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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Patrizia Rinaldi si è laureata in Filosofia all'Università di Napoli Federico II e ha seguito un corso di specializzazione di scrittura teatrale. Vive a Napoli, dove scrive e si occupa della formazione dei ragazzi grazie ai laboratori di lettura e scrittura, insieme ad Associazioni Onlus operanti nei quartieri cosiddetti "a rischio". Dopo la pubblicazione dei romanzi "Ma già prima di giugno" e "La figlia maschio" è tornata a raccontare la storia di "Blanca", una poliziotta ipovedente da cui è stata tratta una fiction televisiva in sei puntate, che andrà in onda su RAI 1 alla fine di novembre.
Gabriella Genisi è nata nel 1965. Dal 2010 al 2020, racconta le avventure di Lolita Lobosco. La protagonista è un’affascinante commissario donna. Nel 2020, il personaggio da lei creato, ovvero Lolita Lobosco, prende vita e si trasferisce dalla carta al piccolo schermo. In quell’anno iniziano infatti le riprese per la realizzazione di una serie tv che si ispira proprio al suo racconto, prodotta da Luca Zingaretti, che per anni ha vestito a sua volta proprio i panni del Commissario Montalbano. Ad interpretare Lolita, sarà invece l’attrice e moglie proprio di Zingaretti, Luisa Ranieri.
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Manuale di pubblicazione Amazon KDP. Sempre più autori emergenti decidono di pubblicarse il proprio libro in Self su Amazon KDP, ma spesso vengono intimoriti dalle possibili complicazioni tecniche. Questo articolo offre una spiegazione semplice e dettagliata delle procedure da seguire e permette il download di alcun file di esempio, sia per il testo già formattato che per la copertina.
Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Autore: Angela Micieli
Titolo: Luca e Maya tra le parole e il cuore
Genere Letteratura Ragazzi
Lettori 94 1 1
Luca e Maya tra le parole e il cuore
"Il bullismo è un tema che, purtroppo, è diventato una triste realtà di molti giovani, ma raramente viene affrontato con la profondità e la semplicità con cui lo fa Angela Micieli in questo libro. La storia di Luca non è solo la storia di un ragazzo vittima di prepotenze, ma è la storia di tanti, di chi vive nel silenzio e nella paura, sperando che prima o poi la situazione cambi da sola. Ma come ci insegna il percorso del protagonista, l'unico modo per cambiare davvero è parlare, affrontare, confrontarsi. Angela Micieli ci guida con sensibilità e determina-zione attraverso un viaggio che parte dalle sofferenze di Luca, vittima di un gruppo di bulli, ma che diventa, al contempo, un viaggio di speranza e di crescita. Con l'aiuto di Maya, del fratello Marco e della maestra Valle, Luca impara a condividere i suoi problemi, a far emergere le sue emozioni e a non restare più isolato nel suo dolore. Il confronto, lontano dalla violenza e dalla rassegnazione, si rivela essere la chiave per superare la sofferenza. Ma questo libro non è solo per chi vive il bullismo sulla propria pelle. È anche per chi, a volte, non riconosce i propri limiti e le proprie insicurezze, mascherandole con atti di violenza psicologica o fisica. La narrazione ci invita a guardare oltre il comportamento dei bulli, mettendo in luce le loro fragilità e il loro bi-sogno di aiuto. Il messaggio che questo libro vuole trasmettere è chiaro e fondamentale: la vera forza sta nel confronto, nell'aprirsi agli altri e nel riconoscere che chiedere aiuto è un atto di coraggio. Solo così è possibile trasformare la paura in speranza e costruire ponti di comprensione tra chi soffre e chi potrebbe sembrare il suo carnefice. Destinato a un pubblico adolescenziale, questo libro è una lettura necessaria e preziosa per chiunque voglia comprendere l'importanza dell'ascolto e della comunicazione. Perché solo parlando, solo confrontandosi, possiamo realmente affrontare e superare anche le difficoltà più grandi.
Ernesto Bello"

Luca e le scuse per non andare a scuola
Luca, quella mattina, si svegliò più tardi del solito. Fuori, il cielo era grigio e le nuvole sembravano minacciare pioggia in arrivo. Si stiracchiò sotto le coperte e guardò la sveglia sul comodino: le lancette segna-vano già le 7:30. Odiava l'arrivo di un nuovo giorno, quando doveva alzarsi e affrontare una nuova giornata di scuola.
Aveva undici anni, ma la corporatura minuta e gracile, il viso ancora da bambino lo facevano sembrare più piccolo. I suoi capelli castani erano corti e ispidi, gli occhi di un marrone intenso spesso sembravano spenti. Il suo viso aveva un colorito scuro che durante l'estate si accentuava con l'abbronzatura.
Seppur malvolentieri, Luca si alzò. Dopo la toeletta, indossò i jeans con la sua maglietta preferita, quella blu con stampato un dinosauro che sua zia Nadia gli aveva regalato a primavera e si sedette al tavolo della cucina, la colazione lo stava aspettando. Sua mamma era già in piedi e stava preparando le fette biscottate con la marmellata di fragole e il latte caldo.
"Pronto per la scuola, Luca?" chiese la mamma con un sorriso.
Luca scosse la testa:
"Non mi sento tanto bene, mamma. Ho mal di testa e la pancia un po' sottosopra..." provando a essere il più convincente possibile.
La mamma lo guardò con attenzione:
"Luca, non è che vuoi saltare la scuola, vero? Non mi sembra che tu stia così male".
Il tono della sua voce era dolce, anche se un po' diffidente.
Luca guardò il suo piatto vuoto e abbassò lo sguardo.
"Forse ho solo bisogno di un po' di riposo, così poi starò meglio".
Suo padre entrò nella stanza ancora in pigiama, si era appena alzato.
"Luca, che succede? Non hai fame?" chiese con tono preoccupato.
"Niente di grave, papà".
La mamma lo scrutò ancora per un momento, ma dopo una pausa, annuì.
"Va bene, ma se continui a sentirti così, dovrò chiamare il dottore".
Con un piccolo sospiro, Luca si alzò dalla sedia e si avvicinò alla finestra. La pioggia era iniziata a cadere e ciò aumentava il suo senso di sconforto. Non vedeva l'ora che la giornata finisse.
"Mi sento solo... nessuno mi capisce" pensò, mentre guardava la strada bagnata. Ma poi, ripensando alle sue maestre e a cosa avrebbero detto, decise di andare, forse la scuola non sarebbe stata così brutta come temeva. O forse... sì. Come sempre.
Questi pensieri gli fecero cambiare di nuovo idea.

La giornata a casa

Luca, disteso nel letto, avvolto in un caldo plaid, sperava che sua madre non tornasse a controllarlo. Aveva appena messo giù il suo cellulare, dove l'ultimo messaggio di Tommaso, uno dei suoi compagni di classe, ancora lampeggiava sullo schermo.
“Sei un caso perso”.
Ogni mattina sempre lo stesso tormento.
Ogni giorno era la ripetizione di quello precedente: le prese in giro degli altri bambini, le risate, le battute su di lui. E ora c'era anche il peso dei messaggi che continuavano a piovergli addosso.
La scuola non era più un posto dove imparare, dove socializzare, dove stare bene, ma una prigione, una prigione di parole cattive e sguardi che non facevano altro che confermare quello che già pensava: qualcosa in lui non andava, non c'era niente di giusto nel suo modo di essere, nel suo modo di fare.
Non era la prima volta che fingeva di essere malato. Lo aveva già fatto altre volte, quando l'idea di affrontare una nuova giornata lo faceva sentire come se stesse andando incontro a una tempesta. Ma stavolta era peggio del solito. L'angoscia che provava, quel senso di vuoto allo stomaco, sembrava più forte del solito. Non si trattava solo di un malessere fisico, ma di una sensazione di impotenza che lo bloccava, lo paralizzava. Come se la sua esistenza non avesse valore. Come se non ci fosse posto per lui nel mondo.
Il suo corpo, steso nel letto, sembrava diventare sempre più pesante, sempre più ingombrante. Più cercava di concentrarsi su qualcosa di diverso, di piacevole, più la mente gli andava verso quei momenti a scuola. Non riusciva a vedere una via d'uscita.
A volte si chiedeva se gli altri bambini lo vedevano come lui vedeva se stesso. Un peso, una presenza inutile, insignificante.
Ogni volta che un compagno lo guardava, Luca si chiedeva:
“Come mi vede? Cosa pensa di me?”.
Quelle domande gli ronzavano nella testa, senza risposta.
Il suo telefono vibrò sul comodino. Un altro messaggio.
“Sei un perdente, Luca. Come fai a essere così stupido?”.
Il cuore di Luca si fermò per un attimo. Eppure, aveva imparato a ignorarli. O almeno, così pensava.
Un altro messaggio arrivò subito dopo:
“Non ti vergogni? Sei un incapace. Se tu non venissi più a scuola sarebbe meglio per tutti”.
Luca sentì il respiro farsi più corto, come se quelle parole gli stessero togliendo l'aria. Quelle frasi non erano solo parole, erano frecce, colpi diretti al suo piccolo cuore che non riusciva più a difendersi. Ogni volta che un nuovo messaggio arrivava, Luca sentiva crescere dentro di sé un senso di impotenza che lo rendeva incapace di reagire. E il suo umore diventava sempre più cupo, come se una nebbia invisibile calasse su di lui.
Si sentiva come se fosse colpa sua.
Gli occhi si riempirono di lacrime che cercò di ferma-re, ma spingevano troppo forte per essere trattenute.
Il pomeriggio scivolò via lento e monotono. La casa era silenziosa, tranne per il ticchettio dell'orologio e il rumore delle gocce di pioggia che battevano contro la finestra. Luca non riusciva a concentrarsi su nulla. Si girava nel letto, cercando di trovare una posizione comoda, ma il pensiero di quello che stava accadendo a scuola non lo abbandonava.
"Perché devo sempre sentirmi così?" si chiese.
A volte come se fosse invisibile, come se non esistesse, altre volte, invece, esposto come in una vetrina, dove tutti potevano vederlo, ma solo per prenderlo in giro.
Sua madre passò dalla stanza poco prima di cena, guardandolo con attenzione.
"Sei sicuro di non voler mangiare qualcosa? Un po'di minestra, almeno!".
Luca scosse la testa. Non aveva fame. Non aveva mai voglia di mangiare quando si sentiva così.
“Luca, tesoro, se vuoi parlare, io sono qui”.
Luca sentì una fitta nel petto. Per un attimo pensò di confidarsi con lei, ma la paura e la vergogna lo fermarono. Come avrebbe potuto spiegarle cosa stava succedendo a scuola? Come avrebbe potuto raccontarle dei ragazzi che lo avevano chiamato “diverso” o di quelli che, pur senza dirlo, lo facevano sentire come se fosse uno sbaglio?
“Va tutto bene, mamma, davvero”.
Quando la vide uscire dalla stanza, si sentì ancora più solo. Si girò nel letto e chiuse gli occhi, sperava che almeno arrivasse il sonno a dargli un po' di sollievo.
La relazione con suo padre era ancora più difficile. Lui era un tipo pratico, risoluto, poco incline a mostrare affetto. Gli ripeteva in continuazione di affrontare la vita con più grinta, di non farsi abbattere, ma Luca non riusciva a trovare il coraggio di dirgli che quelle parole, per lui, non significavano nulla. Le percepiva quasi come un ordine ed esprimevano solo freddezza. Non gli chiedeva mai come si sentisse, non c'erano mai state parole di conforto, solo soluzioni. E, per di più, imposte.
La verità, però, era che non sapeva come chiedere aiuto, non sapeva come aprirsi.
Sua madre entrò di nuovo per portargli una tazza di latte caldo, ma Luca fece finta di dormire. Non aveva voglia di parlare.
Fissava lo schermo nero del televisore spento, mentre il latte si raffreddava nella ciotola sul comodino.

Sentì la voce di Marco nell'ingresso di casa:
“Mamma, è pronta la cena? Ho una fame che non ci vedo”
“Sì, è pronto. Chiama tuo padre” rispose lei.
Come un corpo estraneo, sempre più emarginato, Luca si lasciò finalmente andare al sonno, come se quello fosse l'unico rifugio possibile.
Angela Micieli
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