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Manuale di pubblicazione Amazon KDP. Sempre più autori
emergenti decidono di pubblicarse il proprio libro in Self su Amazon KDP,
ma spesso vengono intimoriti dalle possibili complicazioni tecniche. Questo
articolo offre una spiegazione semplice e dettagliata delle procedure da
seguire e permette il download di alcun file di esempio, sia per il testo
già formattato che per la copertina. |

Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto
di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da
un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici,
dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere
derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie
capacità senza la necessità di un partner, identificato nella
figura di un Editore. |

Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori,
arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel
DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti
di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli
della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle
favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia. |
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L'Esagono
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Avvertenze prima dell'uso
— Sai come chiamano un quarto di libbra con formaggio a Parigi? — Non un quarto di libbra con formaggio. — Hanno un sistema metrico decimale, non sanno cosa sia un quarto di libbra. — E come lo chiamano? — Lo chiamano Royal con formaggio. (Pulp fiction)
***
Attraversando in auto il confine tra l'Italia e la Francia noterete subito che le indicazioni autostradali sono blu e non verdi; perché? Semplicemente perché sia il blu che il verde offrono un ottimo contrasto con il bianco delle scritte, che diventano facilmente leggibili. C'è chi ha scelto il bianco e chi il verde, tutto qui.
Continuando il vostro percorso noterete, prima o poi, che nelle targhe delle auto, là dove in Italia c'è la sigla della provincia, in Francia c'è un numero. Dapprima penserete all'anno d'immatricolazione, ma poi vedrete zero-sei quasi ovunque e capirete che non possono essere tutte macchine uscite nel duemilasei. Che vuol dire? In Francia le province – che si chiamano dipartimenti – non hanno il no-me del capoluogo come in Italia, ma dei loro propri nomi. Per esempio, Nizza si trova nel dipartimento Alpi marittime, Marsiglia nel Bocche del Roda-no... eccetera. Per distinguere i dipartimenti si usa il codice postale: Zero-sei a Nizza, Quindici a Parigi, Tredici a Marsiglia... è come se sulle targhe di Catania ci fosse scritto Novantacinque invece di CT.
Vedete? Siete appena entrati in Francia e avete già notato due cose per voi insolite. Poi vi ci fermate per qualche giorno, oppure vi ci siete trasferiti e pensate di rimanerci, e di cose per voi bizzarre ne vedrete tante; curiosità che suscitano la più elementare delle domande: “perché?”. Ma dite la verità, quante volte siete andati a cercare la risposta alle vostre curiosità? Quante volte, invece, le avete la-sciate senza risposta? La seconda opzione è, pur-troppo, quella più comune a tutti noi. Per esempio, avendo in mano questo libro, quanti di voi si sono già chiesti perché si intitola L'Esagono? Ho indo-vinato, vero? Vi tolgo immediatamente dalle spine. Si intitola così perché la Francia ha la forma di un esagono irregolare ed è in questa maniera che i francesi la chiamano, proprio come per noi l'Italia è lo stivale.
Non vi parlerò della Rivoluzione francese, né del-la geografia della Francia. Sono cose che dovreste aver già letto nei libri di scuola. Non mi soffermerò sulla Torre Eiffel o sui castelli della Loira, perché non faccio l'agente turistico. Ho scelto di condivi-dere alcune curiosità, con chi avrà voglia di legger-le, su quello che mi circonda, su gente e vicende. Ho cercato delle risposte a quelle volte che mi so-no chiesto “perché?” E poi, a dirvela tutta, mi son chiesto: “Posso io fare meglio di un generale di di-visione?” Se il generale si chiama Vannacci proba-bilmente sì. E allora, siòre e siòri... L'Esagono!
I francesi non hanno il bidet
Mi scusino i lettori se apro questo mio lavoro con un argomento non proprio nobile, ma ho più della semplice impressione che per diversi compatrioti la cosa sia questione primaria. Infatti, se si chiede a un italiano di esprimere un parere negativo riguardo la Francia, sul quella che sarà la sua risposta ci sono pochi dubbi: i francesi non hanno il bidet. Certo, quando nel suo libro intitolato Il Misogallo, Vittorio Alfieri prendeva in giro i francesi definendoli “schiavi, barbari e pidocchi”, si riferiva più che altro a questioni politiche, ma solo perché all'epoca il bidet non ce l'avevamo nemmeno noi. A dire il vero si potrebbe trovare anche oggi qual-cuno che, tra le cose negative della Francia, vede questioni come il suo arsenale atomico o lo sfruttamento economico delle sue ex colonie ma, ça va sans dire, non sono queste le cose importanti.
Orbene, avendo fugato ogni dubbio su cosa puntare il dito per denigrare i cugini d'oltralpe, qualcuno potrebbe anche farsi venire un'inusuale curiosità: ma com'è che non hanno il bidet? È facile per tutti intuire che la parola “bidet” sia di origine francese; infatti nel linguaggio antico significava “pony”. Questo perché sia il cavallino che l'oggetto in questione sono piccoli e soprattutto perché su entrambi ci si mette a cavalcioni. Il primo esemplare di bidet fu installato nella reggia di Versailles ancor prima del 1700 e l'invenzione si diffuse rapidamente tra i nobili. Sfortuna volle, però, che i medici consigliarono a Luigi XIV, il Re Sole, di non usare l'acqua perché poteva portare malattie (e qui ci potremmo porre due domande in contrasto tra loro: che razza di medici aveva il re? Che diavolo c'era a quei tempi dentro l'acqua?) e che le uniche persone veramente interessate a lavarsi le parti intime in quel tempo erano le prostitute. Insomma, un po' perché le nobildonne non volevano essere associate a chi esercitava “il mestiere più vecchio del mondo” e un po' perché, se il Re puzzava, anche gli altri non volevano essere da meno; all'igiene personale i nobili francesi preferirono lo sviluppo dei profumi, facendoli diventare famosi in tutto il mondo.
Chiaro che questo accadeva secoli fa, ma oggi? Perché se l'igiene ha fatto passi da gigante i transalpini ancora non si lavano il culo? In verità lo fa-cevano fino a non troppo tempo fa; ma poi, a qual-che architetto, venne l'idea di risparmiare spazio nel costruire i nuovi edifici delle banlieue – dove andavano a vivere i sempre più numerosi immigrati africani – e forse avrà pensato che, già che gli inquilini erano poveri potevano anche fare a meno del bidet... chissà. Fatto sta che le costruzioni francesi successive agli anni '50 del novecento so-no prive del preziosissimo oggetto di vanto del neo-nazionalismo italiano.
A proposito, e in Italia? Da noi accadde invece, verso la metà del diciottesimo secolo, che la regina di Napoli – Maria Carolina d'Asburgo – volle in-stallato un bidet nella sua camera, fregandosene completamente di essere paragonata a una prostituta. A partire da Napoli il sanitario si diffuse lenta-mente in tutta la penisola e molto più rapidamente dopo la Seconda Guerra Mondiale; il resto è storia recente: noi ce l'abbiamo per legge e “loro” no. Per legge? Sì, in Italia è obbligatorio installare il bidet nelle abitazioni, mentre negli altri paesi no. Altri paesi? Sì, perché noi prendiamo in giro solo i francesi ma c'è più di mezzo mondo che non lo usa. In Germania, in Gran Bretagna, negli USA e nei paesi anglosassoni e di religione prevalentemente prote-stante è raro trovare il bidet per via di diverse ragioni. La principale è che Il pregiudizio secondo il quale lavarsi le parti intime fosse qualcosa da associare alla prostituzione – e dunque a pratiche peccaminose – ha resistito tra i protestanti molto più che tra i cattolici. Emblematico l'episodio accaduto a New York agli inizi del ‘900: la direzione dell'hotel Ritz fu costretta a distruggere i bidet che aveva fatto installare nelle camere dell'albergo a causa della viva protesta di un gruppo chiamato Guardiani della moralità.
Ma allora come facciamo noi italiani all'estero? Andiamo tutti ad abitare nelle poche case dove c'è installato un bidet, oppure non ci laviamo nemmeno noi come crediamo sia per i francesi? Né l'uno né l'altro. Con la stessa espressione dei Maya che videro arrivare le navi spagnole alla fine del film Apocalypto, semplicemente scopriamo che la vita esiste anche senza.
Qui si danno o numeri
3 x 2 ... come si legge questa operazione? Tre per due, ovvero tre due volte. La tabellina del tre ci mostra quindi: tre per una volta, tre per due volte, tre per tre volte... eccetera, eccetera. Ovvio, no? È ovvio in inglese, ovvio in russo, in spagnolo, in tedesco, su Marte, ma non in Francia. Già, perché per mandare in tilt il cervello dei genitori stranieri che aiutano i loro bambini a fare i compiti quell'operazione in francese si dice trois fois deux, vale a dire tre volte due. “E allora?” vi chiederete. E allora vi do tre secondi per pensarci: tre, due, uno... tempo scaduto. Ebbene, le tabelline i fran-cesi le scrivono al contrario! La tabellina del tre sa-rà, dunque: 1 x 3; 2 x 3; 3 x 3; 4 x 3 e così via.
Capito la sciccheria? Quando l'insegnante chiede-rà al bambino di ripetere la tabellina del tre lui do-vrà dire: “un fois trois, deux fois trois, quatre fois trois...” E quando voi poveri italiani aiuterete i vo-stri figli a ripetere le tabelline dovrete sintonizzarvi in francese, per non fargliele ripetere al contrario in classe.
Dopo un po' di tempo, però, vi assicuro che ci prenderete la mano e potrete fargli fare le opera-zioni in colonna. ma ricordatevi che il simbolo va in basso a sinistra e non in alto a destra:
26
X 3
Chi vive all'estero si accorgerà di dover corregge-re spesso i bambini, che sbagliano mettendo quel dannato segno sotto la decina perché dimenticano di lasciare lo spazio vuoto.
Sessanta-dieci, quattro-venti, quattro-venti-dieci. Chissà quante volte ci siamo chiesti perché i francesi contano da settanta a novantanove in quella strana maniera, senza prenderci mai la briga di cercare la risposta. Prendiamo il numero ottanta: si dice ochenta in spagnolo, eighty in inglese, achtzig in tedesco, osiemdziesiat in polacco... si dice sempre otto per dieci. Perché in francese no?
Noi italiani, così come quasi tutti i popoli del mondo, contiamo su una base decimale; ci basiamo cioè su dieci cifre. Questo è il sistema di numera-zione maggiormente usato sul pianeta, tanto che tutte le principali unità di misura hanno multipli e sottomultipli corrispondenti a potenze positive e negative di dieci. Il successo della base decimale è dato principalmente da tre fattori: per i primi novantanove numeri si usano solamente due cifre; i simboli e le parole da ricordare sono solamente dieci; abbiamo dieci dita e possiamo contare sulle mani.
Il sistema decimale soppiantò, a partire dal Medioevo, quello vigesimale, che contava su base venti: si usavano cioè venti numeri diversi. Con ta-le sistema 30 era uguale a 20 + 10; 50 era 2 x 20 + 10; 70 era 3 x 20 + 10... e così via. Di questo si-stema – largamente usato dai popoli europei, dai maya e dagli atzechi – conserviamo anche noi un retaggio: la parola venti non corrisponde a nulla, per logica dovremmo dire qualcosa che richiama il due volte dieci.
La lingua francese nel Medioevo era largamente influenzata dal sistema vigesimale, secondo i linguisti ereditato dai galli: si diceva vingt et dix (30), deux vingts (40), deux vingt et dix (50), trois vingts (60). L'ospedale Quinze-Vingts di Parigi si chiama così perché in origine ospitava trecento posti letto. Fu, appunto durante il Medioevo, che la termino-logia dei numeri si latinizzò, ma il processo restò incompiuto per quanto riguarda le tre decine pre-cedenti il cento.
Siccome siete lettori attenti, avrete sicuramente notato che la parola vingt è scritta a volte al singolare e altre volte al plurale. Funziona così: se la parola è preceduta da un suo moltiplicatore (quatre-vingts, cioè quattro-venti) essa va al plurale, ma se questo plurale è a sua volta seguito da un altro nu-mero (come quatre-vingt-dix), allora torna al sin-golare!
Questo modo di contare non riguarda comunque tutta la francofonia moderna, ma è limitato presso-ché alla Francia e alle sue ex colonie. In Belgio (e nelle sue ex colonie), in Lussemburgo, in Svizzera e nella nostra Val d'Aosta si usano spesso le espressioni septante (70) e nonante (90); in diverse zone della Svizzera francofona si utilizza anche la parola huitante al posto di quatre-vingts. Anche nel cosiddetto Canada francese si usa la forma decimale invece che quella vigesimale.
Nel resto dell'Europa il sistema vigesimale – maggiormente che in francese – è tutt'oggi visibile nella lingua basca e in quella gallese, mentre ne rimangono retaggi nell'albanese e nel danese. |
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