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Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Marialuisa Moro
Titolo: Ossessione
Genere thriller psicologico
Lettori 246
Ossessione
Thriller n.9 della serie norvegese.

Raleig.

Era sdraiata sul letto del suo appartamento e fissava le pale attaccate al soffitto.
Al suo arrivo negli Stati Uniti era rimasta sorpresa dal fatto che tutte le case fossero dotate di ventilatori fissi in ogni stanza. Ma ora questo era l'ultimo dei suoi pensieri; avrebbe potuto esserci anche una testa d' orso attaccata al soffitto e sarebbe stato lo stesso.
Come aveva potuto essere tanto stupida? Tutti la reputavano una persona intelligente e lei stessa aveva finito per convincersene.
Si sbagliavano.
Aveva ragionato come una troglodita, con la mentalità di almeno cinquant'anni prima, quando bastava cambiare continente per far scomparire il proprio passato agli occhi della gente e reinventarsi. Diventare una persona nuova. Quanti l'avevano fatto! Nel ventunesimo secolo non era così.
Avrei dovuto cambiare identità. Facile a dirsi.
Non avevo la minima idea di come fare e, ad essere sincera, non mi è neppure venuto in mente.
Line Berger, la giovane donna dal vergognoso passato, era alla mercé di chiunque. Bastava andare su un qualsiasi motore di ricerca.
Vergognoso.
Forse aveva ragione Greg. Perché usava quel termine?
Di cosa avrebbe dovuto vergognarsi? Lei non aveva colpa di ciò che era accaduto, era stata la vittima della situazione, colei che aveva subito e pagato, col corpo e con l'anima. I danni fisici si erano rimarginati in fretta, gli altri non ancora. Forse, mai.
Ammesso che non sia vergognoso, non è comunque un passato da mettere in vetrina. A chi piacerebbe farlo?
Greg aveva violato la sua privacy e gliene voleva per questo, ma era furiosa soprattutto con se stessa per la sua ingenuità o, meglio, stupidità.
È vero che in tanti anni che sono qui, nessuno ha scoperto niente, ma solo perché non ha cercato. A chi importava di indagare sul passato della banale studentessa di medicina Line Berger, in seguito psichiatra in servizio a Holly Hill Hospital? Un tipo apparentemente tranquillo, che se ne stava per conto suo e dava poca confidenza a tutti. Questa era l'immagine che offriva di sé, o almeno così credeva.
Greg ha indagato, ed è comprensibile. Si è insospettito per la mia reazione di quella sera al discorso di suo padre, sommata alla mia ostinata reticenza a parlare di me. Mettiamoci nei suoi panni; aveva tutte le ragioni di essere esasperato, dopo tutto il tempo che stiamo insieme. Io stessa, al suo posto, avrei mandato al diavolo un tipo come me.
Si sentì in colpa per averlo trattato male. Aveva agito d'impulso, accecata dalla rabbia del momento e capì di aver sbagliato. Non era giusto. Gli doveva delle scuse.
Quell'uomo era sempre stato così paziente con lei, fin troppo. Quanti l'avrebbero fatto? A pensarci bene, gli doveva molto. Anche il sesso. Dopo le ripetute violenze subite, per anni non era più riuscita neppure a concepire l'idea di avere un rapporto sessuale. Per questo aveva evitato gli uomini come la peste e, anche se in misura minore, anche le donne, per non dover parlare di sé. Inventare bugie non era il suo forte, dunque preferiva tacere. Conclusione: si era isolata da tutti e questo non era un bel vivere.
Solo lui, con la sua estrema pazienza e dolcezza, era riuscito a farle ritrovare la normalità e il piacere. Grazie a lui, era tornata ad essere una donna come le altre.
Sospirò, sentendo la rabbia svanire in una bolla d'aria.
Guardò la valigia, che non aveva ancora disfatto; a questo punto, sarebbe rimasta così, perché l'indomani avrebbe fatto retromarcia con la sua roba a casa di Greg, ammesso che la volesse ancora.
Il vortice di emozioni l'aveva stremata e decise di fare un bagno caldo a scopo rilassante, sperando di conciliare il sonno. Non era nelle sue abitudini passare il tempo immersa nella vasca; la considerava una cosa stupida e detestava contemplare il suo corpo. Ma quella era una sera particolare; si sentiva tesa come una corda e non riusciva a immaginare altro, dato che era contraria alle pillole sedative.
L'appartamento che aveva acquistato al suo arrivo a Raleigh era elegante, ma piuttosto antiquato ed era dotato di una stanza da bagno con vasca a zampe di leone, anziché di una pratica cabina doccia. Aveva deciso di lasciare tutto come stava, perché in fondo le piaceva quell'aspetto rétro anche se di solito, per sbrigarsi, si lavava con la doccia a telefono senza riempire la vasca.
Ma ora la questione era diversa. Lo scopo era di rilassarsi.
Fece correre l'acqua calda fino al bordo, vi mise dei sali profumati e si spogliò.
Si immerse e la sensazione fu meravigliosa: un immediato benessere.
Chiuse gli occhi; il corpo aveva perso il suo peso e fluttuava leggero avvolto dal tepore aromatico. I muscoli e i nervi si lasciarono andare, la tensione si allentò.
I pensieri si dileguarono diventando nuvole di primavera.
Stava così bene che si sentì invadere dalla sonnolenza.
Fece uno sforzo e allungò il collo fuori dall'acqua.
Non devo addormentarmi, pensò, altrimenti annego.
Per mantenere la temperatura ottimale, ogni tanto apriva il rubinetto dell'acqua calda.
Quando sentì che non riusciva più a combattere il sonno, decise di uscire. Infilò l'accappatoio e asciugò i capelli con una salvietta lasciandoli cadere sulle spalle.
Sfilò la vestaglia di spugna e si guardò nello specchio appannato; forse, proprio perché la visione era confusa, si trovò bella.
Da quanto tempo non si guardava allo specchio nuda?
Non lo sapeva. Di solito evitava di farlo, perché la vista del suo corpo inerme le suscitava memorie che si impegnava a tenere lontane.
Sono ancora malata, pensò. Come psichiatra, non sono riuscita a curare me stessa. Ma forse, col tempo, ce la farò.
In quel momento, le accadde qualcosa di strano e diverso dal solito: l'immagine delle sue forme nude non le destò le solite immagini disturbanti di violenza e sopraffazione, ma un desiderio improvviso e pulsante delle mani carezzevoli di Greg sul suo corpo. Lo avrebbe voluto lì, e subito. Si rese conto di quanto le mancasse e le venne una gran voglia di fare l'amore. Cosa sarebbe stata la sua vita senza di lui?
Era un buon segno. Purtroppo, era sola e il suo desiderio doveva rimanere inappagato.
Tornerò da lui domani, se mi perdonerà.
Sentì improvvisamente freddo e infilò di nuovo l'accappatoio. Si sarebbe rifugiata sotto il piumone.
Si avvicinò alla porta e abbassò la maniglia. Aveva fatto sostituire i pomelli originali, molto comuni nelle case americane, con maniglie in ottone satinato.
La porta non si aprì. Ebbe un attimo di disorientamento.
Come? Si è guastata la serratura?
Scosse l'uscio, maltrattò la maniglia con gesti nervosi, ma quella non cedette.
Notò con orrore che la chiave, di regola infilata nella toppa all'interno, ora mancava. In realtà, prima non ci aveva fatto caso e non avrebbe potuto giurare che ci fosse quando era entrata in bagno. Ma perché non avrebbe dovuto esserci? Chi poteva averla spostata, visto che entrava solo lei in quell'appartamento?
Qualcuno mi ha chiusa dentro dall'esterno. Ma chi? Non c'è nessuno in casa e la porta d'ingresso è chiusa a chiave. Lo faccio sempre appena entro. A meno che qualcuno l'abbia forzata mentre ero in vasca.
C'è un intruso che gira per le stanze? Mi ha rinchiusa qui per rubare indisturbato?
Il panico.
Telefonare a Greg era impensabile; il suo cellulare era rimasto in camera da letto. Se anche fosse stato possibile, Greg non aveva le chiavi del suo appartamento.
Maledisse il suo dannato carattere. La sua dannata privacy. Avrebbe dovuto lasciargliene una copia.
In ogni caso, non era in grado di chiamare nessuno, neppure la polizia.
Si mise a piangere. Era diventata una piagnucolona e si faceva schifo.
Un pensiero le tagliò la mente come una saetta.
Chi aveva la mania di rinchiudere le persone in luoghi angusti per vedere le loro reazioni?
Basta! Quell'individuo non c'era più. Forse era morto e, in ogni caso, non era certo lì. Però...
L'immagine di quell'uomo sulla barella fu un flash di un secondo.
Cominciò a sentirsi sempre più debole e la mente si annebbiò.
Il vapore creato dall'acqua calda si era fatto pesante. Faticava a respirare. Tolse il tappo alla vasca perché si svuotasse. Pensò di aprire la finestra; un po' di aria fredda le avrebbe fatto bene. Ma era situata in alto e si apriva solo con l'apposita bacchetta.
Nella confusione, la cercò con lo sguardo senza trovarla.
Era gravata dalla sonnolenza e non aveva la forza di cercarla.
Sempre più stanca e confusa, si sedette sul tappetino, la schiena appoggiata alla vasca, e scivolò giù, lasciandosi andare sulla morbida spugna.
Marialuisa Moro
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