. La sentiva grande, forte, rugosa. Una mano da adulto pensò. Tuttavia nulla poteva sapere da quell'ombra sfocata che si trovava sulla cornice della porta.
- Sei pronto? - gli giunse una voce profonda e confortante. - Sai che tu sarai il primo dei primi... ma sei sicuro di non volere tornare indietro? - aggiunse, seguito da un silenzio forzato, da uno di quei silenzi estranei.
- Sono pronto - infine disse, anche se la sua voce non era proprio come si sarebbe aspettato. Stringendo ancora di più la mano, uscì dalla porta.
La luce di quel luogo lo colpì direttamente sul volto e gli occhi si dovettero chiudere leggermente. Quando si fu abituato alla luce, osservò di essere in un corridoio enorme, che i palazzi normali non sarebbero mai riusciti a eguagliare in bellezza e in grandezza. L'oro luccicava impavido, su un bianco marmoreo. I colori e i disegni che si assaporavano in quel posto erano come un bel piatto servito in modo eccellente. L'odore leggero di brezza, accompagnato da un profumo dolce di fiori primaverili, giungeva alle narici, annebbiando l'ansia della cerimonia, facendo dimenticare alla mente di essere in un momento importante. Osservando attorno a sé, lo sguardo si posò sulla mano e poi sulla creatura che davanti a sé lo trascinava verso la fine di quello splendido luogo. Alta e possente, le piume erano appoggiate sulla schiena, unite in due grosse ali bianche e morbide. Uno spadone gli divideva i due arti; alla cima un'elsa azzurra.
Battè la testa. Non si era accorto che si era fermata. Si massaggiò la fronte, ma, mentre tornava a osservarla, vide il viso: zigomi perfetti, pelle liscia e morbida alla sola vista, occhi azzurri, capelli biondi, due labbra da far girare la testa a qualunque donna sulla terra. Eppure in quel momento lo sguardo così cristallino sembrava acre, pieno di preoccupazione. Si girò e lo guardò. I suoi occhi erano dolci e pieni di speranza, come se in un attimo tutti quei sentimenti cupi fossero volati via lontani.
- Oggi, forse, non è il luogo e il momento più adatto. Prendi questa. - Nel mentre porgeva al ragazzo una spada, con un drago nero su una lama rosso sangue. - E abbine cura. Portala sempre con te, trattala come fosse la tua vita e non perderla. Ora va'! - puntò il dito verso un'altra porta.
- Ma non voglio tornare là... vo... voglio rimanere con te. -
Lei, veloce come il vento, era già schizzata via, oltre la porta dietro di sé, lasciando trapelare, per un attimo, un ultimo sguardo di paura. Restò a osservare quel luogo magico e inebriante, che all'improvviso gli sembrò cupo e monotono.
Si girò verso la porta in cui era entrata la donna, sperando nel suo ritorno.
***
Cavalcava. Il rumore degli zoccoli sul terreno si mescolava con il tintinnio ritmato dell'armatura, creando una piacevole sinfonia. L'erba veniva piegata sotto gli zoccoli dello stallone che, inarrestabile, solcava quella pianura verde. Il cavaliere, seduto in sella, cingeva ogni tanto con la mano il collo del suo destriero, accarezzandolo in segno di riconoscenza. Cavalcava sotto un cielo celeste, pieno di gruppi di creature o di uccelli che osservavano liberi e selvaggi.
Una folata di vento fresco rimise il cavaliere nei suoi panni. Era sulla sella che si lanciava veloce alla ricerca di cosa? Qualche attimo dopo, ecco fermare il destriero bruscamente. Lo stallone, dopo una serie di nitriti di stizza, si impennò e si arrestò.
- Scusa, amico, ma sai anche te di averlo trovato. - Nel terreno, una serie di impronte erano ben incastrate; erano grandi quasi quanto venti piedi umani e, dalla loro profondità, la creatura pesava all'incirca come trenta uomini.
- Pensavo fosse più piccola, - commentò sorridendo - ma questa è una sfida, non posso perderla contro di lei. -
Dall'alto giunse un grido: - Sei lento, la vedo già io, è mia. - E poi una risata vera, profonda, di pura euforia.
- Mai mi batterai. È da anni che non mi batti - replicò prendendo le briglie e sguainando la sua spada. - Andiamo, Buio. - E all'improvviso, quasi come se avesse capito, lo stallone tese tutti i muscoli e si mise a correre sul prato, gareggiando con l'ombra di quella creatura enorme sopra nel cielo, cavalcata da un'incantevole fanciulla.

UNA GIORNATA QUALUNQUE
Non c'era mai stata una notte buia come quella. Il silenzio circondava ogni cosa, cingendo quel luogo come se fosse un'enorme coperta. La nebbia circondava gli alberi, mentre la luna con le sue stelle cercava di filtrare attraverso la coltre soffocante. I rami si richiudevano in alto come dita oscure che ghermiscono una povera creatura.
Il respiro del ragazzo si era fatto affannoso. Un leggero sudore fresco scendeva sulla schiena e sulla fronte, ogni tanto cadendo sulle pupille, facendogli bruciare gli occhi. Osservò coi suoi occhi verso l'oscurità, mentre con le orecchie cercava di acquisire un qualsiasi movimento celato alla vista. Coricato per terra, si confondeva perfettamente con il terreno. Cercava qualcosa. Improvvisamente tese un orecchio. Un suono familiare.
Tese i muscoli e scattò in avanti, alzandosi velocemente dallo strato di foglie che lo ricopriva e lanciandosi all'inseguimento. I capelli gli sferzavano il viso, mentre il suo fiato si faceva sempre più ansioso e affannoso. Scavalcò un tronco che era caduto da pochi giorni. Ancora ricordava quel giorno, quando un drago era passato di lì, friggendo tutto. Ma da quel giorno più nulla era cambiato. Solo la notizia del ritorno dei genitori l'aveva destato da quell'incredibile e improbabile incontro, fantastico e spaventoso allo stesso tempo.
Un leggero vento si alzò, una brezza fresca, mentre i ricordi ancora gli riempivano la testa e lo facevano deconcentrare da quello che stava facendo.
Si guardò attorno dopo pochi attimi; la nebbia si era diradata, la luna ora pungeva il terreno, filtrando attraverso quel groviglio fitto di rami sopra la sua testa.
Così ho preso un po' di vantaggio pensò, mentre il suo sguardo tornava a perlustrare il paesaggio attorno a lui. Dove sei? si domandava. Dove sei?
Uno strano verso lo fece girare verso la pianura, che ora si trovava a pochi passi alla sua destra.
Non ero mai andato così lontano pensava, mentre un altro verso giungeva alla sua sinistra, questa volta più gutturale e cupo, quasi spaventoso.
Gli vennero i brividi. Gli salirono fino alle orecchie, quasi bramando i capelli, per poi fermarsi e calmarsi. Tese le orecchie e poggiò le ginocchia e la lancia che aveva nella mano sinistra per terra. Quella lancia era stata fatta da suo zio, prima che non tornasse dal suo ultimo viaggio, poche settimane prima del drago. Come gli mancava.
Ripensando a quel ricordo, non si mosse e rallentò il suo cuore. Fu silenzio. Un incredibile silenzio. Stette per alcuni attimi lì, in quella posizione, fermo con lo sguardo verso quello che sembrava un piccolo rifugio di qualche lupo solitario.
Fin troppo silenzio pensò, cercando di ritornare a pensare a suo zio per tranquillizzarsi. Sentì del calore arrivargli alla guancia sinistra, umido e leggermente maleodorante. Un avviso di andarsene da quel posto. Anzi no, era per fortuna un utile avviso! Schivò, lanciandosi verso il rifugio, mentre con la coda dell'occhio osservava quell'ombra che usciva dal suo nascondiglio e veloce tornava nel buio. Incredibilmente, anche per le dimensioni che aveva.
Il ragazzo aveva quasi raggiunto il nascondiglio, quando la strana creatura uscì dall'ombra e gli si parò davanti. Si fermò, cadendo sul sedere. Un dolore lancinante gli prese al polso. La lancia, conficcata a terra, aveva resistito al suo peso, rompendo il suo polso. Non distolse lo sguardo da quell'essere nell'ombra.
- Incredibile. Prima ci vedevo benissimo e adesso mi trovo davanti a una creatura che riesce a nascondersi sotto l'ombra degli alberi - disse a bassa voce, cercando di staccare il pensiero dal cuore che batteva all'impazzata. Tastò il terreno con l'altra mano, in cerca di una pietra, qualcosa da lanciargli. Non voleva morire proprio oggi, dopo tutto quello che era successo in quei giorni. Non voleva morire.
Cominciarono a cadere delle piccole gocce di pioggia dal cielo.
Pioggia?
Le nuvole cominciavano a coprire il cielo così velocemente, che le stelle e la luna venivano inghiottite senza aver la possibilità di fuggire.
Quando si accorse che la bestia era a pochi passi da lui, coi denti affilati che sporgevano fuori dal muso cagnesco, si rese conto che i suoi occhi gialli non erano rivolti verso di lui, ma verso qualcosa dietro a lui. Senza pensarci due volte, scivolò verso destra, sentendo il polso fargli male, mentre quella bestia pelosa balzava nuovamente nel folto del bosco, tra ringhia, guaiti e urla. Il ragazzo si accovacciò in preda al panico, senza più riuscire a muoversi. Si sentiva inerme, stanchissimo, sudava sotto la leggera pioggia che nascondeva ogni rumore.
Non li sento più pensò improvvisamente, guardandosi attorno, in preda al panico. Come erano giunti prima in silenzio, ora potevano tornare sicuramente. Sicuramente, per prima cosa, mi vuole bene si disse col fiatone. Ma poi ripensò: Sto diventando pazzo. Qui pure le creature che mi cacciano mi vogliono bene.
Un leggero sorriso gli cinse il volto. Si alzò a fatica, tirando fuori la lancia dal terreno. Si ruppe, lasciando che la punta rimanesse conficcata nel terreno. Con un gesto di stizza, scaraventò il bastone lontano. Adesso cosa dirò a mio padre? mentre tornava a cercare la sua cena. Papà, da cacciatore sono diventato preda. È stata una giornata tipo quella del drago. Epica! Si guardò il polso dolorante. Sicuramente se l'era rotto. Gli faceva più paura, però, la reazione del padre. Magari me lo tengo per me si disse, mentre digrignava i denti in una smorfia. Prese per terra due steli e se li legò come sostegni alla mano. Mentre si girava, il suo sguardo si posò su delle impronte, che poco a poco venivano cancellate dal terreno. Spostò lo sguardo sempre più avanti; pochi passi prima erano umane, come le sue, ma dopo erano... di lupo! Barcollò. Stai a vedere che lo zio aveva ragione su quelle storie. Continuò a guardarle, finché scomparirono. Continuò a pensare e a pensare, dimenticando completamente perché era uscito quella notte. Direi proprio una giornata qualunque, come mi sta capitando spesso, di questi tempi pensò ridendo. Forse era il momento giusto per tornare. Si girò, riprendendo il cammino verso casa, sotto la pioggerellina fresca, osservando la pianura che non aveva quasi mai visto da solo. Sconfinata e morbida. Troppo spesso... ragionò tra sé all'improvviso, fermandosi e guardandosi attorno.
Una delle due creature era nell'ombra a osservarlo, con gli occhi gialli.
- Chi sei? - urlò, alzando i pugni nella vana speranza di fare paura. Non ci fu risposta, ma solo un battito di ciglia. - Chi sei? - ripeté. Ma non ci fu risposta, anzi l'essere sparì nel buio. Restò ancora a osservare verso quel punto.
La pioggia stava aumentando di intensità. Devo tornare a casa decise, riprendendo a correre, ma per alcuni passi ancora rimase volto all'indietro, sperando e non sperando di incontrare quella creatura nuovamente.
***
- Scendi, sfaticata di una sfaticata, è già quasi ora di pranzo! - urlò la madre dalle scale.
- Sì, mamma, arrivo! - rispose la ragazza, sbadigliando e mettendosi seduta sul letto; era morbido e profumato. Facendo scricchiolare le ossa e stirando i muscoli, si alzò e aprì la finestra. Una sferzata di aria primaverile la avvolse, mentre rumore di gente indaffarata, oramai, riempiva le strade dove lei abitava. Prese un bel respiro e si poggiò al balcone, ritornando a fantasticare come in un sogno.
Solo io non riesco a trovarlo si disse sospirando, lasciando che i lunghi capelli rossi cadessero sulle sue spalle e, poi, sul muro della casa, scivolando lentamente contro l'intonaco colorato d'azzurro.
- Sanna! - sentì chiamare. In fretta e furia, senza neanche pensare a chiudere la finestra o a mettere a posto la sua camera, prese il suo vestito verde, non troppo snob, da bella ragazza ricca sfondata e piena di sé ma neanche troppo da sgualdrina, da ragazza guercia che sa chiedere solo l'elemosina senza darsi da fare; un vestito semplice da ragazza semplice, insomma, lungo fino alle ginocchia, giusto nei fianchi e giusto nel petto, con un leggero pizzo bianco al fondo delle maniche delle braccia. Un vestito da giornata normale, da giornata qualunque per quella ragazza. Prese le scarpette nere che, lanciate, si erano nascoste sotto la sua scrivania di legno di noce.
- Quanto ci metti?! Dai, sei l'ultima! - giunse un urlo più gutturale e basso.
- Arrivo, papà! Non metterti pure te, c'è già mamma che ci mette del suo! - replicò nella frenesia del momento, mentre cercava il suo cerchietto verde.
Devo essere almeno un po' presentabile si disse nella testa, pensando alle conseguenze disastrose se fosse scesa così come era nel letto. Legò i capelli, osservandosi allo specchio, aprendo successivamente la porta della stanza e fiondandosi giù dalle scale scricchiolanti, quasi inciampando e cadendo.
Arrivò in fondo affannata e in preda al fiatone. Vide solo sua madre, una donna di mezza età, ancora bella nell'aspetto. Occhi azzurri e capelli fini e lisci, di un rosso acceso, che facevano invidia a chiunque, e un corpo che gli amici del padre ci avrebbero fatto qualsiasi cosa assieme. - Eccomi, ci sono! - annunciò urlando, prima di essere presa e tirata fuori dalla porta di casa come una fionda fa con il suo proiettile.
***
Le lame sfrigolarono tra di loro. Si allontanarono per rilanciarsi una contro l'altra, con fragore, risuonando nella sala da allenamento. I due guerrieri si allontanarono. Uno con l'armatura nera, con un drago rosso sul petto che continuava e finiva con la coda sulla schiena; l'altro dall'armatura azzurra e un'enorme viverna sul petto. Ci fu un attimo di silenzio, mentre i due sguardi, attraverso le piccole feritoie che si aprivano negli elmi, si incrociavano nella sala. Uno sguardo di sfida, ma che trapelava di amicizia e di divertimento.
- Sei migliorato, vedo - notò la creatura dall'armatura nera. La sua voce cupa e leggermente rauca risuonò nella sala. - Ma non sarai mai al mio livello, - aggiunse, mettendo la lama in avanti piegata su un fianco e piegando le gambe per prendere lo slancio - o almeno, non adesso. -
Si lanciò con una velocità impressionante, muovendosi a zigzag senza dare un punto di riferimento all'avversario, che intanto si era messo sulla difensiva. Il primo colpo arrivò con una tale forza che il guerriero azzurro barcollò indietro. Subito ricevette un altro fendente, caricato con una velocità fuori dal comune. Poi un altro sulla spalla, e infine una gomitata secca nell'addome, che lo fece traballare e cadere a terra. Prese due respiri, cercando di non pensare al dolore.
Il guerriero azzurro guardò in alto. La lama verde era puntata sul suo sguardo. Si mise seduto. - Te l'ho detto, allievo. Mai sottovalutare il tuo avversario. Anche per l'età che ha - sentenziò il nero, togliendosi l'elmo.
Si trattava di un uomo anziano, con una lunga barba grigiastra e capelli bianchi. I suoi occhi blu avevano uno sguardo saggio e compassionevole, ma qualcosa li turbava. Attimi di silenzio, prima che il vecchio alzasse l'arma dal ragazzo. Proprio in quell'istante, l'azzurro si alzò di colpo e posò la lama contro il collo del vecchio.
- Ha ragione, maestro, ma, come lei sa, un nemico non è sconfitto finché il suo cuore batte. -
Il vecchio sorrise e lo guardò dritto, attraverso l'elmo. - Non sempre, purtroppo. -
Mirth tolse l'elmo azzurro. Era un molto giovane, con capelli neri, riccioli, talmente lucidi che risplendevano già solo alla luce della sala.
- Vedo che poco a poco stai imparando, piccolo sagnolo, ma ricorda: la guerra non è tutto. - Così dicendo si diresse verso la porta, seguito a ruota dal giovane. I passi risuonavano come campanelle.
Mentre il vecchio appoggiava la mano sulla maniglia, qualcosa lo turbò. Si fermò all'improvviso. Si guardò attorno e aprì la porta. Fuori era tutto normale. Le solite guardie che facevano la ronda, con le loro armature gialle, ognuna raffigurante un leone nell'atto del ruggito. In fila, ognuna armata di una spada sul fianco e di una lancia sulla schiena, si muovevano all'unisono varcando il ciottolato della città.
- Anche io diventerò come loro, vero, maestro? - chiese, osservandoli passare come un bambino osserva un drago per la prima volta.
Il maestro si girò e, guardandolo, sorrise. - Sì. - Un momento di silenzio. - Anzi... diventerai meglio! - affermò con energia, quasi per incoraggiarlo.
Vide passare davanti a lui un paio di bambini e tornò cupo in volto. Il ragazzo lo vide nello stesso istante in cui alzò lo sguardo verso il cielo, dopo aver sentito un paio di sordi tuoni. - Maestro che succede? - Lui non rispose. Si girò velocemente e lo vide con la testa alzata e due occhi bianchi e vuoti. Una freccia era conficcata nel collo. Il sangue usciva denso, imprimendo anche la barba di un colorito rossatro. Il corpo cadde a terra, rovesciando sul terreno un rivolo che percorse le scale davanti a loro. Gli occhi di Mirth si incendiarono a quell'immagine, l'immaginazione volò a un mondo completamente rosso sangue. Lacrime e sudore salirono. Non può essere. La follia invase la sua mente. Fino a un attimo prima lui era lì, con lui, a parlare. Ora era a terra morto.
- Nooo! - urlò con tutta la forza che aveva, stringendo pugni e denti, lasciando che le lacrime scivolassero sul volto e cadessero sul corpo del maestro. Non sarebbe mai caduto in ginocchio, il maestro gli aveva detto che era un gesto di debolezza, ma le lacrime non poteva fermarle, come il dolore. Una freccia sibilò vicino alla sua testa, conficcandosi nel muro dietro di lui. Alzò lo sguardo, lasciando che la rabbia sommergesse tutto. Paura, orgoglio, dolore, freddo, caldo, pensieri, emozioni, rumori, soffocando ogni cosa. Prese la spada che gli era momentaneamente caduta dalla mano e si guardò attorno, in cerca dell'assassino. La gente urlava, inorridita dalla visione del corpo, mentre le guardie accorrevano all'unisono verso il corpo morto. Sentiva nella sua testa rimbombare le sue ultime parole. Si lanciò verso le porte della città, sapendo che era l'unica possibilità di fuga. Le mura erano insormontabili. Il ritmo scandito dei rintocchi dell'armatura, i capelli scivolavano nell'aria.
Dove sei? Non pensava altro che alla vendetta. Poi con la coda dell'occhio, vide la sua ombra; un'ombra veloce che scappava dalla sua. Guardò verso i tetti, dove una persona correva veloce verso l'uscita.
Non mi scapperai, maledetto! pensò, mentre aumentava il passo. Più veloce, si diceva più veloce.
Le gambe cominciarono a prudergli. Non ci fece caso, finché si accorse di essere fuori dalle mura. Un attimo prima era nel centro della città, ci avrebbe dovuto mettere molto di più. Guardò dietro di sé; una linea nera giungeva dal centro della città fin dove poggiavano i suoi piedi. Fece un balzo indietro. Continuava a guardare quella linea nera, spaventato, mentre il battito del suo cuore rallentava. Poi si ricordò.
- Dove? - disse, digrignando i denti e guardando attorno a sé. La follia invase nuovamente la sua mente. In quell'istante, l'uomo arrivò sull'ultimo tetto, si rannicchiò e saltò. - Ma com...? - Quell'uomo aveva fatto un balzo e stava praticamente volando. Anzi, aveva dispiegato le ali. - Non mi può... lui non può! - disse ad alta voce, prendendo la spada e lanciandola. Sentì il sibilo della sua lama volare. Il suo maestro gli aveva insegnato a lanciare quelle armi, anche dalla lunga distanza. Lo colpì nell'ala. Il dolore esplose in un grido che ghiacciò il cuore di Mirth. Ma mentre guardava la creatura cadere, si accorse che stava prendendo fuoco e si stava dissolvendo. La vedeva, sembrava un globo di fuoco. All'improvviso la sua mente vacillò.
La Luna dell'Oscurità sta giungendo. Questo è solo un assaggio della nostra forza ora che arriverà. Sappiate che questa non è una giornata qualunque, ma è “la giornata”.
E mentre quel pensiero si dissolveva, aprì gli occhi e la creatura trasformarsi in polvere. Il ragazzo strizzò gli occhi. Deve essere un sogno.
La striscia nera era ancora presente.
Si alzò e corse verso la fortezza principale, veloce come il vento. No, non era un sogno.
Andrea Scavino
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