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Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
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Writer Officina
Autore: Vanessa Gessi
Titolo: Il giardino del bene e del male
Genere Fantasy
Lettori 2904 10 8
Il giardino del bene e del male
L'angelo nel bosco.

Alessandro Bosconero nacque in una casa di pietra sul lago di Como, nel 1991.
A quel tempo nessuno sapeva quello che sarebbe successo, era solo un bambino come tanti che si affacciava alla vita pieno di speranze.
All'età di cinque anni la sua innocenza venne stroncata, spazzata via con furia come un ramoscello sradicato dal vento ancor prima di mettere radici.
Era una sera di agosto ed il bambino cantava allegro, guardando la luna che sbucava tra gli alti pini di montagna.
Il fratellino dormiva sereno con un piccolo soldatino tra le mani, mentre i genitori parlavano di cose che lui non capiva. Ogni tanto la madre gli sorrideva e questo gli bastava per essere felice.
Poi d'improvviso una macchina tagliò loro la strada, ed un uomo ubriaco si rese conto troppo tardi dell'errore che aveva commesso.
Fu una questione di attimi.
La fiat grigia sulla quale viaggiava la famiglia sbandò di qualche metro, sfondando il guardrail di metallo. Rotolò giù per un dirupo, riversandosi nei boschi.
Ci fu un lungo silenzio, interrotto solo dai pianti disperati del neonato, mentre le luci dei fari lentamente si spegnevano.
Dalle lamiere distorte della macchina, un bambino uscì tenendo stretto il fratello, nelle sue piccole braccia tremanti.
Chiamò la madre, chiamò il padre, ma nessuno rispose.
Cercò di scuotere i loro corpi, di aprire i loro occhi, ma nessuno dei due si svegliò.
Osservò a lungo i suoi genitori, gli sembrava che dormissero.
Il concetto della morte era troppo lontano da lui, troppo irreale.
Nella sua mente si convinse che stavano solo dormendo, se avesse trovato aiuto sarebbero tornati a casa tutti insieme.
A questa speranza si aggrappava il bambino mentre si allontanava nell'oscurità.
Anche se era solo ed impaurito, il bambino non pianse. Continuò a camminare, cantando una canzone per calmare il piccolo Emmanuel. Vagò a lungo tra i sentieri di montagna, inciampando tra i sassi, sbattendo contro i rami, cercando una via d'uscita.
Finché in lontananza non vide una luce.
Era debole all'inizio, nascosta tra la fitta vegetazione, tuttavia a mano a mano che il bambino si avvicinava, diventava sempre più forte e più calda.
Gli sembrò perfino di vedere una figura femminile avvolta in quella luce, dalla quale si aprivano due maestose ali bianche come neve.
Pensò che fosse sua nonna, all'inizio.
Ricordò che la madre gli aveva raccontato una storia, in una notte di gennaio.
Gli raccontò che sua nonna Viola era diventata un bellissimo angelo.
Veglierà su di te, per sempre. Così gli aveva detto, baciandogli la fronte.
Così il bambino seguì con fiducia l'angelo, lasciandosi alle spalle il bosco e l'oscurità.
Per molti anni, il bambino raccontò a tutti di essere stato salvato dall'angelo della nonna. Il piccolo Emmanuel, si addormentava ascoltando quella storia mentre stringeva la sua mano.
Poi il bambino crebbe e il sogno lasciò il posto alla realtà.
Si convinse di esserselo immaginato, anche se a volte nelle notti in cui aveva paura quell'angelo tornava a trovarlo nei suoi sogni.
Alessandro Bosconero divenne un uomo coraggioso e determinato, con una straordinaria forza di volontà e un radicato istinto di protezione verso il prossimo.
Emmanuel invece non smise mai di credere a quell'angelo e con il passare degli anni, le sue ricerche sul mondo del sovrannaturale trovarono risposte nello studio della teologia e dell'antropologia.
Dedicò la sua vita allo studio delle creature angeliche. Mentre i suoi compagni di scuola giocavano a calcio, lui si chiudeva in biblioteca immerso in testi religiosi, cristiani ed ebraici.
Vittorio Bosconero, Il nonno paterno a cui erano stati affidati dopo l'incidente, era un famoso archeologo e accolse con interesse ed eccitazione la sua curiosità.
La sua casa si trovava tra le colline del lago di Como, nascosta tra i boschetti e le vecchie vigne di famiglia. Era costruita in pietra, ricoperta da edera e bougaunvillea. Le grandi finestre avevano le persiane verdi come il tetto, un grande portico circondato da colonne di pietra fungeva da ingresso alla casa.
Dopo la morte della moglie Lucia, la casa e Vittorio erano caduti in uno stato di declino.
Entrambi condividevano le stesse crepe, ora che il cuore di quella casa si era spento.
Vittorio si allontanò sempre di più, cercando di sfuggire al dolore di quella casa vuota, rifugiandosi nel suo lavoro, sempre più lontano.
Poi inaspettatamente era giunta nuova vita, in quella casa abbandonata.
Alessandro ed Emmanuel erano apparsi sulla soglia della sua casa, sporchi e in lacrime, accompagnati dagli agenti della polizia.
Da allora niente era più stato lo stesso.
Vittorio aveva dovuto interrompere i suoi viaggi, per cambiare pannolini e preparare panini. Ma aveva amato quei bambini fin dal giorno in cui erano arrivati a casa sua, erano riusciti a fare ciò che lui riteneva impossibile: far battere di nuovo il suo triste cuore.
Crescendoli, vedeva in loro il volto delle persone che aveva amato, li rivedeva nelle loro espressioni, nei modi di fare.
A volte si era sentito stanco, sopraffatto, inutile, non adatto a crescerli.
Ma non si era mai più sentito solo. Certe notti dalla finestra il vento entrava portando con sé l'odore di Lucia, la sua risata gioiosa, il suo canto.
La casa era cambiata tanto quanto lui, all'interno era piena di libri antichi ricoperti di polvere, i tavoli straripavano di fogli e fogli di ricerche, piatti sporchi e bottiglie di grappa, mentre il divano era pieno di giocattoli.
Sul frigorifero accanto ai disegni dei bambini, c'erano testi babilonesi.
Vicino ai camioncini rossi e gialli, c'erano statue di divinità africane e maya.
Appesi alle pareti, incastrati nelle librerie, perfino nella credenza insieme ai cereali, si trovavano manufatti provenienti da tutto il mondo antico: geroglifici scolpiti nella pietra dall' Egitto, coltelli da Gerusalemme, vasi dalla Cina, archi etiopi e maschere dal Giappone.
Tra un libro e l'altro, aveva creato uno spazio per loro nella sua vita.
Li aveva visti crescere, diventare uomini.
Da lui, Alessandro aveva preso il vizio della bottiglia e lo spirito d'avventura.
Era cresciuto fingendo di essere in una delle sue avventure, dentro caverne buie e spaventose, nelle cime più alte delle montagne, perso tra le foreste dell'amazzonia.
Emmanuel invece aveva divorato ogni libro, cercando in ognuno di essi riferimenti a creature angeliche, in ogni cultura, dall'oriente all'occidente, in ogni secolo, dalla preistoria al medioevo.
Erano passati più di vent'anni, da quell'incidente tra le montagne.
Emmanuel si era da poco laureato, ed era orgoglioso di avere la sua prima cattedra alla facoltà teologica dell'Italia settentrionale, a Milano. Era un ragazzo dal fisico snello, con i capelli biondo scuro, gli occhi verdi e le fossette. Portava spessi occhiali neri e i suoi vestiti erano quasi sempre completi scuri con la camicia bianca, l'unico tocco di colore era la cravatta.
Alessandro invece si era arruolato nell'esercito, spinto dall'istinto di proteggere il prossimo e dalla rabbia che per tanti anni lo aveva consumato.
Era alto e dalla corporatura atletica, capelli neri e riccioli ribelli, labbra sottili, gli occhi erano blu scuro, quasi grigio nelle giornate invernali.
Si era caricato sulle spalle il pesante fardello del mondo, andando avanti senza farsi troppe domande sul suo futuro o su quello che il destino aveva riservato per lui.
Lentamente il sangue, il dolore e la lotta divennero il centro della sua esistenza.
Era impulsivo, immaturo, impaziente di fare la differenza.
Ogni volta che aveva creduto di trovare il controllo, aveva finito per perderlo, sopraffatto dalle emozioni violente che lottavano in lui.
Si rese conto molto presto che in guerra tutto aveva un prezzo: togliere una vita o salvarne cento, scegliere i compagni o la missione, andare a destra o a sinistra, aprire o no una porta.
Ogni scelta che prendeva poteva portare conseguenze terribili, tutto quello che poteva fare era seguire l'istinto e continuare a mettere un piede dopo l'altro.
Negli anni imparò a non pensare, ad agire solamente. Il prezzo del dolore era troppo alto da pagare, così smise di vedere, di ascoltare, di sentire.
Negli ultimi anni era stato mandato di istanza in Afghanistan, come supporto alle forze NATO.
Viveva con il nonno ed il fratello, dai quali tornava durante le licenze.
Gli piacevano il calcio e la musica rock su vinile, usciva con molte ragazze, anche se con nessuna di loro sembrava creare un legame particolare. Beveva molto, forse per dimenticare tutti gli orrori che nascondeva il deserto. Aveva smesso da tempo di credere agli angeli, o a Dio.
Non era facile per chi come lui vedeva morire gli amici, per chi stroncava vite, credere che ci fosse qualcosa di più grande a cui importasse di lui.
Nonostante questo, c'erano state delle occasioni in cui il dubbio l'aveva tenuto sveglio la notte.
Troppe volte era sopravvissuto, laddove altri erano morti.
Troppe volte i proiettili lo avevano mancato, come spinti da una forza invisibile.
Troppe volte la via gli era stata indicata, da fugaci bagliori di luce che squarciavano la notte.
In quei bagliori, gli era sembrato di riconoscere lo stesso calore che aveva percepito quella notte nel bosco.
Era una mattina di marzo e si trovava in una base militare nel sud ovest della Libia.
L'esercito americano, supportato dalle forze di pace della NATO, era in lotta con Al Qaeda, sempre più spesso tutto ciò che di loro tornava a casa era una bara vuota e una medaglia.
Ma anche dall'altro lato del deserto, c'erano amici che seppellivano i loro compagni, madri che piangevano i loro figli, orfani di una guerra che sembrava non avesse fine.
Per questo motivo, nonostante le divise dei suoi nemici fossero diverse e la loro pelle fosse più scura, quando gli era possibile, Alessandro mostrava compassione.
Sapeva cosa voleva dire perdere la propria famiglia, essere strappati via dalle loro braccia, svegliarsi ogni notte per gli incubi e un giorno dimenticare il suono della loro voce.
Uccideva quando doveva, quando la sua vita e quella dei compagni era in pericolo, ma se qualcuno era ferito o si arrendeva, abbassava il fucile.
Quella mattina si era svegliato sudato a causa del caldo opprimente, che rendeva difficile persino respirare.
Si era perso qualche momento ad osservare il cielo rosato e arancione, mentre una sottile brezza gli scompigliava i capelli, quando ricevette una telefonata dall'Italia.
Sulle prime gli sembrò un po' strano, aveva già ricevuto la sua chiamata settimanale da parte del nonno, piena come sempre di raccomandazioni, aggiornamenti sul lavoro del fratello e farfugliamenti su una nuova ricerca di cui non aveva capito molto.
- Ciao Vittorio! Che ci fai sveglio a quest'ora? Lì da voi dovrebbero essere le... -
- Devo darti una brutta notizia, figliolo... - Rispose il vecchio, con la voce strozzata. - Si tratta di Emmanuel... -
Il telefono cadde a terra, urtando contro il cemento.
Alessandro era in ginocchio e fissava il cielo limpido, il calmo volo degli uccelli sulle dune del deserto.
In lontananza alcune voci amiche, attutite dal battito sordo del suo cuore.
Gli ci volle un po' per realizzare.
Poi improvvisamente urlò con tutta la voce che aveva.
Ancora e ancora, verso il cielo tinto di arancione, verso un destino crudele, verso un fratello che lo aveva abbandonato.
D'un tratto avvertì un forte calore tutt'intorno a lui, come se lo avvolgesse.
Percepiva in quel calore un senso di pace, di amore e compassione.
Due grandi ali bianche si chiudevano su di lui, come a volerlo proteggere dal mondo.
Mentre l'uomo piangeva, l'angelo piangeva con lui.
Non poteva fermare quel dolore, non poteva cambiare ciò che era stato.
Poteva solo vegliare su di lui, dargli il suo conforto.
Baciò la fronte del ragazzo con la sua grazia, generando un'unione tra spirito e materia.
In quel momento, Alessandro Bosconero ripensò a quella luce nel bosco.
Vanessa Gessi
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