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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Barbara Busiello
Titolo: Non chiamarmi amore
Genere Romance Drammatico
Lettori 295
Non chiamarmi amore
Febbraio arrivò con i suoi profumi, la sua aria fresca e un tiepido sole che ancora non scalda, a ricordarti che l'autunno sta per partire e la primavera sta quasi per arrivare.
La sveglia di Valentina suonò alle otto, non che ne avesse bisogno dal momento che aveva passato la notte in bianco. Le lezioni erano finite, adesso era tempo di esami. Ma quel giorno non doveva pensare né ai libri, né agli appelli invernali, né ai professori. Quello era il giorno in cui avrebbe conosciuto suo padre.
Quell'uomo che non c'era mai stato quando lei lo cercava e che si era presentato quando lei non lo voleva. Quell'uomo che aveva mentito e fatto soffrire sua madre. Quell'uomo che sicuramente avrebbe continuato a farle del male. Forse aveva ragione Azzurra quando le diceva che era una pessimista cronica.
Lo stomaco era chiuso e non fece nemmeno colazione. Si cambiò d'abito almeno sei volte. Alla fine decise che doveva mettere ciò che voleva, non doveva conquistare nessuno, anzi... Era già tanto aver accettato il suo invito. Era lui che era in debito con lei.
Da una settimana si domandava cosa fare, se andare all'appuntamento più angosciante della sua vita o rimanere a casa facendo finta di dimenticarsene. Non aveva dormito in quelle notti e aveva persino perso un paio di chili dall'ansia di quell'incontro.
Adesso finalmente aveva deciso. Sarebbe andata all'appuntamento, voleva guardare negli occhi l'uomo che l'aveva abbandonata. Lo avrebbe riconosciuto dal mazzo di fiori che aveva in mano, le aveva detto al telefono. Come se un mazzo di fiori potesse riempire ventiquattro anni di assenza!
Ok. Era pronta. Doveva lasciare quella casa prima di cambiare di nuovo idea.
Prese le chiavi della macchina e lasciò il suo nido, sapendo che sarebbe tornata diversa e che la sua vita stava per cambiare per sempre.
Arrivò al bar in Via del Corso alle dieci precise. Le gambe le tremavano, non aveva mai avuto così tanta paura in vita sua. Azzurra si era offerta di accompagnarla ma sapeva che era una cosa che doveva affrontare da sola. La madre le aveva descritto Filippo con molta accuratezza e non fu difficile riconoscerlo. Un uomo con i capelli brizzolati senza baffi né barba, vestito in modo distinto e con un mazzo di rose rosse in mano, era seduto al tavolo e stava guardando l'orologio.
Valentina si avvicinò lentamente a lui e la sua ombra coprì il volto di Filippo che alzò lo sguardo e per la prima volta vide sua figlia, sangue del suo sangue. Si meravigliò quando si rispecchiò nei suoi occhi. Erano verde smeraldo come i suoi. Anche Valentina se ne accorse subito ed ebbe un brivido lungo la schiena. La genetica a volte fa strani scherzi. Distolse subito lo sguardo, le faceva troppo male.
«Ciao, accomodati» propose Filippo alzandosi in piedi con molta calma ma anche con molto imbarazzo. Sapeva benissimo che la sua era una situazione delicata.
Valentina si sedette e appoggiò la borsa sulle gambe, non voleva stare troppo comoda, era meglio essere pronte a scappare. Non riusciva a credere che l'uomo di fronte a lei fosse suo padre. Per lei era solo un estraneo. Aveva una concezione un po' diversa di padre. Un padre era un uomo che ti aiutava a crescere, che ti insegnava ad andare in bicicletta, che si ingelosiva se sua figlia usciva con un nuovo ragazzo, che le dava la buonanotte e il buongiorno. Quello non era suo padre, era solo un uomo che aveva contribuito alla sua presenza nel mondo.
«Allora, mi hai riconosciuto subito?» chiese Filippo imbarazzato dal silenzio di sua figlia. Certo non si aspettava lacrime e braccia al collo, Betti gli aveva detto che era una ragazza molto orgogliosa. Ma non sapeva come sciogliere la tensione.
«Si, mamma mi ha fatto una descrizione accurata» rispose freddamente lei.
«Bene. Prendi qualcosa?» chiese porgendole il menu.
«Un succo di frutta alla pesca e un cornetto se non ti dispiace. Non ho fatto colazione.»
«Certo. Neanche io faccio colazione la mattina.»
«Io la faccio sempre, infatti muoio di fame.»
«Ti sei svegliata tardi? A me succede sempre.»
«No anzi, mi sveglio sempre in orario, non è da me ritardare, ma stamattina avevo lo stomaco chiuso.»
Filippo stava provando in modo maldestro a trovare un punto in comune con quella ragazza ma era più difficile del previsto. Notò subito l'aggressività di Valentina e decise di non fare più domande. Quello era un gioco pericoloso. Il suo era un botta e risposta amaro mentre Filippo cercava solo un punto di contatto con il mondo di sua figlia.
Quando il cameriere portò la colazione, finalmente i due erano riusciti a trovare un argomento neutrale: l'università.
Valentina stava spiegando a Filippo quello che studiava e il lavoro che avrebbe voluto fare.
Filippo invece le parlò di lui. Amava fare il medico e da quando era rimasto vedovo non faceva altro che lavorare. Le confessò anche di sentirsi solo ma Valentina non s'intenerì, anzi ripensò a tutte quelle volte che aveva bisogno di un padre che non c'era. A tutte le volte che aveva parlato con lui pensando fosse morto davvero e la rabbia ritornò prepotente.
Dopo un'ora e mezza non vedeva l'ora di tornarsene a casa, dove nessuno poteva ferirla, nel suo nido, dove le pareti conoscevano ogni suo segreto, ogni sua lacrima e ogni sua preghiera, molto più di quell'uomo.
«Ora devo andare, mi dispiace. Devo studiare, tra una settimana ho un esame importante quindi...» si alzò, prese la borsa e fece per andarsene.
«Ah, mi dispiace che tu vada già via. Quando possiamo rivederci?» chiese Filippo timoroso. Aveva paura di un suo rifiuto.
«Non lo so» rispose lei secca.
«Ok. Ti telefono?» l'uomo non sapeva come comportarsi né cosa dire. Si sentiva come al primo appuntamento con una donna e sua figlia ormai lo era e aveva lo stesso carattere di Betti.
«Ok, ciao» lo salutò frettolosamente e andò via a passo svelto verso la macchina dove le lacrime l'attendevano, lasciando le rose rosse sulla sedia che la fissavano da lontano.
Betti quella sera cercò di tornare a casa per cena, sapeva che avrebbe trovato sua figlia sconvolta quindi lasciò il bar nelle mani di Lorenzo e si precipitò a casa con due pizze. Niente era meglio di una pizza per sua figlia quando era giù di morale.
Valentina era sdraiata sul divano a fissare il vuoto, immersa in chissà quali pensieri.
Si alzò sentendo il portone aprirsi.
«Ciao tesoro» Betti le diede un bacio sulla fronte e andò in cucina, dove posò le pizze sul tavolo lasciando una scia di profumo caldo nel salone.
«Ciao» Valentina la seguì. Stava morendo di fame, solo ora se ne accorgeva. Non mangiava dalla mattina al bar con Filippo. Non riusciva proprio a chiamarlo padre.
Si sedettero a tavola in silenzio.
«Allora, come stai?» chiese sua madre con lo stesso imbarazzo che aveva provato il padre quella stessa mattina.
«Non lo so. Nervosa forse.»
«Com'è andata?»
«Normale. Lui era in imbarazzo, vuole rivedermi. Lo sapevi che è vedovo?»
«Si. Quando è passato al bar, mesi fa, me l'ha detto.»
«Già, se sua moglie non fosse morta col cavolo che ci avrebbe ricercato!»
«Ha cercato me, non sapeva che tu esistessi Vale e appena l'ha saputo ha voluto vederti»
«Certo, giustificalo sempre!» Valentina rimaneva sempre pungente su quell'argomento e Betti dopotutto non poteva darle torto.
Cercarono di cambiare argomento ma ormai l'umore non era dei migliori così subito dopo cena Valentina si rintanò in camera sua, voleva rimanere da sola, e si mise al PC perché l'unico che poteva tirarla su di morale era lui: un estraneo. Realizzò che non lo sentiva da due giorni e le mancava. Anche se si erano scambiati i numeri di telefono lui le aveva fatto capire che preferiva si sentissero sui social, così si collegò a Facebook e per fortuna lo trovò in linea.

Vale:
Ciao stacanovista!
Lele:
Ciao piccola!
Vale:
Che fai? Disturbo?
Lele:
No affatto. Tu non disturbi mai. Come stai? Com'è andato l'incontro? Ci sei andata?
Vale:
Si, a fatica ma ci sono andata.
Lele:
E...? Non tenermi sulle spine, parla!!!!
Vale:
E... niente. Abbiamo fatto colazione.
Lele:
Non mi importa cosa avete fatto, voglio sapere tu come stai, che ne pensi.
Vale:
Sono arrabbiata e stravolta. Ma come fa quello ad essere mio padre se non l'ho mai visto in vita mia?
Lele:
Eppure lo è. Per il semplice fatto che hai il suo sangue. Gli somigli?
Vale:
Si. Appena l'ho visto sono rimasta impressionata. I suoi occhi erano i miei, e anche i lineamenti del volto. Per fortuna ho il carattere di mia madre perché non sembra avere molte palle quell'uomo.
Lele:
Beh questo è poco ma sicuro. Non ha avuto nemmeno il coraggio di dire a suo padre che amava già un'altra. A meno che la situazione non facesse comodo a lui.
Vale:
Cioè?
Lele:
Fa comodo avere due ragazze no? Si è divertito con tua madre ma sapeva che comunque doveva sposare un'altra.
Vale:
Non ci avevo pensato, non ho la mente così maligna come voi uomini...
Lele:
Ma non è malignità è che ci piace divertirci.
Vale:
Beh per favore con me cerca di non divertirti perché sono stanca delle bugie e delle prese in giro.
Lele:
Tranquilla, lo sai che ti adoro.
Vale:
No, non lo so. Vado a fiducia però...anche se ormai la mia fiducia vacilla un po' con tutti!
Lele:
E' normalissimo, ti capisco credimi. Senti ma lo studio, come va?
Vale:
Oggi non ho aperto libro. Aveva la testa altrove...
Lele scrive:
Ovvio, dai domani ti rifarai!
Vale:
Si per forza, l'esame si avvicina. Comunque è stata una giornataccia, mi sa che vado a fare la nanna.
Lele:
Oggi hai conosciuto tuo padre, magari l'anno prossimo festeggerete questa ricorrenza chi lo sa?
Vale:
Mah, non lo so, la mia vita andava bene anche prima.
Lele:
Perché eri abituata a non averlo nella tua vita ma ti assicuro che se ti abitui ad avere una vita normale poi ti domanderai come hai fatto a vivere ventiquattro anni senza di lui.
Vale:
Ma sei uno psicologo per caso?
Lele:
Magari... no, dico solo ciò che penso. Sono saggio, ecco.
Vale:
Bene, meglio per me. Io vado ora, buonanotte.
Lele:
Notte e sogni d'oro.
Vale si è disconnessa.

Tra il via vai dei clienti, il profumo di caffè e i rumori di bicchieri di vetro, Filippo s'intrufolò e andò direttamente verso il bancone, dove era Betti, sotto lo sguardo investigatore di Lorenzo.
Lei, appena lo vide, gli sorrise e gli andò incontro.
«Ciao» gli disse cercando di non far trasparire il suo imbarazzo.
«Ciao» lui la salutò con un bacio sulla guancia.
Betti gli fece segno di sedersi.
«Come mai sei qui? Devi parlarmi di Valentina?» Betti sperava sempre che lui andasse al bar per lei ma lui fece segno di sì con la testa.
«C'è qualche problema?»
«No, ma volevo sapere cosa ti ha detto del nostro incontro. Con me è stata molto aggressiva.»
«Cosa ti aspettavi Fil?»
Lui adorava quando lei lo chiamava in quel modo, era l'unica a chiamarlo così ma lei non lo sapeva.
«Si è vero, è già tanto che sia venuta all'appuntamento.»
«Ci ho messo molto a convincerla.»
«Te ne sarò sempre grato, anche se non vorrà mai più rivedermi almeno so che mia figlia ha gli occhi uguali ai miei ed è la ragazza più bella del mondo.»
Betti notò l'espressione triste sul volto di Filippo. Com'era invecchiato! Chissà ai suoi occhi lei come gli appariva. Lui era sempre un bell'uomo. Cercò di mandare via quel pensiero prima che i suoi ricordi tornassero a galla. Le cicatrici a volte possono fare male! Evitò perciò di guardarlo negli occhi.
«Senti Betti io vorrei passare più tempo con lei, ma non so lei come potrebbe reagire. Perché non ci metti una buona parola?»
«Non lo so Fil, non credo che dovrei intromettermi.»
A quel punto Lorenzo chiamò Betti per tornare a lavoro, a quell'ora erano sempre strapieni.
«Senti io devo lavorare adesso, perché non ci vediamo a cena e ne parliamo?» Betti non riusciva a credere di aver fatto lei quella proposta e si sentì una stupida.
«Ok, vengo a prenderti qui alle otto?»
«Va bene, a dopo» rispose incredula e si allontanò lasciando una scia del suo solito profumo che si confuse con quella del caffè, mandando Filippo in uno stato di trance.
Betti passò la sua giornata lavorativa persa in mille pensieri e Lorenzo si accorse della sua disattenzione, sapeva anche a chi era dovuta. E la cosa non gli andava giù. La gelosia lo divorava.
Alle otto e dieci la donna lasciò il bar nelle mani del collega e andò a rifarsi il trucco. Non stava più nella pelle. Provò a calmarsi, sapeva che stava uscendo con Filippo solo ed esclusivamente per parlare di Valentina ma sentiva di amarlo ancora, nonostante tutto. E questo la destabilizzò.
Alle otto un'agitatissima Betti era pronta e aspettava Filippo fuori dal locale, l'aria fresca di fine febbraio la fece sentire meglio, sembrava le mancasse l'aria.
Lui arrivò con la sua Mercedes alle otto e trentacinque, per via del traffico.
Betti salì in macchina e andarono a mangiare in un ristorante a Trastevere.
«Scusa per l'abbigliamento ma come sai ho finito ora di lavorare» si giustificò Betti.
«Sei splendida come sempre» la rassicurò lui dolcemente.
Lei gli sorrise. Dopo una mezz'ora erano seduti al tavolo apparecchiato per due.
Betti aveva l'aria stanca ma era davvero bella e i suoi occhi azzurri brillavano alla luce della candela al centro del tavolo.
Anche Filippo era emozionato per quella uscita. Quella donna faceva riaffiorare certe emozioni nascoste da anni nei meandri del suo cuore.
Parlarono per molto tempo di Valentina, Betti le parlò di quando era piccola, delle sue prime parole, della sua ostinazione innata, del suo carattere, del suo primo amore, dell'amore per la letteratura e della sua voglia di farsi una famiglia sua.
«Complimenti Betti, l'hai tirata su benissimo. Io non avrei saputo fare di meglio, anzi...»
«Tu non hai figli Fil?»
«No. Ne avevo uno, Matteo ma... è morto» la sua voce si spezzò e gli occhi si appannarono ma vedevano bene il dolore del passato che gli si era appiccicato addosso da qualche anno.
«Mi dispiace tantissimo. Non lo sapevo, sono mortificata. Io credo che non esista dolore più atroce. Se perdessi Vale io ne morirei. Ne vuoi parlare?» gli chiese stringendogli la mano che era sul tavolo.
«E' la prima volta che ne parlo. Il mio bambino aveva otto anni, era bellissimo. Gli avevo appena comprato la bicicletta per il suo compleanno. Un giorno, mentre ero a lavoro all'ospedale arrivò lui in barella, con la testa spappolata. L'avevano investito. Non sono riuscito a salvarlo. Da lì il mio matrimonio è finito, ci odiavamo a vicenda. Lei riversava la colpa su di me, io su di lei e quando lei è morta di cancro tre anni fa, ho odiato me stesso e ho iniziato a bere. Ora per fortuna ho smesso, anche grazie a un mio carissimo amico.»
Betti aveva le lacrime agli occhi e gli strinse le mani calde tra le sue. Anche lui non aveva avuto una vita facile. Se il padre non lo avesse costretto a sposare un'altra tutto quel dolore forse non sarebbe esistito e la sua vita sarebbe stata diversa, chissà!
Dopo quel momento di confidenza e di drammaticità presero a parlare di cose più leggere e a ridere e scherzare ricordando i tempi andati.
Verso le undici finirono di mangiare e fecero una passeggiata circondati dalle luci soffuse e dal vento freddo di febbraio.
Si fermarono sul ponte di Trastevere e lì Filippo, guardando quegli occhi blu che tanto aveva sognato negli anni, sentendo quel profumo e captando l'amore che lei provava per lui, la prese tra le braccia e la baciò. Fu un bacio dolce e al sapore di caffè, accarezzato dalla barba incolta di Filippo. Betti tornò indietro di venticinque anni, era come se il tempo non fosse mai passato, né per il suo corpo che lo desiderava come all'ora, né per il suo cuore che non aveva mai smesso di amarlo.
Non dissero nulla, si presero per mano e andarono a casa di Filippo, dove trascorsero la notte più bella della loro vita.
La mattina seguente si svegliarono alle sei, dovevano andare a lavoro entrambi, anche se non avrebbero più voluto alzarsi da quel letto.
«Devo andare al bar» si lamentò Betti mentre si alzava e diede un bacio sulle labbra di Filippo che aveva ancora gli occhi chiusi.
«Ma perché la notte dura così poco? Quando ti rivedo?»
«Quando vuoi, sempre se vuoi davvero vedermi e per te non è stata una parentesi. Scusa ma conoscendoti meglio essere chiari. Se volevi solo venire a letto con me va bene, davvero». In realtà nemmeno lei credeva in ciò che stava dicendo ma non voleva più soffrire, non per lui.
Filippo si alzò dal letto e le andò vicino.
«Hai ragione a parlarmi così, ma io ti ho sempre amato. So che ho sbagliato, ma non ho mai amato mia moglie, anche se è brutto da dire, credo che lei lo sapesse. Molte volte ho pianto pensandoti, ma ti assicuro che se potessi tornare indietro farei tutto in modo diverso.»
Betti non riusciva proprio ad odiarlo, lo abbracciò commossa e lo baciò.
«Basta adesso, sennò non vado più via» gli sorrise e uscì lasciando Filippo nudo nel letto, che sorrideva al soffitto come un sedicenne.
Arrivò al bar con un taxi e con l'espressione stralunata. Lorenzo invece aveva la luna di traverso e quando notò che Betti aveva gli stessi vestiti del giorno prima andò su tutte le furie e se la prese col primo cliente che gli capitò sotto tiro.
Valentina era in camera sua a studiare, ogni tanto le faceva compagnia Emanuele con qualche messaggio che la faceva sorridere. Era così persa tra i suoi pensieri che non aveva nemmeno sentito sua madre rientrare la sera prima.
Si era affezionata molto a Emanuele, riusciva a parlare di tutto e confidarsi nonostante non lo avesse mai visto di persona così decise che doveva assolutamente vederlo, non poteva rimanere con quella curiosità tutta la vita, anche se aveva paura. Solo una volta aveva incontrato un ragazzo conosciuto in chat e ci era rimasta malissimo. Avevano parlato al telefono per ore ogni giorno e lei si era innamorata di quella voce, del suo carattere e se l'era immaginato purtroppo totalmente diverso. Quando si erano incontrati dopo due mesi di telefonate e ore di confidenze, lei ci era rimasta malissimo. Lui era l'opposto di come se l'era immaginato, oltre l'aspetto fisico purtroppo si era dimostrato anche molto aggressivo e scortese.
Valentina da quel giorno aveva smesso di chattare e di credere in quelle cose ma con Emanuele era diverso. Lui era arrivato nella sua vita in un modo così originale e romantico. Era così dolce, aveva mille foto di lui e lo avrebbe riconosciuto ovunque. Come avrebbe fatto a rimanere delusa?
Così proprio per non aumentare i suoi sentimenti verso di lui aveva deciso di non sentire mai la sua voce, ed Emanuele si era detto d'accordo. Mentre cercava di capire la teoria di Pierce il campanello suonò.
Valentina sciolse i lunghi capelli neri e lisci e andò ad aprire pensando fosse il postino e invece si trovò di fronte Fiorella e Giulia che le sorrideva dal passeggino rosa, tutta coperta da lenzuola rosa e bianche.
«Ehi ragazze, che ci fate qui?» Era felicissima di vederle e baciò entrambe.
Fiorella sembrava stesse meglio e Valentina era felice per lei.
«Ciao Vale, scusa se ti piombo così in casa ma oggi inizio a lavorare e non ho ancora trovato una baby-sitter decente, o che mi convinca.»
Entrò in casa e guardò Valentina con aria supplichevole.
«Ho capito, la tengo io tranquilla, è come una figlioletta per me» e accarezzò le morbide guance di Giulia che emetteva divertenti mugolii.
Fiorella, grata, le spiegò tutto quello che doveva fare. Si trattava solo di poche ore al giorno e comunque la bambina dormiva ed era buona, non le avrebbe dato nessun fastidio.
Così baciò mille volte sua figlia e andò via, lasciando Valentina e Giulia da sole. Fiorella aveva raccontato a Valentina che il giorno che si erano conosciute lei era andata all'università per curiosità, voleva vedere cosa si stava perdendo, sentirsi una matricola per qualche ora e Valentina non poté biasimarla.
Quando Fiorella uscì prese subito la bambina in braccio e le fece mille coccole, lo studio e Pierce erano lontani anni luce da lei adesso. La mattinata volò e non se ne rese nemmeno conto. Imparò a cambiare i pannolini e preparare biberon e quando Giulia le sorrideva, con quella bocca minuscola, le venivano le lacrime agli occhi. Adorava quella bambina la sentiva così vicina e non sapeva spiegarsene il motivo.

Purtroppo a ora di pranzo Fiorella tornò a prenderla ma Valentina non voleva rimanere sola e la invitò a rimanere un po' con lei. Parlarono un po' e le raccontò dell'incontro con suo padre mentre Fiorella le disse che aveva conosciuto un ragazzo dolcissimo ma non sapeva come dirgli che aveva una figlia.
«Scusa ma dove lo hai conosciuto? Raccontami tutto furbetta!» le disse Valentina tenendo Giulia in braccio.
«Ecco...l'altro giorno sono andata dai miei con Giulia. Ho pensato le facesse piacere conoscere sua nipote tanto non avevo nulla da perdere. Così h preso il coraggio a due mani e ho tentato. Lei e mio padre si sono letteralmente innamorati di mia figlia e ha voluto che gliela lasciassi per un po'. Così, finalmente libera, sono andata a fare un po' di spesa e lì ho conosciuto Marco. Mi ha offerto un caffè e un passaggio e ho accettato perché...non lo so, m'ispirava fiducia. Ma non le ho detto di Giulia. E me ne vergogno.»
«No, non devi vergognarti Fiore. Anzi hai fatto bene. Non lo conosci nemmeno, perché avresti dovuto dirgli che hai una figlia?»
«Comunque lui da quel giorno non fa che telefonarmi, vorrebbe uscire con me ma io trovo sempre delle scuse, anche ridicole.»
«Capisco. Fossi in te non mi fiderei più di nessuno. Ma io sono io, e tu sei tu e sei migliore di me quindi devi buttarti, tanto l'hai detto tu, che hai da perdere?»
Fiorella sorrise, come al solito Valentina le era d'aiuto.
«Comunque» continuò Valentina «sono contenta che hai fatto pace con i tuoi.»
«Anche io, ma non voglio approfittare di loro quando lavoro perciò ho lasciato la bambina a te.»
«Fai bene, anche se dovresti dirglielo, vedrai che saranno loro ad offrirsi come baby-sitter.»
Fiorella guardò l'orologio e decise che era ora di andare, mancava da casa dalla mattina e doveva ancora rassettare.
Valentina rimase sola di nuovo e tornò a malincuore sui libri. Forse era pazza ma a volte invidiava la sua amica.
Verso le nove finalmente Betti rincasò.
«Mamma, ciao» Valentina le andò incontro e notò subito un'espressione diversa sul volto della madre.
«Ma che hai? Stai male?» la seguì in cucina.
«No, mai stata meglio» rispose lei e baciò la figlia che in un certo senso era l'artefice di quello che le era successo.
Quella sera cenarono insieme e chiacchierarono di mille cose ma Valentina notò che sua madre era diversa, era allegra e anche se non ne conosceva il motivo era contenta per lei. Meritava un po' di serenità. La meritavano entrambe.
Barbara Busiello
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