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Writer Officina Blog
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Manuale di pubblicazione Amazon KDP. Sempre più autori
emergenti decidono di pubblicarse il proprio libro in Self su Amazon KDP,
ma spesso vengono intimoriti dalle possibili complicazioni tecniche. Questo
articolo offre una spiegazione semplice e dettagliata delle procedure da
seguire e permette il download di alcun file di esempio, sia per il testo
già formattato che per la copertina. |

Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto
di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da
un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici,
dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere
derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie
capacità senza la necessità di un partner, identificato nella
figura di un Editore. |

Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori,
arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel
DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti
di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli
della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle
favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia. |
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Aisha La Leggenda
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Aisha 790 D.C. «Fermati!» Lo stavo rincorrendo già da dieci minuti ma non sembrava neanche accusare la stanchezza, i bambini hanno sempre avuto energie infinite. Il moccioso in questione era il mio fratellino minore Rafa. Aveva otto anni ed era un birbante. In quel momento avrei voluto essere stata più severa nei suoi confronti perché stavo gocciolando acqua: quella che lui mi aveva lanciato di nascosto mentre facevo un sonnellino. Era appena passato mezzogiorno ed era una splendida giornata. Feci un sospiro e decisi che invece di punirlo come avrebbe meritato , l'avrei costretto a venire con me per alcune commissioni. L'avrebbe odiato più di qualunque altra cosa. Spostai la tenda della stanza di nostro padre ed entrai: come immaginavo, i cuscini sul letto avevano una forma strana e si muovevano. Beccato. Lui fece un urletto e provò di nuovo a sfuggirmi, ma questa volta fui più veloce io. Lo fermai prendendolo per il retro della tunica e lo feci atterrare di nuovo sul letto. Lui alzò le mani all'altezza della testa a mo' di scusa e mi fece un sorrisetto sbarazzino. «Ti sembra questo il modo di trattare la tua unica sorella?» «Scusa.» «Piccolo mascalzone. Te la farò pagare.» E mi abbassai su di lui per fargli il solletico. Rafa cominciò a contorcersi e a urlare tra le risate. Questo attirò l'attenzione di nostro padre, che entrò nella stanza e vedendoci ci sorrise mentre si avvicinava. «Padre» dissi tra una pausa di solletico e l'altra. «Che sta succedendo qui dentro?» Rialzai lo sguardo su di lui con un sorriso e puntai il dito conto il ragazzino pestifero. «La tua progenie.» Mio padre inarcò un sopracciglio che si stava ingrigendo e lanciò una finta occhiataccia a Rafa, che intanto si era rimesso in piedi e sfoggiava un sorrisetto furbo come a dire “ho vinto io”. Sapeva che nostro padre non lo puniva mai tanto severamente come avrei fatto io. In fin dei conti era il suo erede. Sì, perché, anche se io ero di dieci anni più grande di lui, Rafa era il maschio, e quindi avrebbe ereditato tutto: i beni materiali e anche il titolo di sultano. Io non sarei mai diventata sultano o qualcosa di simile, ma la mia nascita aveva avuto un forte impatto sull'aumento della popolazione sotto il dominio del sultano condottiero e generale arabo Uqba Ibn Nafi, nonché il nostro amato padre. La differenza di colore nei miei occhi era stato un chiaro segnale che gli dèi stavano tornando a camminare sulla terra. «Insomma, padre. Hai intenzione di punirlo adeguatamente questa volta?» «Aisha cara, penso che sia arrivato per te il momento di esercitare la tua autorità di figlia maggiore.» «Andiamo, Rafa, oggi mi accompagnerai a fare le commissioni. E non voglio sentire neanche una lamentela. Ci siamo capiti?» «Ma...» «Neanche. Una. Parola.» Ci avviammo senza indugi nel posto dove adoravo passare il tempo: il negozio di tessuti alla fine del mercato. «Buon giorno, Joseph.» Salutai educatamente il proprietario. «Buon giorno a te, cara Aisha.»... Ero immersa nei miei pensieri tra le stoffe e le pelli quando si udì un tonfo sordo dal retro del negozio. Mi affrettai per raggiungere Joseph convinta che fosse caduto, o peggio si fosse sentito male, ma quando arrivai lo vidi fermo, in piedi, che guardava quasi terrorizzato la porta che dava all'esterno del villaggio. La nostra comunità era stata recintata da mura che si poggiavano alle spalle di tutte le abitazioni e dei negozi; tuttavia, mio padre aveva ordinato che ci fossero almeno tre uscite nascoste, oltre a quella principale. Nel caso di attacchi inaspettati, voleva che avessimo una via di fuga sicura, e quella nel negozio di Joseph, per fortuna, non era mai stata utilizzata. «Che facciamo?» mi chiese quasi spaventato. «Joseph, apri la porta. Dobbiamo aiutare: chiunque sia, sta soffrendo.» Joseph si alzò e mi spostò dietro di lui, allungò un braccio e prima di aprire la porta prese un bastone. «Stai dietro di me.» Allungò la mano e tirò con forza l'uscio, che scricchiolò e poi si aprì quasi di colpo. Il mezzo busto di un uomo collassò sul pavimento mentre le gambe rimanevano sotto il sole cocente. Quando ci rendemmo conto che non era un pericolo ci affrettammo a tirarlo dentro e Joseph si mise subito al lavoro per richiudere il passaggio il prima possibile. . Aveva capelli scuri impolverati e la pelle era ricoperta di sporcizia; sulla bocca e sul naso portava un fazzoletto di stoffa. Continuava a borbottare. «Stai calmo, ti aiuteremo.» «Luce... la luce...» «Non capisco, parla più forte. Chi sei? Perché sei qui?» Continuava a lamentarsi, ma una sola parola era distinguibile: luce. Chi era? Perché era lì? E, soprattutto, come aveva fatto a trovare quella porta praticamente invisibile? . L'unica cosa certa era che l'indomani sarei tornata lì e non me ne sarei andata finché non avessi avuto tutte le risposte che cercavo
Aisha oggi La puzza dentro questo taxi è insopportabile. Potrei dire che questo veicolo è più vecchio di me, ma mentirei. In tutta la città non esiste qualcosa che possa neanche avvicinarsi all'età della mia anima. Siamo fermi ormai da dieci minuti e, dando un'occhiata al vecchio orologio analogico sul cruscotto, noto di essere quasi in ritardo per il colloquio. Chiedo all'autista di farmi scendere all'angolo, lo pago, e mi avvio verso, spero, il mio nuovo posto di lavoro. Con l'esperienza accumulata in tutte le vite che ho vissuto, fare l'assistente personale di un amministratore delegato è una passeggiata.
Sono sempre nata donna, non sempre della stessa etnia, ma questa volta ho il mio vero nome, quello che mi appartiene e che mi hanno dato i miei primi genitori tantissimi anni fa. L'unica cosa che accomuna tutte le mie vite precedenti sono i miei occhi, sempre uno verde e l'altro ambra, ma quando sono in giro indosso sempre una lente a contatto colorata, per non attirare l'attenzione. Sono quasi arrivata sotto al palazzo con l'enorme scritta SULLIVAN SECURITY... ...Prendo l'ascensore e, seguendo le indicazioni che mi hanno dato, premo il tasto senza numero in alto a destra; le porte si chiudono e resto sola con i miei pensieri. Non capisco perché sono nervosa, in passato ho affrontato tantissimi colloqui e ho anche fatto tantissimi lavori. Ho sempre diversificato le mie attività, così da imparare il più possibile. Sono stata un dottore, un'insegnante, una cuoca e ho svolto tutti i lavori che nel tempo sono stati assegnati alle donne. Parlo tutte le lingue perché sono nata un po' in tutto il mondo. Ciò, però, non riesce a calmarmi. Ho i palmi sudati e il cuore martellante nelle orecchie. Che ti prende, Aisha! Calmati! Esco dall'ascensore, alzo la mano per bussare ma, prima che riesca a toccare la porta, una voce profonda e baritonale mi blocca. «Avanti.» Un'unica e sola parola che entra nelle mie orecchie e mi attraversa il corpo. Scuoto la testa per dissimulare il nervosismo e spingo l'enorme porta, anch'essa di mogano scuro. Appena il piede varca la soglia, un fulmine illumina il cielo grigio e salta la corrente, quindi l'unica cosa che vedo (a parte la grande finestra che dal soffitto arriva al pavimento) è l'ombra di un uomo che mi dà le spalle e guarda il temporale che si abbatte sulla città. Mi schiarisco la voce. «Salve, signor Sullivan, sono la signorina Smith, per la posizione di assistente personale.» Lui si gira lentamente verso di me, con le mani in tasca, e mi scruta. Fa un passo nella mia direzione. Cerco di non sembrare intimidita dalla sua stazza, ma è difficile. Non riesco a vedere molto data la mancanza di elettricità, ma posso percepire attraverso le luci che filtrano da fuori che è alto, più di me, spalle larghe e un corpo che non fa fatica a riempire bene il completo elegante che sicuramente è confezionato su misura. «So chi è, nessuno entra nel mio ufficio senza la mia autorizzazione, signorina Smith. Prego, si accomodi e non si preoccupi, l'elettricità tornerà a breve.»... «Vedo sul suo curriculum che è disposta a viaggiare.» «Sì.» Resta un attimo in silenzio, un attimo che a me sembra interminabile. «Ho bisogno di una persona disponibile a seguirmi nei miei interminabili viaggi di lavoro, che capisca quello che dicono i miei interlocutori e che non faccia domande stupide.» Alla parola “stupide”, la corrente elettrica torna, quasi abbagliandomi. Sbatto un paio di volte le palpebre per mettere a fuoco. Appena la mia vista si adatta, spalanco gli occhi e la mia bocca si apre leggermente per lo stupore: ho davanti a me l'uomo più bello mai visto... ...«Sì, signor Sullivan, sono disponibile a viaggiare anche per lunghi periodi» «Bene, signorina Smith, non credo di aver bisogno di altre informazioni per il momento.» «Quindi ho avuto il lavoro?» «Pensavo avesse capito che non mi piacciono le domande stupide.» Si alza dalla sedia, fa il giro della scrivania, si avvia verso la porta e la apre. Chiaro segnale che il colloquio è finito. «Arrivederci, signorina Smith.» Annuisco ed esco dall'ufficio stordita e in tutta onestà anche confusa. Che cavolo è successo? Non sono mai stata così impacciata in vita mia. Dopo una ventina di minuti arrivo finalmente a casa. Scalcio via gli strumenti di tortura che in quest'epoca chiamano tacchi a spillo e mi tolgo il cappotto ormai zuppo di acqua. Senza neanche pensarci due volte mi butto ancora in intimo di pizzo bianco e autoreggenti sul divano, mi tiro addosso una coperta e resto lì a guardare il soffitto e a chiedermi se questa è la vita che mi spezzerà definitivamente. |
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