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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Giuseppe Pensieroso
Titolo: Greatest Hits
Genere Antologia Racconti
Lettori 651 13 4
Greatest Hits
Ritrovamento.

«Di chi è questo?»
In una pubblicità di fine anni '80 il professore, appena entrato in classe, si chinava a raccogliere un preservativo e rivolgendosi agli alunni, con fare minaccioso, formulava la domanda. Dopo i primi momenti d'imbarazzo si alzava uno studente: «È mio!» diceva.
A ruota, tutti i compagni, solidali, ripetevano la mitica frase: «È mio!»
Erano le famose pubblicità progresso.
«Di chi è questo?» disse Sergio in un déjà vu di quello spot lontanissimo nel tempo.
Sergio era il portiere del condominio di Via di Villa Lenci e stava pigramente raccogliendo le foglie secche con il suo bastone appuntito, infilzandole una a una, con il passo lento e pesante di chi non solo sa che tra un anno andrà in pensione, ma anche di chi è fermamente convinto che quel lavoro di pulitura del giardino non fosse compito suo.
Aveva appena infilzato un preservativo usato, seminascosto dalle foglie, a pochi metri dalla cancellata di ferro che separava il palazzo da una stradina sterrata che correva disordinata verso sterpaie di diversa natura.
Attorno a Sergio, assisi a una tavola rotonda, una varia umanità di bizzarri personaggi che, mentre lui lavorava (si fa per dire), si consumavano in allegre dissertazioni sugli argomenti più vari. Oggi il tema del giorno era “la brace”. Guidava il treno dei commenti “lo zio” un panciuto personaggio che iniziava ogni frase con “aò”, sia che fosse un discorso serio sia che fosse una disquisizione di poco conto. Ovviamente lo zio amava condire le sue dissertazioni, arricchendole di colorite parolacce, meglio se romanesche.
«Aò, la brace è la mejo cosa, ma che cazzo ne sapete voi? Te metti là, panza all'aria, accenni er foco e inizi a sudare mentre tutti l'altri se fanno li cazzi loro e te chiedeno quanto ce vò pé abbrustolì du sarcicce! Ma la brace è un'arte. Ce vò tempo. Co' la brace magnano tutti tranne uno. Quello che coce se fa un bucio così e magna pé urtimo, ma a lui che gliè frega, lui è er capo de tutti, dipendono tutti da lui».
«Avoja» gli fece di rimando Luciana, la signora del quinto piano. «A me fanno impazzì le bruschette coll'olio e l'aglio»
«Di chi è questo?» ripetè Sergio spazientito.
«A Se', che te turba? Che hai trovato in mezzo alle foglie secche?»
«Voi che dite? A me sembra un preservativo usato.»
«Un preservativo? Ma che cazzo sta a dì. Sti zozzoni infami! Chi sarà stato? Non bastaveno tutte ‘ste mascherine pé tera! Mò pure li preservativi lasceno, li mortacci loro!»
Fu così che iniziò una lunga discussione che si protrasse fino a ora di pranzo, quando il consesso fu sciolto per i crampi della fame. Ma il dibattito non sarebbe finito lì, bisognava trovare il colpevole e ognuno aveva il suo sospettato.

Sospetti
Nel pomeriggio la discussione riprese più accesa che mai. Non sembrava loro vero avere un nuovo argomento di cui parlare che non fossero le solite questioni riguardanti la sporcizia delle scale, chi dovesse innaffiare le piante, di che colore dovesse essere l'albero di Natale o se si potessero organizzare o no le feste dei bambini nel giardino condominiale.
«Secondo me è del portiere», disse “il matto”.
«È come nei gialli. Alla fine è sempre il maggiordomo e chi è l'equivalente del maggiordomo nel condominio? Il portiere! E poi è lui che l'ha ritrovato, quindi è suo. Come quando qualcuno fa una scoreggia e nessuno sa chi è stato. Il primo che parla, ecco, quello è il colpevole, è sempre così.»
Questa era la logica bislacca del matto, l'inquilino del terzo piano così soprannominato per via del suo sdoppiamento di personalità, gentilissimo con tutti di giorno, al limite dell'affettato, quanto violento, scurrile e molesto la sera. Era capace di aggredire verbalmente sia i vicini del quarto piano (la famiglia Caciotta) sia quelli del secondo (i coniugi Strimpella), per via del chiasso infernale che facevano prima di andare a dormire.
I Caciotta erano padre impiegato, mamma impiegata e sei figli: le femmine Maria Chiara di tredici anni, Maria Grazia di undici e Maria Antonietta di uno e i maschi Pino di nove, Gino di sei e Lino di quattro. Potete immaginare la baraonda e il caos che regnavano in quella casa.
Gli Strimpella erano invece due figli dei fiori che tra uno spino e l'altro strimpellavano (appunto) la chitarra, aumentando i decibel in uscita dalle loro finestre.
«Secondo me è di “Miss Tanga”» disse Luciana.
Miss Tanga era la signora del sesto piano, così soprannominata per via della sua biancheria intima, del tutto assente. Siccome “Miss senza mutande” non suonava bene, Luciana l'aveva ribattezza “Miss Tanga” dal momento che quel tipo di biancheria è così sottile che è come se non ci fosse.
«No, Miss Tanga no, non farebbe mai una cosa del genere» disse il matto che di lei era innamorato perso.
Lei lo sapeva e ne faceva il suo schiavo. Quando lui saliva al sesto con una scusa, tipo per chiedere un po' di sale o dello zucchero, lei gli diceva: «Fai il bravo micione, prima puliscimi le scarpe.»
Lui obbediva, le lustrava tutte le sue scarpe con i tacchi, lei gli dava il sale, sollevava la gonna quel poco che bastava per fargli vedere il suo pelo ramato e lo rispediva giù, lasciandolo senza niente in mano se non con il ricordo di un sesso femminile appena scoperto cui il matto si aggrappava nei suoi sogni erotici notturni.
«Aò, è tuo il preservativo nonno?» disse lo zio tra le risate.
«Non lo so, non mi ricordo» disse “il nonno” accrescendo l'ilarità del gruppetto.
Aveva all'incirca novant'anni, mese più, mese meno, sordo come una campana, cieco come una talpa, sessualmente inattivo da quarant'anni.
«Aò, qua nun se capisce un cazzo, tocca fa' uno studio scientifico per capire di chi può essere. Siccome il preservativo è stato trovato vicino all'inferriata, mio non può essere perché dal primo piano non riuscirei a gettarlo fin laggiù ed escluderei anche tutti quelli del secondo piano perché l'arco di discesa è troppo corto, nessuno riuscirebbe a gettare dal balcone un fregno leggero come un preservativo e farlo arrivare sin laggiù.»
«Sì, bravo» disse il matto «e chi ti dice che il preservativo è stato lanciato? Bella scusa, così ti chiami fuori dai sospettati; no, bello, non si fa così. Secondo me non è stato lanciato, magari è stato lasciato lì di proposito. Oppure non è di nessuno dei condomini, viene da fuori, qualcuno che passava dalla stradina ha pensato di disfarsene e di gettarlo dentro il nostro giardino.»
Di nuovo la discussione proseguì fino a sera, interrotta sempre per via di quel gorgoglio allo stomaco cui lor signori erano da sempre molto sensibili.
L'indomani sarebbe ripresa più viva che mai, di fronte a una mappa catastale dello stabile, abilmente ridisegnata dallo zio.

Il palazzo.

«Aò, ho fatto ‘na piantina così ce capimo qualcosa, sinnò se perdemo li pezzi pè strada.
«Allora, al primo piano ce stamo io e la “signora cagnolini” quella dei barboncini. Io nun so stato, lei non credo, ma non me la sento di escluderla dai sospettati. Sembra tutta casa, cani e chiesa, ma secondo me, sotto sotto, le brucia la patata!»
«A zio, ammazza quanto sei scurrile. E daje, sii bono» disse Luciana.
«Aò, nun divagamo.
«Dicevo: primo piano io e la signora Cagnolini.
«Secondo piano: gli Strimpella e il Nonno.
«Terzo piano: er matto e “i Filippini”.
«Quarto: i Caciotta e “l'Attivista”.
«Quinto: Luciana e “Mr. Muscolo”, il culturista che se impasticca de anabolizzanti.
«Sesto e ultimo piano: Miss Tanga e “l'avvocato”.»
«E poi c'è “l'Infermiere”», aggiunge il matto «il tipo strano che abita nel seminterrato, nell'appartamento che Sergio non usa. Comunque ribadisco che secondo me è stato il portiere, o lui o i Caciotta, quelli se fanno un altro figlio si sparano, chissà quanti pacchi di preservativi hanno in casa.»
Questa era l'umanità varia di quel condominio stretto e lungo, un grissino sottile, brutto e scrostato, che saliva al cielo.
Lo zio era il classico can che abbaia, non morde. Pareva sempre che dovesse menare qualcuno, ma poi non alzava un dito. Era fuori dai sospettati per ben altri motivi rispetto a quelli da lui stesso addotti per scagionarsi. Con una “panza” enorme, iper infartuato, vedovo da quindici anni, da altrettanti era diventato molto, molto impotente. Percentuali di colpevolezza: nulle.
La signora Cagnolini era persa tra i suoi quattro barboncini: Puzzetta, Pisellina, Tommaso e Gambadilegno. Zitella, viso anonimo, fisico gracile, nessuno l'aveva mai vista in compagnia di un uomo (o di una donna se è per questo). Percentuali di colpevolezza: molto basse.
Il nonno, bè lui era il nonno e basta. Percentuali di colpevolezza: nulle.
Gli Strimpella erano sicuramente sui generis e spesso fuori di testa. Lei usava la pillola, ma non per questo potevano essere esclusi dalla lista degli indiziati, se non altro perché un sabato sì e uno no a casa loro c'era una festa sempre piena di gente strana la cui percentuale di colpevolezza era sicuramente molto alta.
Il matto si portava spesso qualche prostituta dell'est dentro casa. Lui era convinto che nessuno lo vedesse, ma in realtà più di qualcuno lo sentiva. Percentuali di colpevolezza: molto alte.
I Filippini nessuno sapeva bene quanti fossero. Tutti alti uguali, con quelle facce molto simili che te le confondevi e i nomi altrettanto somiglianti, nemmeno i rapporti di parentela erano ben chiari. Se non fosse che quel tipo di appartamento più di sei persone non poteva ospitare, avrebbero tutti scommesso che lì dentro ne vivevano almeno il doppio. Percentuali di colpevolezza: medio alte.
I Caciotta, persi tra bollette, libri di testo per i ragazzi, chat delle mamme e pannolini (che dopo Lino nessuno avrebbe più pensato di dover ricomprare, ma poi era nata Maria Antonietta), erano in piena crisi da sesto (inaspettato) figlio. Percentuali di colpevolezza: medie.
L'attivista era sempre in giro per il condominio. A potare una pianta, sturare un tombino, controllare un posto auto, ritirare un pacco al posto del portiere (sempre imboscato da qualche parte).
Sapeva tutto di tutti e lo sapeva prima degli altri, ma il giorno del ritrovamento (disdetta!) era fuori città. Per una volta sarebbe stato l'ultimo a sapere e di sicuro ne avrebbe sofferto come un cane.
Anche lui, come il matto, qualche vizietto ogni tanto se lo toglieva, anche se preferiva il modello “brasiliano”. Però, da questo punto di vista era molto più discreto del matto e poi, trovandosi in vacanza, era l'unico ad avere un alibi e quindi lo possiamo escludere dalla lista degli indiziati.
Luciana era innocua. Ottantenne, con il deambulatore e la sigaretta sempre in mano, prendeva una pasticca diversa a ogni ora. Riteneva non le facessero niente, ma le assumeva per far contenta la figlia che qualche volta la veniva a trovare e le portava la spesa. Percentuali di colpevolezza: nulle.
Mr. Muscolo insegnava body building alla palestra popolare giù in fondo alla via e se la faceva con i trans. Consumava per lo più i suoi rapporti sessuali lontano dal palazzo per non scalfire la sua immagine di macho, ma nonostante questo si becca una percentuale di colpevolezza medio alta.
L'Avvocato era un azzeccagarbugli da quattro soldi. Non guadagnava abbastanza da permettersi un appartamento al centro. Il suo ufficio consisteva in una stanza in un grosso studio associato per la quale pagava un esiguo affitto in cambio di alcuni loschi traffici. Ogni tanto cambiava ragazza, qualche sciacquetta intordata con verbosi racconti di processi milionari che, appena capito l'andazzo, lo mollava subito.
Percentuali di colpevolezza: medie.
Miss Tanga era una terribile professoressa d'inglese che faceva perdere la testa ai suoi studenti, mostrando loro porzioni scoperte di seno rifatto e al tempo stesso li terrorizzava con la sua hitleriana severità. Criticata dalle donne, bramata dagli uomini. Cercava quello ricco, ma trovava sempre quello sbagliato.
La sua vivacità sessuale, che sprigionava di giorno e che si alimentava degli sguardi libidinosi degli operai che la vedevano passare, di sera si trasformava in solitudine. Beveva davanti alla tv, stropicciandosi gli occhi rossi, immalinconiti per una vita che non era certo quella che aveva desiderato da bambina. Percentuali di colpevolezza: medie.
Aurelio, infermiere con il turno di notte, non si vedeva quasi mai, ma proprio la sua indifferenza alle vicende condominiali ne faceva un papabile sospettato. Percentuali di colpevolezza: medio alte.
Ah, e poi c'era Sergio. Portiere pensionando, con più di un nemico e più di un sassolino nella scarpa da togliersi prima del congedo. Percentuali di colpevolezza: medio alte anche per lui.

Il pacco.

Citofono a casa Caciotta.
«Signora, c'è un pacco in portineria.»
«Va bene grazie, appena posso scendo.»
«Chi era tesoro?»
«Sergio, c'è un pacco. Deve essere l'astronave sonora di Gino che abbiamo ordinato. Vai tu?»
«Certo amore, scendo io a prenderlo.»
Citofono a casa Miss Tanga.
«Chi è?»
«Il portiere, signora. Pacco per lei.»
«Grazie, arrivo subito.»
Portineria.
«Buongiorno signor Caciotta, aspetta anche lei Sergio?»
«Sì, devo ritirare un pacco; ma dove sarà finito? Non che mi dispiaccia restare un po' giù, sa i bambini, fanno un chiasso, ogni volta che esco per me è una boccata d'aria, le mie orecchie si riposano.»
«Come la invidio. La mia casa invece è sempre silenziosa, troppo silenziosa. Sento perfino il rumore dei miei pensieri. Devo metter su un po' di musica per non sentirli.»
«Ma che dice? I suoi pensieri devono essere di certo deliziosi come lei e immagino che non producano rumore, ma un suono lieve e delicato.»
«Com'è poetico, lei mi lusinga, mi venga a trovare qualche volta, sempre se la sua signora acconsente.»
«Non mancherò di certo», rispose il Caciotta visibilmente imbarazzato e rosso come un peperone.
«Ah, ecco Sergio.»
«Perdonate l'attesa signori, ecco i vostri pacchi.»
«Grazie. Signor Caciotta continua la sua ora d'aria o riprende l'ascensore con me?»
«No, no, ascensore, ascensore» rispose l'uomo con un filo di voce, un fare meccanico e la bocca impastata per l'assenza di salivazione.
«Fa molto caldo oggi non trova?» disse Miss Tanga sventolandosi la gonna sulle cosce nude mentre il Caciotta, che aveva spinto il sesto in luogo del quarto per godere del profumo della Miss per altri due piani, cominciò a sudare.
«Uh, ma non doveva scendere al quarto? L'ascensore non si è fermato, mi sa che lei è proprio un birichino signor Caciotta» disse maliziosamente Miss Tanga.
Fu così che, involontariamente e per una disattenzione di Sergio, i due si ritrovarono l'uno con in mano il pacco dell'altra.
Mentre il Caciotta depose il suo in salone e corse in bagno a dare una rinfrescata ai suoi bollenti spiriti, Miss Tanga aprì subito il proprio, cercando di farlo funzionare, non capendo perché dovesse fare quel chiasso del diavolo e a cosa servissero tutte quelle luci lampeggianti e trovando notevolmente scomodo e poco funzionale quell'oggetto che, a ben guardare, non somigliava poi tanto a quello del catalogo.
Contemporaneamente Gino, che non stava più nella pelle, aprì il suo esclamando: «Ma non è un'astronave, è un super razzo gigante che vibra tutto e che si chiama dildo! Grazie mamma, grazie papà!»
Giuseppe Pensieroso
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