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Writer Officina Blog
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Manuale di pubblicazione Amazon KDP. Sempre più autori
emergenti decidono di pubblicarse il proprio libro in Self su Amazon KDP,
ma spesso vengono intimoriti dalle possibili complicazioni tecniche. Questo
articolo offre una spiegazione semplice e dettagliata delle procedure da
seguire e permette il download di alcun file di esempio, sia per il testo
già formattato che per la copertina. |

Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto
di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da
un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici,
dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere
derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie
capacità senza la necessità di un partner, identificato nella
figura di un Editore. |

Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori,
arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel
DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti
di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli
della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle
favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia. |
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Le donne di Frieder
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Trovandosi già a Trento per una visita all'anziana zia Carla, sorella di sua madre, Claudia avrebbe dovuto raggiungere le amiche col treno. Sarebbero andate a prenderla loro, alla stazione di Seefeld in Tirol, nel distretto di Innsbruck-Land. Quella sarebbe stata la loro prima volta in Austria, per giunta senza mariti e figli. Solo Claudia, Francesca e Roberta, come ai tempi dell'università. Niente, però, era andato per il verso giusto. Francesca aveva litigato con il consorte, che dopo settimane di muso lungo era sbottato: le vacanze con le amiche erano roba da single, una sorta di complotto ai danni dei rispettivi compagni, per creare occasioni d'incontro con altri uomini. Da sposati si andava in vacanza insieme, punto e basta. Così, per quieto vivere, Francesca si era tirata indietro all'ultimo momento. Roberta, invece, si era presa la varicella da uno dei suoi bambini, e Claudia si era ritrovata a dover scegliere se rinunciare o andare comunque, sola come un cane. Non le andava di tornare alla calura dell'estivo deserto bolognese, ma se fosse rimasta a Trento avrebbe finito per dare troppo disturbo alla zia Carla. E poi aveva già pagato il soggiorno a Seefeld e i soldi non piovevano dal cielo! Alla fine aveva noleggiato una macchina. Alla frontiera era stata lì lì per ripensarci. Non sapeva nemmeno una parola di tedesco o dialetto austriaco o quel che era, e la sua conoscenza dell'inglese risaliva ai bei tempi della scuola. Temeva di non riuscire a spiegarsi, di trovarsi in difficoltà. Poi si era imposta di tirar fuori le palle. Usciva da un periodo difficile e stare un po' per conto suo le avrebbe fatto bene: il divorzio da Paolo, dover rassicurare Vanessa che non fosse colpa sua se la mamma e il papà non vivevano più insieme, essere costretta a sorridere e a chiacchierare con le sue clienti quando aveva la testa altrove... Era stressata. La preoccupava persino che la sua bambina fosse in vacanza col padre, perché l'ex marito era un uomo molto impegnato e non tanto affettuoso. La piccola stava malvolentieri con lui, non riceveva abbastanza attenzioni e si annoiava. Ecco, appunto, Claudia aveva bisogno di staccare, di star lontana da tutti i suoi guai almeno per qualche giorno. Sarebbe stata una vacanza indimenticabile. Claudia
Passato Innsbruck, seguo le indicazioni per Garmish e miracolosamente non mi perdo. In prossimità di Seefeld, un cingolato arancione – una ruspa di dimensioni modeste, comunque ingombrante – si immette da un viottolo laterale, rallentandomi perché procede davanti a me a passo di lumaca. Superare, lungo la strada che è tutta una curva, con questa vetturetta rossa che è tanto carina ma manca di ripresa e di stabilità, è una mission impossible. Così me ne sto buona buona dietro al mezzo agricolo, sperando che svolti presto da qualche parte. A salite quasi verticali seguono ripide discese, il su e giù mette a dura prova le pastiglie dei freni, ne sento la puzza amarognola. Diversi ciclisti si allenano lungo l'impervio tragitto, arrancando con la pelle lustra di sudore e la borraccia alle labbra. Ma chi glielo fa fare? Chilometro dopo chilometro, il paesaggio si fa sempre più agreste e gradevole. Alla mia sinistra corre via un bel laghetto, poi un campo da golf, infine si spalancano campagne vastissime. Il verde dei prati è punteggiato di cavalli e mucche al pascolo, spengo l'aria condizionata per abbassare i finestrini e godermi la melodia dei campanacci, il vento fresco che ruzzola giù dalle montagne circostanti. Lungo la strada c'è fermento, mi sorprende in quanti marcino di buon passo con i bastoncini da nordic walking e lo zaino col pranzo al sacco in spalla. Sembra che abbiano tutti quanti bisogno di sgranchirsi dalla vita sedentaria che si fa in città durante il resto dell'anno. Un po' di attività fisica non farebbe male neanche a me. Non sono grassa, però comincio a diventare flaccida, sarà che avevo già trentaquattro anni quando ho avuto Vanessa e che in gravidanza avevo preso parecchio peso. Dopo il parto non sono più stata la stessa, i tessuti hanno perso di tono sull'addome e sulle gambe, quindi la prospettiva di muovermi mi alletta. Attraverso Seefeld col cuore gonfio di ottimismo. Il mio aparthotel è un po' fuori città, passato Leutasch, un paesino di duemila anime suddiviso in frazioni di qualche casale. Per questa settimana abiterò in un villaggio chiamato Ostbach, poco distante dalla chiesa di Platzl, uno dei pochi punti di riferimento che mi ha dato la tipa che gestisce la struttura. Dopo il negozio di articoli sportivi, supero il ponte di ferro azzurro sul torrente e svolto a sinistra, sempre dietro la ruspa. Che fregatura, speravo andasse dritto. Il grosso mezzo si fa tutto a destra, dal finestrino sbuca improvvisamente la mano del conducente che mi fa cenno di superare, si rende conto di essere d'intralcio: dietro di me si è formata una lunga coda. Ma anche se la strada, in questo punto, è rettilinea, dal senso di marcia opposto vengono giù macchine su macchine, così sbuffo e mi rassegno a rimanere dietro. Pazienza, non voglio mettermi fretta anche in vacanza, corro già abbastanza quando devo lavorare. A un tratto l'auto si mette a fare un brutto rumore, come se sputacchiasse. Controllo la spia del gpl, il livello è ancora abbastanza alto da farmi escludere di aver esaurito il carburante. Anche il serbatoio della benzina è quasi pieno. Clicco lo stesso da una modalità di alimentazione all'altra, ma la situazione non migliora e sul quadro si accende una lucina gialla, la spia del motore che indica un guasto generico. Ma tu guarda che seccatura! Mi affretto a inserire le quattro frecce mentre la macchina agonizza. Ecco fatto, sono a piedi, cominciamo bene... La prima cosa che mi viene da fare è chiamare l'autonoleggio perché qualcuno trovi una soluzione, dopotutto questo catorcio mi costa diciotto euro al giorno. Naturalmente mi risponde la segreteria telefonica che m'informa sugli orari di apertura degli uffici. Il disastro è capitato nel bel mezzo della pausa pranzo. Guardo la ruspa farsi sempre più piccola lungo questa strada che sembra non avere fine. Proprio vero che chi va piano va sano e va lontano. Cerco di rimettere in moto, ma niente. Dopo alcuni tentativi, penso che sia meglio tirare giù il trolley e farmela a piedi. In teoria dovrei cavarmela con tre o quattro chilometri di scarpinata, non è poi tanta strada. Con un po' di fortuna, lungo il vialetto pedonale potrei anche imbattermi nella fermata di un autobus diretto a Ostbach, non è detto che debba andare per forza tutto male. Non ho idea di come si dica guasto in tedesco, così strappo una pagina dall'agenda che mi sono portata dietro e lo scrivo in italiano. Metto il foglio in vista, confidando nella clemenza della polizia locale; prendo il mio bagaglio e chiudo la macchina col comando a distanza mentre attraverso di corsa per guadagnare la pista ciclabile. In breve comincio a disperare di arrivare viva a destinazione: ho fatto una valigia sola, ma è bella piena e, pur avendo le ruote, pesa una tonnellata, senza scherzi! Fa caldo – secco, per fortuna – e la strada è un falso piano di quelli bastardi. Mi fermo per legarmi i capelli con un elastico e credo di avere le lacrime agli occhi, perché non mi accorgo subito che la ruspa sta tornando indietro. In realtà, quando mi sento chiamare, non sono nemmeno sicura che il cingolato sia lo stesso. Sì, dai, è quello... «Cos'è successo, signora, ha bisogno di un passaggio?» mi grida il conducente nella mia lingua, ma con una forte inflessione locale. Mi chiedo come faccia a sapere che sono italiana, poi mi viene in mente che deve essersi accorto della lettera I sotto il cerchio stellato della bandiera europea, a sinistra nella targa. Che occhio! «La mia auto è rimasta in panne», rispondo, imbarazzata anche se non ho niente di cui vergognarmi. «Eh, ho visto!» ridacchia. Trascinando il trolley fino a bordo strada, vedo che è un bell'uomo, credo un po' più vecchio di me ma con l'aria da ragazzone, nonostante i fili grigi tra i capelli di un tiepido color cenere. Li porta lunghi fin sulle spalle, non proprio curati, e ha una camicia a scacchi anni Ottanta piuttosto kitsch, con diversi bottoni slacciati sul petto abbronzato. Forse non ha molto gusto nel vestire, ma guarda che occhi... sono chiarissimi! Poteva andarmi peggio, mi compiaccio. «Mi darebbe uno strappo fino a Ostbach, se le è di strada? O magari sa che numero devo fare per chiamare un taxi...» Lui scuote la testa, sorride. «Salti su», mi dice, e smontando mi prende il bagaglio e lo sistema nella pala abbassata. «Le chiedo scusa, ma se non faccio così non ci muoviamo, quassù non c'è molto spazio». M'inerpico a fatica al mio posto, e devo dire che questo diversivo mi diverte, invece di preoccuparmi. Oddìo, in realtà non è che al telegiornale si senta spesso parlare di chissà quali crimini commessi in Austria, ma in fin dei conti mi trovo su una specie di carrarmato, spalla a spalla con un uomo che non conosco affatto. «Benno», risolve la questione lui, presentandosi e tendendomi la mano, «Benno Frieder.» «Claudia» annaspo, stringendogliela. «Non so come ringraziarla.» «Non c'è problema, stavo andando anch'io dalle parti di Ostbach. Dove alloggia?» Scovo nell'agenda l'appunto che mi sono presa, lo trovo facilmente perché ho attaccato tra le pagine il foglio della prenotazione on-line, ma devo leggere terribilmente male perché lui, a sentirmi pronunciare Aparthof Schmid vattelapesca, si mette a ridere. «Il tuo dialetto austriaco non è molto buono», mi fa notare. Sembra proprio un tipo allegro e quando ride è... accidenti, è carino da morire. «Invece lei parla bene l'italiano», mi congratulo, pur chiedendomi che fine abbiano fatto la signora e il lei. Vabbe', bruciamo pure le tappe, in fondo non mi dispiace essermi già fatta una specie di amico. «Con tutti i turisti che ci sono da queste parti, un po' d'italiano e d'inglese è meglio saperli. Ho studiato l'italiano per molti anni, credo di parlarlo anche meglio di mia sorella Burgit, che insegna lingue alle scuole medie, giù a Seefeld. In ogni modo, dove vai tu è poco dopo il maneggio dove sto andando io». Partiamo. «Cavalchi?» «Mai stata a cavallo» sospiro, e la butto là per scherzo: «Ha anche una sorella che potrebbe darmi lezioni di equitazione?» «Ci sarebbe Billa», mi risponde serio. «Il cavallo ce l'ha e in sella se la cava abbastanza, ma non so se sia in grado di dare delle lezioni.» «Accidenti, ma quante sorelle ha?» chiedo, sinceramente colpita. «Tre: Burgit, Billa e Bess, che ha un'officina. Magari le interessa più dei cavalli» insinua, sornione, e fa dello spirito: «La sua macchina quanti ne ha?». Penso alla mia vettura ferma sulla strada, sotto il sole e in balia della polizei austriaca. Forse la stanno già rimuovendo, mi domando come farò a riprendermela, visto che conosco a malapena quattro parole d'inglese e nessuna di tedesco. E poi... ripartirà mai? Che casino! «Potrebbe chiamare sua sorella Bess e spiegarle la mia situazione?», mi accorgo di star quasi supplicando. «Dal mio telefono, ovviamente, e se non ne approfitto troppo.» «Ci penso io, non preoccuparti. La faccio mandare a prendere da Bess col carro attrezzi e poi ti chiamo per dirti quand'è pronta... se mi dai il tuo numero di cellulare, ovviamente», mi fa il verso, «o preferisci che ti lasci un messaggio all'aparthof?» «No, no, glielo do, certo...». Mio marito – ex – me lo diceva sempre, che sono una sprovveduta. Una volta, in buona fede ho compilato un questionario: mi avevano detto che era per una ricerca di mercato, invece mi arrivò a casa un'enciclopedia su dvd che costava un occhio della testa. Paolo fece un'indagine sulle tecniche di vendita di quell'azienda e la svergognò sulle prime pagine di tutti i giornali tramite certi amici suoi che bazzicano l'editoria. Tutto per dire che un po' mi preoccupa dare il mio numero a uno sconosciuto. Ma, visto che questo sconosciuto qui è così gentile, non vedo che male ci sia. In più è bello, anche troppo, e io sono una single forestiera in vacanza da sola. L'occasione si direbbe propizia per farsi una bella storia estiva, anzi, mi ci vorrebbe proprio, gioverebbe alla mia autostima se solo avessi il coraggio di uscire dalle mie ormai castissime vesti di mamma-e-basta. Mentre guida, gli annoto il telefono su un pezzetto di carta e ringrazio, mentre la ruspa gira a sinistra e si ferma in uno spiazzo asfaltato. Intorno, prati recintati dove scorrazzano cavalli dal manto baio e pony pezzati. «Questo è il maneggio», dice Benno Frieder, accennando a un grande edificio di legno. «Ci vengo un paio di volte la settimana, quando non ho rafting». Accidenti, ma quante cose fa, quest'uomo? Lo immagino discendere le rapide a bordo di un gommone... wow, il rafting dev'essere una forza! «L'Aparthof Schmid è un po' più avanti, ma il vialetto è troppo stretto per la ruspa. Prendo la tua valigia e andiamo a piedi, intanto chiamo Bess.» «Ma no, l'ho già disturbata abbastanza, se mi indica di quale edificio si tratta ci arrivo da sola». Benno sorride di nuovo, in realtà non ha mai smesso del tutto di farlo. Scende dal mezzo, mi dà una mano a saltar giù e per un attimo sono tra le sue braccia e ne percepisco la forza. È alto, e i suoi occhi molto chiari mi guardano per un lungo istante in un modo che... non so, mi si attorciglia qualcosa nella pancia. Neanche fossi una sedicenne che sbava su un poster di Maluma! Adesso, all'aria aperta, mi sembra che abbia un odore particolarmente buono. E questa camicia sbottonata, diosanto...! Distolgo lo sguardo dalla peluria sul suo petto, e cerco di riappropriarmi del trolley mentre scambia qualche parola al telefono – il suo – in dialetto austriaco. Non lo molla. «Lo porto io, tu sei in vacanza», insiste. «Bess dev'essere andata a mangiare, ho lasciato un messaggio in segreteria ma la richiamerò più tardi. Credo, però, che per qualche giorno dovrai fare a meno dell'automobile». Chissenefrega. Per rilassarmi, dimenticare di avere delle responsabilità e fare la corte a un certo austriaco figo da morire non mi serve la macchina. Non glielo dico. «Non importa, tanto me ne starò su qualche prato a leggere per tutta la settimana», sospiro. «Allora dovrai stare attenta a dove ti sdrai, da queste parti le mucche scorrazzano libere e, in vita mia, non ne ho mai vista una far la fila per usare un gabinetto». Mi metto a ridere e lui mi fa cenno di seguirlo. Camminiamo fianco a fianco per meno di un centinaio di metri, svoltiamo a destra poi ancora a destra dopo la siepe alta e i cespi di belladonna dalle bacche sode e lucenti che paiono piene d'inchiostro. L'hotel, che poi è una struttura dove si affittano mini appartamenti ai turisti – una specie di residence – è un grande casale rivestito di legno dipinto di giallo, con le imposte e i balconi azzurro pastello. È molto grazioso. Benno si ferma davanti alla rimessa delle auto e non accenna a portarmi il bagaglio più in là di così. «L'Aparthof Schmid è gestito da una coppia, marito e moglie. Veramente, lui è quasi sempre via e lei non è molto cordiale, ma parlano italiano e non avrai problemi con la lingua» mi assicura e mi dà l'impressione che, all'improvviso, abbia fretta di andarsene. Forse ho scombinato i suoi programmi. «Ti faccio sapere per la macchina, d'accordo?» «Sì, grazie, però...» metto mano al portafoglio, con l'intenzione di compensarlo per il disturbo e augurandomi che non si offenda; non so come si usi da queste parti, quando si è in debito. «Posso, non so, offrirle un caffè?» Lui fa un passo indietro, alza entrambe le mani mostrando i palmi. Sono mani che lavorano, la pelle è ruvida e i polpastrelli non proprio puliti. «C'è un bar italiano, a Seefeld, che fa un ottimo espresso», mi informa. «Quello lo accetterò volentieri». Ehi, mi ha chiesto di uscire? Non ho molta dimestichezza con questo genere di cose, quando si viene al dunque mi sento talmente goffa! Sarà che sono stata sposata per dieci anni e che per tutto quel tempo ho badato bene di non frequentare altri uomini, nemmeno come amici. Col mestiere che fa, Paolo ci avrebbe messo un attimo a beccarmi e chissà che cosa si sarebbe immaginato. Peccato che lui, nel frattempo, si sia ripassato la sua segretaria, come da canovaccio classico, e abbia consolato diverse delle sue clienti. Farsi cogliere in flagrante da me, come un novellino, per lui che è un investigatore privato dev'essere stato un bello smacco. «Okay» accetto, con le farfalle nello stomaco. Mettermi a fantasticare per un caffè è decisamente sciocco da parte mia, nemmeno un prestigiatore riuscirebbe a nascondere chissà quali implicazioni dentro una tazzina. Gli do le chiavi della macchina senza che mi passi per l'anticamera del cervello che voglia fregarmi. Intenzionalmente gli sfioro le dita e quel contatto mi piace, mi piace molto. Chissà se ha capito che l'ho fatto apposta...? |
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