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Manuale di pubblicazione Amazon KDP. Sempre più autori emergenti decidono di pubblicarse il proprio libro in Self su Amazon KDP, ma spesso vengono intimoriti dalle possibili complicazioni tecniche. Questo articolo offre una spiegazione semplice e dettagliata delle procedure da seguire e permette il download di alcun file di esempio, sia per il testo già formattato che per la copertina.
Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Max Rain
Titolo: Sub Aqua
Genere Thriller
Lettori 172 2 2
Sub Aqua
Il Grande Squalo Bianco virò più vicino alla costa, mantenendosi lento e parallelo a essa in attesa di ulteriori informazioni, ma non ci fu continuità in quel suono.
Le onde d'urto, propagandosi per miglia e confondendosi con il rombo incessante della corrente, si erano spente poco prima che l'interazione tra il suo udito e la linea laterale riuscisse a condurlo verso la sorgente di quel boato, ricostruendo la mappatura del territorio sottomarino circostante.
Pattugliò avanti e indietro il braccio di mare limitrofo a Tower, muovendo il gigantesco capo a destra e sinistra, attento a captare la minima variazione sonora trasportata dalle acque della Baia.
Un altro fragore identico ai precedenti, poi ancora un altro.
Deflagrando, la seconda coppia di candelotti generò un riverbero che si espanse nelle acque, raggiungendolo, forte, nitido.
Questa volta, il suo equipaggiamento sensoriale elaborò in un istante ogni fase di quel suono a bassa frequenza, disegnando con esattezza la direzione
da seguire.
Scosso da migliaia di impulsi elettrici al secondo, l'immenso corpo dello Squalo fremette.
Il branco di megattere si allontanava, ma non se ne curò, quasi sapesse che poteva raggiungerlo quando voleva, ovunque fosse.
Sferzò con la coda e si immerse per qualche metro sott'acqua, puntando in diagonale verso un'insenatura costiera distante tre miglia.
Alle quattordici e trenta in punto, Jordan aveva terminato il recupero dell'ultimo pesce serra.
Issò l'ancora, poi premette il pulsante d'accensione del motore elettrico che rispose con un breve ronzio, seguito dal potente frullare della coppia di
eliche.
La vasca a poppa traboccava di pesce fino a farlo debordare e cadere sulla pavimentazione legnosa della barca.
Forse quel bottino era addirittura fin troppo per diciassette commensali in tutto.
Certo, poteva sempre regalare l'eccedenza agli ospiti, ma reputava di cattivo gusto salutarli dopo il party consegnando loro un sacchetto di pesci serra a testa come ricordo della serata.
Sophia, poi, da integerrima sostenitrice del bon ton qual'era, non l'avrebbe mai permesso.
Mentre accelerava verso il largo, pensò se fosse una buona idea telefonare a Sophia, chiedendole di tirar fuori dal cilindro magico almeno altri quattro amici, scelti tra quelli abbastanza di spirito da non risentirsi
per non essere stati convocati prima e ai quali non dispiacessero gli inviti a bruciapelo.
Sì, a conti fatti tutto quel ben di Dio non doveva andar sprecato, per quanto disonesto fosse il modo con cui se l'era procurato.
Quattro buone forchette in più, e di cinquanta chili di pesce non sarebbe avanzata nemmeno una lisca.
Più rifletteva, più gli venivano in mente soltanto nomi improbabili e conoscenze troppo recenti per osare un invito all'ultimo momento.
Si rassegnò infine all'idea di congelare una parte del pescato.
Scrutò il mare in lontananza, poi tutt'intorno, respirando l'aria tiepida e
salmastra dell'oceano.
Poche imbarcazioni in giro, a eccezione di due pescherecci, puntini distanti e indistinguibili che sembravano dover sparire da un momento all'altro dalla parte opposta dell'orizzonte blu indaco.
Un urto.
Così forte da svuotare mezza vasca di pesce che scivolò lungo tutta la barca, e fargli perdere l'equilibrio anche da seduto.
Una volta, mentre si trovava a Tokyo per lavoro, sperimentò una forte scossa di terremoto per la prima volta in vita sua.
L'alta tecnologia antisismica con cui erano edificati gli edifici della città limitò i danni al minimo, ma lui non dimenticò mai quel sussultare dai piedi alla testa e il rumore simile a una potente folata di vento che scosse la terra.
Un suo amico giapponese gli disse senza scomporsi che era stata di ‘livello
quattro', contrassegnato come pericolo forte.
Tutto ciò sembrava rivissuto adesso a bordo di quella barca, tranne il rumore, che gli era sembrato quello di un prolungato sfregamento, come se lo scafo della barca avesse grattato contro qualcosa di ruvido e molto voluminoso.
Poi ci fu un alto sollevamento, durante il quale inizialmente vide l'orizzonte con i pescherecci sparire di colpo oltre il bordo della murata, per riapparire subito dopo con un fugace guizzo verso l'alto.
Si accorse di essere caduto di schiena in mezzo ai pesci, che adesso sembravano deriderlo, guardandolo fisso.
Stordito e spaventato, si chiese se quello non fosse un maremoto o
qualcos'altro del genere.
Volle accertarsene, mettendosi a carponi tra il viscidume lasciato dal muco dei pesci sparso sulla pavimentazione, tenendosi forte con entrambe le mani allo scalmo di destra e osservando l'acqua con occhi sbarrati.
Mare appena increspato dalla brezza, silenzio intervallato ai sporadici garriti dei gabbiani e nessuna onda nei dintorni, fin dove la vista poteva arrivare.
Il secondo scossone fu più potente, più rude.
La Caravel girò su sé stessa, inclinandosi paurosamente sul lato destro,
in cui lui, accovacciato e con le braccia ritorte all'indietro, stava mollando la presa sullo scalmo.
«Maledizione, cosa sta succedendo?» gridò forte nel nulla che lo circondava.
Aveva percorso e ripercorso quelle acque da quando era nato, studiando per anni la mappa nautica della Baia nei minimi dettagli.
Conosceva alla perfezione la morfologia del fondale fino al largo, e in quel punto contiguo a Tower, profondo oltre sessanta metri, non c'erano scogli o rilievi affioranti contro cui andare a sbattere.
Era impossibile.
«E allora, dannatamente, su cosa sono finito?» chiese a sé stesso, mentre cercava di raddrizzarsi sulle gambe.
Per quanto si impegnasse, non riusciva a dominare il tremore epilettico che gli faceva vibrare le mani per la tensione, come se fossero attraversate da una scossa ad alto voltaggio.
Quel movimento incontrollabile, che partiva dai polsi, lo impressionò molto.
Si sentiva sconvolto, perso e vulnerabile.
Costrinse le sue dita tremule ad aggrapparsi come poterono al bordo levigato della fiancata.
Mosse piccoli, incerti passi da poppa a prua, facendo il giro completo della barca, circospetto, ansimante.
Sembrava che ciascuna delle funzioni primarie del suo corpo, come ruotare la testa, camminare, vedere e perfino pensare, gli costasse uno sforzo sovrumano.
In qualche modo, sempre stretto dalla morsa di terrore che gli attanagliava senza tregua visceri addominali e cuore, trovò il coraggio di sporgersi fuori dal bordo per cercare di capirci qualcosa.
Con prudenza, allungò il capo, poi si abbassò verso la superficie con il busto.
Scrutò il blu verdastro del mare attorno alla barca, poi estese lo sguardo più avanti, dove il colore delle acque sbiadiva pian piano in una esangue tonalità di celeste.
Corrugando la fronte e con un aumento repentino della frequenza cardiaca, guardò meglio appena sotto la murata sinistra, concentrando l'attenzione su quella che gli era parsa una grossa forma scura.
Era transitata silenziosa lì davanti, a circa mezzo metro di profondità,
per poi immergersi sparendo da qualche parte a poppa, tra gli abbaglianti riflessi contro sole.
Quell'immagine era stata troppo veloce e confusa perché Jordan fosse stato in grado di distinguerla meglio.
Ricordava soltanto una figura massiccia, fusiforme e grande, troppo grande anche per un'orca.
Forse era una delle moltissime balene che avevano popolato la Baia fino a qualche settimana prima.
Aveva però sentito da alcuni amici imbarcati sui pescherecci, che da giorni non se ne vedeva più una che fosse una.
Per motivi incomprensibili, dicevano quei pescatori, tutti i branchi sembravano essere scomparsi dalla zona dopo gli uragani, a eccezione di esemplari solitari vecchi o malati che erravano ancora in quelle acque, senza nessuna destinazione, aspettando di morire.
Ecco, doveva essere stata per forza una balena, cos'altro altrimenti?
Nell'esatto momento in cui accettò quell'ipotesi, ciò che vide la smentì subito, drammaticamente.
Per un lungo, irreale momento, credette di sognare: un sogno raccapricciante, dal quale desiderò destarsi subito con tutte le sue forze, ma che lo paralizzava.
Una sagoma brunastra avanzava pigra verso la barca, a una ventina di metri dalla prua, mantenendosi abbastanza sotto la superficie da rendersi quasi indistinguibile.
Ma quando fu così vicina da poterla osservare in tutta la sua mole, gli occhi di Jordan si sgranarono ancora di più, fissandola ipnotizzati mentre
seguivano il suo passaggio sotto la chiglia per un tempo che gli parve senza fine.
Quel colosso spuntò a poppa, sfiorando la linea della superficie.
Emerse la pinna, in tutta la sua spaventosa grandezza, così alta che lui non riuscì a immaginare le dimensioni e la potenza della bestia sottostante.
Un triangolo rettangolo, di un opaco grigio sfumato di azzurro o ardesia, secondo l'inclinazione rispetto la luce solare: il lato rivolto verso la coda
era frastagliato, come i vessilli che sventolavano nei pennoni delle antiche navi corsare.
La sua forma non lasciava dubbi riguardo a quale predatore appartenesse, ma ad atterrire Jordan, ancora una volta, fu la sua enormità e l'idea di ciò che stava sotto di essa.
È lo squalo di cui si parla e che nessuno ha mai visto. Ma Fisher non ha detto che era tutto falso? Perché quello stronzo ha mentito? E io gli ho pure creduto.
Quell'animale stava nuotando laggiù, a pochi metri dalla barca, reale come il batticuore che adesso gli faceva vibrare il petto.
Come molti altri a Tower e nei dintorni, anche Jordan aveva riso di quella storia, dando del pazzo a chiunque ne sosteneva l'esistenza.
Lo pervase una paura ancestrale, come quella provata trecentomila anni prima dagli antenati ominidi, sorpresi alle spalle dal mostruoso orso delle caverne.
Stava perdendo il controllo.
Il telefono.
Doveva chiamare qualcuno in fretta, la polizia... la guardia costiera, Sophia...
Nella foga di raggiungere lo zaino a poppa, scivolò sullo strato di pesci serra, rischiando di finire dritto in mare se all'ultimo momento non si fosse girato di fianco, piantando le unghie sul legno della panca.
Per la miseria... per la fottuta miseria...
Afferrò lo zaino per una cinghia e lo tirò a sé, frugando disordinatamente nella tasca anteriore.
Si impose di tenere saldo lo smartphone con entrambe le mani per non farselo sfuggire a causa del tremore e delle mani sudate, ma anche quel gesto così elementare gli risultò difficile quanto stringere un viluppo di serpenti.
Si impegnò al massimo e alla fine ci riuscì.
Una sola tacchetta sulla barra di ricezione, appena sufficiente a non far cadere la linea.
Il numero della polizia era il più semplice da ricordare e formulare.
Quando il polpastrello del suo indice digitò la prima cifra, qualcosa, forse una voce interiore, l'istinto, oppure un'energia arcana, lo costrinse a voltarsi ancora verso prua, oltre la quale, lontane meno di tre miglia e piccole come miniature, vide le case variopinte di Tower.
Koho Beach era una sottile e lunga evanescenza dorata.
Su di Jordan cadde un pesantissimo senso di derealizzazione e la paura divenne panico incontrollato.
Il suo viso fissò inorridito la sagoma emergente del Grande Squalo Bianco che, sfiorando lo scafo della Caravel, mostrò l'intera estensione del suo profilo, dal muso conico all'ultimo lembo della coda falcata.
Jordan stimò che misurasse più di tre volte la sua barca.
Un remo. Posso colpirlo con quello, oppure potrei usarlo per battere forte l'acqua. Forse così se ne andrà, progettò, ma un residuo di ragione lo persuase ad abbandonare ciascuna delle due idee.
Sapeva che i rumori a bassa frequenza, come il percuotere l'acqua, avrebbero reso quella bestia ancora più curiosa e aggressiva, mentre
colpirla sarebbe servito soltanto a veder spezzarsi il remo in due come un fiammifero di legno.
Con il cervello sovraffaticato e le dita delle mani che si contraevano come corde, riuscì a comporre il numero della polizia, ma dall'altra parte udì soltanto i riverberi gracchianti, metallici e frammentati di una voce.
Maledetta assenza di campo.
Alzò ancora lo sguardo verso il mare.
Non vedeva lo Squalo, ma non si illuse che se ne fosse andato.
Il raggi del sole che si riflettevano sul blu intenso dell'acqua lo abbagliarono, facendolo lacrimare.
Era una buona occasione per mettersi a piangere: lo fece, con passione e angoscia mai provate.
Le dita irrigidite scorsero sulla rubrica e trovarono il numero di Sophia, associato alla sua foto in primo piano che apparì sul display.
Gliela aveva scattata a sua insaputa l'estate del 2019, sorridente e abbronzata mentre trattava il prezzo di una collana in un bazar di una spiaggia caraibica.
Sophia sosteneva che lui avesse in archivio foto migliori di quella, ma Jordan l'aveva scelta fra tante per ammirare la naturalezza del suo sorriso
e per l'espressione intrigante degli occhi.
Non tentò nemmeno di chiamarla.
Certo che fosse arrivata la sua ora, come ultimo desiderio avrebbe voluto rivedere quella fotografia, almeno una volta ancora.
Dentro di lui cresceva sempre più la consapevolezza che non sarebbe sopravvissuto a quella mattinata.
Ecco di nuovo la pinna, così vicina che volendo ci si sarebbe potuto arrampicare con un salto.
Gridò, quando la vide allontanarsi, per poi descrivere un largo semicerchio e infine caricare veloce verso la barca.
La punizione divina per tutte le sue malefatte, ecco cos'era quella creatura
d'orrore, pensò, tra rivoli di lacrime e un pentimento rigurgitato dall'anima.
Si dispiacque davvero per aver ferito e offeso il mare, per aver ucciso con le bombe tanti suoi figli.
Ateo, oppure più comodamente agnostico quale si era sempre ritenuto, incominciò a recitare una preghiera con parole sue, parole che gli sgorgarono semplici e sincere.
Non pregava il Dio barbuto a cavallo delle nuvole, né quello rubicondo seduto a gambe incrociate, nemmeno quello rappresentato con simboli mantrici.
Pregava il Dio primordiale, impossibile da raffigurare, impossibile da concepire, sconosciuto alle religioni, quello vero, che molti ignorano durante l'intera vita e poi invocano nella disperazione.
Pregava il Dio che salva dai pericoli.
Guardò il cielo, cercando tra il suo celeste scialbo un segno che lassù il Creatore l'avesse ascoltato con pietà.
Non accadde nulla.
Quel celeste opaco rimase tale, nessuna mano luminescente squarciò il firmamento calando su di lui per strapparlo al suo destino e nessun fulmine saettò dal sole verso il mare, incenerendo all'istante quella bestia da incubo.
Attese ancora, fiducioso, ma il cielo ricambiò le sue speranze rimanendo impassibile, ermetico e silenzioso.
Uno scroscio alle sue spalle.
Il muso imponente dello Squalo affiorò dalla superficie, scagliandosi con inaudita violenza sulla poppa della Caravel.
La barca si impennò di colpo, provocando il rumore asciutto del legno che va in pezzi.
Il motore elettrico si sganciò dalla sede con uno schiocco, affondando assieme alla matassa di reti, all'ancora, allo zaino e a tutto il pesce, che rotolò fuoribordo disperdendosi, galleggiando dappertutto attorno alla
barca.
I remi caddero in mare con un tonfo, ciascuno su un lato, e mentre si allontanavano assunsero una posizione che ricordava due braccia allargate in segno di rassegnazione e impotenza.
Jordan, penzolante nel vuoto, con una mano che artigliava il punto più estremo della prua e l'altra che serrava lo smartphone, incrociò con sguardo stravolto la piattezza nera e fredda negli occhi dell'animale.
Non aveva idea di quali sembianze avesse un demone, ma avesse dovuto raffigurarne uno, probabilmente l'avrebbe disegnato come quella mostruosità che adesso lo bramava, attendendolo là sotto a fauci spalancate.
La bestia che aveva davanti era venuta per lui, come un castigo, per fargli pagare con la vita il prezzo della sua infamia, del suo danno.
Quando le dita sudate mollarono la presa, lui lanciò un urlo straziato.
L'ultima cosa che vide fu davvero la foto di Sophia, prima che lo smartphone lo anticipasse nel tuffo verso la morte.
Continuando a pregare, Jordan Baker visse intensamente ogni istante di ciò che seguì la sua rovinosa caduta, finché tutto, carne recisa, sangue e spirito, si spensero dolorosamente in un baratro infinito.
Max Rain
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