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Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Miran Bax
Titolo: Notte isterica
Genere Giallo Cronaca
Lettori 633 1
Notte isterica
Alla finestra.

Passo tutto il tempo che riesco alla finestra. Quando ho finito i mestieri di casa e non vado a passeggiare, me ne sto davanti alla finestra. Leggo e pulisco le mie marionette, sul tavolino vicino alla finestra, e da quella finestra ho visto tutto. C'era un sacco di gente in strada e tutti gridavano: bruciamo tutto e qualcuno aveva lanciato delle bombe incendiarie e altri appiccavano il fuoco e le fiamme andavano alte nel cielo e le sentivo scoppiettare. Il fumo era nero e denso e saliva gonfiandosi e mischiandosi alle nuvole. Era spaventoso. Io ho visto ogni cosa e volevo chiamare mio padre ma non riuscivo a urlare e nemmeno a muovermi e guardavo quei barbari assalire il campo nomadi mentre tutto continuava a bruciare.
Adesso ho paura di uscire anche di giorno ma non posso dirlo ad alta voce.
«Vai a passeggio e non perdere le buone abitudini che non ti succede niente», s'incavola mia madre e a me fa rabbia perché non mi capisce: «Mamma, come faccio a stare tranquilla dopo quello che è successo?»
E allora esplode il finimondo e lei comincia a urlare e ad agitare la mano destra verso il cielo: «Adesso il quartiere è più sicuro di prima. Vai fuori e smettila di preoccuparti per niente».
Però io non sono tranquilla, lei parla perché non ha visto niente e ha solo sentito quello che le ho raccontato io e quello che le hanno riferito le amiche e i vicini di casa. E allora mi sento offesa e mi arrabbio e provo a farle capire come stanno le cose veramente: «Tu parli solo perché non hai visto niente, perché te la dormivi della grossa e poi al mattino ti sei svegliata bella riposata ed era tutto come gli altri giorni», urlo più forte che posso. Ma lei niente, non ci arriva, e riprende a starnazzare: «Ma che ti credi? Guarda che li leggo i giornali e ascolto anche le notizie in televisione e ti assicuro che al mondo succedono cose ben più gravi».
«Ma come fai a dire così? Non t'importa se uccidono la gente sotto casa? Che male avevano fatto quei poveracci? Sei un'insensibile», strillo e me ne vado nella mia stanza.
Lei non sa niente, ma io ho visto tutto mentre dormiva, lei, mia madre, e io ho paura perché non ho fatto niente e nemmeno quei poveracci che vivevano nelle baracche avevano fatto niente di male, e allora tutta questa violenza è gratuita e io non lo so se posso stare tranquilla. E se un giorno do fastidio a qualcuno? Magari solo perché non gli piace come mi vesto? E se pensano che ho dei brutti capelli? Come si può andare in giro tranquilli se non puoi essere sicura di niente? E invece di darmi risposte, cosa fa mia mamma quando le spiattello queste domande? Niente, non fa assolutamente niente, semplicemente cambia stanza e chiusa la questione.

Adesso sono sola in camera mia e vorrei guardare fuori dalla finestra ma ho paura. Magari uno di quei criminali che ha bruciato il campo nomadi ieri sera sta guardando per capire se c'è qualcuno che spia. Forse vuole capire se ci sono testimoni o forse è solo una mia paranoia, come dice mia madre. Però, secondo me, sono obbligati ad avere paura, quei criminali: se qualcuno li riconosce e va a spifferare tutto alla polizia? E se gli zingari decidono di vendicarsi? E se cominciano a farsi la guerra per strada?
A pensarci bene c'era anche la polizia, l'altra sera. Prima sono arrivate due pattuglie e hanno provato a fare sgomberare la folla, ma quelli non se ne volevano andare e non indietreggiavano nemmeno di un passo. Dopo un po' sono arrivati i celerini e due camionette dei carabinieri e quindi la folla ha iniziato a disperdersi e i pompieri sono entrati nel campo e hanno cominciato a spruzzare acqua dappertutto. Ma ormai era troppo tardi che già era tutto carbonizzato e la puzza di plastica e legna bruciata si sentiva pure in casa con le finestre chiuse, e la sento ancora adesso perché mi si è ficcata nel naso e non riesco a toglierla. È stata una cosa spaventosa vedere tutta quella gente piantata all'ingresso del campo per non fare passare i soccorritori. Ci hanno provato ad entrare, gli angeli del fuoco, come li chiamava mia nonna quando vedeva gli incendi alla televisione, ma la gente non si spostava e urlava: «Lasciate bruciare tutto», e poi facevano i cori come quelli che si sentono allo stadio, che sono sempre pieni di parolacce. Che paura.

L'incendio

La prima molotov l'ha lanciata il Santo. Poi sono arrivate quelle del Centa e del Chimico. Io sono qui, fermo con questa cazzo di bottiglia bomba in mano invece di strofinare le loro teste di merda sul muro di qualche palazzo. Vorrei fare come in quei film d'azione dove il sangue schizza dappertutto. Le baracche bruciano come mucchi di paglia. Guardo le fiamme che s'ingrassano velocemente e penso che è meglio di quando fanno i fuochi d'artificio. Io comunque avrei preferito pestarli a sangue quei due bastardi.
«Svegliati», mi urla il Santo che poi scappa verso il bosco. Gli altri si sono già nascosti in quel grumo di alberi e sterpi e immondizia che chiamiamo bosco. Lancio la mia bottiglia bomba con tutta la forza che ho nel braccio destro. La guardo luccicare verso l'alto e poi sembra fermarsi per un attimo prima di iniziare a scendere fino a toccare terra tra due baracche. Non dovevano farlo, quei bastardi, non dovevano toccarla mia sorella. Ma non era questa la vendetta che volevo io, io voglio avere quei due figli di puttana qui davanti a me. Gli devo rompere il naso e scassargli il cranio a botte di pugni. Non mi piace il fuoco. A menar le mani mi godo di più. E poi la vendetta è migliore, più piena. Non c'è gusto ad abbattere un nemico da lontano, faccia a faccia bisogna farlo, corpo a corpo. Dobbiamo trovare quei due bastardi e sistemarli per bene, degli altri non me ne frega un cazzo. Quelli adesso se non sono morti sicuro non si fanno più vedere in giro.
Mi metto a correre verso il bosco. C'è un uomo sulla cinquantina che mi guarda. È brizzolato e porta una giacca di marca, si vede che è bella. È uno coi soldi e forse abita fuori dal quartiere. Qui attorno non se ne vedono tanti vestiti a quel modo. Mi infastidisce quell'uomo, non mi fa paura ma mi mette ansia. Ha le braccia conserte e il labbro inferiore leggermente rivolto verso il basso. Mi guarda, mi guarda duro e i suoi occhi mi stanno attraversando che mi sembra di non avere nemmeno il passamontagna. Non apre bocca ma continua a fissarmi, quell'uomo. Forse mi ha riconosciuto. No, non può essere, non mi sembra di averlo mai visto. Vaffanculo. Corro.
Mi rimetto in marcia ma non riesco ad andare veloce tanta è la gente raggruppata per l'occasione. Se ne stanno tutti a guardare lo spettacolo come alla festa del patrono, quando fanno i fuochi, solo che sono tutti incazzati anche se gli unici ad averne un motivo siamo io, mia sorella e i miei genitori. Forse siamo così tanti perché certi limiti non si devono superare, sono già ospiti che nessuno ha invitato, quegli zingari, e devono rigare dritto, stare con due piedi in una scarpa, non hanno nessun cazzo di diritto in questo posto se non quello di mangiare e cagare in quel fazzoletto di terra che si sono fregati qualche anno fa. E si sono pure costruiti le baracche e mangiano di quello che arraffano in giro. Prima o poi doveva succedere un fattaccio e qualcuno deve pur fargliela pagare per tutte le cose che combinano in giro e nessuno gli fa niente.
Corro ma non vado direttamente verso il bosco. Passo dietro al corteo, faccio il giro intorno alle macchine parcheggiate nello spiazzo davanti alla palazzina vicino al campo e poi taglio attraverso gli alberi e raggiungo gli altri.
«Cazzo sta bruciando tutto», dico chinandomi vicino a loro. Se ne stanno accovacciati come quattro cani che cagano sul marciapiede. Il Santo mi fa cenno di stare giù: «Era quello che volevi, no?» se la ghigna.
«No cazzo, io volevo demolirli con le mie mani quei due merdosi, con queste mani, le vedi queste mani?»
«E come facevamo a trovarli? Che descrizione abbiamo? Cosa facevi, fracassavi la testa a tutti?» scazza il Santo.
«Beh, no, ma non mi piace il fuoco, preferisco abbatterli a suon di calci e pugni».
«Ragazzi mi sa che ci hanno visto», interrompe il Chimico che comincia a scappare.
Miran Bax
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