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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Evelyne Nicod
Titolo: Le Madri
Genere Narrativa Femminile
Lettori 222
Le Madri
La peste.

Ho appena fatto una cosa incredibile: ho schiaffeggiato mia madre.

Elvira
Sono vecchissima, meglio non quantificare, vedova da parecchio tempo, vivo in una casa con giardino in Piemonte, al pianterreno, e le mie figlie occupano il secondo piano, una convivenza ardua, per dirlo con garbo.
Scrivo queste poche righe per facilitare la rimozione di troppi dispiaceri, messi nero su bianco si cancellano più in fretta, un vero catalizzatore di brutte sensazioni che si evaporano.
Non funziona sempre, ci provo lo stesso, non ho più l'età per andare in analisi, peccato.
Mi vantavo di stare benino, ma chi ha mai visto una vecchia della mia età senza malanni, non credo che esista. È una maledizione questa longevità, detestabile direi. Sono stata operata di un cancro allo stomaco due mesi fa, dopo anni di diete rigorose, di privazioni varie, allergie, gonfiore, un lento calvario per finire sotto i ferri, intubata da tutte le parti e perdere una decina di chili che non erano superflui.
Stella stava con me di giorno e Tina di notte. Sono convalescente e non ancora tornata in me, un molare mi fa un male tremendo, dovranno portarmi dal dentista al più presto. La vista pure fa dei capricci, mi si è chiusa una palpebra, avevo 10/10 decimi dopo essere stata operata di cataratta, sono furiosa.
Mando giù una decina di pillole al giorno, Tina si cura della mia salute, Stella cucina e mi fa da autista.
Stella
Ci mancava la palpebra, ci fa impazzire. L'ho portata dal dentista, ne ha già seppelliti tre, l'ultimo non ci credeva che avesse ancora tutti denti suoi a parte quelli del giudizio, le ha tolto due molari ormai usurati, ma con radici sanissime. Urlava e strepitava, bestemmiava, l'hanno sentita in tutto il palazzo. Non sopporta nessun dolore nemmeno sfiorata. Fa delle scene incredibili dovunque andiamo, si ricordano di noi, ed io passo la vita a scusarmi di infliggere un tale fardello a questi professionisti.
Di ritorno a casa, sciacqui e risciacqui di bocca, sembrava che stesse per morire: tapparelle abbassate, silenzio, camminare in punta di piedi, stare nella stanza affianco per un'eventuale chiamata di emergenza, ma non disturbare con rumori di qualsiasi genere, non parlare.
Sono esausta, avrà la mia pelle, la cara madre.
Tina
Mia sorella non ha pazienza, s'innervosisce per niente. Lo sappiamo che la mamma è fatta così, non pensa a quel che dice, si sfoga imprecando. Io la capisco, la sopporto senza problemi, sa essere anche divertente qualche volta.
Ha offeso Stella, trattandola di vecchia zitella inaridita che nessuno ha voluto! Anche a me dice degli orrori tipo: povera racchia, manico di scopa, scheletro ambulante, ecc. Non mi tocca, entra da una parte ed esce dall'altra. Ci vorrà bene a modo suo, chi ama bene castiga bene, non è vero?
È nata il 2 novembre 1927, cosa si può aspettare da uno scorpione... Si è sposata a diciannove anni incinta di Stella nata nel 47 e un anno dopo nacqui io.
La ricordo sempre di salute precaria, soffriva di emicranie per giorni, si chiudeva in camera sua, era vietato accendere la radio, pretendeva il silenzio, il buio. Quando passava la crisi, cantava come un usignolo, spalancava le finestre, ci faceva giocare e spariva per settimane, qualche volta dei mesi. Diceva che si curava alle terme, al mare.
La nonna materna era stata maestra elementare, vivevamo da lei, a casa sua, con nostro padre, ci ha allevato lei.
Papà era ingegnere, gestiva una sua piccola azienda, partiva presto e tornava tardi, ci s'incontrava solo la domenica.
Quando tornava la mamma, papà cenava con noi, poi si chiudeva nello studio fino a tardi.
La mamma si chiama Elvira, era molto bella, andava a teatro con le sue amiche, viaggiavano per l'Italia, aveva la terza media, leggeva romanzi e sognava parecchio.
Nostro padre era molto fiero delle sue donne, suocera compresa, sempre ben vestite, pettinate, di rado ammalate, solo malattie infantili. Stella era altissima, bionda, robusta con lunghe gambe affusolate, portata sulla ginnastica. Io ero magra, delicata, pallida, scura di capelli e non mi ammalavo mai, fragile ma indistruttibile.
Con mia sorella ci beccavamo di continuo, studiavo senza problemi, lei era sempre distratta, tenevo le mie cose in ordine, lei sguazzava nel disordine, il mio letto era impeccabile, il suo sembrava un campo di battaglia. Eravamo di natura inconciliabile, ma ci volevamo un bene dell'anima, come adesso.
Crescevamo in un ambiente bizzarro, la nonna seguiva da vicino i nostri studi, il papà era troppo occupato con la sua attività e la mamma in giro per il mondo. Godevamo di una relativa libertà. Giocavamo con le amiche di scuola, le stesse per tutte e due, d'estate andavamo nella casa sulle colline del Lago Maggiore. Non festeggiavamo Natale, ci scambiavamo un libro o un disco per regalo, nessuno andava in chiesa.
Papà ci portava al Museo della Scienza e della Tecnica, al Planetario, quando la mamma stava a Milano ci comprava dei bellissimi vestiti e andavamo al cinema.
Non mangiavamo mai assieme, noi due in cucina con la nonna, papà fuori e se c'era la mamma si cenava in pizzeria con lei. Mai visto Elvira con una pentola in mano, viveva d'aria, probabilmente.
Per noi era il quotidiano da sempre, non ci stupiva nemmeno un po'. Le nostre conoscenti si lamentavano di avere sempre le madri addosso, fai questo, fai quello, non dire parolacce, ecc. La nonna ci insegnò a badare a noi stesse senza storie. Sapevamo fare di tutto, cucinare, pelare le verdure, lavorare la pasta dei dolci, stirare, riassestare le stanze, usare la lavatrice senza infeltrire la lana, cucire un orlo, ecc. Due fate della casa.
Una cara signora veniva a pulire la casa tre volte alla settimana, l'appartamento era spazioso con una terrazza, vicino al parco. La nonna l'aveva ereditato alla morte di suo marito, deceduto giovane. I mobili erano di fine ottocento, la cucina fu rimodernata prima della mia nascita, con quel che si faceva di meglio all'epoca, poi arrivarono la lavatrice e il frigorifero. Andavamo a lezione di piano da una signora anziana, ex primo premio al conservatorio, una sofferenza per entrambe, cantavamo anche delle arie famose accompagnandoci, Stella era un soprano, io gracchiavo. Non eravamo dotate come artiste liriche, ma abbiamo studiato durante dodici anni lo stesso, suoniamo ancora senza troppo rovinare gli spartiti di Mozart, non siamo eccezionali, ma sciolte e adesso ci piace parecchio.
Stella smaniava per la ginnastica artistica, io leggevo a tempo pieno qualsiasi cosa mi capitasse di trovare nella biblioteca del nonno.
Ci mandarono in Inghilterra, prima della maturità, due anni di seguito durante l'estate, a Londra. Erano gli anni d'oro della swinging London, purtroppo eravamo chiuse senza il permesso di uscire di sera. Erano vietate le minigonne all'interno della scuola, però ci sfogavamo la domenica pomeriggio, unica libera uscita, in Carnaby Street, con dei vestiti così succinti che coprivano a malapena i nostri sederi, cosce all'aria, a noi la libertà!
Stella con le sue gambe lunghe faceva strage di mocciosi capelloni, pieni di brufoli, io esibivo gli sfavillanti vestiti di Laura Ashley, più pudici e così fioriti, romantici. Si ballava al Marquee e tornavamo alle diciannove, puntuali per l'orrenda cena che ci veniva servita nel collegio, indossando le vesti sotto le ginocchia.
Stella
La nostra infanzia e l'adolescenza furono tranquille nonostante la sgangherata assistenza in famiglia. Papà verificava ogni tanto il livello scolastico, nonna pure, mamma ci vestiva e lasciava correre la disciplina e l'apprendimento. Eravamo delle brave ragazzine, studiavamo con serietà, la maturità fu ottenuta come un'evidenza, non eravamo della razza delle ribelli.
La prima volta in cui fui autorizzata a fare tardi, ho fumato la mia prima e ultima canna, ridevo come una scema e ballavo da sola, la testa vuota, l'equilibrio precario, sembravo ubriaca, non ne valeva la pena.
Ci siamo sviluppate tardi, il mestruo a quattordici anni e mezzo per me, quindici per Tina. Non era un evento né una rivoluzione, la nonna aveva spiegato tutto, solo una scocciatura perché andavo in palestra tre volte alla settimana. Avevo il problema dell'altezza, troppo alta per questa disciplina, il mio corpo si sviluppava lentamente, ma i rilievi erano visibili, ero sconsolata e odiavo il mio aspetto. Mia sorella era più discreta nel suo fisico, sottile, le gambe lunghe e il busto corto, femminile con modestia. I nostri caratteri corrispondevano alla perfezione, esuberanza per me e calma per Tina. Mi rendo conto di fare molto rumore, muovo troppo le braccia, le mani, Tina sta delle ore tranquilla, osserva il mondo da futura antropologa.
Ho studiato biologia, mia sorella psicologia, ci siamo laureate con 110 e lode senza acclamazioni in famiglia, era considerato un minimo da parte nostra, nessun applauso, nessun regalo.
Siamo andate poi in Inghilterra, alla pari, in un albergo a Guernesey, sei mesi per migliorare il nostro inglese che non era male, però la nonna si ammalò e tornammo in Italia per curarla. Avevamo ventitré e ventiquattro anni, la nonna una settantina appena compiuti. Reduce da un infarto era paralizzata in mezzo corpo, su una sedia a rotelle. Sua figlia non era in grado di accudirla, Tina e la sottoscritta le volevamo un gran bene a quest'uccellino che ci aveva allevato, abbiamo fatto del nostro meglio per renderle meno gravosi i suoi ultimi sei anni di vita da invalida. E' deceduta in ospedale dopo un ultimo infarto, Tina le teneva la mano, ero tornata a casa per riposarmi, facevamo la guardia a turno.
Nostra madre si era chiusa in camera sua con le solite emicranie, non venne mai in ospedale né in cimitero, troppa sensibilità per sopportare una realtà così tremenda, ci disse.
Papà si vedeva di rado, sapevamo che la sua ditta era molto bene avviata, grazie a una persona che lavorava alle sue dipendenze, dicendoci che nostro genitore era un genio e un autentico gentiluomo. Nei nostri confronti era generosissimo, ognuna di noi possedeva un conto in banca personale senza dovere rendere conto delle nostre spese.
Ero curiosa di esotismo, di yoga, meditazione, decisi di partire in India da sola.
Era una dichiarazione d'indipendenza, avevo ormai trent'anni, mia sorella piangeva, mia madre faceva il muso, solo papà m'incoraggiò a partire con un bel po' di dollari.
Ho passato sette anni paradisiaci, prima in un ashram buddista, per sei mesi, con un compagno canadese con il quale condividevo tutto, yoga, cibo e letto.
Tina
La partenza di mia sorella mi sconvolse, mi lasciava in balia alla mia esistenza vuota. Ero la cocca di papà, mia madre da qualche tempo non viaggiava più e dovevo accompagnarla quando la Liguria e Santa Margherita le mancavano troppo. Sempre lo stesso rituale: shopping, vestiti, pasti frugali nel solito ristorante, passeggiate sul lungo mare, riposino pomeridiano, cinema serale, poi ognuna in camera a dormire. Per fortuna avevo i libri, miei fedeli compagni da sempre. Ostacolava qualsiasi tentativo di amicizia da parte mia nei confronti di altre persone, mai abbastanza interessanti, considerate uno spreco di tempo. Compravamo vestiti, pantaloni, camicette di Emilio Pucci, scarpe Ferragamo, borse di Gucci, ecc. M'insegnava il buon gusto, il suo, si capisce, mi sentivo vecchia, il sole mi dava l'eritema, lo stomaco brontolava e doleva, vivacchiavo.
Conobbi un ragazzo, si chiamava Mario, anche lui accompagnava i suoi genitori che vivevano in Liguria durante l'inverno. Possedeva una spider rossa, mia madre lo trovava distinto. Lavorava nella farmacia di suo padre a Parma, era magro, biondo, vestiva una camicia rosa attillata con iniziali ricamate, calzava mocassini con il fiocco, profumava di Vetiver. Teneva un plaid nel cofano dell'Alfa Romeo, mi sverginizzò nella pineta vicino a Portofino, in una serata tiepida, un cielo colmo di stelle, usando un preservativo ovviamente.
Era avvenuto abbastanza in fretta, senza effusioni e strepiti, palpazioni efficaci e precise, seguì l'atto sicuro, poi fine delle operazioni con un bacetto frettoloso. Mi riaccompagnò in albergo in silenzio e mi salutò dandomi appuntamento per il giorno seguente al solito bar sulla piazza.
Ci sono andata per un mese e mezzo, ogni sera il solito scenario, nessuna variante, mi palpava ben bene il seno (molto piccolo) poi le altre parti più intime con minuzia, si accaniva, per finire in pochi secondi con fazzoletti di carta usa e getta, soprattutto non macchiare i preziosi pantaloni di lino bianchi.
Ho imparato un po' di trucchetti per farla finita ancora più in fretta, miagolavo, sospiravo, mi strusciavo e funzionava alla grande. Mai sfiorata da un orgasmo, anche piccolino, mi sarei accontentata di poco.
Mia madre sorrideva al giovanotto, era tutto giusto, età, socialmente presentabile, bel ragazzo, un futuro assicurato.
Non parlavamo molto, capii in fretta che non era lui il tipo delle affinità elettive di Goethe.
Era gentile, premuroso, al cinema metteva le mani sotto le mie gonne sorridendo, mi comprava il gelato, invitava mia madre a ballare nei locali. Li osservavo, erano perfettamente assortiti, si guardavano negli specchi, le accarezzava la schiena con nonchalance e lei si stringeva addosso rapita. Al ritorno mi rovesciava sul sedile della spider, il cambio nella schiena e il freno a mano sotto le chiappe, e godeva come un cammello sbavandomi sul collo. Mia madre lo eccitava più di me.
Non c'era ombra di sentimenti in gioco, nemmeno da ingannarsi, si trattava di noia da colmare in qualche modo, ero presente, disponibile, presto fatto, come sintetizzano gli americani, sex and sun...
Poi la fortuna mi fece incontrare un uomo che alloggiava nel nostro albergo, un tedesco ammogliato con una fotocopia di Anita Ekberg, ci fu una serata di festa nei saloni, m'invitò a ballare stretti stretti, mi portò in giardino e mi misi a urlare per la prima volta in vita mia, un mago, altro che il farmacista, mai rivisto, però memorabile.
Stella
La vita scorreva piacevolmente nella comunità internazionale di persone che condividevano gli stessi interessi. Stavamo bene insieme, cucinavamo a turni, cantavamo tenendoci per mano, ci amavamo con semplicità. Non desideravamo cambiare il mondo, meditavamo, facevamo gli asanas. Ero in coppia con lo stesso uomo da sette anni, si chiama Steve Colman, nato in provincia di Vancouver, arrivato in India un anno prima di me. Ci siamo immediatamente capiti e piaciuti, è laureato in psicologia come mia sorella, abbiamo la stessa età e stesso coinvolgimento emotivo. Non cercavamo il nirvana, siamo atei, occidentali ma motivati dalla gentilezza che si respirava nell'ashram.
Steve meditava più di me, era maestro di yoga, praticavo con meno costanza, ma divenni anch'io istruttrice. Capirono in fretta che ero negata con i tegami e le pulizie, ma una maga nell'organizzare seminari e come biologa, lavoravo in un laboratorio in ospedale.
Avevo trovato il posto fatto su misura per me, al momento giusto.
Tina mi richiamo in patria, aveva bisogno di aiuto, papà stava molto male con un morbo di Parkinson avanzato. Faceva fatica a sopravvivere anche con le cure.
Sono tornata in Italia il cuore a pezzi di lasciare Steve, l'ospedale, gli amici, sapevo che sarebbe stato un addio.
Papà era l'ombra di se stesso, faceva fatica a comunicare, a camminare, a deglutire. Aveva venduto la sua amata azienda a una società americana del settore. Il futuro economico era assicurato per tutti noi.
Mamma, al suo solito, non voleva sapere niente delle grane, chiudendosi nella sua camera con l'emicrania. Tina teneva le redini della casa, aiutata da una ragazza, io stavo con papà notte e giorno.
Era ancora presente con quel che rimaneva della sua intelligenza, viva, curiosa del passato, ormai ridotta ma sufficiente. Imparai a gestire il quotidiano, gli volevo un gran bene, era una brava persona che aveva commesso un solo errore in vita sua, sposare mia madre. Erano incompatibili in tutto, non aveva funzionato niente, separati in casa per mancanza di divorzio, ognuno seguiva la sua strada, senza tropo odio, con indifferenza ironica, soprattutto da parte di mia madre. Papà aveva messo la sua bella sposa su un piedistallo, uno sbaglio pagato caro. Lei si era sposata per scappare dalla tutela di suo padre, sognava un principe azzurro con molti soldi, una festa brillante tutti giorni, in poche parole la libertà dei propri movimenti, senza dovere rendere conto a nessuno. Purtroppo siamo nate in fretta, la bella si sentiva ingannata con una trappola ancora peggiore di quella patita in gioventù, imperdonabile a vita per tutti noi. Ce la farà pagare, eccome. Non odiava suo marito che assicurava la sua esistenza, non lo stimava per non essere stato all'altezza dei suoi sogni di grandezza.
Eravamo la sua palla al piede, la causa delle sue emicranie, invecchiando divenne veleno puro.
Non mi toccava sentirla imprecare contro di noi, era come un gatto in gabbia, isterica di una rabbia incontrollabile.
Tina
Per fortuna che mia sorella sia tornata, non ci resistevo più da sola in questa casa di pazzi.
A me tocca la mamma, a mia sorella papà.
La gioventù ci sembra così lontana, mi sento cento anni sulle spalle.
Tenere la casa e la mamma, non era il sogno della mia vita, non fa altro che lamentarsi. Per dispetto a suo marito, chiamato da Lei la larva, e che non ha visto da mesi, a due stanze di distanza, pretende la visita di specialisti, non del medico della mutua. Mi vergogno per lei, straparla, dimentica che sono sua figlia, non la confidente.
Da qualche tempo ha bisogno di vuotare il sacco dei ricordi, di vantarsi un po'. Non la sopporto più. Non lo farebbe con Stella, la teme un po', è per questo che la tratta così male.
Con me, era sempre stata meno aggressiva, non mi tirava le scarpe addosso come lo fa con mia sorella, però non mi risparmia i dettagli della sua vita sessuale che farei volentieri a meno di conoscere.
La sera non guarda più la televisione, sta nel suo letto con riviste di moda e libri gialli, mi chiama di continuo per chiedermi un bicchiere d'acqua, una tisana, soprattutto di farle compagnia. So dove vuole arrivare, ha bisogno di farmi capire che grande amorosa era stata, come ha potuto mettere al mondo due zitelle così insipide, non se ne fa una ragione, due smidollate come suo marito, mezze cartucce tutte, ecc. Poi arriva il momento dei sospiri, dello sguardo lubrico, e via il fiume in piena di amplessi a catena, con il suo amante, venti anni di passione, mai sazi. Questo sì che era un uomo, cinque, sei volte per notte, e non delle sedute di pochi minuti, delle ore... non come te, incapace di trovartene uno degno di questo nome, come la scema di tua sorella con le sue manie di meditazione.
Che cosa ho fatto di male per meritarmi figlie simili.
La stessa scena si ripete ogni sera, vado a letto piangendo, prendo un sonnifero per piombare nell'oblio. Non pensare più, soprattutto non pensare.
Non ho mai lavorato, ma grazie ai miei studi capisco questa donna, preferirei che non fosse ANCHE mia madre, non la sopporto. Papà peggiora ogni giorno di più, cade spesso, siamo abbonate al pronto soccorso per eventuali fratture, ci teniamo per mano con Stella.
Con mia sorella ci siamo riservate delle notti alcolizzate, cognac, assieme ad Armagnac, senza moderazione. Dopo tre bicchieri di fila, quelli per l'acqua, non stiamo più in piedi, ridiamo delle disperate che siamo diventate, facciamo un brindisi alla fine della famiglia, questa trappola infernale.
Ho appena fatto una cosa incredibile, sì, ho schiaffeggiato quella là, un manrovescio con anello, in piena faccia, non riesco più a chiamarla mamma, non lo è mai stata, Elvira picchiata dalla dimessa figliola, perché no!
Mi stava descrivendo, per filo e per segno il via vai del suo amante dentro di lei, si stava eccitando parecchio, mi guardava con odio, mi ha tirato un libro addosso, rompendo i miei occhiali, non ci ho più visto, l'avrei uccisa, mi sono sfogata con lo schiaffo, le è andata bene, questa idiota ignorante donnaccia.
Non ha fiatato da allora, non capisce altro che la violenza.
Stella
Papà è morto, è stato cremato, con mia sorella abbiamo disperso le ceneri nel giardino della casa sul Lago Maggiore.
Con lui si chiude la parte migliore della nostra storia.
Era un uomo buono, intelligente, si è invaghito di una donna sbagliata, in un'epoca sbagliata, niente divorzio, un forte senso di fallimento. Sono vissuti male, la nonna, mio padre, mia madre e noi due, i frutti marci.
Stiamo insieme per dovere, niente amore.
Non si può abbandonare questa creatura persa, vecchia e malvagia, purtroppo.
Ho notizie di Steve grazie a internet, ha una compagna, due figli con i capelli rossi, ricorda con affetto la nostra storia, siamo ormai due amici carissimi.
Lavoro da qualche mese come istruttrice di yoga per professionisti del settore. Questa disciplina mi ha salvato la vita al mio ritorno in Italia. Era così difficile lasciare dietro di me tutto quel che amo di più per trovarmi con la dura realtà di questa famiglia disgraziata. Un groviglio d'infelicità cronica per tutti. Mia sorella è distrutta psicologicamente, uno straccio, per fortuna personalmente ho dei ricordi belli cui pensare, non è il caso di Tina che annega i dispiaceri nel cognac.
Cancello, ora siamo tutte DUE astinenti, non ce l'abbiamo con il destino che ci ha regalato una madre del genere, oscena, la compiangiamo tenendoci, tutte e due, per mano. Tenteremo di finire il nostro percorso su questa terra con dignità, però manca l'entusiasmo.
Elvira
Lo so che queste due donne mi odiano, pazienza, le ho messe al mondo, ora tocca a loro prendersi cura di me, è la vita.
Mi sembra incredibile di essere io la creatrice di persone così mal riuscite, saranno i geni dei loro padri, poverette.
Se penso al mio matrimonio, mi sento male.
L'avevo voluto a tutti costi, non era male di fisico, ingegnere, una ditta sua, sarei stata ammirata, l'ho sedotto con i miei diciannove anni di malizia. Mio padre era severissimo, trattava male mia madre, per fortuna morì giovane, lasciandoci le case. La mamma mi coccolava, facevo quello che volevo di lei, incontrai il giovane da amici. S'innamorò di me subito, ero niente male, lo capii subito e feci di tutto per farmi sedurre. Mi sposò incinta di quattro mesi. Era fatta, padrona di me stessa, però stavo male con la gravidanza, andammo a vivere in casa di mia madre. Non sentivo niente per mio marito, né bene né male, lasciavo il mio corpo a disposizione, così nacque la seconda bambina, quanto vomitare queste gravidanze.
La mamma mi curava bene e si occupava delle bimbe, non avevo l'istinto materno, nemmeno un po'. Mi davano fastidio quando piangevano, la puzza per cambiare i pannolini... chi me l'aveva fatta fare una scemata del genere.
Per tirarmi su andai in Liguria da un'amica, la Milly. Quanto ridere abbiamo fatto, aveva una casetta a Santa Margherita, andavamo a ballare tutti i pomeriggi. Telefonavo a casa una volta la settimana.
Ho conosciuto un giovanotto che mi faceva la corte, acconsentii ad andare in casa sua. Si chiama Pietro, siamo stati assieme a letto subito, una foga che non immaginavo, su, giù, di qua di là, sotto sopra, tutta la notte senza fermarsi. Una giostra di piacere puro. Veniva solo nel fine settimana, lavorava a Bergamo, imprenditore edile.
Ci siamo rivisti la settimana seguente senza mai uscire dal letto, avevo trovato il mio uomo. Sapevo che non era fedele, ma andava bene così.
Non volevo più tornare a casa da quel cornuto d'ingegnere e dalle figlie. Dovevo per forza, se no mi tagliava i fondi e con cosa sarei vissuta.
Tornai a Milano il cuore a brandelli, ritrovai un marito voglioso di mettere in cantiere un terzo figlio.
Abbiamo bisticciato come delle belve, gli dissi che mi faceva schifo, di non azzardarsi a toccarmi mai più, e che curasse lui le marmocchie.
Impallidì, se ne andò a dormire sul divano del suo studio, non torno più nella mia stanza. Era stato più facile di quanto pensassi. Mi ero sbarazzata per sempre del dovere coniugale.
Il caro Pietro con un dito mi mandava in cielo, sapeva tutto di me, andava con tante donne, conosceva tanti trucchi per giocare con me. Non era innamorato, lo sapevo, ma io sì, mi sarei gettata nel fuoco per lui.
Sono tornata a vivere a Milano, per qualche mese c'incontravamo in albergo, poi lui comprò casa e mi dette le chiavi. Ero la sua schiava, facevo la moglie devota per la parentela. Poi è diventato ricco, il Pietro, mi regalava gioielli favolosi, ero la sua mantenuta con un guardaroba da gran dama, andavamo in alberghi di lusso, mi esibiva come un trofeo, mi ammiravo negli specchi, splendida e felice. Tornavo a casa per riposare, fare l'amante può risultare faticoso, si dorme poco, solo di giorno e non sempre. Quest'uomo era un fenomeno, capace di tenere per ore un solo assalto, per cinque o sei volte di seguito. Come resistere a una forza della natura, non facevano il peso tutti quanti a Milano.
È durata una ventina d'anni, Pietro si è sposato, ha fatto tre bambini, ci vedevamo meno spesso nella casa milanese.
Veramente non è mai finita, è sempre vivo, siamo coetanei, due novantenni con bellissimi ricordi. Sua moglie è morta, mio marito pure, ci sentiamo al telefono e ridiamo come matti delle nostre maratone amorose. Mi chiama la sua Maga Circe, mi piace.
Ho messo al mondo delle creature e basta, non mi sono mai sentita madre di nessuno. Mi ricordano i loro padri, sufficiente per non poterle soffrire, quelle due.
Viviamo assieme, si curano di me malvolentieri, le capisco e contraccambio, ma io sono a casa mia, ereditata da mia madre, come la casa sul lago. Vivono con me, non il contrario. Stella ha una scuola di yoga e medita, le fa bene, ne ha bisogno poveraccia, così scorbutica e bruttina. Valentina fa pena, magra, piagnucolona, insipida, chi mai avrebbe voglia di toccarla, difatti non ha mai trovato nessuno o quasi.
Sono sicura di festeggiare almeno i cent'anni, sono fatta di granito, dovranno supportarmi ancora un bel po'.
Marco
Sono un amico d'infanzia delle due sorelle, ex moroso di Stella, psichiatra di professione, sposato con due figli, ammogliati pure loro. Mia moglie è molto legata a Tina da una decina d'anni. Seguo in analisi una dozzina di pazienti, e non posso farlo con i conoscenti vicini, si capisce. Elvira è un caso patologico, con attacchi di paranoia e schizofrenia in alternanza.
Quando eravamo legati con Stella, una trentina di anni fa, studiavo con un prof in gamba, dei casi gravi. Frequentavo la casa della mia ragazza, incontravo suo padre che mi metteva soggezione, ma era niente in confronto alla madre: una gran bella donna, altera, ironica, la lingua tagliente. Non le piacevo, mi chiamava il poveraccio dei pazzi.
Scappavamo appena possibile lontano da quella casa, andavamo in giro nella mia cinquecento, mia madre era affezionata a Stella, contraccambiata. Ci chiudevamo nella mia stanza per ascoltare musica e fare sesso. Era dolcissima nonostante il suo fisico atletico imponente. Si faceva piccola, desiderosa d'affetto, una gattona che coprivo di carezze, sentivo che subiva il rapporto fisico e che preferiva le coccole, io il contrario, ovvio. Siamo stati assieme un anno, prima che partisse in India, ci scrivevamo e telefonavamo, sempre in contatto. Mi sono fidanzato, sposato, sono nati i ragazzi, ci siamo persi finché tornò a Milano per curare suo padre.
Mi chiamo una sera, disperata, l'ho invitata a cena per parlare con più facilità, da soli. Era diventata magrissima, così alta, gli occhi infossati, il viso pieno di rughe, sciupata, non mangiava quasi niente da mesi. Ordinò un risotto allo zafferano, ne mangiò due forchettate e basta. Mi disse molte cose piacevoli da sentire per un ex amoroso, il ricordo era positivo, della prima volta nella cinquecento... Ridevamo rilassati, poi s'incupì di colpo, gli occhi lucidi. Si sentiva fallita, aveva lasciato il mondo delle favole in India, con il suo compagno, per questa casa insopportabile a Milano. Amava molto suo padre, ammirava la sua bravura d'imprenditore, la sua cultura ma non riusciva a capire come avesse potuto innamorarsi di una donna come sua madre, a suo dire, ignorante, meschina e furbissima. Aveva fregato un uomo con le sue moine, la sua esuberante sessualità, era molto introverso e timido, purtroppo.
La seguo ogni settimana, la vengo a trovare nella palestra, l'ho indirizzata da un mio collega che tenta di curare la sua anoressia.
Monica
Sono la moglie di Marco, stesso percorso, stessa età, medico generalista in pensione da poco tempo.
Ho conosciuto Tina tramite mio marito, che rimase sempre in contatto con lei. Credo che abbia molto amato Stella, ci siamo frequentati un anno dopo la sua partenza per l'India. Era molto giù, l'ho consolato, mi piaceva troppo, è ancora un gran bell'uomo. Non sono gelosa del passato, anch'io avevo i miei filarini e perso la testa per un collega sposato, figlio di buona donna.
Torniamo a Tina.
Ci siamo incontrate da amici comuni, m'incuriosiva la sorella dell'ex fidanzata di mio marito. Piccolina, sottile, graziosa come una porcellana, un viso d'angelo e degli occhi enormi colore nocciola, un corpo da adolescente, gambe lunghe, busto corto con due mini seni molto discreti. Mario mi disse che la sorella era il suo esatto contrario, spilungona, formosa, atletica. Ci siamo piaciute da subito e parlato fitto tutta la sera, ignorando il resto della compagnia.
Sono stata invitata, una sera, a casa dei genitori di Tina. Ho incontrato per la prima volta la signora Elvira, quando incominciava il suo declino fisico, era ancora una gran bella donna, alta, ben fatta, altezzosa, glaciale. Mi squadrava dall'alto in basso, senza parlare, mi giudicava, misurava con il proprio metro. Non ero pericolosa, banale, andavo bene per Tina, se proprio era necessario, lei non sentiva la mancanza di amicizie tra donne, per farne che?
Da medico so quanto è importante guardare un paziente in dettaglio per farsene un'idea generale: come si veste, muove le mani, le gambe, i piedi, se si cura molto, i capelli puliti o no, ecc.
Elvira era una sfinge congelata, non dava la mano per salutare, chinava leggermente il capo. Portava un abito di seta di Pucci che fasciava il sedere, era snella, si teneva diritta sulla poltrona, le gambe in mostra, stupende, calzava delle scarpe di vernice a tacco ridotto. Sembrava un'imperatrice in mezzo al suo popolo. Si truccava poco, solo la bocca, i capelli biondi scuri incorniciavano un ovale perfetto, dove spuntavano due occhi di serpente. Non avevo mai incontrato un essere del genere. Suo marito era un uomo severo, alto, robusto, un viso aperto e un sorriso benevolo. Vestiva su misura da un buon sarto. Fu servito il caffè sul vassoio d'argento e il cognac in bicchierini di cristallo. Era una serata formale, e una tantum, per capirci. Tina aveva ottenuto il privilegio, a cinquant'anni, di avere un'amica, ma di non disturbare, chiaro?
Marco rideva della mia disinvoltura esagerata, sapeva che friggevo. Il mio vestito era carino, non bello, i capelli avevano bisogno di un buon taglio come le mani di una manicure, mio padre era falegname, si leggeva tutto questo su questo sorriso tirato, sdegnato.
Per fortuna Tina era una persona adorabile, servizievole, aiutava i miei ragazzi a studiare, li portava con la sua macchina in piscina, al cinema. Non l'ho mai sentita lamentarsi fino a poco fa, era esausta.
La sfinge urlava e strepitava in famiglia, usava un linguaggio scurrile con il marito, incapace di controllarsi, nemmeno lei ne poteva più.
Quando ho incontrato Stella, il mio cuore batteva forte, il primo amore di mio marito... l'ho presa in braccio, anch'io sono alta, sembrava un palo della luce, lunga, lunga e così magra. Mi sorrideva accarezzandomi il viso. Ci siamo tenute strette per un vero abbraccio.
Tina è la sorella che ho sempre sognato di avere. I suoi studi sono stati utilissimi per la tecnica in psicologia, purtroppo in famiglia con un carattere impulsivo, non dava grandi risultati. È una tomba, le confidenze rimangono al sicuro con lei.
Stella ricerca un ideale che non esiste, si strugge davanti alla durezza della vita, capisco perché si trovava così bene a Goa. Non ha bisogno di paradisi artificiali, vola in alto da sola, però non sa atterrare.
Sono affezionata alle due sorelle, ho più affinità con Tina, siamo due divoratrici di libri, passiamo delle ore assieme in librerie, nei mercatini, alla ricerca di prime edizioni.
Le abbiamo adottate tutte e due.
Evelyne Nicod
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