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Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Autore: Angela Trovato
Titolo: La Magarìa
Genere Genere letterario
Lettori 618 1
La Magarìa
Avvicinandosi al paese la strada si fa sempre più tortuosa e la vista si apre a tratti su scorci di un mare cristallino su cui il sole al tramonto crea giochi di colore. Dopo Makari che si intravede in basso sotto la scogliera si scende verso San Vito.
Il finestrino aperto a far entrare il profumo di mare sempre più intenso, Flora entra in paese.
« Un altro mondo... » dice sorpresa a sé stessa, guardando le palme e le case bianche colorate di bouganville e gelsomini ai lati della strada. Alla sua destra le montagne, di fronte il mare.
Uno sguardo al navigatore « È la prossima traversa, sono arrivata ». Svolta per via Sugameli e si ferma davanti a una piccola porta.
Sara le va incontro sorridendo « Benvenuta Flora, sono felice che tu sia qui. Posso darti del tu vero? »
Sara Musumeci dimostrava meno dei suoi settant'anni. I capelli bianchi tagliati molto corti lasciavano libero un viso in cui le rughe mascheravano solo in parte la dolcezza dei lineamenti. Gli occhi di un nero profondo spiccavano vivi sulla pelle ambrata e si illuminavano quando sorrideva come ora, mentre invitava Flora a entrare nel giardino « Quella a destra è la porta di casa di Lia, la sinistra è quella di casa mia. Vieni, prendiamo le chiavi e ti accompagno ».
Nel giardino alberi fioriti e un vecchio pozzo, i muri intorno verniciati di recente. « Purtroppo non abbiamo fatto in tempo a far dipingere anche l'interno della casa, Lia continuava a rimandare. » Gira la chiave nella toppa, Flora entra e si guarda intorno.
Sua zia evidentemente aveva voluto fermare il tempo. Nel soggiorno pochi e solidi mobili anni '50, un divano che niente concedeva alla moda, una libreria in massello.
Sara segue il suo sguardo « Ha sempre letto moltissimo, diceva per compensare quello che le avevano sottratto. Da un po' di tempo le leggevo io, gli occhi le si affaticavano troppo ».
Anche la cucina non era stata sostituita, in muratura, era rivestita con piastrelle in ceramica « Sembrano proprio quelle di Caltagirone, non è vero? Ma le fa un artigiano qui in paese ». Flora nota al centro della stanza il piccolo tavolo. « Sai, eravamo solo noi due, non avevamo molti invitati...Vieni, andiamo al piano di sopra, ci sono le due camere da letto. »
Affrontate con cautela le scale Sara spalanca le finestre e apre le persiane, il sole del tramonto entra a illuminare una grande stanza « Negli ultimi tempi tua zia passava le sue giornate qui, il bagno è su questo piano e io le portavo in camera quel po' che mangiava ».
« Stava male da tempo quindi? Non lo sapevo, ci siamo sentite a Pasqua. » « Eh, che tinta cosa è invecchiare... si è spenta lentamente, ma era serena. Ultimamente parlava spesso di te. Vedrai Sara che Flora verrà e ci sarai tu ad aspettarla... Sai, le somigli molto. »
Distoglie lo sguardo dal suo viso, la precede e apre una seconda porta « Ecco, questa è l'altra
camera, tu sistemati dove preferisci ». La stanza, più piccola, era come l'altra pulitissima e arredata con vecchi mobili, le pareti avevano perso colore e Flora è conquistata dalle travi a vista del soffitto « Come sono belle Sara! » «Questa casa l'ha costruita il tuo bisnonno, qui è vissuto anche tuo padre. » « Tu l'hai conosciuto? So che è andato via quando era molto giovane. » « Sì, era poco più grande di me », poi un cenno con la mano come a dire ne parleremo poi.
« Sara, » indicando una porta più piccola in fondo al corridoio « in quella che cosa c'è? » « Non so cosa ci tenesse Lia e non ho la chiave. » Poi girandosi e avviandosi a scendere « Vieni, andiamo da me, mangiamo qualcosa insieme ».
Flora la vede armeggiare ai fornelli. « Devo solo scaldarlo un attimo, l'ho preparato poco fa. Spero che ti piaccia il couscous di mare. » « Che meraviglia... sì l'ho mangiato ma non aveva questo profumo. » « Pesce freschissimo, prezzemolo e olio, nessun trucco... » Sara non riesce a nascondere la soddisfazione per il complimento « Mangia, nica. Sei magra, stai bene? » Flora si serve per la seconda volta dal piatto di portata attaccando la cupoletta centrale e poi un'abbondante porzione di pesce col suo brodo « Mi hai chiamato nica, come mi chiamava mio padre. Grazie, ma piccola non sono più da tempo... » le sorride di rimando « sì, sto bene, diciamo che non ho un buon rapporto col cibo... almeno finché non sono arrivata qui ».
Un bicchiere di vino bianco, l'ho preso per te, per me non è più cosa, poche chiacchiere. « Sarai stanca, vai a casa e riposati. Ti aspetto domattina a colazione. »
« Sara grazie di tutto, a domani. » Il bacio sulla guancia le viene spontaneo.

Dopo una rapida doccia Flora rientra nella stanza che era stata di sua zia. Di fronte al letto il canterano, costruito in legno di castagno da un artigiano un secolo prima. Cassetti piccoli nella parte superiore e tre più capienti in basso, intarsiati con maestria.
Sì, pensa Flora, conserva il suo fascino nonostante la scoloritura e le crepe. Dall'ultimo cassetto tira fuori un quaderno ricoperto da una stoffa blu.
Si siede accanto alla finestra dove la chiama l'aria fresca della sera, lo apre alla prima pagina.

Diario di Lia Campo
Oggi è il 18 maggio 1970. Per una donna della mia età è forse un po' tardi per iniziare a scrivere un diario, ma ho deciso di scriverlo per te Flora, che sei nata oggi e non so se vedrò mai. Riesco solo adesso, ora che ho deciso di smettere di fingere anche con me stessa e riesco a guardare indietro.
Tra le prime immagini, confuse, ritrovo una bambina felice e so bene quando ha smesso di esserlo.
Era il 23 luglio del 1943, avevo nove anni.
Da quel giorno per tutti sono diventata “Lia la majàra”, una strega.
Saprei dipingerla, oggi, la mia felicità di bambina.
Era il sentiero che sale a percorrere la montagna, querce e palme
ovunque, fiori di tutti i colori e piante che crescevano al sole e al vento
di mare.
Tra le pietre e i sentieri scoscesi grotte fresche nella calura estiva.
La musica del mare saliva dal basso e il profumo salmastro dell'aria si mescolava ad altri mille profumi. Io mi sdraiavo a sentire la terra e tra me e il cielo solo gabbiani, falchi pellegrini, aquile e farfalle che interrompevano l'azzurro.
I miei compagni erano donnole, conigli selvatici, ricci e volpi che quando iniziava a fare scuro si nascondevano alla mia vista.
Quella era casa mia, lì stavo bene e non avevo paura di niente perché niente mi minacciava. Mi sentivo accolta, non ero sola perché mi facevano compagnia i mazzamurrieddi, - sai chi sono Flora? – gli spiriti che abitano nei boschi.
Esistono e da me si facevano anche vedere.
Puoi crederci o pensare che la bambina che ero riuscisse a vederli. Quante cose si rivelano quando siamo ancora a contatto con la natura, prima che cresciamo e la vita ci cambi!
Sono piccoli d'altezza, hanno un buffo viso con guance arrossate e gonfie, occhi a fessura e luminosi, sono vestiti di verde e portano un cappello rosso a punta. Sentivo la loro risata e subito dopo comparivano, non ne avevo paura perché non facevano del male ed ero abituata alla loro compagnia.
Poi, dopo quello che è successo, non sono più comparsi perché Io ero diventata un'animulara, una donna del vento, che aveva dato l'anima all'àncilu nìuru, il diavolo.
Ma anche allora , dopo quel fatto, quando andavo nel bosco non ero sola, nascosti tra gli alberi c'erano gli jinnamarri.
Si nascondono nell'ombra, non si manifestano , non ridono, ma un sibilo avverte della loro presenza e senti i brividi come se avessi la febbre anche se il sole è alto. Non hai mai sentito parlare di loro Flora?
Vivono da sempre in questa nostra terra, dove il passato e il presente non si distinguono e il tempo è eterno...
Del mio mondo magico faceva parte anche nonna Carmela.
Con il mio sguardo di bambina la vedo, sempre vestita di nero, salire agilmente per i sentieri di montagna o seduta davanti a una vecchia Singer a pedale.
Prima della guerra cuciva e ricamava il corredo per le ragazze che si dovevano sposare, poi il lavoro era diminuito e faceva solo piccole modifiche, rammendi, riparazioni.
Per il resto passava la sua giornata a casa nostra quando mio padre era al lavoro e si occupava di me e di Tano, mio fratello, da quando mia madre non c'era più.

Flora chiude il diario, colpita da quanto ha letto, lo sguardo inquieto vaga per il cortile dove si allungano le ombre della notte. Continuerò domani...
La stanza è fresca, le lenzuola profumano di sole e di mare. Il sonno, contrariamente al solito, arriva subito.
Angela Trovato
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