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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
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Writer Officina
Autore: Angelica Romanin
Titolo: Uomini, attacchi di panico e altre disgrazie
Genere Rosa ironico
Lettori 3789 47 64
Uomini, attacchi di panico e altre disgrazie
Quando hai quindici anni pensi ad una te stessa trentenne come ad una donna grintosa, affermata, che si appresta a vivere una vita ricca di soddisfazioni, dove poter cogliere il frutto degli sforzi fatti negli anni precedenti. Pensi che a quell'età sarai sicuramente realizzata, con un lavoro interessante e ben retribuito, una personalità forte e decisa, e un uomo sexy e sicuro di sé col quale dividere la vita.
Io, guarda caso, ho proprio trentun anni, ma di tutte queste cose nemmeno l'ombra...
Anzi, riflettendoci, posso dire di essere stata, come quindicenne, molto più realizzata di quanto lo sia adesso. Allora studiavo con profitto, avevo un ragazzo bello e innamorato e, cosa più importante, mi sentivo sicura e combattiva come non mi sento ormai da un decennio a questa parte.
Effettivamente la vita mi ha dato qualche dura lezione, se così posso chiamare otto anni di feroci attacchi di panico e dieci di convivenza con un idiota. Idiota che, tra l'altro, sedici anni fa era il ragazzo bello e innamorato cui accennavo prima...
Forse qualche passo in più alla fine c'è stato: mi ci è voluta un'eternità, ma ho finalmente imparato a riconoscere un cretino quando lo vedo.
Ho capito tante altre cose, in effetti, e sono cresciuta molto dentro... ma che fatica!
In ogni modo va bene così, la maturità ha un suo prezzo da pagare, anche se qualcuno potrebbe dire che giovani e immaturi non si stava poi così male.
La maturità... Ma sono davvero diventata più matura? Direi di sì. Meno fiduciosa, meno entusiasta, meno soddisfatta... ma di sicuro più matura. Se non altro penso di avere capito il significato della frase - quando si chiude una porta si apre un portone - . Quando la mia porta si è chiusa ero disperata, ma poi ho iniziato, con molta cautela, ad aprire il fatidico portone. - Giusto una sbirciatina - , mi sono detta, e guarda guarda, quello che ho intravisto non mi dispiaceva affatto!
Ma procediamo con ordine.

Tutta questa storia ebbe inizio durante una vacanza al mare, quando, a soli quindici anni, conobbi Alberto, quello che sarebbe diventato il mio primo amore. Il principe azzurro che tutte sognano ma che nessuna trova e che, come si vedrà in seguito, nemmeno io trovai, visto e considerato che, dopo quindici anni di amore, sogni e sacrifici, lui decise di mollare tutto per andarsene felice e contento con la puttanella di turno.
Quel giorno di quindici anni fa ero spaparanzata sotto il sole a chiacchierare con un'amica quando, con la coda dell'occhio, mi parve di intravvedere qualcosa di molto interessante.
Elisabetta mi stava raccontando del suo ultimo flirt, e non stava zitta un secondo.
- Si chiama Stefano, me l'hanno presentato a una festa. Mi piacerebbe proprio fartelo conoscere, anche se so che probabilmente avresti da ridire sul suo aspetto. Non è esattamente il tuo tipo... è basso, ha un po' di pancetta e le gambe storte. Ma è così dolce... Sempre disponibile, gentile... Ehi, ma mi stai ascoltando? Angi si può sapere cosa stai guardando con quell'espressione ebete? -
Seguì la direzione del mio sguardo e spalancò gli occhi. - Ma quello chi è? Wow! Lui sì che sarebbe il mio tipo, sembra un modello! -
- Ssst! Puoi tacere un momento? - la interruppi, scocciata. - Sto avendo una visione. Ma quanto è alto? E li hai visti quegli occhi? -
- È troppo bello, sicuramente è già fidanzato - sentenziò la mia amica, scuotendo la testa.
- E a te che importa? Non eri tutta innamorata di... come si chiama? Giorgio? -
- Stefano - mi corresse spazientita. Poi aggiunse: - Ma cosa fa? Non dirmi che sta venendo qui! -
Ed ecco arrivare sotto il nostro ombrellone uno splendido esemplare di maschio: alto, occhi verdi, capelli castani e spalle ampie. Un gran bel bocconcino.
- Ciao! - mi disse, porgendomi la mano. - Mi chiamo Alberto. -
- Ciao! - dissi io con la stessa espressione ebete di prima. - Io sono Angelica. - Anche se in quel momento, con quella faccia, di angelico avevo ben poco...
Dopo mezz'ora di convenevoli avevo saputo che abitava in un paesino sperduto nella campagna lombarda, che aveva sedici anni – anche se ne dimostrava almeno venti – che lavorava in una fabbrichetta del paese e, cosa di notevole importanza, che non aveva la ragazza. Dopo un'altra mezz'ora sapevo che aveva due occhi veramente fantastici e che ero già follemente innamorata di lui.
Quanto poco mi bastava una volta... Adesso ogni uomo che conosco lo esamino minuziosamente, dalla punta dei capelli – e se non li ha è già fottuto – alla punta delle scarpe, soffermandomi sull'abbigliamento e prestando particolare attenzione al modo di muoversi e di parlare. Insomma, poco ci manca che gli chieda patente e libretto. Ma torniamo a noi. Elisabetta mostrava i segni inequivocabili di un feroce attacco di bile. Era chiaramente gelosa del fatto che quel super maschione piovutoci dal cielo avesse mostrato un palese interesse per la mia umile personcina. Non potevo spiegarmi altrimenti i suoi velenosi consigli.
- Immaginerai, mi auguro, che un ragazzo di sedici anni che lavora in fabbrica non è sicuramente un intellettuale... Avrà a malapena la licenza media. E devo dire che gliel'hanno regalata, visto il modo in cui si esprime - mi disse, mentre si spalmava di crema abbronzante dalla testa ai piedi. - Hai sentito, vero, che lui taglia la bistecca col - cortello - . Sicuramente la minestra la mangerà col - gucchiaio - ... Non per fare la stronza, ma quell'individuo è di un'ignoranza spaventosa! Tu studi al liceo linguistico e imparerai a parlare tre lingue, non puoi metterti con uno che ne sa a malapena una! -
Ripensandoci adesso, Elisabetta, che aveva qualche anno in più di me e qualche esperienza alle spalle, non aveva tutti i torti: non avrebbe potuto funzionare. Ma ahimè, con la testa di una
quindicenne, l'unica cosa che riuscivo a vedere era quel fantastico corpicino, col quale avrei potuto fare davvero tante belle cose.
Non la ascoltavo nemmeno la mia amica, tanto ero impegnata a fantasticare su quel bellissimo tipo che aveva scelto proprio me fra tutte le ragazze che c'erano nell'affollatissima spiaggia di Milano Marittima.
- Ma l'hai guardato bene? È bellissimo! È incredibile che sia venuto dritto, dritto qui da me a presentarsi! - le dissi con gli occhi che mi brillavano dall'eccitazione.
- Beh, in effetti ha un ottimo senso dell'equilibrio. Hai notato che non ha sbandato nemmeno quando è passato sui giochini di quel bimbo? - commentò ironica.
- Piantala di fare la cretina! Sì, gli piaccio, sono sicura di piacergli, altrimenti non avrebbe sottolineato il fatto che non ha la ragazza. È stato tutto così strano che ha quasi del miracoloso. Questo è il classico colpo di fulmine, è come se ci conoscessimo da sempre... -
- Ma fammi il piacere, cosa sono tutte queste stronzate? - replicò Elisabetta, che era decisamente più sveglia di me. - È semplicemente un bel ragazzo. Ignorante, ma sicuramente bello. E tu, in questo momento, se stai ragionando con qualche parte del tuo corpo, beh... quella non è la testa di sicuro. Sia chiaro, sono affari tuoi. Se vuoi scoparti uno che sbaglia i congiuntivi e che nel momento più bello ti sussurra - ti apro in due come una mela - ok, sei liberissima di farlo, ma per lo meno evita di infarcire il tutto con queste assurde melensaggini da romanzo rosa! -
Niente da fare, ormai ero partita. Stavo già pensando al giorno dopo, quando l'avrei rivisto. Mi sarei messa il costume intero rosso o il due pezzi bianco? Sicuramente il due pezzi. Il bianco sull'abbronzatura risalta meglio. Già mi vedevo arrivare in spiaggia con portamento sexy, i lunghi capelli mossi dal vento e uno striminzitissimo pareo a coprirmi i fianchi: uno schianto!
Che fantasia... A quindici anni ero sexy quanto un ombrellone, e anche le forme erano più o meno le stesse. Sì, ero carina: magra, ben fatta, con grandi occhi castani e una cascata di riccioli scuri, ma in quanto ad essere sexy... Portavo una prima scarsa di reggiseno ed ero di un'ingenuità tale da rasentare l'handicap! Comunque, siccome in ogni cosa l'importante è crederci, io ci credevo. E deve averci creduto pure lui se, la mattina dopo, mentre io ancora dovevo stendere il telo sul lettino, era già lì a salutarmi.
- Ciao - risposi al suo saluto, accomodandomi sul lettino. - Dormito bene stanotte? -
Lui si sedette accanto a me, allungò le gambe muscolose sulla sabbia e mi guardò con i suoi splendidi occhi verdi. - Non molto a dire il vero, ho pensato sempre a te... -
Distolsi a fatica lo sguardo dai suoi occhi e, dopo un attimo di silenzio, dissi, cercando di essere disinvolta: - Davvero? Allora sarai stanco. Stasera non avrai certo voglia di venire al cinema con me... -
- Non scherzare, verrei al cinema con te anche se sarei su una sedia a rotelle! - rispose lui, spalancando gli occhi.
- Sarei... sarei... - Quel condizionale continuava a ronzarmi in testa. Ma non si dovrebbe dire - fossi - in questo caso? Fa niente, licenza poetica. Uno così bello poteva sicuramente permetterselo. E, scacciando quel condizionale molesto dalla mia mente, risposi: - Perfetto! Allora ci vediamo stasera - .
E proprio quella sera, dopo il cinema col mio principe azzurro nuovo di zecca, mi apprestavo a scrivere la prima pagina del mio primo diario. DIARIO DI ANGELICA
ANNO 1986




Giovedì 14 agosto 1986

Stasera ho improvvisamente deciso di iniziare a tenere un diario. Perché questa decisione? Semplice, ho conosciuto l'uomo della mia vita! Lui è bellissimo e incredibilmente sexy! Non è molto colto, lo so, ed Elisabetta non esita a ricordarmelo in continuazione... però è tanto dolce, e, soprattutto, è innamoratissimo di me! Se penso a quanto sono stata fortunata a conoscerlo!

E vi risparmio il seguito.
- Quanto sono stata fortunata a conoscerlo! - Già, che culo. Ma si può essere più stupidi di quando si hanno quindici anni e una cotta spaventosa per un idiota? Ogni minima stronzata diventa un segno del destino e ogni sua parola è sacra. Ci sentiamo le predestinate al grande amore, una sorta di moderne Cenerentole baciate dalla fortuna. Tutta la nostra vita, fino a quel momento, altro non era che una noiosa attesa prima dell'arrivo di - lui - : l'uomo perfetto! Quello che aspettavamo da sempre, la nostra anima gemella. Certo che dovevo essere un'inguaribile ottimista per scambiare per l'anima gemella un tipo come lui! Ma l'amore è cieco, si sa. Anzi, diciamo che non ci vede proprio un accidenti! Mi ero rimbecillita a tal punto che quando lui impugnava la forchetta come se fosse stata un badile, io pensavo che fosse per un caso di artrite alla mano. E quando si presentava alla mia porta, con pantaloni neri eleganti, scarpe da ginnastica giallo fosforescente e un audace gilet, lasciato volutamente aperto per mostrare il petto villoso, io mi illudevo che fosse il suo animo artistico e indipendente a farlo vestire in modo tanto estroso. Insomma, in poche parole, ero semplicemente una ragazzina alle sue prime esperienze sessuali, ma talmente ansiosa di perdere la verginità da riempirsi la testa di balle e volerci credere a tutti i costi, perché la nostra prima volta deve essere speciale, e non deve essere regalata al primo che passa per la strada! - Mai dare le perle ai porci! - diceva sempre mia nonna...
Ebbene, invece è proprio ciò che ho fatto. Lunedì 16 febbraio 1987

Ce l'ho fatta, non sono più vergine!
È successo ieri. Alberto è arrivato col treno delle dieci, ed era, come sempre, bellissimo. Una volta tanto era vestito bene – evidentemente i miei consigli stanno iniziando a fare effetto – indossava un paio di jeans con un maglione nero a collo alto che faceva risaltare i suoi meravigliosi occhi verdi. Con il look direi che ci siamo quasi, adesso mi aspetta la parte più difficile: impartirgli un minimo di cultura di base e insegnargli le buone maniere. Purtroppo continua a maneggiare forchetta e coltello come se fossero attrezzi per l'orto...
Sarà un compito arduo, già lo so, ma sono fiduciosa. Ho iniziato subito, dopo le prime lettere che ci scambiavamo, a fargli notare, con molto tatto, certi errori di ortografia. Se lui mi scriveva: - a me mi piaci tanto - , io gli rispondevo: - anche a me piaci tanto - . Se lui mi scriveva - stò tanto bene con te - , io gli rispondevo: - anch'io sto bene con te - . Quanti daccordo gli ho corretto e continuo a correggergli... Per non parlare dei congiuntivi che continua a scambiare con i condizionali. Se ha un briciolo di intelligenza, a forza di leggere le mie lettere, imparerà anche lui la grammatica.
Ma torniamo al mio argomento preferito: ho fatto sesso con Alberto! È successo dopo pranzo, quando siamo rimasti soli in casa, ed è stato fantastico! Meglio delle montagne russe e della discoteca. E adesso sono anche più innamorata di prima! Se avessi saputo che fare sesso era tanto divertente, mi sarei data da fare molto prima!

Ed ecco dimostrato quanto dicevo poco fa: gli estrogeni rovinano le donne. Le inebetiscono poco a poco fino a trasformarle, davanti ad un bel ragazzo, in una sorta di maniache sessuali. E succede a tutte, inutile negarlo. Inevitabilmente, con l'arrivo dell'adolescenza, cresce il seno e cala il buonsenso. Il cervello inizia a produrre ormoni con l'unico scopo di spingerti ad accoppiarti e assicurare così la salvaguardia della specie, e tu rimani sola, a barcamenarti tra orde di ragazzetti lussuriosi, senza più il supporto del tuo intelletto. Tutte quelle sostanze chimiche, che girano indisturbate per il tuo corpo, iniziano gradualmente ad offuscarti il pensiero e a renderti attraente anche il più coglione degli uomini, solo perché ha un bel visino e un grosso arnese tra le gambe. Purtroppo, questa situazione dura in genere fino alla menopausa, momento in cui gli estrogeni cessano di farla da padroni, oppure, fino ad una botta nei denti talmente forte da farti rinsavire istantaneamente. E quest'ultimo è stato il mio caso.
In ogni modo, nonostante tutto, i primi otto mesi furono splendidi. Io ero cotta e lui pure. Facevamo sesso in continuazione e non ne avevamo mai abbastanza.
Ma ecco che, ad un certo punto, iniziarono le dolenti note.


Venerdì 14 aprile 1987

Sono furiosa, oggi è stata la prima volta in otto mesi che ho litigato con Alberto! Mi ha fatto una scenata di gelosia che neanche Otello potrebbe immaginare, e sai perché? Perché gli ho detto che domani sera vado a ballare con i miei amici. Mi era balenato il sospetto che forse era meglio tacere ma io, come al solito, sono una terribile chiacchierona, e proprio non mi riesce di stare zitta! Devo sempre raccontare i fatti miei a tutti, e a lui in particolare! Del resto è il mio ragazzo, e se non parlo con lui con chi devo farlo? Ma lui, anziché apprezzare la mia sincerità, si è messo a sbraitare come un matto, e ha iniziato a dirmene di tutti i colori. Secondo lui, in discoteca potrei conoscere ogni sorta di maniaco sessuale che non attende altro che strapparmi di dosso tutti i vestiti e stuprarmi sul pavimento della pista da ballo. E, come se non bastasse, gli scoccia che esca con i miei amici, che lui considera sciocchi e immaturi. È incredibile, se fosse per lui io dovrei passare tutto il mio tempo libero in convento!
I primi tempi non era così geloso. Quando gli raccontavo delle mie uscite si raccomandava solo che non lo tradissi, ma non si è mai permesso di dirmi cosa fare. Ora è cambiato. Sarà che ha preso più confidenza? Forse sì, forse pensa che lo starmi assieme per un certo numero di mesi lo autorizzi automaticamente a gestire la mia vita. Ma si sbaglia. Di genitori ne ho già due e mi stressano a sufficienza senza che ci si metta anche lui.


Sabato 15 aprile 1987

Oggi non ha chiamato. Sono già le 21:40 e in genere lui chiama alle 20:00. È proprio una carogna! Sa come farmi stare male. Sa benissimo che la sua indifferenza mi deprime da morire. Mi è persino passata la voglia di uscire... Fra mezz'ora dovrei andare a ballare ma chi ne ha voglia sapendo che lui è incazzato? Quasi quasi lo chiamo io...

Ed ecco il primo di una lunga serie di errori. Mai cedere ai ricatti psicologici di un uomo! Farlo, pensando che sia solo per questa volta: - Solo per non litigare e per non sentirmi così triste - .
Se inizi a cedere, anche una sola volta, sei fregata. A quel punto lui saprà di avere un potere su di te, e lo userà fino alla morte. Purtroppo, io la lezione l'ho imparata a mie spese, infatti, dopo quella prima volta – nella quale gli telefonai per fare pace e finii per rinunciare all'uscita in discoteca – ne seguirono numerose altre, e la mia vita amorosa divenne una sequenza infinita di rinunce, tutte fatte in nome dell'amore ma che con l'amore avevano ben poco a che fare.


Giovedì 7 maggio 1987

Oggi è una bella giornata. Stamattina nell'interrogazione di tedesco ho preso sette, domani c'è sciopero quindi niente scuola, e più tardi ho appuntamento in piazza con Elisabetta per fare shopping. Oltretutto fuori c'è un sole splendido che invoglia ad uscire e divertirsi. In certi momenti la vita è proprio bella!
P.S. Quasi dimenticavo, stasera esco a mangiare una pizza con tutti, ma proprio tutti, i miei amici. Vengono anche mia cugina Daniela e il suo ragazzo. Manca solo Alberto, ma forse e meglio così visto che quando sono con lui non riesco mai ad essere me stessa. Per non litigare devo continuamente controllarmi, stare attenta a quello che dico o a come mi muovo... Non capisco perché si comporti così. Quando mi ha conosciuta ero esattamente la stessa persona che sono ora, allegra e spigliata, e penso di essergli piaciuta proprio per questo. E allora perché adesso non vado più bene? Quelli che prima erano i miei pregi ora sono diventati i miei difetti. La mia voglia di vivere e divertirmi è diventata immaturità, la mia allegria si è trasformata in stupidità, i miei vestitini sexy, che tanto gli piacevano, ora sono semplicemente volgari. Mi fa sentire sempre insicura e inadeguata. Perché è diventato tutto così complicato? Forse il problema è la lontananza. Ci vediamo talmente poco che lui è geloso di ogni attimo che passo senza di lui...


Domenica 17 maggio 1987

Oggi Alberto non è venuto perché c'era lo sciopero dei treni, verrà la prossima settimana. Meglio così perché ho un brufolo enorme sul mento e in più abbiamo fatto l'ennesima litigata. Il motivo è sempre il solito, ormai da mesi: la sua maledetta gelosia.
Sono veramente stanca di sentirmi trattare come se il mio unico pensiero fosse scoparmi tutti gli uomini della terra tra i sedici e i quarant'anni! Sono solo andata a ballare, mica a battere i marciapiedi... Ma secondo lui la discoteca è un luogo di perdizione. Inoltre frequento cattive compagnie, e, a scuola, i miei compagni aspettano solo un momento di distrazione del prof per violentarmi dietro la lavagna.
Non è possibile andare avanti così. Il problema è che proprio non gli entra in testa, non ne vuole sapere di fidarsi di me. A volte penso che sia una fortuna abitare distanti, se fosse qui controllerebbe ogni mio respiro, e guai ad ansimare troppo durante l'ora di ginnastica...

Ecco, questo era il mio rapporto adolescenziale con Alberto, una lista continua di cose da non fare. Non ridere troppo, non fare la stupida, non metterti quella gonna così corta, non scherzare troppo con i ragazzi...
Se allora avessi avuto un briciolo di buon senso, avrei dovuto scappare a gambe levate. Purtroppo, a quell'epoca, la parola - buon senso - nel mio vocabolario non esisteva, e così continuavo a complicarmi la vita con quell'assurda relazione, illudendomi che, prima o poi, Alberto sarebbe cambiato. Ma non è vero, gli uomini non cambiano, e quando lo fanno è solo per peggiorare.


Lunedì 9 luglio 1987

Alberto non ha ancora chiamato, ho provato a chiamarlo io ma mi ha sbattuto giù il telefono. È di nuovo incazzato. Non sto neanche a spiegarne il motivo, perché non è tanto quello, che conta, quanto il fatto che, tutte le volte che si litiga, lui improvvisamente diventa sordomuto. Non parla più, non mi ascolta, praticamente mi ignora. Immagina una come me, che quando si incazza urla, sbraita e dice parolacce inimmaginabili. Immagina come mi devo sentire frustrata da un comportamento del genere. È un po' come sbattere la testa contro un muro: qualsiasi cosa io possa dire e fare è irrilevante. Tanto vale che risparmi il fiato e che aspetti semplicemente che gli passi, direte voi. Ma il problema è che io non ci riesco, non riesco a comportarmi come lui. Io ho bisogno di comunicare tutta la mia rabbia, le mie emozioni, i miei pensieri... A me piace risolvere subito i problemi, e di fronte a qualcuno che scappa non so proprio come comportarmi. Lui non sa fare altro che trincerarsi dietro un silenzio accusatore che mi rende ancora più furiosa perché mi fa sentire rifiutata, non mi permette di giustificarmi, di dire la mia. Davanti a quel silenzio io sono l'accusata e lui il giudice. Il verdetto è già stato emesso, e il mio avvocato difensore è in vacanza ai Caraibi.
Certo che Alberto ha proprio un pessimo carattere... Hanno sempre accusato me di avere un brutto carattere ma almeno io i miei - vaffanculo - me li sono sempre presi senza fare storie, tutt'al più replicando con un - vai a cagare - . Lui no. Qualsiasi tipo di offesa gli scivola addosso. Ho provato con - stronzo - , - faccia da culo - , - testa di cazzo - ... Niente. Ho persino inventato parolacce nuove: - microcefalo sottosviluppato - , - specie di escremento antropomorfo - ... Meno di niente. Anche se, riflettendoci, lui probabilmente non ne ha un'idea di cosa sia un microcefalo, e tanto meno sa cosa vuol dire antropomorfo. Ho notato un lieve sussulto alla parola - escremento - ma non si può mai dire, forse è stata un'impressione. Fatto sta che ne ho due palle di quell'individuo che, quasi quasi, me ne vado in vacanza con il mio avvocato...

E questi erano ancora i primi anni, quando tutto filava liscio come l'olio. Quando lui era geloso sì, ma tanto innamorato. Quando mi riempiva di regali e lettere d'amore, non aveva occhi che per me, stava tutto il tempo a coccolarmi e mi scopava in un modo divino. Ed era per questi momenti di paradiso che io sopportavo tutti i suoi capricci. Ma, a poco a poco, la situazione divenne insostenibile e iniziò a piegare anche un caratteraccio ribelle come il mio. Mi sembrava di essere su un'altalena, tanto mutava il mio umore. Alberto mi lodava e io volavo al settimo cielo, Alberto mi rimproverava e io sprofondavo nel baratro. Alberto mi coccolava ed io ero in estasi, Alberto mi ignorava e io mi deprimevo.
Alberto, Alberto e ancora Alberto! Praticamente era lui a gestire le mie emozioni. Ormai ero come uno di quei topolini da laboratorio ai quali si insegna a percorrere i labirinti. Prendono la strada sbagliata? Non c'è problema, una piccola scarica elettrica ed eccoli subito sull'attenti e docili più che mai, pronti a percorrere immediatamente la strada giusta. E la mia strada era lastricata di percorsi sbagliati che, guarda caso, io puntualmente imboccavo.
Ma, piano piano, con la costanza che solo un navigato torturatore della psiche umana poteva avere, io diventai la ragazza impeccabile e un po' anonima che lui voleva. Perché lui mi amasse, e continuasse a distribuirmi di tanto in tanto poche misere briciole di affetto e considerazione, finii per tradire me stessa e distruggere la mia personalità. Smorzai il fuoco della mia passione per la vita con l'acqua del suo perbenismo, e diventai un mucchietto di cenere tiepida e umidiccia... che schifo.
Ma, finalmente, dopo alcuni anni trascorsi ad annullare il mio temperamento passionale e giocoso, lui smise di essere geloso. E ci credo! Solo un deficiente poteva essere geloso di un invertebrato insicuro e avvilito, terrorizzato anche dalla propria ombra. Sì, sto proprio parlando della sottoscritta: quell'essere ormai privo di forma – sfido chiunque ad averne una, indossando certi abitini consigliati dal mio perfettissimo partner – con lo sguardo spento e rassegnato, che ero diventata. Ora ero - la brava ragazza - , tutta arrendevolezza e bon ton. Ma dove era finita la mia gioia di vivere? Dov'erano l'entusiasmo e l'allegria? Insomma, dov'ero finita - io - ? Nascosta. Raggomitolata in un angolino buio, in attesa di tempi migliori.
Purtroppo i tempi non migliorarono, anzi. Avevo appena dato la maturità quando Alberto venne a vivere con me, nella casa dei miei nonni.


Lunedì 22 luglio 1991

Quanti impegni! Ho studiato un casino e non ho mai trovato il tempo di scrivere fino al nove luglio, quando ho concluso l'esame, dopodiché ero talmente nauseata dai libri che non riuscivo nemmeno ad aprire il mio diario. Ma non c'è nessun problema, ci aggiorniamo subito con le ultime notizie.
La cosa più importante è che finalmente ho preso la maturità, e da questo momento, fino alla fine dell'estate, l'unica mia attività sarà divertirmi, divertirmi e ancora divertirmi.
La seconda cosa è che al mare ci vado con la mia auto nuova di zecca. Già, già... Sono anche neopatentata ed automunita.
Infine, l'ultima novità è che, in settembre, Alberto si trasferisce da me. Ci ospiteranno i miei nonni, lui dovrà semplicemente contribuire un minimo alle spese, ma non sarà un problema visto che il compagno di mia madre gli ha offerto un lavoro nella sua ditta.
Se devo essere sincera, io non ero d'accordo al cento per cento con questa decisione... L'idea di vivere assieme mi alletta, è vero, ma, allo stesso tempo, il pensiero di dividere la mia camera con lui e rinunciare ad uno spazio che sia solo mio mi fa sentire un po' in trappola. Senza contare che, in questo modo, perderò, in parte, la mia libertà. Non so, dopotutto ho solo diciannove anni, non mi sento ancora pronta per un impegno del genere. Ho cercato di parlargliene, gli ho spiegato il mio stato d'animo ma lui non vuole sentire ragioni, dice che se non lo facciamo adesso che siamo giovani non lo faremo mai più.

Quanto aveva ragione! Che me lo chiedano adesso se voglio convivere... chiudo la porta di casa a doppia mandata e mi mangio pure la chiave!


Mercoledì 20 novembre 1991

Ne è passato di tempo. Il ventitré luglio partivo per il mare e oggi sono già qui immersa nei libri, tanti, troppi libri! Botanica, matematica, chimica, fisica, genetica... E chi ci capisce niente? Ho perso cinque anni a studiare Baudelaire, Zola, Goethe, Dickens... Ma qui, alla facoltà di scienze biologiche, nessuno ne sa niente. Mai sentiti nominare. Qui si parla unicamente di - ricombinazione genica - , - fotosintesi clorofilliana - , - ibridazione molecolare - ...
Cinque anni. Cinque anni per imparare tre lingue e le principali opere letterarie di tre nazioni, e non mi servono a niente. Comunque, a parte questo piccolo problema, l'università mi piace molto. Le materie sono interessantissime e i ragazzi del mio corso molto simpatici, ma, soprattutto, adoro l'orario di inizio delle lezioni: le nove. Mai più sveglia all'alba per essere in aula alle otto. Si, questo aspetto della mia vita va decisamente bene, quello che non va, invece, è tutto il resto. Resto che si riassume in una parola: convivenza. Purtroppo, la convivenza con Alberto è proprio come me la immaginavo: una prigione. Dorata, ma pur sempre una prigione. Non vedo quasi più i miei amici. Alla sera sono sempre in casa perché Alberto, dopo l'intera giornata passata a lavorare, vuole riposarsi, e nei weekend siamo sempre soli perché, piano piano, ha bocciato con un'insufficienza grave tutte le mie amicizie. Sono stata invitata a qualche festa universitaria, ma per andarci dovrei litigare due settimane. Quella prima della festa, per convincerlo a fidarsi di me, e quella dopo perché chiaramente non si è fidato...
Quanto mi manca la mia vita di prima! Le serate passate a ridere, ubriacarmi e fare la scema. Lui dice che è meglio così, che bisogna crescere prima o poi. Sarà, ma quello che continua a collezionare le sorprese degli ovetti Kinder, a vent'anni suonati, non sono certo io...
P.S. Elisabetta si è trovata un nuovo ragazzo, si chiama Gianmarco ed è molto simpatico. Per il momento sembra piacere ad Alberto. Speriamo continui a piacergli, visto che ormai sono gli unici amici che mi sono rimasti...


Mercoledì 26 febbraio 1992

Sono alcuni mesi che mi sento sempre triste e annoiata.
Quest'anno non ho neanche festeggiato il carnevale, ma ormai questa è la regola, niente più feste, niente più discoteca, niente più amici. Niente di niente. Si divertono di più al circolo anziani dietro casa mia. Non sto scherzando. L'altro ieri ero dal fornaio, precisamente davanti allo scaffale dei cracker, indecisa se comprare quelli al rosmarino o quelli con aglio e basilico, quando ho sentito i brandelli di una conversazione tra due signore che avranno avuto più di centosessant'anni in due. Parlavano di come si erano divertite la sera prima a ballare il liscio. A questo punto direi che è comprensibile che mi senta depressa! Loro, a ottant'anni passati, vanno ancora a ballare, io, a ventidue, me ne sto a casa a fare la calza! Non riesco a capire come ho fatto a finire in questa situazione. Il problema forse è che mi sento sempre in colpa nei confronti di Alberto. Lui, dopotutto, si è sacrificato tanto per me, e io non me la sento di impormi. Vorrà dire che troveremo altri amici che piacciano anche a lui, e, se qualche sera sto in casa, non è la fine del mondo...

E del resto, i miei miseri sacrifici erano niente in confronto a chi, miserello, aveva dovuto rinunciare a tutta la sua famiglia e a tutti i suoi amici per me. Questo era quello che mi ripeteva in continuazione, ed io non potevo fare altro che sentirmi la responsabile di tutte le sue disgrazie, considerando il fatto che era stato - costretto - a scegliere tra me e tutto il resto. Ma quanto orgogliosa mi sentivo ad avere un ragazzo che mi amava tanto, che per amor mio aveva rinunciato alla sua vita!
Un momento. Quale vita? Al paesello lui lavorava in fabbrica, con maggior precisione alla catena di montaggio; divideva la stanza con la sorella, una sciacquetta lamentosa e sempre incazzata; con i suoi litigava dalla mattina alla sera e, nel tempo libero, giocava a carte con gli amici, per lo più un'accozzaglia di ubriaconi semi ritardati e nullafacenti. Era questa la vita meravigliosa e piena di promesse che, ahimè, aveva dovuto abbandonare? Prima cosa: io non gli ho mai puntato il fucile dietro la schiena per obbligarlo a fare niente, semmai il contrario. Seconda cosa: venendo a vivere nella mia città ci aveva solo guadagnato. Era venuto ad abitare in una bella casa, era trattato dai miei nonni come un figlio, e tutti gli anni se ne stava, per venti giorni, in vacanza nella nostra casa al mare. Non passava inverno senza che trascorressimo almeno una settimana in montagna a sciare, ed io ero talmente innamorata che vedevo solo lui, e, come un cagnolino, lo seguivo in ogni sua decisione.
Con quale dei suoi contorti ragionamenti era riuscito, una volta ancora, a rigirare la frittata? Non saprei, ma di sicuro era bravo a farsi compatire da tutti. Quando tra noi c'era qualche dissapore, io, continuamente, mi sentivo ripetere dai miei nonni che lo trattavo male. Secondo loro, la stronza ero io, sempre e comunque. Lui era quello bravo e buono, e io avrei dovuto essere più comprensiva.
Mi aveva isolata da tutti, mi aveva resa perennemente insicura, e, mentre io, alla sera me ne stavo in casa a guardare - La ruota della fortuna - , morendo d'invidia al pensiero che le mie amiche probabilmente erano all'ennesima festa, lui se ne andava, tranquillo e soddisfatto, all'allenamento di calcio con la mia auto. Certo, si era gradualmente impossessato anche di quella. La usava per andare a calcio, al lavoro, e, se si usciva assieme, ovviamente guidava lui. Bella cretina! Non mi bastava cedergli la mia casa e il controllo della mia vita, ora anche l'automobile. L'avevo attesa per anni ed ora era sua, pagata da mia madre al mio ragazzo. Qualche volta, molto raramente, mi assaliva il dubbio che ci fosse qualcosa che non quadrava. Perché lui andava a lavorare in auto e io all'università in autobus? Dopotutto l'auto era la mia... o no?
- Certo che è tua - mi rispondeva lui. - L'assicurazione la paghi tu. -
Già, l'assicurazione la pagavo io, e pagavo anche il biglietto dell'autobus...
Furba come una volpe.


Martedì 3 marzo 1992

Da quando conviviamo, Alberto praticamente non mi vede più.
Se sono davanti allo specchio, a controllare come mi sta il vestito nuovo appena indossato, lui mi fa spostare per ammirarsi i muscoli, e, non contento, continua a dirmi: - Che te ne pare? Niente male, eh? La dieta sta facendo effetto, non ho più un grammo di grasso addosso. Ho fatto bene ad iscrivermi in palestra, guarda che bicipiti! -
In questi momenti mi viene voglia di rovesciargli un secchio di letame addosso, dicendogli: - E come ti dona questo color marrone. Fa pendant con le tue scarpe - .
E invece me ne sto zitta, e quando usciamo, e lo colgo a fare gli occhi dolci a qualche ragazzetta che passa per la strada, lo strangolerei... ma non lo faccio. Mi viene solo una gran tristezza, e mi chiedo dove sia finito, e se ci sia mai stato, quel grande amore che gli faceva avere occhi solo per me.

Eccoci! Siamo finalmente arrivati al punto in cui inizio ad avere qualche piccolo dubbio sul - cavaliere senza macchia e senza paura - , e mi sfiora il pensiero di avere preso un grosso abbaglio scambiando - lucciole per lanterne - e - fischi per fiaschi - , o, più semplicemente, - l'uomo della mia vita per l'uomo che mi ha fottuto la vita - .


Giovedì 5 marzo 1992

Sono mesi che Alberto si lamenta del suo lavoro con Marco, il convivente di mia madre.
- Non vorrei sembrare irriconoscente, ma è una tale fatica lavorare con lui... Mai una volta che mi dia una soddisfazione. Io mi impegno per imparare, faccio ore di straordinario, mi faccio in quattro per parargli il culo quando arriva in ritardo da un cliente, e lui mai che riconosca il mio impegno. Per non parlare poi dello stipendio! Dimmi come posso tirare avanti con le due lire che mi dà. Una volta che ho dato i soldi ai tuoi nonni, ho pagato la benzina, della tua auto oltretutto, e mi sono comprato qualche sciocchezzina, non mi resta più niente! -
Io, che ultimamente faccio un po' fatica a sopportarlo, mi innervosisco subito.
- Primo: va bene che sono una cogliona a lasciarti la mia macchina per fare tutti i cazzi tuoi, ma se ti pagassi anche la benzina sarei ritardata. Secondo: i soldi che dai ai miei non, oltre ad essere una cifra ridicola, servono al tuo mantenimento. Terzo: con le tue - sciocchezzine - ormai hai invaso la nostra camera, non c'è più un cassetto che non sia ricolmo di tuoi vestiti. Quarto: si, sei irriconoscente. Però se ritieni di avere un problema con Marco, dovresti dirlo a lui. -
- Allora tu stai dalla sua parte! Io mi sono sacrificato per te, sono venuto in un'altra città, ho lasciato la mia famiglia e tu mi ripaghi così? Mi hai davvero deluso! Pensavo che mi amassi... -
Ecco, questa è la sua tattica. So che è subdola e squallida, ma funziona. Immancabilmente io mi sento un verme, e finisco per stare dalla sua parte, sempre e comunque. E così, non so quante volte ho finito per litigare con Marco e con mia madre, cercando di proteggere dallo - sfruttamento - il povero Alberto.
Ma ora non dovrò più litigare con Marco perché mio nonno, oggi, ha chiesto ad Alberto di entrare nel suo mobilificio come socio. Proprio così: socio. Non sa neanche tenere in mano un martello e, dal prossimo mese, inizierà a lavorare in una azienda ben avviata, e dal fatturato invidiabile, addirittura come socio. Mio nonno ci ha messo quarant'anni di sacrifici e duro lavoro per raggiungere lo stesso risultato che ora offre a lui su un vassoio d'argento. E questo perché?
- Perché Alberto è un bravo ragazzo! - mi ha risposto quando gliel'ho chiesto.
Quella motivazione non mi sembrava sufficiente, e ho provato a spiegarglielo. - Ma come, nonno! Tu hai fatto debiti su debiti, lavorato sette giorni su sette, hai girato per anni in bicicletta perché non potevi permetterti una macchina... non puoi regalare tutto così, senza nemmeno sapere se Alberto sarà in grado di gestire la cosa. Essere un bravo ragazzo non è sufficiente, sai quanti bravi ragazzi ci sono in giro? Almeno prendilo in prova per un periodo, per renderti conto se merita la tua fiducia. -
Niente da fare, ormai ha deciso. Dice che lo fa anche per me. Con il suo nuovo stipendio infatti, Alberto potrà permettersi di ristrutturare il piano di sotto per fare un mini appartamento per noi due. Lui porterà a casa un lauto stipendio, e io potrò continuare a studiare senza dipendere dai miei genitori. Peccato che, in questo modo, inizierò a dipendere da Alberto...

Questo, me ne sono resa conto solo in seguito, è stato un punto cruciale nella mia storia. Il passaggio di Alberto dal grado di - operaio semplice - a quello di - mega direttore generale con mansioni di comando - è stato l'inizio della fine. Fine della mia idea di aver preso un bravo ragazzo, semplice ed ingenuo. Fine della favola - due cuori e una capanna - . Ormai eravamo due cuori, una capanna e un mobilificio, e presto saremmo diventati un cuore, una capanna e un registratore di cassa, visto e considerato che il suo cuore, ben lungi dal fare il caratteristico - tu-tum - , suonava e trillava solo a sentire il fruscio dei soldi che entravano nelle sue tasche.
Io, nel frattempo, intristivo sempre più.


Lunedì 16 marzo 1992

Sono le 22:45 e io sono in camera, sola. Alberto è all'allenamento e arriverà a momenti.
Sto ascoltando - Ricordati di me - di Venditti e mi è venuta una nostalgia incredibile di Leonardo. È così tanto tempo che non lo vedo, eppure ricordo alla perfezione ogni attimo passato con lui...

Alt! Colpo di scena. Chi è questo misterioso Leonardo, e da dove salta fuori, così, all'improvviso? Ora vi racconto.
Leonardo entrò nella mia vita, per la prima volta, nel 1991, esattamente in gennaio, pochi mesi prima del trasferimento di Alberto a casa mia.
In quel periodo mi stavo dando alla pazza gioia, uscendo quasi tutte le sere, in vista dei momenti bui che sarebbero venuti di lì a poco. Elisabetta mi stava dando una mano, organizzando cene, feste e presentandomi a tutti i suoi numerosi amici. Quel giorno ero reduce da una settimana intensissima: lunedì cinema, mercoledì pizzeria, venerdì discoteca. E quella sera, sabato, eravamo d'accordo per uscire a bere qualcosa in un pub della zona. Dopo cena, Elisabetta mi passò a prendere con la sua scassatissima Fiat 500 e, arrivate sul posto, trovammo ad attenderci una decina di ragazzi che io ancora non conoscevo. Lei iniziò immediatamente a presentarmeli, indicandoli, di volta in volta, con un dito.
- Questa è Simona, lei è Alessandra, poi ci sono Marco, Giorgio, Leonardo... -
Alla parola - Leonardo - il mio cervello smise di funzionare. Lo guardavo inebetita, ipnotizzata dal suo sguardo magnetico e da quel sorrisetto provocante. Ma quanto era bello questo Leonardo! Alto e abbronzato, muscoli ben disegnati ma non troppo evidenti, occhi e capelli neri... Il perfetto prototipo dell'uomo mediterraneo. Ma la sua bellezza era poca cosa, se paragonata alla sua sensualità. Emanava una tale quantità di feromoni da stendere un esercito di donne. Non potevo fare a meno di guardarlo, senza contemporaneamente pensare di strappargli i vestiti di dosso e farmelo, lì, in mezzo a tutti.
- Non si può andare in giro con una faccia come quella e sperare di passare inosservato, se la cerca, porca miseria! - pensai, trattenendomi a fatica dal saltargli addosso.
Elisabetta, notando il mio turbamento, mi lanciò un'occhiata ammonitrice. La guardai anch'io e, in una manciata di secondi, i nostri occhi si scambiarono pochi semplici messaggi.
- Non pensarci nemmeno - disse il suo sguardo severo.
- Perché no? È il mio tipo ideale e tu lo sai... - risposero i miei occhi imploranti.
- Alberto. Ti basta come risposta? - mi fulminò, fissandomi attraverso la sottile fessura delle sue palpebre.
Aveva ragione, come sempre. Abbassai lo sguardo contrita e cercai di togliermelo subito dalla testa, focalizzando il pensiero sul povero Alberto e i suoi innocenti occhi verdi. - Non posso farlo, non posso farlo... - continuavo a ripetermi incessantemente.
Ma Leonardo era sempre lì, davanti a me, e la faccia rosea, da cherubino, di Alberto pian piano svaniva di fronte a quei due occhi neri intensissimi che mi squadravano da capo a piedi. Mi sentivo come Cappuccetto Rosso davanti al lupo, e morivo dalla voglia di farmi mangiare. Non avrei mai voluto tradire Alberto, lui era il mio ragazzo, l'uomo con cui avrei condiviso la vita, ma Leonardo... Leonardo incarnava alla perfezione tutte le mie fantasie erotiche più sfrenate. Era sesso all'ennesima potenza. Era la prima volta che provavo un'attrazione tanto forte per qualcuno e, a peggiorare il tutto, lui continuava a fissarmi con un'espressione inequivocabile.
Mi sedetti al tavolo cercando di ignorarlo, ma, dopo appena cinque minuti, me lo trovai seduto a fianco.
- E così tu sei la famosa Angelica - esordì, sollevando un sopracciglio. - Elisabetta mi aveva detto che eri carina, ma non immaginavo tanto... -
Banale come approccio, ma in quel momento non ero nelle condizioni per rendermene conto appieno, così sorrisi imbarazzata. Lui continuò: - Sei troppo carina per non avere il ragazzo... o sbaglio? -
Sempre più banale, ma chi se ne importava? Era talmente sexy che poteva anche recitarmi l'elenco del telefono e sarei comunque restata, immobile, ad ascoltarlo per ore.
- In effetti il ragazzo ce l'ho... non ti ha detto anche questo Elisabetta? - risposi, arricciando il naso.
- No, non me l'aveva detto... - replicò, continuando a fissarmi. - E questa sera come mai lui non c'è? -
- A dire il vero lui non c'è quasi mai. Abita in un'altra città e ci vediamo raramente... -
Lui strinse gli occhi e si morse il labbro. I suoi denti, bianchissimi, luccicarono per un attimo, e il paragone con il lupo di Cappuccetto Rosso si fece ancora più pertinente. - Un vero peccato... - disse, avvicinandosi a me. Poi, afferrando con delicatezza una ciocca dei miei capelli, aggiunse: - Peccato per lui ovviamente... -
Era bravo, inutile negarlo. Ero certa che avesse eseguito lo stesso copione con decine di altre ragazze, ma in quel momento sembrava che io, per lui, fossi l'unica donna sulla terra.
Dopo un'oretta di corteggiamento più o meno esplicito, le sue avances si fecero più insistenti, e, incoraggiato dal fatto che io non spostavo un attimo lo sguardo dal suo viso, si avvicinò ancora un po' e mi prese la mano, dicendomi che ero una ragazza splendida, bella da mangiare – e rieccoci con Cappuccetto rosso – ed io, che mi chiamo Angelica ma non sono certo una santa, rimasi appiccicata a lui, come una ventosa, per tutta la sera.
Mi dispiace ma non ho potuto fare altrimenti. Posso resistere a una fetta del mio dolce preferito, a fumarmi una sigaretta dopo mangiato, ma ad un ragazzo che rappresenta il mio ideale maschile da quando avevo cinque anni... no, proprio non ci riesco. Non ci riesco adesso e non ci riuscivo allora, neanche per quel tontolone di Alberto.
Finita la serata Leonardo mi chiese se poteva accompagnarmi a casa. Io guardai Elisabetta in cerca di una risposta. Del resto, era o non era lei il mio grillo parlante? Era o non era lei la voce della mia coscienza? Lei, senza dire nulla, scosse semplicemente la testa in segno di diniego, e io mi adeguai alla sua sentenza. Alzai le spalle e inclinai la testa. - Non posso, mi dispiace - dissi a Leonardo. Elisabetta sorrise soddisfatta, ma fu solo per un attimo, perché Leonardo mi raggiunse con due falcate, mi afferrò per un braccio e mi spinse delicatamente nella sua auto.
- Te la porto a casa sana e salva, non preoccuparti - le disse, strizzandole l'occhio.
Io, rimasi talmente stupita che non ebbi nemmeno la forza di oppormi. E, diciamocela tutta, non che ne avessi nemmeno una gran voglia...
- Sei determinato, non c'è che dire... - commentai quando me lo ritrovai a fianco.
Lui avviò l'auto e mi sorrise. - Imparerai presto a conoscermi - disse con voce roca.
Io deglutii, e una familiare sensazione nello stomaco mi disse che Leonardo mi avrebbe causato non pochi guai. Ed infatti, poco dopo, mi ritrovai abbracciata a lui, ferma sul bordo di una strada di campagna, mentre Venditti cantava in sottofondo: - Non c'è sesso senza amore, nessun inganno nessun dolore - .
Ho un ricordo talmente vivido di quella serata che ancora adesso potrei descrivere esattamente il suo vestito, il suo profumo, le cose che ci siamo detti e le sensazioni che provavo. Abbiamo parlato e ci siamo baciati a lungo, ma quando, ad un certo punto, le sue carezze si sono fatte più audaci, la mia coscienza, dopo un lungo letargo, si è risvegliata all'improvviso. Come un fulmine a ciel sereno, il viso triste di Alberto si è affacciato alla mia mente, e io mi sono sentita un verme. A malincuore mi sono staccata da lui e gli ho chiesto di riaccompagnarmi a casa. Leonardo non riusciva a capire questo mio raffreddamento improvviso, ed io non riuscivo a fare a meno di sentirmi terribilmente in colpa con Alberto.
Ma come mi erano piaciuti quei baci... Mi erano piaciuti talmente tanto che, a distanza di un anno, ero ancora lì a rammentarli, sospirando di nostalgia e dandomi della cretina per non averne approfittato quando era il momento. Ma si sa, finché c'è vita c'è speranza, e io allora avevo appena vent'anni...
Angelica Romanin
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