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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Heléna Blanco
Titolo: Segreti tra due mari
Genere Thriller Psicologico
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Segreti tra due mari
Sono Rosalia, un nome che porto con orgoglio e gratitudine, poiché mi è stato dato dai miei cari nonni. È un nome carico di significato e storia, un legame speciale con le mie radici familiari e con le generazioni che mi hanno preceduta.
La mia storia inizia ancor prima di nascere, con una triste realtà che ha segnato il mio destino. Sono nata, nel 1951 a Palermo, orfana, senza avere mai conosciuto i miei genitori, un vuoto nel cuore che era stato colmato dall'amore incondizionato dei miei nonni paterni. Fin dal primo momento in cui mi avevano accolta tra le loro braccia, avevano preso su di loro la responsabilità di crescermi come se fossi stata la loro stessa figlia.
I primi 13 anni della mia vita erano stati un meraviglioso intreccio di amore e cura da parte loro. Mi avevano donato tutto ciò di cui avevo bisogno, sia materialmente che emotivamente. Avevo imparato il significato della famiglia, dell'affetto e del calore di un focolare accogliente.
Mia nonna era stata il pilastro della mia crescita, una donna saggia e amorevole che mi aveva insegnato i valori fondamentali della vita. Con il suo sorriso dolce e la sua voce rassicurante, mi aveva guidata nel mio cammino, aiutandomi a superare le difficoltà e a celebrare le gioie della vita.
Mio nonno, invece, era stato il mio eroe silenzioso, un uomo forte e premuroso che mi aveva insegnato l'importanza della pazienza, della dedizione e del lavoro duro. Le sue storie avvincenti e il suo sostegno costante mi avevano ispirata a diventare la persona che sono oggi.
Le strade del quartiere erano state il mio playground, e i giochi semplici e creativi mi avevano dato una gioia senza pari. Ricordo le risate con gli amici, le corse sfrenate per i vicoli e le lunghe chiacchierate sotto il sole cocente.
Le giornate erano sempre trascorse tranquille, immerse nell'atmosfera vivace e colorata del quartiere. La solidarietà tra le famiglie era stata palpabile, e ci eravamo aiutati reciprocamente nei momenti di bisogno. Avevo imparato ad apprezzare la bellezza delle piccole cose e a riconoscere il valore della comunità che ci circondava.
Nonostante le limitazioni economiche e la semplicità del nostro stile di vita, avevo sempre avuto tutto ciò di cui avevo bisogno: l'affetto dei miei nonni e la gioia di esplorare il mondo intorno a me. La mia famiglia, anche se non era stata ricca di beni materiali, era stata ricca di amore e di valori.
Ma il destino aveva avuto ancora altre sfide in serbo per me. Appena compiuti tredici anni, mi avevano portata via dai miei nonni, da quella famiglia che mi aveva accolta e amata. Mi avevano strappata da loro per l'incapacità di prendersi cura di me, data l'età. Il dolore di quella separazione era stato acuto e straziante, come se mi avessero strappato via il cuore.
Mi ero sentita persa, confusa e impotente di fronte a questa nuova realtà. Mi ero aggrappata a ogni frammento di ricordo, cercando di tenerlo vivo dentro di me. Lo avevo portato nel mio cuore come una rosa che custodisce con gelosia i suoi petali più preziosi.
Ricordo ancora il giorno in cui ero salita sull'autobus diretto a Taranto, la città che aveva ospitato quella che sarebbe stata la mia nuova famiglia. Mentre avevo lasciato Palermo, avevo guardato fuori dal finestrino, e avevo osservato le strade familiari che si allontanavano sempre di più.
Il bus si era inoltrato per vie che non avevo mai percorso prima, attraversando paesaggi che si erano susseguiti e cambiati gradualmente. Guardando fuori, avevo cercato di immaginare come sarebbe stata la mia nuova vita a Taranto. Mi ero chiesta cosa avrebbe pensato di me la mia nuova famiglia e come avrebbe accolto questa nuova presenza. L'unico preambolo che avevo ricevuto su di essa era stato il suo status sociale elevato.
Le ore erano passate lentamente mentre l'autobus aveva continuato il suo percorso. I pensieri si erano mescolati tra speranza e timore. Avevo lasciato alle spalle la mia vecchia realtà e avevo intrapreso un viaggio verso un futuro sconosciuto.
Arrivata a Taranto ero stata subito affascinata dalle strade del centro storico con i loro vicoli stretti e tortuosi, bordati da edifici antichi e dai colori vivaci delle facciate. Avevo potuto ascoltare i suoni delle attività quotidiane risuonare nelle piazze accoglienti, e percepire i profumi della cucina locale mentre si mescolavano nell'aria. Il ritmo lento e rilassato della vita mi era subito sembrato in contrasto con la frenesia che avevo conosciuto nella mia città.
Finalmente, l'autobus si era fermato. Avevo guardato fuori dal finestrino e avevo subito osservato la parte di città che si stava dispiegando davanti a me. Scendevo con una valigia piena di speranze e timori. Il mio destino si apriva come un libro ancora da scrivere.
La famiglia che mi aveva accolta alla fermata si era rivelata fin da subito molto dura. Le prime interazioni con i membri erano state cariche di tensione e silenzi imbarazzanti. Mi ero sentita un'intrusa in un mondo che non mi apparteneva. Nonostante le mie speranze di trovare affetto e accoglienza in un nuovo ambiente, mi ero resa conto che la realtà sarebbe stata ben diversa.
Appena avevo varcato la soglia della loro dimora ero stata colpita dal lusso e dall'opulenza. Ogni dettaglio della casa rifletteva il benessere dei suoi abitanti. Le stanze erano arredate con mobili pregiati e opere d'arte che adornavano le pareti. Tappeti morbidi e sontuosi si stendevano sotto i miei piedi. Nelle sale principali, vedevo cristalli scintillanti e argenteria raffinata disposta con grazia.
Il giardino era un'oasi di bellezza e tranquillità. Aiuole fiorite erano curate con attenzione, e fontane d'acqua creavano un'atmosfera rilassante. Sedute comode permettevano di godersi la vista del verde rigoglioso.
La nuova famiglia era davvero molto diversa da quella che mi aveva cresciuta a Palermo. Fin dall'inizio, avevo percepito un'atmosfera rigida e opprimente in quella casa. Il padre, Nino Capano, aveva 49 anni. I suoi capelli erano ancora folti e scuri, con alcune sfumature di grigio che aggiungevano un tocco di maturità al suo aspetto. Li portava pettinati all'indietro con uno stile sobrio ma curato, riflettendo la sua attenzione per l'immagine personale. Indossava un paio di occhiali, che accentuavano la sua aria intelligente e riservata. Il suo viso era caratterizzato da lineamenti ben definiti: occhi scuri con sguardo che incuteva paura, naso aquilino, labbra sottili e talvolta leggermente contratte, che manifestavano la sua risolutezza, i suoi baffi, curati con precisione, davano un'aura di autorità e controllo che faceva tremare il mio cuore. La moglie, Giustina Rocca, all'età di 47 anni, aveva un aspetto raffinato e una presenza elegante. La sua statura media era accompagnata da una figura snella e curata. I suoi capelli erano di un castano chiaro, con sottili sfumature dorate, e li portava generalmente pettinati in uno stile sobrio ma elegante. Il suo volto era caratterizzato da lineamenti delicati: occhi azzurri, sopracciglia ben definite che incorniciavano il suo sguardo; un naso leggermente arrotondato e proporzionato; le labbra piene, con il loro contorno ben definito, spesso si curvavano donandole una espressione altezzosa. Amava indossare abiti eleganti e femminili, spesso scegliendo colori tenui e tessuti di qualità. Il suo stile rifletteva la sua personalità raffinata e sofisticata, con dettagli che mostravano una cura particolare per l'immagine personale. Giustina sembrava sempre scontenta di tutto ciò che facevo, come se non fossi mai all'altezza delle sue aspettative.
I due figli, Nicola e Alfredo, avevano 16 anni e pur essendo gemelli, si assomigliavano ben poco. Nicola, con i suoi occhi scuri e intensi, aveva una chioma di capelli neri e folti che incorniciava il suo viso. La sua statura era leggermente più alta rispetto al fratello, conferendogli un aspetto un po' più imponente. Alfredo, invece, aveva occhi azzurri vivaci e una chioma di capelli castani, spesso pettinati in modo disordinato che dava un tocco di noncuranza al suo aspetto. La sua statura era leggermente più bassa, ma il suo sorriso contagioso e la sua vivacità lo rendevano altrettanto affascinante. Caratterialmente, anche se condividevano alcune somiglianze dovute alla loro formazione familiare, Nicola e Alfredo avevano sviluppato interessi e personalità distinte. Nicola poteva apparire più riservato e riflessivo, spesso immerso nei suoi pensieri e nelle sue letture. Aveva un approccio più metodico alle cose e tendeva a riflettere prima di agire. Alfredo, d'altra parte, era estroverso e socievole, sempre pronto a coinvolgere gli altri in conversazioni e attività. Aveva una spiccata curiosità e una passione per l'arte e la musica, esprimendo la sua creatività in modi vari. Nei miei confronti Nicola era più distante e spesso si prendeva gioco di me, contribuendo a creare un clima di tensione e difficoltà. Era come se cercasse ogni occasione per farmi sentire inadeguata e inferiore. Alfredo, invece, rappresentava una luce di speranza nella mia nuova realtà. La sua dolcezza e comprensione mi avevano donato un raggio di conforto in mezzo a tanta durezza. Era sempre pronto a scambiare battute e a iniziare conversazioni leggere.
Mi chiedevo quale fosse il vero motivo di questa adozione, ma nessuna risposta mi veniva data. Cosa aveva spinto questa famiglia ricchissima a scegliere me? Cosa cercavano di ottenere da questa adozione?
Più cercavo di scoprire la verità, più mi sentivo come una rosa nascosta tra le foglie, invisibile agli occhi degli altri. Le domande senza risposta mi tormentavano, come spine che mi pungevano il cuore. Non riuscivo a comprendere perché questa famiglia mi avesse scelta tra tante altre possibilità.
Forse cercavano solo un trofeo da esibire. Forse era solo il desiderio di avere qualcuno da governare e da sottomettere. O forse c'era un motivo più profondo e nascosto dietro a questa decisione, una ragione che mi sfuggiva completamente.
Avevo iniziato a osservare attentamente le dinamiche familiari, cercando di comprendere cosa stava realmente accadendo dietro le quinte.
Mi vennero assegnati compiti domestici e responsabilità ben al di là della mia età. Dovevo alzarmi presto al mattino per svolgere compiti di cucina e preparare la colazione, anche se ero solo una ragazzina. Questo ritmo implacabile mi lasciava poco spazio per sviluppare i miei interessi personali. Le loro aspettative erano alte e spietate. Dovevo rassettare la casa, occuparmi delle faccende domestiche e rispondere a ogni richiesta, senza ricevere alcun tipo di affetto o gratitudine in cambio.
L'unico momento di distensione e sollievo che riuscivo a sperimentare in quel periodo era quando andavo a scuola e quando trascorrevo del tempo con Alfredo. La scuola rappresentava un'opportunità per immergermi negli studi, distogliendo la mente dalle tensioni e dalle dinamiche complesse della mia famiglia adottiva. Le lezioni e le interazioni con i compagni di classe mi permettevano di dimenticare momentaneamente le sfide che affrontavo a casa.
Alfredo, invece, riusciva a creare un'atmosfera di leggerezza e divertimento quando eravamo insieme. Il suo entusiasmo contagioso mi faceva sorridere. Spesso mi coinvolgeva in attività creative, come disegno o ascolto di musica, mostrando un lato artistico che arricchiva la nostra interazione. Le sue attenzioni amichevoli e il suo approccio aperto mi facevano sentire accettata e apprezzata. I momenti passati con lui erano spesso pervasi da conversazioni sincere e profonde, durante le quali potevamo esplorare una varietà di argomenti. Le nostre chiacchierate andavano oltre il superficiale, permettendoci di condividere pensieri, desideri e preoccupazioni in modo aperto e autentico. La sua naturale curiosità e la sua capacità di ascoltare attentamente creavano uno spazio in cui mi sentivo libera di esprimere i miei pensieri più intimi.
Insieme, discutevamo di tutto, dalle passioni personali ai sogni per il futuro. Alfredo mi incoraggiava a esplorare idee nuove e a mettere in discussione le mie convinzioni, creando un ambiente stimolante per il mio sviluppo personale. La sua confortevole presenza e il suo sostegno empatico rendevano ogni conversazione un momento di connessione autentica, contribuendo a rafforzare il nostro legame.
Questi due contesti, la scuola e il tempo trascorso con Alfredo, rappresentavano un rifugio per me, un modo per allontanarmi momentaneamente dalle tensioni familiari e trovare un po' di sollievo. Erano occasioni in cui potevo essere me stessa, senza il peso delle aspettative e delle complesse dinamiche che caratterizzavano la mia vita in famiglia.
Mio padre, Nino, anche se evitavo accuratamente di chiamarlo "papà" poiché per me quel titolo aveva un significato diverso, era un affermato notaio. Il suo studio si trovava in una posizione prestigiosa, proprio in Piazza Immacolata. Ogni volta che passavo di fronte al suo studio, mi sentivo piccola e insignificante, come se non potessi davvero far parte della sua vita. Le conversazioni con Nino erano spesso circoscritte a questioni superficiali, come il lavoro e gli obblighi domestici. Le parole affettuose e il calore familiare sembravano mancare, creando un vuoto che cercavo di colmare con la mia determinazione a trovare un senso di appartenenza altrove.
Giustina, la mia madre adottiva, rappresentava un'altra figura di distanza nella mia vita. Anche lei, evitavo accuratamente di chiamarla "mamma", poiché il legame affettivo che avrei desiderato non sembrava possibile. Aveva un atelier di moda rinomato, frequentato dalle signore più facoltose della città.
L'atelier di Giustina era un luogo dove la bellezza e l'eleganza sembravano regnare sovrane. Mentre le signore entravano e uscivano con abiti lussuosi e stoffe pregiate, io mi sentivo spesso come una spettatrice estranea di fronte a un mondo che non potevo davvero comprendere o condividere. Le interazioni con Giustina erano sempre formali e circoscritte a questioni pratiche. Le sue giornate erano dedicate alla moda e al lusso, mentre io cercavo di navigare tra i doveri domestici e le richieste della famiglia. La mancanza di affetto e di comprensione mi faceva sentire ancora più lontana da ciò che avrei voluto chiamare "casa". Nonostante il suo status e la sua posizione nel mondo dell'alta moda, avrei desiderato che Giustina fosse stata più di una figura distante nella mia vita. Avrei voluto che il titolo di "mamma" potesse rappresentare una connessione affettiva, un legame che superasse le apparenze esterne e si radicasse nel cuore.
Le mie giornate si svolgevano in un ciclo monotono e ripetitivo, ma poi arrivava la sera, il momento che aspettavo con ansia. In quelle ore finalmente potevo lasciare alle spalle le preoccupazioni e le tensioni e potevo rifugiarmi nei miei romanzi. Aprire le pagine di un libro significava aprire le porte a mondi lontani, a storie avvincenti e personaggi affascinanti. Era un modo per sfuggire dalla mia realtà e immergermi in avventure emozionanti. A volte trascorrevo l'intera notte con il naso tra le pagine di un libro.
Quella mattina, come di consueto, mi alzai per prima e iniziai a preparare la colazione per tutti. Il vociare dei pensieri mi accompagnava mentre muovevo i passi nella cucina, intraprendendo le stesse azioni meccaniche che ormai facevano parte della routine quotidiana. Ma poi, all'improvviso, tutto cambiò.
Un suono, appena percettibile, si fece strada nell'aria, attirando la mia attenzione. Veniva dallo studio di Nino. L'istinto mi spinse ad avvicinarmi, incuriosita da ciò che poteva averlo causato. Lentamente, la mia mano tremante afferrò il bordo della porta e la spinse dolcemente in avanti, rivelando l'interno dello studio. Nel bel mezzo di esso, si stagliava una scrivania antica dal fascino intramontabile. Sulla sua superficie lucidata, posata con noncuranza, giaceva una scatola di legno polverosa. Era semiaperta, come se avesse ceduto al tempo e alla curiosità di chiunque avesse osato spiarne il contenuto.
La scatola aveva una patina di anni, il suo legno intagliato mostrava segni dell'usura del tempo, e la polvere accumulata sugli angoli conferiva un'aria di mistero a quell'oggetto dimenticato. Il suo coperchio, sollevato leggermente, lasciava intravedere un'anteprima di ciò che nascondeva all'interno. Con il cuore che batteva più forte per l'emozione, mi avvicinai ancora di più alla scrivania. Era un momento di suspense, di attesa ansiosa per ciò che avrebbe potuto emergere da quella scoperta
Con un respiro profondo, spostai delicatamente il coperchio della scatola, rivelando appieno il suo contenuto. Le lettere, con le loro pagine ingiallite dal tempo, erano situate in una pila ordinata, come se avessero mantenuto un ordine che era stato curato con attenzione. Erano un'istantanea di comunicazione da un'epoca passata, una finestra aperta sulle vite e sulle relazioni di coloro che le avevano scritte. Le lettere non erano l'unico tesoro custodito nella scatola di legno. Mentre esploravo ulteriormente il suo contenuto, vidi emergere una serie di fotografie, ognuna congelata nel tempo come un frammento prezioso di storia. Le foto erano un mix di bianco e nero e a colori, ritratti di persone, luoghi e momenti che avevano avuto un ruolo importante nella vita di Nino. Una di queste foto catturò subito la mia attenzione: era un'immagine di Nino, molto più giovane, abbracciato a una donna incinta, ma questa donna non era Giustina, era un volto sconosciuto, una figura che non avevo mai visto prima d'ora. Il rumore che avevo udito nello studio era stato un semplice scricchiolio dei mobili, un suono quasi impercettibile e discreto che si era propagato nell'aria silenziosa, ma mi resi conto che non era stato casuale, ma era stato un modo sottile per guidarmi verso quella scoperta significativa. La mia mente si riempì di domande e supposizioni. Chi era quella donna? Cosa significava quella foto? Le mie certezze e le convinzioni che avevo avuto sulla mia famiglia adottiva cominciarono a vacillare, e mi sentii come se stessi aprendo una porta su un mondo di segreti e misteri che fino ad allora erano rimasti nascosti. Nino mi aveva sempre vietato di entrare in quella stanza e ora capivo che c'era un motivo ben preciso dietro a quella limitazione. Iniziai a collegare i punti, a fare congetture anche sul perché ogni volta durante le feste in casa mi avvicinavo a qualche amico di Nino e Giustina, venivo allontanata in fretta. Forse c'era un motivo dietro quelle reazioni rapide, forse avevano paura che potessi venire a conoscenza di qualcosa di importante. E se il "qualcosa di importante" riguardava direttamente la mia adozione? E se effettivamente ci fossero stati dettagli o segreti cruciali legati a essa che Nino, Giustina e gli altri temevano che io scoprissi?
La donna nella foto aveva un'espressione serena e dolce, il suo sguardo rivolto verso l'obiettivo con un amore palpabile. Era evidente che c'era una storia da scoprire, una storia che sembrava svelare una parte della vita di Nino che io non avevo mai conosciuto.
Il mio primo pensiero fu che potesse trattarsi di una sorella di Nino, un membro della famiglia che finora non avevo mai incontrato né sentito nominare. Era una teoria plausibile, data la mancanza di informazioni. Avevo vissuto con loro per dieci anni, ma in tutto quel tempo non avevo mai sentito parlare di parenti né avevo avuto occasione di incontrarne. Nessun volto familiare era mai entrato nella nostra casa, nemmeno durante le festività o le occasioni speciali. Era come se il passato di Nino e Giustina fosse avvolto nel mistero, protetto da un velo di segretezza.
Avevo sempre immaginato che fossero figli unici o che avessero parenti lontani, sparsi in chissà quale parte del mondo. Non avevano mai menzionato fratelli, sorelle o parenti stretti. La scoperta di quella foto mi faceva sospettare che ci fosse molto di più dietro la facciata di normalità che avevo sempre associato alla mia famiglia adottiva.
Il dubbio che Giustina potesse essere la seconda moglie di Nino mi colpì come un lampo improvviso. Mentre riflettevo su questa possibilità, mi resi conto che effettivamente non avevo mai sentito parlare della loro storia d'amore o dei dettagli del loro matrimonio.
Nino e Giustina non avevano mai menzionato il passato romantico che li aveva uniti, né avevano condiviso dettagli sulla loro relazione. Questo silenzio su una parte così fondamentale delle loro vite mi faceva sospettare che ci fosse qualcosa di più da scoprire.
Nonostante la mia intuizione, ero riluttante a tirare conclusioni affrettate. La foto poteva essere un indizio, ma non era sufficiente per confermare la mia teoria. Avevo bisogno di più informazioni, di scoprire la verità da fonti affidabili. Presi con delicatezza una delle lettere dalla pila ingiallita e cominciai a leggere le prime righe con attenzione. Le parole scritte a mano sulla carta antica sembravano danzare davanti ai miei occhi, portando con esse un senso di connessione con il passato.
La lettera arrivava da Palermo ed era stata scritta da una donna di nome Sofia, come indicava chiaramente la firma alla fine del messaggio. Sentivo che le sue parole erano un ponte che attraversava il tempo, collegandomi a un momento lontano ma intrinsecamente legato alla mia storia. La mancanza dell'indicazione dell'anno sulla lettera aggiungeva un ulteriore strato di mistero a tutto il contesto. Sofia annunciava con gioia e felicità di aver appena scoperto di aspettare un bambino. L'emozione di Sofia sembrava risplendere attraverso le sue parole. Sentivo quasi il calore della sua gioia attraverso la carta. Riuscivo a immaginare il suo sorriso radioso mentre scriveva quella lettera, come se stesse condividendo la sua notizia speciale con una persona cara. Era evidente che quella notizia aveva segnato un momento significativo nella sua vita, un momento di attesa e speranza. Mentre continuavo a leggere, riflettevo sul legame tra questa lettera e la mia stessa storia. Era possibile che Sofia fosse in qualche modo collegata alla donna nella foto? E come si collegava tutto ciò alla mia adozione e alla mia famiglia adottiva? Avevo la sensazione che queste parole scritte da così tanto tempo avrebbero potuto rivelare indizi cruciali sulla mia identità e sulla storia che aveva portato alla mia adozione che era rimasta sempre un mistero. Mentre continuavo a leggere, catturata dalle sue parole, appresi ulteriori dettagli. Sofia spiegava chiaramente che dopo il parto avrebbe fatto un viaggio insieme al marito. Si sarebbero recati a New York per incontrare l'amico di Pietro, il famoso giudice Robert Curie. L'inaspettata menzione di Robert Curie nella lettera, aveva scatenato un'onda di pensieri nella mia mente. Quel nome non mi era affatto sconosciuto e aveva fatto subito eco nei corridoi della mia memoria. Mi chiesi se fosse lo stesso giudice di cui avevo letto nei libri universitari, che aveva lasciato un'impronta indelebile nel mondo della giustizia. La possibilità che il giudice menzionato nella lettera fosse una figura così influente e riconosciuta mi fece riflettere sulle possibili implicazioni di questa connessione.
Se il giudice era davvero una figura di così grande rilevanza, poteva aver avuto un ruolo significativo nella vita di Sofia e Pietro? Era possibile che la loro relazione con lui avesse influenzato gli eventi che avevano portato alla mia adozione?
La coincidenza sembrava troppo grande per essere ignorata, e la mia mente era in fermento mentre cercavo di collegare i punti tra la storia di Sofia, Pietro, Robert e la mia adozione. Forse avevo trovato la chiave per svelare la connessione tra il passato e il presente, tra la mia storia e quella di Sofia. Decisi di prendere alcune delle lettere che avevo trovato e di uscire dallo studio, chiudendo la porta dietro di me.
Mentre camminavo lungo il corridoio, cercavo di ritrovare la calma e di mantenere una facciata di normalità. Entrai nella cucina con un sorriso sulle labbra, cercando di nascondere l'agitazione che mi bruciava dentro e le lettere le misi lentamente in tasca. Salutai la famiglia con leggerezza e mi sedetti a tavola, cercando di concentrarmi sulla colazione e sulle conversazioni che si svolgevano intorno a me. Mentre gustavo il cibo continuavo a riflettere sulle lettere e sulle connessioni che avevo scoperto. Era difficile non lasciare che la mia mente vagasse verso i pensieri che mi travolgevano. Dopo la colazione, il tempo sembrò scorrere rapidamente. Mentre mi preparavo per uscire, sentii la necessità di condividere con Alfredo ciò che avevo scoperto nello studio di Nino. Lo chiamai quindi da parte, cercando un angolo tranquillo dove poter parlare. Alfredo ascoltò attentamente mentre gli raccontavo delle foto e delle lettere trovate nello studio. Gli spiegai anche che ne avevo sottratte un paio. Le mie parole sembravano suscitare un misto di curiosità ed emozione in lui. Dopo aver terminato il racconto, Alfredo incrociò le braccia e guardò fuori dalla finestra, profondamente assorto nei suoi pensieri.
Dopo un momento di silenzio, si girò verso di me e sottolineò la complessità della situazione. La sua sorpresa riguardo alle molteplici connessioni tra la sua famiglia e la mia adozione era evidente. Le lettere e le foto rinvenute sembravano essere indizi cruciali, potenzialmente in grado di gettare finalmente luce sul mistero delle mie origini.
Dopo un respiro profondo, mi guardò negli occhi, cercando di comunicarmi la sua preoccupazione, poi espresse la sua volontà di aiutarmi a esplorare questo mistero, tuttavia, sottolineò l'importanza di procedere con cautela. Mi concesse un momento per riflettere sulle sue parole e poi mi chiese quale fosse il mio desiderio, se volessi leggere insieme le due lettere o se avessi altre idee su come procedere.
Gli dissi che sarebbe stato meglio riflettere un momento e che avremmo potuto leggerle l'indomani. La sua espressione si rilassò, come se avesse compreso l'importanza di concedersi del tempo per assorbire ciò che avevamo scoperto. Nel frattempo, mi informò che in serata ci sarebbe stata la festa di compleanno di Elvira, e mi chiese se fossi ancora interessata a parteciparvi. Con un sospiro di sollievo, accettai l'invito, riconoscendo che una pausa sarebbe stata salutare.
Mi allontanai da lui senza neanche rendermene conto e mi ritrovai per le strade di Taranto, con una sensazione di libertà e incertezza che mi avvolgeva. Non avevo una meta precisa, ero semplicemente immersa nei miei pensieri e nelle emozioni suscitate dalle lettere e dalle scoperte che avevo fatto.
Camminavo per le strade, lasciando che il calore del sole mi accarezzasse il viso e il vento portasse via le preoccupazioni. Mi ritrovai ad attraversare villa Peripato, in quel momento, una nuova idea balenò nella mia mente. Decisi di andare da Carlo, il mio ragazzo da ormai 5 anni. Carlo era un giovane uomo di media statura, con una figura snella ma atletica. La sua postura era sicura ed eretta, riflettendo una certa fiducia in sé stesso. I suoi capelli scuri erano ordinatamente pettinati all'indietro, aggiungendo un tocco di eleganza al suo aspetto complessivo. Spesso, una ciocca ribelle cadeva leggermente sulla fronte, donandogli un'aria giovanile e informale.
Il suo volto era caratterizzato da lineamenti ben definiti: occhi scuri espressivi, profondi e penetranti, che rivelavano la sua intelligenza e la sua sensibilità; sopracciglia leggermente arcuate che conferivano al suo sguardo una sfumatura di serietà e concentrazione; un naso dritto e ben proporzionato; e labbra sottili che spesso si animavano con un sorriso sincero e accogliente.
La pelle di Carlo aveva un colorito olivastro, risultato di tante giornate trascorse all'aria aperta. Nonostante la sua dedizione agli studi, il suo aspetto suggeriva una vita attiva e dinamica. Spesso indossava abiti casual, ma curati, che riflettevano il suo stile personale senza eccessi. un equilibrio tra eleganza e praticità, con un'aura di gentilezza e intelligenza che attirava l'attenzione delle persone intorno a lui. Era il tipo di persona che ti faceva sentire a tuo agio e che trasmetteva una presenza positiva in ogni ambiente in cui si trovava.
Avevo avuto modo di conoscerlo durante gli anni di università a Bari. La relazione con Carlo era nata in modo naturale, un legame che si era consolidato durante le lezioni, gli esami e gli alti e bassi di quegli anni di studio. Era stato un rifugio, un punto fermo nel mio cammino, qualcuno che mi aveva sostenuto e capito anche quando le mie ambizioni non erano allineate con il percorso che stavo seguendo. Carlo aveva una passione genuina per la giurisprudenza, un interesse che si rifletteva nella sua dedizione allo studio e nelle conversazioni appassionate che condividevamo. Mentre io cercavo di trovare la mia strada, lui si immergeva nelle leggi e nei casi legali con un entusiasmo contagioso. Era come se il suo ardore riuscisse a illuminare anche le parti più oscure della materia. Quando raggiunsi la sua casa in via D'Aquino, ero completamente accaldata. La giornata era afosa e camminare a passo affrettato aveva solo peggiorato la situazione. Sentivo il sudore scivolare lungo la schiena e una sensazione di calore che avvolgeva tutto il mio corpo. Salii le scale con affanno, avevo sempre avuto paura dell'ascensore, suonai il campanello e appena Carlo aprì, un'ondata di aria fresca mi colpì in volto, portando un momento di sollievo. Il sorriso di Carlo mi accolse, e lo seguii all'interno della casa, dove l'aria condizionata aveva creato un'oasi di freschezza. Era un luogo familiare, dove avevamo condiviso momenti di risate, riflessioni e confidenze nel corso degli anni. Sedemmo sul comodo divano, gli sguardi incrociati in un'intimità che mi faceva sentire a mio agio.
Uscii subito l'argomento della festa di Elvira, cercando di deviare l'attenzione da ciò che mi stava turbando. Volevo evitare che Carlo cogliesse la mia ansia e le preoccupazioni che avevo dentro di me. Con un sorriso, iniziai a parlare delle aspettative per la serata. Era come se cercassi di creare una sorta di barriera tra me e ciò che mi tormentava, almeno per quel momento. Carlo si unì alla conversazione, e mi sembrava che il suo coinvolgimento mi aiutasse a distogliere temporaneamente la mente.
Elvira era una donna dalla personalità vivace e affascinante. Con i suoi capelli biondi ricci e gli occhi scintillanti di curiosità, irradiava energia e positività. Sempre alla ricerca di nuove esperienze, era appassionata di fotografia e viaggi. Ma c'era un altro aspetto di Elvira che la rendeva davvero unica. Era una ricercatrice e scrittrice di libri sulla storia locale, con un'attenzione particolare per gli eventi e le figure misteriose che avevano segnato il passato di Taranto. La sua conoscenza approfondita della città e delle sue storie nascoste la rendeva la perfetta organizzatrice di eventi unici e affascinanti. Non solo era in grado di coinvolgere le persone con la sua personalità affabile, ma aveva anche una naturale inclinazione a scoprire le storie dimenticate e i dettagli poco conosciuti della città. Le sue ricerche la portavano spesso a esplorare archivi polverosi, a intervistare anziani del luogo. Era una vera e propria cacciatrice di misteri, sempre alla ricerca di nuovi enigmi da risolvere e segreti da svelare.
Questa sua passione si manifestava non solo nei suoi libri, ma anche negli eventi che organizzava. La festa di compleanno che aveva preparato per sé stessa non era solo un'occasione per festeggiare, ma anche un'opportunità per coinvolgere gli amici in una serie di indizi, enigmi e giochi che avrebbero rivelato piccole proiezioni della storia segreta di Taranto. Era convinta che ogni luogo avesse una sua storia e voleva condividere queste storie nascoste con chiunque fosse disposto ad ascoltare. La serata prometteva di essere un'esperienza unica, piena di intrighi e sorprese.
Ero felice di partecipare alla festa e l'entusiasmo che provavo era evidente.
Mi salutai con Carlo e uscendo dal suo appartamento, mi affrettai a completare le ultime commissioni che avevo da fare. Avevo deciso di dedicare anche un po' di tempo a cercare un regalo adatto per Elvira. Mi fermai in una piccola bottega d'arte locale, dove trovai una bellissima tela dipinta a mano che catturò immediatamente la mia attenzione. Era un'opera dai colori vivaci e dall'atmosfera allegra, che sembrava rappresentare perfettamente l'energia e la personalità di Elvira. Avevo la sensazione che sarebbe stata una scelta perfetta per lei, un modo per esprimere la mia gratitudine in maniera artistica e sincera.
Dopo aver acquistato la tela, mi diressi verso un negozio di prelibatezze locali. Sapevo che lei amava la cucina e i sapori autentici, quindi decisi di cercare anche qualcosa di gustoso da regalarle. Scelsi una selezione di prelibatezze regionali, dai formaggi ai salumi, accompagnati da una bottiglia di vino rosso pregiato. Volevo che il mio regalo fosse un'esperienza culinaria che potesse apprezzare e condividere con gli amici durante la festa.
Con i regali in mano, mi sentii soddisfatta e pronta per la serata. Tornai a casa e, mentre ero intenta a rilassarmi, il tempo sembrò volare, tra il pranzo e altre piccole incombenze. L'attesa per la serata sembrava un sottile filo di emozione che si intrecciava con ogni attività, rendendo ogni istante carico di anticipazione. Anche durante il pomeriggio mi concentrai su piccoli dettagli: riposizionai i cuscini sul divano con cura e sistemai alcuni oggetti sul tavolino del soggiorno. Continuai a muovermi tra le stanze, cercando di distrarmi con le attività quotidiane. Sistemai i fiori freschi in un vaso, rinfrescai l'acqua delle piante e controllai che tutto fosse in ordine. Ogni gesto era un tentativo di tenermi occupata e di allontanare l'ansia che mi avvolgeva come una leggera nebbia. La luce del tramonto iniziò a filtrare dalle tende, tingendo la stanza di sfumature dorate.
Mi resi conto che era arrivato il momento di prepararmi per la serata. Mi avvicinai allo specchio e scrutai il mio riflesso con attenzione. I miei occhi, dal colore intenso e sfumato di verde e blu, riflettevano la luce in modo penetrante. Erano profondi e curiosi, come se volessero scrutare ogni dettaglio del mondo che li circondava. Le ciglia scure li incorniciavano delicatamente, accentuandone l'espressione.
Il mio naso era delicato e leggermente arrotondato all'estremità, donandomi un aspetto dolce e accogliente. Si adattava armoniosamente al mio viso, senza essere troppo prominente.
La mia bocca, dalle labbra piene e ben disegnate, assumeva un'espressione riflessiva. I miei capelli, di un nero corvino e leggermente ondulati, arrivavano appena sopra le spalle. Li tenevo sciolti, lasciandoli cadere con naturalezza lungo il collo. Avevo optato per un trucco naturale che enfatizzava le mie caratteristiche senza apparire eccessivo. Gli orecchini pendenti in argento scintillavano appena, un accenno di luce che illuminava il mio collo e il mio viso. La mia scelta di stile semplice ma curato rifletteva la mia personalità autentica e senza artifici.
Indossai con cura l'abito che avevo scelto: un'elegante creazione di color blu notte, che si adagiava con grazia lungo le mie curve. Scendeva leggermente al di sotto delle ginocchia, sfiorando delicatamente le caviglie ad ogni passo. Il tessuto fluente donava al mio movimento un'aria di leggerezza, mentre la scollatura a V evidenziava elegantemente il collo e il décolleté. Un sottile cinturino in raso a vita alta definiva la figura, mentre una fila di piccoli bottoni decorativi correva lungo la schiena, aggiungendo un tocco di raffinatezza. Le maniche a tre quarti erano leggermente svasate alle estremità, infondendo un'aura di romanticismo al mio outfit. La pochette scura che tenevo in mano era elegante e discreta, il complemento perfetto per il mio abito. Mentre mi guardavo nello specchio, notai che i tacchi neri donavano una graziosa altezza alla mia figura, dotando i miei passi di un senso di sicurezza. Mi sentivo pronta, non solo dal punto di vista esteriore, ma anche emotivamente.
La serata prometteva di essere straordinaria. Afferrai il telefono e composi il numero di Carlo con un leggero tocco delle dita. Mentre il telefono squillava nell'orecchio, il mio cuore batteva un ritmo accelerato, un sottofondo musicale di emozioni che crescevano dentro di me.
Quando finalmente la voce di Carlo risuonò nella cornetta, gli dissi, senza troppi giri di parole che ero pronta e che poteva passare a prendermi.
L'attesa sembrò interminabile, ma poi finalmente sentii il rumore del motore di una macchina avvicinarsi. Girai lo sguardo verso la finestra e lo vidi arrivare: era Carlo con una di quelle auto dal design elegante e sportivo, con la vernice nera brillante che risplendeva sotto le luci della città. Mi fiondai fuori dal cancello e vidi l'auto fermarsi proprio di fronte a me. Attraverso il finestrino, notai subito Carlo con il suo sorriso contagioso. Indossava un abito scuro che si adattava perfettamente alla sua figura, e i suoi capelli scuri erano leggermente scompigliati dal vento. Si mosse con agilità ed eleganza mentre usciva dall'auto e si avvicinò verso di me. Il suo profumo leggermente speziato riempì l'aria creando un'atmosfera avvolgente e familiare. Era come se il tempo si fosse fermato per un istante, e io mi sentivo fortunata di avere lui al mio fianco. Con un gesto gentile, aprì la portiera per me, e il leggero fruscio del suo abito sfiorò la mia pelle mentre mi invitava a salire. L'interno dell'auto emanava un aroma di pulito e comfort, come se fosse stato appena lavato. Salii nella macchina, sentendomi subito a mio agio. Carlo chiuse la portiera con cura, poi si avvicinò al suo lato e si sistemò al volante con una naturale eleganza.
La città di Taranto si estendeva davanti a noi, con le sue luci notturne che disegnavano un'atmosfera suggestiva. Carlo guidava con sicurezza lungo le strade familiari, il rumore del motore e il lieve sibilo dell'aria che sfiorava i finestrini creavano una melodia rassicurante. Il suo sguardo era concentrato sulla strada, ma ogni tanto si volgeva verso di me con un sorriso che emanava calore.
Mentre attraversavamo la città, le luci si riflettevano sul suo viso, rivelando sfumature di emozioni che si nascondevano dietro lo sguardo sicuro. Era evidente che il suo desiderio di accompagnarmi a questa festa andava oltre il semplice gesto gentile. C'era una connessione profonda tra di noi, una comprensione che andava al di là delle parole. Sentivo che potevo confidargli tutto, che avrei trovato in lui il sostegno e la comprensione di cui avevo bisogno, ma ovviamente non era quello il momento per farlo.
Con calma, raggiungemmo il luogo della festa. Era situato in una location vicino al Mar Piccolo. Le acque serene del mare si estendevano all'orizzonte, creando un connubio perfetto tra la bellezza del paesaggio marino e l'atmosfera festosa dell'evento. Una lussureggiante vegetazione e una illuminazione studiata nei minimi dettagli, davano vita a un ambiente da favola. Carlo parcheggiò l'auto con maestria e, mentre ci dirigemmo verso l'ingresso, sentii la sua mano sfiorare lievemente la mia schiena, un gesto di sostegno e vicinanza che mi fece sentire ancora più sicura. Il vialetto che portava all'ingresso era illuminato da luci sospese che formavano un percorso scintillante, guidandoci dolcemente verso la festa. Ogni passo che facevamo ci avvicinava sempre di più all'atmosfera vivace e alle risate che si alzavano in lontananza.
Un ampio giardino si apriva davanti a noi, con tavoli imbanditi e decorati con candele che danzavano al vento leggero, creando giochi di luce e ombre sulle tovaglie bianche. Il suono della musica jazz si diffondeva nell'aria, donando un'aura di eleganza e allegria all'intero ambiente.
I tavoli erano allestiti con una varietà di prelibatezze culinarie: piatti freddi e caldi, antipasti raffinati e dolci deliziosi. Il cibo era presentato in modo impeccabile, con colori accattivanti e profumi irresistibili che stimolavano i sensi. Gli ospiti si radunavano attorno ai tavoli, condividendo storie e risate mentre assaporavano con gusto.
Le persone presenti indossavano abiti eleganti, riflettendo l'occasione speciale. Donne vestite in modo sfarzoso e uomini in completi raffinati si muovevano tra i tavoli, scambiando sorrisi e chiacchiere.
Nel centro del giardino, una grande fontana adornata da sculture e raffinate decorazioni attirava l'attenzione di tutti. L'acqua scintillante danzava al ritmo di luci colorate, creando riflessi cangianti che si diffondevano sul terreno circostante. Era come se la fontana stessa respirasse vita, aggiungendo una dimensione di incanto all'atmosfera già magica della festa.
Le luci che adornavano gli alberi e le siepi circostanti proiettavano un bagliore fiabesco su tutto l'ambiente.
Mi sentivo avvolta da un senso di appartenenza e benessere, come se tutto il mondo esterno si fosse dissolto in quel momento.
Era una serata che sembrava sospesa nel tempo, un'occasione per dimenticare le preoccupazioni e immergersi completamente nel presente.
Carlo e io ci unimmo al gruppo di persone intorno a Elvira, partecipando alle conversazioni e al clima di allegria generale. Elvira sembrava radiosa nella sua serata speciale, circondata dall'affetto di chi le voleva bene. La musica riempiva l'aria, creando un sottofondo ritmato che incitava al movimento e al divertimento. Anche noi ci lasciammo trascinare dalla musica, ballando e scherzando insieme agli altri ospiti.
I miei pensieri riguardo alle lettere e alla ricerca che stavo intraprendendo sembravano momentaneamente in sospeso, sostituiti dalla spensieratezza di quel momento. Era come se la serata stesse agendo come un antidoto temporaneo al vortice di emozioni e domande che mi avevano afflitta.
Elvira aveva dedicato anni di ricerca scavando tra i ricordi delle persone più anziane e consultando archivi polverosi. Voleva che ogni edificio, ogni strada, avessero una voce, una storia da raccontare. Avendo questa passione, aveva organizzato come diversivo durante la festa, un'attività interattiva, una sorta di caccia al tesoro attraverso indizi nascosti nei luoghi più inaspettati. Questa sfida ludica non faceva che aumentare l'entusiasmo dei partecipanti nello scoprire le storie dimenticate di Taranto.
Aveva preso a noleggio delle vespe, piccole e agili, perfette per sfrecciare attraverso le strade strette e tortuose della città. Quella scelta poteva sembrare inconsueta, considerando che indossavamo abiti eleganti per l'occasione, ma Elvira aveva sempre avuto una passione per l'insolito e il non convenzionale. Era come se volesse portare un tocco di avventura anche nelle situazioni più formali.
Salire su una vespa con un abito lungo e raffinato non era esattamente la combinazione ideale, ma la sua determinazione e la sua anima ribelle facevano sì che tutto sembrasse naturale. Mentre ci addentravamo nelle strade della città, potevo sentire il vento tra i capelli e l'adrenalina che cresceva con ogni curva. Era un modo diverso di vivere la serata, un modo di rompere le convenzioni e di fare qualcosa di fuori dall'ordinario.
Era strano e affascinante allo stesso tempo, proprio come Elvira stessa. Con quella scelta, aveva dimostrato ancora una volta la sua inclinazione a cercare l'inesplorato, a scoprire il lato nascosto delle cose. Era come se volesse aggiungere un tocco di avventura alla serata, trasformando una semplice festa in un'esperienza memorabile e unica.
Con una serie di passaggi intricati, la caccia al tesoro ci condusse attraverso indizi e luoghi emblematici della città.
Le piste ci guidarono verso il lungomare, attraverso le viuzze del centro storico e nei luoghi meno frequentati, fino a giungere a un vecchio edificio abbandonato. Le pareti scrostate e le finestre rotte raccontavano di un passato ormai lontano, mentre la luna illuminava debolmente l'ambiente circostante, creando ombre lunghe e inquietanti.
Elvira si avvicinò all'ingresso dell'edificio con una luce di eccitazione negli occhi. Era evidente che quel luogo faceva parte del suo piano, un tassello importante della caccia al tesoro che aveva creato per noi. L'edificio sembrava essere un luogo dimenticato, una parte nascosta della città che pochi avevano il coraggio di esplorare. Mentre entravamo, l'atmosfera cambiò istantaneamente. L'aria era densa di storia e di segreti sussurrati tra le pareti logore. Non potevo fare a meno di sentire un brivido lungo la schiena mentre seguivo Elvira attraverso corridoi bui e stanze polverose. Il pavimento scricchiolava sotto i nostri passi, come se volesse condividere i suoi ricordi e le sue storie con noi.
Qui, nel cuore di quello che un tempo doveva essere un luogo di lavoro frenetico, trovammo una serie di documenti polverosi. Erano pezzi di un puzzle che stava finalmente prendendo forma.
Man mano che leggevamo i documenti datati, la storia del ponte girevole prendeva vita sotto i nostri occhi. Scoprimmo le prime bozze eseguite da alcuni ingegneri incaricati a ideare quella struttura immensa; bozze che erano poi state sostituite dal progetto effettivamente realizzato. Era come se quelle storie nascoste fossero tornate in vita, svelando un mondo di fatica, dedizione e ingegno che avevamo sempre ignorato. Attraverso la caccia al tesoro, avevamo avuto accesso a una finestra nel passato, una finestra che aveva rivelato la bellezza e la complessità di un momento storico ormai dimenticato.
Elvira continuava a guidarci attraverso l'edificio, fermandosi di tanto in tanto per mostrarci dettagli interessanti. Era evidente che aveva fatto delle ricerche approfondite per questa caccia al tesoro e che ogni tassello del percorso aveva un significato speciale per lei. Era come se volesse farci vivere la città attraverso i suoi occhi. Era una esperienza avvincente e coinvolgente. Un modo unico per esplorare Taranto.
Terminata la caccia al tesoro, facemmo ritorno alla villa di Elvira per l'ultimo atto della serata: lo spegnimento delle candeline sulla torta. Mentre questa veniva presentata, il sorriso brillante di Elvira illuminava tutto l'ambiente, riflettendo la felicità che ognuno di noi sentiva in quel momento. Le candeline vennero spente una per una, mentre Elvira esprimeva un desiderio silenzioso. Guardando quel gesto semplice ma carico di significato, non potevo fare a meno di pensare ai desideri e ai sogni che albergavano anche dentro di me.
Dopo aver spento le candeline sulla sua torta di compleanno, Elvira iniziò a distribuirla e noi tutti, riuniti intorno al tavolo, iniziammo a gustarla. Quel dolce momento era il culmine di una serata indimenticabile. Ancora una volta, ci siamo lasciati trasportare dalla gioia dell'occasione. Abbiamo ridacchiato e scherzato, ricordando momenti divertenti del passato e facendo progetti per il futuro. Giunto poi il momento di andare via, abbiamo salutato Elvira e gli altri ospiti con abbracci calorosi. Carlo era lì come sempre per accompagnarmi. Mentre ci dirigevamo verso la macchina sotto il cielo stellato, ho guardato ancora una volta l'infinito sopra di noi e le stelle che brillavano con una bellezza incantevole.
Il mattino successivo mi svegliai con la mente chiara e un progetto ben preciso in testa: contattare qualcuno che potesse aiutarmi nella ricerca. Mi alzai dal letto con un senso di eccitazione e determinazione. Avevo già fatto una lista di tutte le persone a cui avrei potuto chiedere aiuto.
Mi diressi verso la cucina, dove Alfredo era già seduto a sorseggiare il suo caffè mattutino. Con calma, gli prospettai la mia idea. Alfredo mi interruppe subito senza nemmeno farmi continuare. Mi disse sottovoce che la sera precedente, mentre si trovava a conversare con alcuni ospiti, uno sconosciuto si era avvicinato a lui con passo deciso e si era presentato come Luca Morelli. Era un uomo, vestito in modo formale e dal portamento deciso. Un alone di mistero lo circondava, e il suo sguardo sembrava scrutare ogni volto presente.
Morelli aveva iniziato a fargli delle domande sulla sua famiglia che sembravano sottili e apparentemente casuali, ma era chiaro che stava cercando di scoprire qualcosa. Alfredo aveva risposto nel miglior modo possibile, cercando di nascondere il suo sospetto.
Proseguì con il suo racconto, sempre sottovoce, spiegando che dopo l'allontanamento di Morelli per socializzare con altri presenti, lui aveva avuto modo di chiedere a Fabio, il fratello di Elvira, chi fosse nella realtà quell'uomo. Fabio gli aveva spiegato che Morelli era un giornalista investigativo di Taranto, noto per le sue inchieste sulla storia locale. Era anche famoso per aver riportato alla luce dettagli poco conosciuti riguardo a Taranto, rendendo onore al suo impegno nel preservare la memoria della città. Elvira aveva avuto modo di conoscerlo proprio perché avevano interessi in comune. Fabio aveva poi continuato, confidandogli che Luca Morelli era stato ingaggiato dall'avvocato Alessandro Romano di Bari, noto per la sua collaborazione con le forze dell'ordine su casi complessi e intricati.
In particolare, Romano stava conducendo un'indagine relativa a un personaggio importante di Taranto, la cui reputazione sembrava essere macchiata da oscuri segreti e ambiguità.
L'informazione che Alessandro Romano stesse indagando su un personaggio così importante e rispettato a Taranto mi colse completamente di sorpresa. Era come se un sipario si fosse alzato. Questo poteva spiegare l'interesse di Morelli per la famiglia di Alfredo. Non potevo fare a meno di domandarmi quali collegamenti segreti potevano esistere.
Mentre la mia mente era ancora in tumulto per le rivelazioni di Alfredo riguardo a Luca Morelli e Alessandro Romano, gli altri tre membri della nostra famiglia entrarono nella stanza per fare colazione. In un istante, interrompemmo i nostri discorsi sulla scoperta sorprendente che avevamo fatto.
Rimanemmo in silenzio per un po', ognuno immerso nei propri pensieri. Poi dopo una pausa di riflessione, decidemmo di iniziare la giornata con la consapevolezza che presto avremmo dovuto affrontare questa nuova sfida.
I giorni che seguirono furono intensi. Io e Alfredo ci immergemmo completamente nella ricerca di nuove informazioni. Visitammo l'archivio comunale di Taranto, dove scovammo documenti datati, registri d'adozione, e persino alcune fotografie sbiadite che ritraevano bambini e operatori dell'orfanotrofio di quell'epoca. Ma qualcosa non quadrava. Esaminando i documenti, notai che la mia adozione sembrava essere stata gestita direttamente con i miei nonni, senza passare per un orfanotrofio. Era un fatto insolito, soprattutto considerando l'epoca e l'iter che generalmente veniva seguito.
Le parole dell'uomo che mi aveva portata via dai miei nonni risuonavano nella mia mente come un enigma senza soluzione. La sua spiegazione, così fredda e distante, non aveva mai soddisfatto la mia curiosità né alleviato il senso di abbandono che avevo sempre provato.
Mi chiesi se davvero la loro età avanzata fosse stata la ragione principale per la mia adozione. Era possibile, certo, ma sentivo che c'era qualcosa di nascosto, un segreto che forse nemmeno i miei nonni conoscevano.
Era davvero strano che negli anni non avessi più avuto nessun contatto con loro. Questo fatto, finora trascurato, si era rivelato un dettaglio rilevante che aveva acceso ulteriormente la mia curiosità e il mio desiderio di comprendere appieno la mia storia.
Cercammo di contattare anche alcuni anziani residenti di Taranto, cercando di raccogliere testimonianze e storie che potevano essere collegate a Nino. Molti di loro ricordavano i tempi passati e condividevano aneddoti sulla città, ma pochi sembravano avere informazioni dirette su di lui. Le giornate si trasformarono in settimane, e la nostra determinazione rimase incrollabile.
Heléna Blanco
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