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Writer Officina Blog
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Manuale di pubblicazione Amazon KDP. Sempre più autori
emergenti decidono di pubblicarse il proprio libro in Self su Amazon KDP,
ma spesso vengono intimoriti dalle possibili complicazioni tecniche. Questo
articolo offre una spiegazione semplice e dettagliata delle procedure da
seguire e permette il download di alcun file di esempio, sia per il testo
già formattato che per la copertina. |

Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto
di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da
un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici,
dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere
derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie
capacità senza la necessità di un partner, identificato nella
figura di un Editore. |

Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori,
arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel
DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti
di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli
della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle
favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia. |
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L'Ombra di Hastlevain
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I ninja Yuurei (Volume I).
Ombre
Era una notte come tante sull'isola orientale di Edom, solitario fiore di terra che sbocciava nel bel mezzo dell'immenso oceano Namiko. Era una di quelle notti quiete e fragili, dove l'assenza della luna rendeva gioco facile alle menti ingannevoli e meschine della gente cospiratrice, in cui l'odore di intrighi sbocciava silenzioso, infestando l'aria e diramandosi tra i vicoli più bui delle città. Vero protagonista di quell'oscuro panorama, tuttavia, non era il maestoso albero secolare del villaggio di Eoen, le pagode dei Giganti che svettavano a nord come fortezze o il profilo lucente delle Montagne di Vetro, ma la dimora di uno dei tanti signori benestanti che vivevano nella regione centrale di Saroko, presso la città di Sabisi, stagliata con presunzione nel lugubre vuoto al di sopra dei sobborghi. A dispetto di quanto si sarebbe potuto pensare era una struttura piuttosto semplice e priva di sfarzo, nonostante le dimensioni e la posizione sopraelevata le avessero conferito una certa notorietà nel tempo. Il signore che ci viveva godeva di buona fama, eppure non pochi erano coloro che vociferavano di favoritismi e affari “particolari” allacciati con molti nobili di alto rango. Di fatto, si trattava dell'unico abbiente che soverchiava il quartiere. Due ombre sfuggirono all'attenzione di un paio di guardie appostate all'ingresso, agiate in un gradevole torpore innaturale: due ombre fugaci e abbracciate dal colore della notte, rapide e leggere come un guizzo d'aria primaverile. Con la flemma di un agile felino arrivarono sul muro di cinta e con l'aiuto di un pratico rampino si spinsero fino al tetto senza lasciare traccia del loro passaggio. La notte proseguì nel silenzio totale, una fallace quiete spezzata solamente dal canto di qualche grillo. Le ombre si destreggiarono in uno stretto passaggio del sottotetto, trascinandosi come serpi, e infine raggiunsero la meta designata sparendo nel buio.
*
All'interno dell'edificio una delle due figure si fermò in posizione rannicchiata, mentre l'altra si spinse più avanti, calandosi abilmente dal claustrofobico passaggio. Ben presto si ritrovò in uno spazio angusto e privo di luce, in cui aleggiavano odori viziati di muffa e umidità: pochi rivoli d'aria fresca filtravano a fatica tra gli interstizi delle legnose pareti, le cui assi erano state assemblate in modo irregolare. Lo stanzino era fin troppo spoglio per appartenere alla casa di un benestante, con un unico mobile dalle ante tarlate e che puzzava di un acido dolciastro accostato malamente in un angolo. Ogni oggetto era coperto dalla polvere e sia il pavimento di legno che il soffitto erano marci, con una gobba centrale sorretta alla buona da alcune travi trasversali. Le pareti, invece, erano composte per lo più da pietre sbozzate: in alto, sul lato sinistro, delineavano una fessura artificiale non molto grande e di forma rettangolare, il sotto tetto da cui l'ombra si era appena calata, mentre a nord si affacciava una minuta porticina di tela a scorrimento, il cui scheletro di legno era ancora più malconcio. “Pensavo che tutti i nobili si trattassero come presunti Dei” pensò sarcasticamente l'ombra. In quello spazio buio e soffocante, appena sufficiente a contenere due o tre persone, l'ombra avanzava con la certezza di poter raggiungere il suo scopo in modo estremamente semplice. Il suo sguardo dagli occhi blu, proprio di una giovane sulla ventina d'anni, era serio e immobile, i muscoli rilassati e dettati da movimenti precisi e minuziosamente studiati, le ginocchia appena flesse e il busto chino in avanti. Così procedeva Yura, in una determinazione del tutto naturale, come l'ombra di una fiera mentre caccia la sua preda. Coerenza e abilità innate erano le caratteristiche predominanti in lei: chi la conosceva e chi la guardava provava ammirazione o soggezione, rispetto o invidia. Poiché era capace e talvolta temuta, nessuno osava mettere in discussione la maestria con cui si destreggiava nelle missioni che le venivano assegnate, missioni in cui non era consentito commettere errori: ogni azione doveva essere soppesata ed eseguita alla perfezione. Nonostante questo, per lei stava iniziando a diventare tutto troppo facile, un lavoro che ostentava giudicare “da principianti”, e quella missione in fondo lo era. Yura mantenne il respiro sottile e tranquillo e procedette verso la porta con passo lento e curato, senza fare rumore: le suole forate dei tabi l'aiutavano ad attutire ogni suono. Le assi di legno erano vecchie e scricchiolanti, ma il merito del suo silenzio non era solo delle calzature: la ragazza era in grado di ovviare al problema adattandosi alle inclinazioni del terreno e al materiale che lo componeva. Mutava il proprio equilibrio, appoggiava prima il tallone e poi la pianta del piede, altrimenti procedeva con leggiadria alzandosi sulle sole punte, come se quella intrapresa fosse una danza del silenzio: nuki ashi, yoko aruki, kakizami ashi... solo alcuni tra gli aruki, le tecniche di passo utilizzate nel ninjutsu. Anche se buio riusciva a distinguere le sagome di ciò che la circondava ed evitava di camminare sulle assi più malconce. Inoltre, grazie alle esplorazioni precedenti e all'aiuto dei messaggeri del Clan, conosceva già da tempo quello stanzino e l'esatta posizione della sua meta: si trattava di un foro praticato con uno shikoro -una speciale sega circolare- nella membrana che ricopriva la porta. Sei, sette, dieci passi impalpabili come l'aria ed era lì, china su se stessa ad osservarlo. Avvicinò un occhio e ci guardò attraverso: il suo autocontrollo era così sviluppato da permetterle di mantenere assoluta stabilità per tutto il tempo che desiderava. Per agevolare la posizione si abbassò fino a toccare il suolo con il ginocchio e iniziò a trafficare nella tasca interna della giacca nera che indossava, il Gi, senza mai distogliere lo sguardo dalla fessura. In quel momento il silenzio venne improvvisamente spezzato da un unico rumore, un gutturale ronfo che proveniva dalla stanza oltre la porta. Yura tirò fuori un sottile tubo di legno, simile a una canna di bambù non molto lunga, e con la mano sinistra prese, dal sacchettino appeso alla cintura, un piccolo contenitore di legno stappandone la parte superiore con cura. Lo posò sul pavimento e infine, da un altro sacchettino, prese un lucente e sottile ago con un filo attaccato all'estremità, iniziando a legarlo pazientemente al fondo della canna. Terminata l'operazione prese l'ago tra l'indice e il pollice, avvicinò un'estremità al contenitore per inserirlo nel liquido spesso e vischioso al suo interno -che puzzava di resina e qualche strana erba amara- e, lentamente e con mano ferma, spinse il piccolo strumento sino a ricoprirlo di liquido per più di metà, avendo cura di non lasciarne cadere nemmeno una goccia. Concluse il lavoretto quando inserì l'ago imbevuto di veleno nell'imboccatura della cerbottana: tutto accadde velocemente, i movimenti della ragazza erano precisi e consapevoli. Tornò ad osservare attraverso il buco e si concesse un secondo di pausa, che spese per rilassarsi completamente e liberare la mente da ogni pensiero. Poi alzò la cerbottana e l'accostò alle labbra: gli occhi intensi e blu superavano le ombre, valicavano il buio per intercettare, senza problema alcuno, l'esatta posizione della vittima che giaceva ignara, immedesimata in un sogno di giochi intimi e risate cristalline. Il russare si fece mano a mano meno intenso e Yura riconobbe subito quel tipo di ritmo, quel respiro quieto e proprio di chi si trova profondamente addormentato. L'estremità inferiore della canna fu sospinta appena oltre il foro della porta e, dopo un istante di quieta esitazione, la ragazza soffiò con un unico e deciso colpo d'aria. L'ago schizzò verso l'uomo, che si trovava sdraiato nel letto a poco più di un metro di distanza, ficcandosi in una grossa vena segnata sul suo collo. Yura, con sveltezza, levò indietro la mano che tratteneva lo strumento di morte e tirò il sottile filo per raccogliere con un fazzoletto l'ago dal foro. La cerbottana tornò al sicuro all'interno della giacca, poi richiuse la boccetta di veleno e la ripose con cura prima di volgere un'ultima occhiata alla sua vittima: il corpo dell'uomo era rigido ma scosso da deboli spasmi. Il veleno aveva svolto il suo dovere con rapidità e, con lui, anche Yura. “Un mese di preparazione per un istante”, pensò. Girò i talloni e si mosse furtivamente così com'era arrivata. L'odore di chiuso e la mancanza d'aria non le davano più fastidio: come ogni altro ninja era una guerriera preparata, in grado di adattarsi in fretta agli ambienti più disparati. Altri passi la portarono sul lato nord, dove si trovava il passaggio, e improvvisamente sbucò un altro volto: questa volta era di parvenza maschile ed era coperto anche lui da una maschera di stoffa nera sin sopra il naso. Lo sguardo era severo, la stessa espressione che campeggiava sul volto di Yura. Lei lo guardò annuendo in un semplice cenno, poi spiccò un agile balzo e sollevò le braccia in aria, afferrando con le dita il bordo della protuberanza pietrosa. Senza fatica né fretta, nonostante la naturale rapidità dei movimenti, si issò a raggiungere il condotto per trascinarsi al suo interno, seguendo l'altra ombra come una serpe e scivolando verso un buio ancora più nero. In qualche istante scomparve e con lei il giovane che l'aveva accompagnata e osservata per tutto il tempo. Non lasciarono traccia alcuna della loro venuta, né lasciarono incompiuto il loro dovere. Come sempre, del resto.
Yura
Nello spazio aperto il cielo si estendeva per miglia e miglia in un'unica tonalità di nero, ma le sfumature chiare all'orizzonte segnavano un netto distacco, una linea violacea che si allungava a perdita d'occhio: era come se, laggiù in quel punto, si trovasse un mondo separato, differente e irraggiungibile, perennemente rischiarato da un alone paradisiaco. L'aria, nonostante fosse estate, era frizzantina e portava con sé i profumi di bosco, fiori e frutta appena maturata: un odore forte ma dolce simile a quello dell'Osmanto Odoroso, che permeava ogni angolo della macchia boschiva sorgente di lì a pochi metri. Il villaggio di Eoen, situato a nord-ovest della boscaglia, non era altro che un insieme di abitazioni, magazzini e provvisorie tende ammassate insieme. C'erano anche alcune casette di mura il cui tetto era formato da assi di legno ricoperte di paglia e al centro del villaggio troneggiava un'enorme pira, sostenuta da innumerevoli pali e da una muraglia. Yura stava riposando all'interno della tenda più grande fra quelle presenti, la cui cima ospitava una punta acuminata come quella di una lancia. Attorno alla sua base, una decina di amuleti di carta e sassi piatti e perfettamente smussati erano stati piazzati a distanze regolari a mo' di porta fortuna. La ragazza era seduta di fronte a un tavolino quasi rasente al suolo, teneva le mani appoggiate sulle cosce e il capo chino, con i lunghi capelli scarlatti che le scendevano davanti; restava in silenzio, ascoltando l'uomo che era seduto, come lei, dall'altra parte. A differenza della ragazza, però, manteneva il volto sollevato: un viso dai connotati severi e sulla quarantina d'anni. Aveva il capo avvolto in un aderente cappuccio e le sopracciglia folte e scure, la fronte tracciata da qualche sottile ruga, la pelle di un colore ancora vivido e bronzeo e il taglio degli occhi -di un bel nocciola intenso- era stretto e affilato, caratteristica comune e inconfondibile di un orientale nativo dell'isola. La guardò restando immobile. «Hai svolto bene il tuo lavoro. D'altra parte, il signor Takama viveva da solo se si escludono le sue guardie... immagino non ci siano stati problemi a superarle.» Yura annuì e alzò i suoi occhi blu verso quelli marroni dell'uomo; prima di rispondergli temporeggiò per qualche istante. «Infatti. Non abbiamo trovato ostacoli e come previsto le guardie erano troppo impegnate a sonnecchiare per accorgersi di noi. Sarei potuta benissimo andare da sola... Kuro era una presenza non necessaria per una missione così elementare» fece con un sommesso sospiro. L'uomo trasse a sua volta un sospiro e appoggiò le sue mani sopra il tavolo, massaggiandosele. La sua fronte si corrugò ulteriormente e l'espressione si fece meditabonda; solo dopo un po' riprese con un tono che aveva un che di colpevole. «Lo so, Yura, ma ho i miei motivi. Inoltre, finché non saremo riaccettati ad Heian -semmai questo avverrà-, siamo comunque costretti a sottostare al volere del Raurhu e a fare quel che possiamo con i ninja che ci sono rimasti. Sai bene che cosa è successo» le ricordò «e abbiamo bisogno di denaro; ci è andata già piuttosto bene, visto che potevamo finire nell'olio bollente.» Yura strinse appena le mani e alzò il volto con un leggero guizzo. «La verità non potrà rimanere nascosta ancora a lungo. Un giorno torneremo a Heian, lo so, ma tutta questa impotenza mi sta divorando... siamo ninja professionisti. Com'è possibile che siamo finiti così stupidamente in que-?» Quando notò l'espressione di Hayate farsi ancora più rigida, Yura s'interruppe di colpo. Era un'espressione che non si poteva contraddire e che solitamente prometteva un castigo. Yura si ricompose, chinò il capo e tornò a fissare le proprie mani. Seguì un lungo silenzio, non imbarazzante ma colmo di tensione. Hayate era uno dei pochi in grado di metterla in profonda soggezione e, all'interno del suo Clan, non aveva problemi nel farsi rispettare (e ammirare) nel ruolo di Jonin. Era il tipo di uomo risoluto e valoroso, quieto e severo, un uomo dal polso di ferro convinto, sempre e comunque, di raggiungere i propri obiettivi. «Kuro può restare qui» disse Yura con voce calma, ma senza lasciare alcuna traccia della tensione provata un attimo prima «le missioni di Kaotama sono per Genin, forse addirittura per Iniziati. Ne basta uno.» «...Comprendo» dichiarò il maestro con tono basso. Lasciò trascorrere alcuni istanti di silenzio, poi cambiò argomento «ah, prima che me ne dimentichi: voglio che riferisci a Cuore Alato che ci dovrà essere anche lui, all'esame delle Reclute di questo pomeriggio. Inoltre andrete tutti e due a Kondo e mi procurerete ciò che ho scritto su questa lista» disse tirando fuori un pezzetto di carta di riso, passandolo a Yura. Lei lo prese fra le dita e lo lesse con una sola occhiata. «Nessun problema. Partiremo subito, così non rischieremo di arrivare in ritardo all'esame... vado a chiamarlo.» Con quelle ultime parole si alzò agilmente in piedi, voltandosi alla svelta e iniziando ad avviarsi verso l'uscita della tenda. Hayate la chiamò prima che sparisse. «Yura...» La ragazza si voltò composta, lo sguardo serio e imperscrutabile. Ascoltò immobile il maestro. «Yura, Heian è casa nostra. Tu però sai meglio di me che la pazienza è una delle armi vincenti di un ninja. Non sentirti umiliata, non lo è nessuno di noi. Vai ora, vai a Kondo e approfittane per scaricare un po' della tensione accumulata. Evita di pensare oltre, l'autocontrollo è facilmente sensibile agli avvenimenti e ai mutamenti.» Yura colse in pieno il significato di quelle parole; fece un unico inchino prima di voltarsi e uscire, silenziosa e svelta come se si trovasse ancora coinvolta nella missione.
*
Nel villaggio di Eoen iniziavano a udirsi rumori di martellate e di ruote di carro, segno che i suoi abitanti stavano già incominciando dei lavori. Dopo l'esilio da Heian avevano dovuto ricostruire tutto da capo, reinventare l'organizzazione e lo spazio, che era decisamente ridotto rispetto a quello di cui avevano goduto in passato. Tuttavia, nonostante il passaggio fosse stato inizialmente vissuto come un trauma, i ninja Yuurei stavano iniziando ad abituarsi e ad amare il loro bosco che, in quanto a sicurezza, non era da meno rispetto ai monti, alla boscaglia e ai passaggi sotterranei della bella e antica città di Heian. A Heian però erano nati e cresciuti, per non dire che avevano potuto vantare di una certa posizione e di alleanze potenti, cose che avevano in gran parte perduto dopo il giorno dell'incidente. La ragazza scrollò il capo cercando di non pensarci, muovendosi più in fretta che poté lungo le numerose stradine che si diramavano tra le strutture in costruzione, dal tipico stile orientale; diverse lanterne di pietra delineavano i cammini principali e qualche pozza d'acqua punteggiava, qua e là, le zone più verdi. In generale l'aspetto non era molto omogeneo, ma tutto era praticamente provvisorio e così nessuno badava troppo allo stile. C'erano anche una taverna e alcune botteghe, c'era la fucina del fabbro, l'armeria, il sarto, il macellaio, i contadini, le stalle e un orto dove stavano crescendo delle verdure e dei cereali. Si poteva dire che, nonostante tutto, non mancasse nulla di veramente importante e comunque la foresta offriva anche dell'ottima selvaggina. La ragazza passò alcune tende finché non sopraggiunse innanzi a una decorata da una grande stella rossa, simbolo dei ninja guaritori. «Cuore Alato?» chiamò. Non ricevendo alcuna risposta chiamò di nuovo e, quando provò a schiudere la tenda, vide un bigliettino appeso al laccio esterno, che teneva chiuso l'ingresso. Lo prese e lo lesse: ”Sono in turno di guardia alla Stella, camminamento 3b a ovest, nona torretta”. Yura rimise il bigliettino al suo posto e, senza perdere altro tempo, si diresse con una leggera corsa verso la foresta che circondava Eoen, dove i floridi cespugli celavano quelle che, in realtà, erano piccole grotte sbozzate nelle rocce, covi o magazzini segreti. Gli alberi, dai rami fitti e intricati, facevano da sostegno a molteplici ponti e camminamenti di legno che si ricollegavano a numerose torri di vedetta. Tutto era invisibile all'occhio di un comune straniero, poiché ogni cosa era perfettamente camuffata: solo i ninja abitanti del villaggio di Eoen -che si erano imposti nel bosco utilizzando la natura stessa per confondersi- conoscevano ogni segreto. All'occhio ignaro non c'era altro che un dedalo di vegetazione ingarbugliata, di ogni tonalità di verde e marrone, che impediva di addentrarsi nel cuore della foresta; sfumature chiare si alternavano a macchie scure e, di tanto in tanto, qualche fiore colorito punteggiava il panorama di tinte vivaci: non sarebbe stato strano se fossero stati posizionati di proposito per simboleggiare un linguaggio in codice ben preciso. La fitta rete di camminamenti e torrette partiva, in realtà, da un punto ben preciso: al centro della foresta troneggiava infatti un immenso albero secolare, un misto tra una sequoia e un tiglio gigantesco. Il suo era un tronco spropositato e immortale, rivestito da una corteccia scagliosa e dura. Ognuna delle vie che si diramavano in più direzioni confinava con le torri, innalzate in punti ben precisi e a distanze regolari, tutte collegate fra di loro; da lì si poteva controllare quasi ogni zona del territorio e proprio per questo veniva appostato almeno un ninja per parte, in ognuna delle ventiquattro ore del giorno. Yura tagliò rapida verso sud-est, raggiungendo una delle postazioni di vedetta. A fare da guardia era una donna alta e molto magra, con lo stesso abito nero che indossavano i ninja in missione, chiamato shozoku o shinobi-fuku. Quando vide la ragazza in avvicinamento le mostrò riverenza con un inchino. «Chunin delle Ombre» l'appellò, usando la carica che occupava nel Clan. Tuttavia, Yura non si soffermò oltre e si limitò a ricambiare con un formale cenno del capo. «Continua pure, Kunoichi Miako. Se mi cercano, sono nei pressi della nona torretta.» Quando concluse, la sua voce era già lontana. L'altra donna osservò la sua sagoma sparire oltre le fronde prima di tornare a vigilare. Sul proprio cammino Yura incontrò altri compagni e fece un rapido gesto di saluto al prossimo ninja di guardia prima di soffermarsi davanti a una corda che penzolava dall'alto: una liana fibrosa annodata intorno a uno dei mastodontici rami. La sequoia vantava un tetto di foglie ampio quanto tutto il bosco grazie ai bracci nodosi che si propagavano, proteggendo il villaggio come una madre premurosa. A Eoen -ma anche in tutta la regione di Saroko- era così chiamata “La Stella del Bosco”, poiché questo sembrava se vista dall'alto: una stella piazzata al centro dell'area, che con i suoi rami guidava gli abitanti in tutti i punti cardinali. Bastava semplicemente seguirne uno per raggiungere una determinata zona e solo i ninja sapevano come distinguerli oltre la frangia di foglie che scendeva dall'alto. Yura afferrò la liana e con agilità iniziò a risalirla, sparendo poco dopo tra un folto cespuglio di foglie verdi. Riaffiorò pochi istanti dopo dando l'apparenza di camminare tra le stesse, invece i suoi piedi appoggiavano su un ponticello di legno e cordame ben nascosto e sorvegliato da due ninja seduti. Yura salutò anche loro e alla fine riconobbe la figura del compagno e amico, Cuore Alato: era un ragazzo abbastanza alto e magro, con occhi e capelli scuri. La sua carnagione lattea dava risalto alle labbra rosse e carnose e la corporatura, per quanto esile, era ben modellata. Era vestito anche lui alla maniera dei ninja, con lo shozoku trattenuto in vita da una cintura e le maniche larghe fino ai gomiti, strette solo sul resto del braccio. Anche i comodi pantaloni si restringevano solo da sotto il ginocchio in giù, finendo all'interno degli stivali tabi, le calzature che dividevano l'alluce dal resto delle dita. A differenza delle altre uniformi, però, la sua portava un segno circolare bianco il cui interno era occupato da una stella rossa. Questo simbolo indicava il suo ruolo nel Clan: un Genin della Guarigione, un guerriero specializzando in medicina, veleni, erbe, unguenti e polveri esplosive. Quando la vide arrivare, Cuore Alato si alzò immediatamente ed esibì un veloce inchino. «Yura! Che piacere vederti qui» la salutò, gentile come sapeva sempre essere «non eri in missione?» La ragazza si fermò a pochi passi da lui, guardandolo attenta. Scosse piano il capo ed emise un leggero sospiro. «È stata conclusa, ma non parliamone adesso. Hayate mi ha detto di riferirti che all'esame delle Reclute di questo pomeriggio ti vuole presente.» «Co-come?» esclamò titubante «perché?! Non dovrò mica riaffrontarlo» fece con chiara ironia, il tono di voce intimidito e lo sguardo imbarazzato. Yura si era spesso chiesta che cosa ci facesse uno come lui in quel Clan. Il ruolo del ramo della Guarigione era impegnativo seppur non fosse pericoloso tanto quanto quello delle Ombre, visto che non veniva mai impiegato in prima linea: di solito un ninja della Guarigione rimaneva nascosto o al riparo in precisi punti strategici. Il suo compito era principalmente quello di curare i feriti e fornire la squadra di veleni e preparati di vario tipo, cosa che richiedeva una certa esperienza: era sì necessario studiare moltissimo e costantemente, ma anche girare per le città e i boschi rigogliosi in cerca di novità, unguenti ed erbe mediche e terapeutiche era altrettanto importante, forse persino più dell'addestramento nelle arti marziali. Naturalmente la conoscenza di tecniche di combattimento e infiltrazione erano comunque indispensabili, poiché conoscere le ultime scoperte dei Sacerdoti e degli studiosi significava spesso doversi intrufolare nelle scuole o nei prestigiosi centri d'aggiornamento in città e magari stordire le guardie o addirittura prenderne il posto; anche nascondersi in qualche castello richiedeva una certa padronanza delle tecniche d'infiltrazione. Tuttavia, i Guaritori non erano un corpo prevalentemente guerriero come quello delle Ombre, anche se Hayate ricordava sempre che un ninja doveva avere una buona conoscenza su tutti gli argomenti più importanti e utili alle missioni. Anche per questo motivo aveva deciso di accorpare il ramo della Guarigione con quello dei Veleni, un tempo divisi, anche se c'era chi preferiva specializzarsi nell'assassinio, chi nell'infiltrazione, o chi era moderatamente dotato in tutto. «Certo che no!» gli disse poi Yura «non mi ha spiegato i motivi del perché ti vuole... forse ti ha scelto in sostituzione di qualcuno che non può venire. Non preoccuparti» la ragazza sorrise e assunse un tono rassicurante «non hai proprio nulla da temere. Ah... mi ha anche detto di andare a Kondo con te e di comprargli un po' di cose... sarà meglio affrettarci; dobbiamo cambiarci e prelevare del denaro dalla tesoriera.» Per gli acquisti di Clan disponevano di una tesoriera, che dopo l'esilio si era drasticamente impoverita, e per prelevare era necessario sbrigare qualche piccola pratica burocratica, così che il tesoriere potesse avere tutto sotto controllo. Cuore Alato aveva lo sguardo un po' sorpreso, ma iniziò a muoversi insieme a Yura senza nulla da ridire, lasciando che un altro ninja lo sostituisse nella guardia. «Senti, già che andiamo fin laggiù, che ne dici se... ecco, che ne dici se ti offro la colazione?» «Perché no; accetto molto volentieri» Yura gli sorrise benevola, le labbra strette in un taglio sereno. Adorava la sua innocenza, la sua purezza d'animo e quella sorta di dolcezza che lo rendevano indifeso quasi come un bambino, anche se era consapevole del fatto che si trattassero pur sempre di caratteristiche non proprio adeguate per un ninja. I suoi gesti le facevano tenerezza, come il tremolio delle mani ogni qual volta che le si rivolgeva o lo sguardo sfuggente e imbarazzato che cercava di non incontrare il suo. Era chiuso in un guscio e in un mondo proprio, dove ad essere invitate erano solo poche persone, specialmente lei, Yura: la sua migliore amica. Diceva di avere vergogna di qualsiasi cosa, per questo alle riunioni non partecipava quasi mai e, quando veniva interpellato, si limitava a poche parole, perché aveva paura di dire qualcosa di sbagliato. Temeva in modo esagerato di poter fare la figura dell'imbecille, di diventare lo zimbello del villaggio e di non essere mai accettato dagli altri, anche se, comportandosi in modo così impacciato, alla fine era proprio ciò che per contro otteneva. Era lui stesso ad allontanarsi e allontanare, fino a che non si era isolato in pochi interessi, come quello che nutriva per la medicina e gli unguenti. Non solo faceva da supporto ai Chunin Guaritori nelle cure, ma era anche in grado di preparare potenti veleni e preparati dalle più svariate funzioni, anche se il suo nuovo desiderio era quello di iniziare gli studi per usare la polvere pirica e creare bombe esplosive. Tuttavia, la polvere ottenuta dalle rocce Momba di cui la zona era ricca era materia di studio riservata al grado di Chunin, quindi non avrebbe potuto iniziare finché non lo fosse diventato. Hayate era preoccupato di questo suo carattere, ritenendolo un miscuglio di fragilità e insicurezze che lo rendevano debole alla vita quotidiana, senza contare che non era propedeutico per una promozione del grado. Spesso lo rimproverava con durezza, ma il suo era un modo personale di spronarlo: tentava con insuccesso di aprire in lui una strada basata su certezze, di infondergli coraggio e determinazione. Cuore Alato, però, inizialmente si era erroneamente messo in testa l'idea che il Jonin non lo sopportasse e dopo i suoi rimproveri si rifugiava sempre da qualche parte, versando lacrime per questo suo carattere immutabile o sfogandosi con Yura. Poco dopo, i due scesero dai camminamenti gettandosi con un salto nel folto, atterrando ai piedi della Sequoia madre. Si dilungarono in un religioso inchino, poi si avviarono verso l'interno del villaggio seguendo la strada a memoria, abituati a destreggiarsi senza mai perdersi nel labirinto di alberi. |
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