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Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Writer Officina
Autore: Michele Cristino
Titolo: Suspense!
Genere Thriller
Lettori 2707 7 1
Suspense!
A un certo punto della solfa, tutti quanti quei buoni propositi per il nuovo anno che si doveva essere scritto da qualche parte, si erano improvvisamente messi deliberatamente al rovescio.
E questo anche proprio grazie a una sigaretta che si era fatto da solo sebbene fosse completamente ubriaco.
E anche se in quel momento stesse cagando, fu proprio grazie a quella bottiglia di spumante da quattro soldi comprata poi al supermercato tre giorni prima, gli venne quasi del tutto naturale fare un rutto.
Con quel rutto aveva digerito qualcosa d'indefinibile che aveva mangiato al pub la sera prima, in quel ritaglio di tempo nel quale si era ficcato dentro con gli amici per via di quella partita di calcio. Fece un altro rutto.
“Ma basta cazzo!”
“Basta cosa?” Disse lui facendo un altro rutto.
“Ancora? Sono tre ore che stai ruttando! Fai schifo guarda!”
Silvia entrò nello studio nel quale proprio quando Michele signor C. era intento a lavorare.
Entrò dentro lo studio di slancio, abbassando la maniglia con impeto e una volta spalancata la porta fece un rutto.
“Poi quello che fa schifo sono io.”
“Io me ne vado.”
“Ciao.”
“Ciao.”
“E quando torni?”
“Boh perché?”
“Dai vabbé, niente.”
“Che due coglioni quando fai così, cazzo! Dimmi.”
“No è che ci sarebbe da buttare l'immondizia, ma non ti preoccupare. Ci penso io, come al solito.”
“No, ma questo è scemo. E' scemo, completamente scemo...” disse lei di scatto, proprio mentre stava chiudendo la porta di quello studio.
Anche se c'era da dire una cosa.
C'era da dire che la sera prima, era stato proprio lui ad andare a buttare l'immondizia approfittando anche del fatto di dover uscire per andare al pub a vedere quella partita di calcio.
Sentì la porta dell'ingresso di casa sbattere sulla serratura, cosa che tra le poche Michele signor C. proprio non sopportava, e a quel punto si alzò un'altra volta dalla poltrona per andarsi a prendere un altro caffè.
Guardò Silvia andarsene via, lentamente.
Per un attimo il tremore gli pigliò forte le gambe pensando forse a proposito di quell'idea che era venuta in mente proprio a lui.
Che era venuta proprio a lui, seee proprio a lui, tanto da essere riuscita a fargli credere che magari non sarebbe mai più tornata.
La cosa, il fatto del tremore alle gambe, lo fece incazzare come una bestia ma al tempo stesso Michele signor C. continuò tranquillamente a bere quel caffè.
Quello stesso caffè che teneva avvinghiato a un dito indice che si era andato a ficcare proprio in quel pertugio che la tazzina aveva tra le sue.

Si stava tranquillamente fumando una sigaretta con le gambe allungate in avanti e i piedi appoggiati sul bordo della scrivania e questo sebbene si fosse ficcato nello studio con l'unico scopo di mettersi là e lavorare.
E stava mandando tutte quante quelle fatture che aveva ficcato in una di quelle grosse buste gialle a uno suo amico commercialista quando, a un certo punto, trovò nell'esclamazione: “Il pagliaccio Vincenzo!” il titolo di quel racconto per il quale si stava per preparare a dedicargli molto ma proprio molto tempo.

C'era da dire che in quel periodo Silvia erano tre giorni che era in giro a spassarsela non si sapeva bene come e non si sapeva molto bene dove con le amiche.
Non gli raccontava mai niente a proposito di quello che faceva con le amiche.
Usciva di casa sempre alla stessa ora ma mai prima delle undici e mezzo e tornava che si faceva molto spesso mezzanotte.
Per Michele signor C. quella non era sicuramente l'occasione buona per levarsela da coglioni una volta per tutte.
Non aspettava altro che gli dicesse che aveva un altro ma Silvia non era il genere di ragazza che se ne andava proprio in giro a fare il cazzo che voleva, soltanto che.
Soltanto che in quel periodo Michele signor C. era così tanto abituato a non averla attorno che a momenti, ci si stava pure abituando.
E a quel punto lasciò cadere il mozzicone in una tazza piena d'acqua di colore blu.
Tazza di colore blu che si trovava poi a poche spanne dal computer.
Michele signor C. allora sbuffò fuori il fumo che si andò ad annidare prima davanti agli occhi sostando a mezz'aria come la nebbia di Ottobre.
Soltanto dopo andò ad aprire l'agenda in un punto nel quale si accorse di averci già scritto sopra qualcosa.
Nonostante questo però, cominciò ugualmente a farci dentro un bel disegno del cazzo anche se questo non aveva proprio ne capo e ne coda.
Le sue intenzioni erano quelle di starsene un po' di tempo chiuso là dentro a lavorare anche se si era alzato dalla scrivania tre o quattro volte per tre o quattro motivi diversi.
Motivi per i quali era riuscito a distrarsi anche per qualche breve istante.
Brevi istanti durante i quali era riuscito a trovare un nesso tra i due capitoli che aveva scritto qualche mese prima.
Voleva quantomeno iniziare a correggere quel suo nuovo romanzo o almeno, voleva scrivere un racconto ma quelle sue idee in merito cominciarono a vacillare vigorosamente proprio quando prese in mano una penna.

Milano quella notte era avvolta dalla nebbia che se la stava viaggiando a mezz'aria spinta magari da una leggera e gelida brezza che arrivava da chissà dove ma perché Michele signor C. si potesse accorgere di quella signora nascosta da una fitta selva di cespugli e da quella stessa e anche densa marmaglia di alberi, avrebbe allora dovuto svoltare a destra.
Avrebbe dovuto si svoltare a destra e non tirare dritto come aveva fatto poi una volta raggiunto quell'incrocio laggiù.
Incrocio stradale che si era andato quindi a creare allora grazie al passaggio di un viale Giovanni Milton qualsiasi che in quel momento risultava essere deserto e una qualsivoglia via Mario Pagano.
Tenuti a una certa distanza dalla strada da un'alta staccionata in grado di circondare quasi tutto quanto il parco, gli alberi erano in grado di non far vedere una beneamata ceppa di cazzo.
Il semaforo era rosso e il nostro caro e adorabile responsabile del turno di notte non faceva altro che tenere il polso della mano destra fermo sul volante.
Si sentiva pure un bel po' stanco e anche se non c'aveva più voglia di guidare, sapeva che prima o poi si sarebbe fermato da qualche parte per bersi magari una birra.
Guardò verso destra, tra gli alberi e tutto quanto il resto di quella fitta vegetazione di quel grande parco.
Quel posto era diventato qualcosa di così lugubre da mettere i brividi addosso anche a una persona come Michele signor C. ma lui, seee proprio lui, non si era ancora accorto di niente.

Perché quella notte potesse avere tra le sue la luna piena, il cielo sarebbe dovuto essere limpido e tranquillo proprio come un tassista a mente serena.
Sapeva anche fin troppo bene di aver parcheggiato la macchina in un posto che stava in culo ai lupi ma nonostante questo tra le strade di Milano c'era un'aria che sapeva quasi di neve.
Il cielo plumbeo copriva la notte con una foschia che non faceva vedere un cazzo da lì a quattro metri e Michele signor C. aveva rischiato più di una volta di andare a sbattere con il muso contro qualche palo.
In fondo a quella strada c'era una piccola piazza dalla quale fino a qualche anno prima si sarebbe tenuto ben lungi dal passarci anche soltanto vicino ma in quell'occasione però.
Ma in quell'occasione non si accorse neppure di esserci praticamente dentro fino al collo.
L'abbaiare di quel cane si zittì appena il suo olfatto annusò qualcosa vicino a un albero e si zittì pure il passeggio di quei tacchi che sembrava camminassero in simbiosi.
C'era un bar aperto in fondo a quella strada e decise di fermarsi un attimo più che altro perché si sentiva di molto attratto da un'affascinante barista.
Aveva un dolore così forte ma così forte che gli aveva preso quasi in pieno l'orecchio sinistro e un punto della mandibola che a momenti ci rimase quasi secco.
Era un po' come se qualcuno si fosse avventato contro di lui si ma all'improvviso.
Quando però decise di passarci quindi una mano sopra, quella stessa mandibola allora scricchiolò appena quando si andò a spostare verso sinistra.
A volerla dire tutta veramente proprio tutta i fatti dicevano che.
I fatti dicevano che era andato anzitempo a sbattere contro un palo che teneva per aria un segnale stradale con il quale si venne a sapere che ogni mercoledì in quella strada facevano il mercato.
Fece un rutto.
In bocca gli era salito di colpo tutto quanto il caffè che si era appena dovuto sorbire proprio a causa di quel dazio appena incontrato fuori da quella locanda e fu proprio allora che accadde.
Accadde che sputò forte per terra per poi guardare un attimo verso destra.
Guardò verso quello stesso tratto di strada che alla fine dei conti gli rimaneva da percorrere.
Non c'aveva proprio un cazzo di voglia.
Michele signor C. in quegli ultimi giorni aveva l'abitudine di passeggiare con lo sguardo rivolto verso il basso e con le mani ficcate dentro le tasche dei pantaloni.
E anche se aveva con sé una sigaretta che aveva deciso però di fumarsi afferrandola con l'indice e il medio pur non essendo mancino, decise che comunque.
Decise che comunque di andare avanti a camminare lo stesso e comunque.
Nonostante e sebbene avesse allora deciso di andare comunque avanti a camminare lo stesso, avvertiva addosso qualcosa di strano.
Era un po' quella sensazione di come quel dannatissimo chiacchiericcio di 'sto gran par de' cojoni che sentiva arrivare da lontano, sembrava quasi si avvicinasse sempre più a grande velocità.
A un certo punto si fermò di colpo quasi di schianto e tutto quanto questo lo fece solo e soltanto per poter far scrocchiare le ossa del collo ma per farlo, dovette piegare la testa da un lato.
Arrivò a quella piazza dalla forma circolare con passo sciolto e di sciolta al culo ne aveva in quel momento quasi da buttar via a quintali.
No, non c'era niente di meglio da fare che tornarsene indietro spedito allora.
Tornarsene indietro allora, con dentro di sé quella speranza che viveva soltanto in chi voleva arrivare sano e salvo a casa senza per forza essersi macchiato di merda le mutande.

Quando entrò dentro con tutta la sua grazia che lo contraddistingueva, se ne accorse quasi subito che in quel posto c'era qualcosa di strano, di molto strano.
C'era qualcosa là dentro che non stava andando affatto per il verso giusto.
Anche se quella sera era uscito di casa per fare due passi a piedi e vagando proprio da quelle parti, non poté quasi fare a meno di passare quindi proprio davanti a quel posto.
Un tizio con addosso se ne stava andando in giro con uno strano impermeabile di colore giallo passeggiando in compagnia di un cane che teneva al guinzaglio.
Questi inizialmente annusava l'aria che tirava sopra ogni grata, allora decise d'intrattenersi comunque lo stesso nelle vicinanze di quei due cespugli di rovi.
Quegli stessi cespugli di rovi contro i quali anche se forse soltanto inizialmente si era messo a pisciare anche se fosse proprio così tanto evidente il fatto che avesse trovato qualcosa o di familiare o contro cui pisciare proprio.
Lui però se ne sbatté quindi sia le palle che i coglioni e decise di fermarsi per da qualche parte per potersi finalmente prendere quella grappa che sembrava proprio aspettare lui se non addirittura una persona come lui.
Aveva appena litigato con Silvia e ancora non sapeva bene come passare la notte ma poi in quel posto aveva trovato qualcosa di così tanto famigliare da restarci dentro qualche ora.
Poi però, una volta fuori da quel posto decise di tornarsene un attimo indietro.
Anche se sapeva pure di molto bene che la curiosità avrebbe ucciso il gatto, al tempo stesso non riusciva a trattenere quel suo così tanto strano interesse verso quella roba.
Verso quello stesso cespuglio di rovi presso il quale quel cane era andato a pisciare.
Anche se sul posto però era sopraggiunta la polizia con alcune volanti, il nostro così tanto ma proprio tanto adorabile e presuntuoso responsabile del turno di notte decise fosse il caso di non avvicinarsi troppo.
Ecco dove poteva andare in quel momento.
Poteva andarsene tranquillamente al lavoro.
A casa non c'aveva certo voglia di tornarsene anche perché puzzava di alcool quasi da fare schifo, quindi era forse ma forse meglio a questo punto evitare.
Poteva andare all'Overlooked Movies.

Dopo essere rimasto quasi soffocato da qualcosa che arrivava da quello che una volta era stato il bagno dei dipendenti.
Decise senza troppo badare al disordine che c'era in giro, di prendere lungo la strada un paio di libri e qualche DVD sapendo bene in che cosa andava a parare.
Spostò allora la borsa a tracolla che aveva addosso e fece un rutto.
Oltre a una puzza allucinante che era poi qualcosa di così tanto nauseante da prendere lo stomaco, c'era pure il sospetto che in quel posto c'avesse vissuto qualcuno.
La polvere si alzava da sotto le scarpe nonostante il fatto che non avesse ancora messo piede dentro il cesso.
L'Overlooked Movies era chiuso da ormai qualche tempo a quella parte e Michele signor C. ne sentiva forte la mancanza.
Ma a un certo punto, un urlo.
Uscì fuori per vedere cosa stesse succedendo ma in strada non c'era un'anima viva che fosse una.
In quella strada non c'era proprio anima viva e questo nonostante ci fosse una ragazza al secondo piano di quel palazzo che nel frattempo si era messa a chiedere a gran voce l'intervento della polizia.
Lui non si sa ancora adesso molto bene come fece ad accorgersene ma quando uscì in strada tra le varie cose che notò, fu la luce accesa del salotto.
“Polizia.”
“Si buonasera, senta è un'emergenza. Mi trovo al civico settantotto di piazza Firenze e sul balcone di un appartamento del secondo piano c'è una ragazza che sta chiedendo aiuto.”
“Sa forse perché sta chiedendo aiuto?”
“Non ne ho la più pallida idea, ipotizzo ci sia un ladro a casa sua ma non lo so per certo.”
“Sa chi è la ragazza? La conosce?”
Michele signor C. guardò allora verso l'alto, quella là non l'aveva mai vista prima di quel momento.
All'interno dell'appartamento s'intravedeva un'ombra.
Era quella una figura facilmente riconducibile a quella di un uomo nascosto da un passamontagna che stava ravanando nel cassettone di quella che lui credeva fosse la camera da letto.
Tirava fuori e gettava all'aria tutto ciò che trovava al suo interno e non si sarebbe fermato, supponeva, fino a quando non avrebbe trovato quello che cercava.
“Mai vista prima.”
“Mi da l'indirizzo?”
“Piazza Firenze settantotto, Milano. L'appartamento è al secondo piano, c'è un tizio a casa di 'sta qua che sta mettendo a soqquadro la camera da letto, se vi sbrigate magari lo pigliate al volo.”
“Mi dà il suo nome?”
“Signor C., Michele.”
“Arriviamo.”

Quando entrò dentro al negozio allora guardò prima in direzione di quegli scaffali che erano stati coperti dal cellophane un po' quasi a voler nascondere qualcosa che doveva rimanere assolutamente segreto.
Di segreto c'erano quei pochissimi DVD rimasti nonostante il trasloco e i furti messi forse in atto da qualche nazistino del cazzo.
Allora guardò dall'altra parte.
Guardò quindi verso sinistra e scoprì che sul bancone mancava pure il ricevitore di cassa sopra il quale c'era ancora però appesa la locandina di un vecchio concerto dei Dead Monkeys.

L'Overlooked Movies era avvolto da una luce sinistra e maleodorante che arrivava da quel lampione laggiù e magari dalle fogne anche.
Quelle stesse fogne poi che erano anche salite giù di brutto a causa della pioggia torrenziale di qualche giorno prima.
“Oh”
“Oh” rispose il Rivabella Paolo detto Il Paolino.
“Che vuoi?”
“Ma stasera che vogliamo fa'?”
“Aspetta un attimo.”
“Che scié?”
“Ti richiamo io, aspetta un attimo.”
Se ne andò verso il magazzino a controllare se il rumore che aveva sentito, proveniva allora forse proprio da quella parte.
Forse le uscite non erano chiuse a dovere.
Dopo aver preso una mazza di ferro con la quale si andava ad aprire e a chiudere quella grata che portava verso lo scantinato, andò a vedere se da quella che dava verso il giardino si vedeva qualcosa.
C'era un tizio che se ne stava con le mani ficcate nelle tasche dei pantaloni a fare presumibilmente da palo a quello che stava su al secondo piano.
Ogni tanto buttava l'occhio verso la scala che andava agli appartamenti del civico settantasei dal momento che questi aveva il giardino condominiale in comune con il civico settantotto per vedere se fosse mai arrivato qualcuno.

Sebbene proprio quella sera indossasse una maglietta del film Tutti i colori del buio sulla quale portava poi una camicetta rossa di flanella, Angelika Wardh provava a mettere ordine alle proprie idee.
Cercava di mettere ordine alle proprie idee e all'archivio inserendo manualmente al computer il catalogo della Hammer Film Productions prendendo qualche appunto a penna a margine man mano che andava avanti a lavorare.
Se ne stava con i piedi nudi e incrociati sulla scrivania dell'ufficio con la tastiera sulle gambe e mentre beveva un bicchiere di vino del ‘98 che aveva trovato in magazzino.
Pensava che sarebbe anche stato giusto voler sapere un po' a tutti quanti che fine avesse fatto Michele signor C. in quel momento infame.
“Maaa che cazzo ti compri pure tu...” disse Il Gullia Giuliano agitando sotto gli occhi di quel cliente i DVD che avrebbe voluto così tanto acquistare. “Davvero ti piacciono i film di Rob Zombie?” continuò a insistere e questo, sebbene gli stessero parlando, lui, seee proprio lui, questo cazzo di cliente si mise allora a guardare da tutt'altra parte.
Travolto in pieno dalla neve di Gennaio ma soprattutto dalle cosce da antilope di quell'Angelika Wardh per le quali poi stava indossando delle calze parigine e questo nonostante si trovasse in un negozio di film horror.
“E' che li vorrei regalare alla mia ragazza, lei va pazza per Rob Zombie.” Disse cercando di non far capire che stava guardando la signorina Angelika Wardh con la coda degli occhi.
“Ho capito.” Disse Il Gullia Giuliano soppesando lo sguardo un po' verso il soffitto, poi si mise a pensare un attimo. “Vabbè dai...” mentre li andava ad appoggiare in una zona nascosta dal bancone.
“Che vogliamo fa'? Me li vendi o non me li vendi ‘sti film?”
“Allora non hai capito... nooo, non te li vendo.”
“Addio.” Disse quel cliente che prese per andarsene.
“Aspetta. Aspetta un attimo.” Disse Il Gullia Giuliano.
Lo stesso Gullia Giuliano che nel frattempo sentì arrivare nelle sue orecchie una canzone tratta dalla colonna sonora di Rocky.
“Vediamo di trovare una soluzione. Dunque. Ma che è 'sto suono?” Disse in ultimo rivolgendosi alla strafiga del turno di notte.
“Ma che è che?” Rispose lei.
“Come fai a seguire Rocky mentre archivi quella roba, vorrei tanto saperlo.”
“Sei sicuro di sentirti bene?” Disse lei mentre faceva passare velocemente la penna da un dito all'altro della mano destra.
“Allora. Puoi spegnere il film che qua siamo in mezzo a una tempesta?”
“Guarda che non sono io, deve essere Michele signor C.”
“Spirito di Michele signor C., fai in modo che questa musica smetta all'istante e intercedi per noi con questo cliente. Cliente che tra le altre cose stava per comprare dei film di merda.”
“Hai voglia tu a invocarlo quello là... ah ma lo sai che è? E' il suo telefono... guardalo qua.” Disse lei a un certo punto.
E lo disse proprio lei una volta che aveva capito da che parte arrivava quella musica.
“Riattacca e spegni. Allora, considerando un certo che, adesso io...”
Al Gullia Giuliano alle volte gli si resettava il cervello e si faceva investire da tutti quanti quei ricordi che lo riportavano con la mente a quando lavorava in quel supermercato.
“Domanda che non ha mai fatto nessuno..." disse quel cliente capendo immediatamente che Il Gullia Giuliano molto spesso non ci capiva un'emerita ceppa di niente.
Poi, rivolgendosi ad Angelina Wardh, disse qualcosa che era di molto simile a un:
"Che film mi consigli da regalare a una ragazza che ha consumato, trito e ritrito tutti i Nightmare e tutti gli Halloween?”
“Hah hah hah.” Si mise allora a ridere lei.
“Embe'? Che c'è da ridere?” Disse il cliente.
“Non stavo ridendo. Stavo soltanto analizzando la situazione. Dunque." Disse lei al collega, che stava per intervenire "Analizziamo attentamente i fatti.” E mentre si mise a sedere. “Mi è parso di capire che ‘sta ragazza tu la conosci piuttosto bene e che tra qualche giorno è il suo compleanno...”
“Veramente è il nostro anniversario.” Disse lui.
“Ok, allora... ma guarda che caso... io ho qua due biglietti tribuna per il concerto a Milano dei Dream Theater. Io li do a te e tu ce la porti, poi."
"Ma non te li ha regalati Michele signor C. quei biglietti?" Disse Il Gullia Giuliano.
"Tu fatti i cazzi tuoi.” Disse a quel punto Angelika Wardh. “Allora, vieni un po' con me che ti spiego.”
Si addentrarono tra gli scaffali dell'Overlooked Movies come se una fosse la main stream delle tour guides dei Musei Vaticani mentre lui non fosse altri che un povero pirletta.
Non era nient'altro che un povero pirletta con gli occhiali da vista e i bermuda, la canotta e una camicia hawaiiana che se ne andava in giro seguendola con gli occhi rivolti verso l'alto.
“Cominciamo con: Alphabet Killer, poi... poi... poi... Le spose di Dracula. Hammer House Of Horror e Dracula vs. Frankenstein. Cannibal Holocaust... Hammer House Of Terror...” Ma lui aveva buttato l'occhio su un'auto produzione da quattro soldi “Alloooora! Ma vuoi che io muoio?” Esclamò quando lo scoprì con quella roba in mano. “Ti becchi pure Autopsy e stai zitto. Questo film qua che non so che roba sia...” prendendone uno caso “ma chi l'ha ordinata ‘sta roba giapponese? Mamma mia oh...”
“Che film è?!?” Domandò Il Gullia Giuliano, incuriosito.
“QUESTO! Questo qua!!!” Disse lanciandoglielo manco fosse stato un frisbee.
“Questo me lo ciapo io.” Disse Il Gullia Giuliano, dopo aver letto la trama sul retro della copertina.
“Ascolta, allora, ti becchi pure ‘sto giapponese qua e adesso però te ne vai alla cassa a pagare che a me scappa da pisciare.” Disse Angelika a quel cliente.
“Perché non mi dai qualcosa di Dario Argento?”
“Ma allora non capisci proprio un cazzo!” Replicò Il Gullia Giuliano “lo vuoi un consiglio? Un lupo mannaro americano a Londra.”
Michele Cristino
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