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Writer Officina Blog
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Manuale di pubblicazione Amazon KDP. Sempre più autori
emergenti decidono di pubblicarse il proprio libro in Self su Amazon KDP,
ma spesso vengono intimoriti dalle possibili complicazioni tecniche. Questo
articolo offre una spiegazione semplice e dettagliata delle procedure da
seguire e permette il download di alcun file di esempio, sia per il testo
già formattato che per la copertina. |

Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto
di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da
un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici,
dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere
derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie
capacità senza la necessità di un partner, identificato nella
figura di un Editore. |

Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori,
arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel
DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti
di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli
della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle
favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia. |
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Dopo il buio
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Un'avventura spaziale per salvare l'umanità da un destino inevitabile
La luce si rifrangeva sui vetri della finestra in una calda giornata di primavera inoltrata. I raggi si spargevano nella stanza, illuminandola di un bagliore chiaro e dorato. All'interno, c'era una classe delle scuole elementari piena di alunni chiassosi intenti a seguire una lezione. Sul banco, un fiore colorato nasceva dalla rifrazione di un raggio. Un piccolo studente strofinava la mano sulla superficie, come per cercare di cancellare una scritta, ma non ci riusciva. La classe era impegnata in una lezione di storia; la maestra stava interrogando. "Allora, chi mi sa dire da dove veniamo?" Una bambina dai capelli neri, raccolti in una lunga coda dietro la nuca, si agitava per rispondere prima degli altri. "Veniamo dalla Terra, maestra!" "Ah, Laura, lo sai che devi alzare la mano prima di rispondere." La giovane maestra le fece una smorfia di disapprovazione, ma non era troppo arrabbiata perché la risposta era giusta. "Ma comunque hai ragione: noi tutti siamo arrivati qui dal pianeta Terra molti, molti anni fa. Qualcuno, oltre Laura, sa dirmi come siamo arrivati qui?" Diverse mani si sollevarono mentre calava un silenzio teso, tutti aspettavano che la maestra scegliesse qualcuno. Sono domande di cui tutti conoscono già le risposte. La storia collettiva della migrazione dalla Terra al nuovo mondo era tramandata in ogni famiglia sin dalla più tenera età, ormai da generazioni. La scuola non faceva altro che rafforzare questa conoscenza, per mantenere vivo nella società il ricordo dell'immensa tragedia che fu l'abbandono del proprio pianeta ormai morente, per cercare un nuovo posto dove poter ricominciare a vivere. "Vediamo a chi possiamo chiedere... Tu Robert." Il piccolo, felice di essere stato scelto, si accorse di essere al centro dell'attenzione di tutta la classe. Un po' incerto si alzò dalla seggiola per recitare la sua risposta. Mentre parlava dondolava con le spalle e dalla bocca gli usciva un borbottio: "Allora... Abbiamo viaggiato fra le stelle?" La voce era bassa ed esitante. "È una domanda la tua oppure una risposta?" Gli intimò l'insegnante con un'espressione corrucciata che cercava di rasentare la severità, senza esagerare troppo. "... Una risposta maestra!" Gridò Robert, dopo un lungo momento che gli era servito a raccogliere tutte le sue energie. "Sì, corretto," la maestra gli fece un sorriso d'approvazione. "Mi sai dire anche come abbiamo viaggiato?" "Su delle astronavi?" La risposta gli uscì di getto. Con un ampio cenno d'assenso la maestra approvò. Poi gli sorrise e gli fece un cenno così il bimbo tornò a sedersi. L'interrogazione andava avanti: "Chi sa dirmi che cosa sia un'astronave?" "È come una nave con tanta gente dentro e viaggia fra le stelle invece che sull'acqua" "Laura! Devi alzare la mano!" Questa volta l'espressione della maestra fu più dura, per non lasciare equivoci sulla necessità del rispetto delle regole. "Ma se alzo la mano non mi fa mai rispondere," piagnucolava la bimba, sbattendo i piedi per terra come a fare i capricci. L'espressione severa della giovane insegnante si sciolse in un sorriso. Laura le ricordava lei da piccola, una bambina timida che sapeva sempre tutte le risposte. Per questo non era mai troppo severa con lei. Ma non sarebbe stato comunque necessario: a eccezione della smania di rispondere a tutte le domande della maestra, Laura era una bambina educata e rispettosa delle regole. Sempre ordinata, sempre puntuale, sempre con i compiti fatti e, nemmeno a dirlo, tutti giusti. La maestra riprese l'interrogazione: "Adesso vorrei sapere se qualcuno di voi può dirmi come mai abbiamo dovuto lasciare il nostro pianeta." Ancora una volta un gruppo di mani si alzarono nel brusio della classe. "Bene, è il tuo turno Astrid." Una testa dai folti capelli biondi raccolti in due trecce prima oscillò in avanti e poi si sollevò lentamente dalla seggiola per rispondere: "Allora... Mio padre dice sempre che la vecchia Terra stava morendo perché le persone l'avevano ferita." "In un certo senso, Astrid. Ma ricorda la lezione fatta a scuola: che cosa vi ho detto sul pianeta Terra?" La pelle chiara non nascose il rossore dell'imbarazzo, che ebbe effetto anche sulla sua voce, era diventata più esile e leggermente tremolante: "Allora... Allora... Sì, che la Terra era abitata da tanti, tanti esseri umani, troppi, e non poteva farcela. Così è stato deciso di cercare un nuovo mondo, per avere più spazio." Ora l'insegnante approvava la risposta con un cenno del capo. "Va bene, Astrid. Ma qualcuno si ricorda quante missioni sono state fatte e quanto sia durata la nostra fino ad arrivare qui?" Questa volta solo Laura alzò la mano. Il silenzio calò nella stanza: nessun altro conosceva la risposta o, almeno, nessuno era abbastanza sicuro. Dopo un momento che era sembrato durare all'infinito, l'insegnante le concesse di rispondere. Così Laura si alzò quasi con un salto e cominciò a parlare molto rapidamente: "Sono state organizzate otto missioni, la nostra era la sesta. Non si conosceva alcun pianeta abitabile oltre alla Terra, per questo ogni missione ha seguito una rotta diversa in una direzione dove si pensava ci fossero molti pianeti. La nostra missione è durata 74 anni." "Molto brava!" Con un sorriso di soddisfazione che le riempiva tutta la faccia, la bimba tornò a sedersi al suo posto. "Ricordate sempre bambini: questo è l'unico pianeta abitabile che abbiamo trovato oltre alla Terra, quindi abbiatene sempre cura, siate responsabili! Uno dei programmi di ricerca più importanti è quello che si occupa di contattare le altre missioni. A oggi non sappiamo se siano stati trovati altri mondi o ci siano ancora esseri umani che vagano nello spazio alla ricerca di una casa." Improvvisamente una mano si alzò: "Maestra, maestra!" "Sì, dimmi pure." Il bambino corrucciò un po' la fronte, come se stesse pensando a qualcosa di serio e avesse bisogno di trovare le parole giuste. Poi fece la sua domanda: "Ma se troviamo altri esseri umani nello spazio e li invitiamo da noi, non finiremo per essere troppi?" "Abitiamo questo pianeta da poco più di 600 anni e ne occupiamo solo una piccola parte. C'è ancora moltissimo spazio da condividere. Inoltre, le missioni, compresa la nostra, contavano un numero veramente modesto di persone, solo qualche migliaio." Un pensiero si infilò fulmineo nella mente della maestra: ammesso di trovare un'altra nave nello spazio, chissà quanti sarebbero stati trovati ancora vivi dopo tutto quel tempo. A quel pensiero un brivido le corse lungo la schiena, ma durò solo un momento; poi si fece forza: conoscere era più importante di qualunque brutta notizia. All'improvviso arrivò il suono della campanella che segnava la conclusione della lezione e anche la fine della mattinata, seguita da un urlo di gioia dei bambini che così cominciarono a radunare tutte le loro cose e metterle via velocemente per tornare a casa dalle proprie famiglie. Aurora, la giovane maestra, era ancora una studentessa universitaria in procinto di discutere la tesi, ma prestava volentieri parte del suo tempo al programma formativo della scuola primaria. Il senso di comunità e lo spirito di volontariato erano tenuti in grande considerazione nel nuovo mondo. I giovani studenti universitari erano invitati a contribuire a varie attività sociali in modo da fare esperienza, ma soprattutto svolgere attività importanti, donando il proprio tempo e le proprie energie per mantenere l'intera comunità viva. Dopo secoli di colonizzazione, esistevano varie città con palazzi e quartieri abitati; anche se il nuovo mondo nascondeva ancora la maggior parte delle proprie meraviglie. L'esplorazione richiedeva tempo così come la colonizzazione. Costruire dal nulla le infrastrutture necessarie alla vita di milioni di persone era uno sforzo enorme che assorbiva tutto l'impegno e le energie di ogni singolo essere umano. Per questo motivo, l'intera società era chiamata a svolgere attività di volontariato, oltre al proprio impiego principale. In questo modo la qualità della vita dei coloni era molto alta, anche se la natura del mondo che li ospitava andava ancora completamente domata. Per Aurora dedicare un po' del suo tempo all'insegnamento era più una ricompensa che un dovere. Amava la scienza, la ricerca e altrettanto l'insegnamento. Seguire alcune classi delle elementari per lei rappresentava l'opportunità di migliorare in un'attività che desiderava svolgere in futuro. Dopo la laurea pensava di dedicarsi a dei programmi di ricerca, ma il suo vero sogno era insegnare. Al momento, però, era un futuro nebuloso. Prima avrebbe dovuto difendere la sua tesi; aveva completato il progetto e la stesura della relazione, era tutto pronto. Tuttavia, era bloccata dalla scomparsa del suo professore Ryoichi Aoki, un luminare nel campo della fisica teorica che si era offerto di farle da mentore durante i suoi studi e quindi anche da relatore. Il professor Aoki l'aveva scelta per far parte di una selezione di studenti che avevano una marcia in più rispetto agli altri. A questi ragazzi il ricercatore dedicava maggiori attenzioni coinvolgendoli in alcuni programmi di ricerca e assegnando loro attività supplementari. Da diverse settimane, ormai, nessuno aveva più avuto notizie di Ryoichi Aoki. L'università aveva mandato qualcuno a controllare a casa sua, tutto risultava in perfetto ordine, tranne per il fatto che del professore non vi era alcuna traccia. Alcuni anni prima, aveva cominciato a lavorare su dati che riguardavano il pianeta, quali le temperature, la frequenza dei terremoti, l'attività vulcanica, le maree e così via. Li aveva trovati così interessanti da indurlo ad abbandonare ogni altro progetto e cominciare una nuova ricerca. Alla fine, aveva presentato la sua teoria al convegno mondiale di fisica, ma fu un enorme insuccesso. Le argomentazioni che aveva presentato erano così bislacche da aver suscitato scetticismo nell'intera comunità di fisici teorici, i quali fino ad allora lo consideravano la mente più brillante della sua generazione. Nessuno gli aveva dato il minimo credito la sua carriera aveva subito quello che si potrebbe definire come un blocco. Chiunque altro avrebbe dovuto lasciare l'università e trovarsi un diverso impiego, magari cambiare anche città e nome. Ma Ryoichi Aoki era il vincitore di tutti i principali premi e riconoscimenti accademici nel suo settore. La stima era ancora molto alta, tanto che l'università gli perdonò il passo falso, a patto che accantonasse quelle idee e tornasse a lavorare sui progetti che aveva lasciato in sospeso e che si dedicasse agli studenti. Per Aurora la sua scomparsa improvvisa doveva avere qualcosa a che fare proprio con quegli eventi. Forse il professore non aveva abbandonato i propri studi come aveva promesso all'università. Magari aveva proseguito in segreto e ora era arrivato a un punto in cui poteva raccogliere delle prove convincenti. Forse era stato minacciato. La teoria presentata da Aoki era talmente sconvolgente da indurre la stampa a non divulgarne i dettagli. Solamente gli addetti ai lavori presenti alla conferenza ne erano a conoscenza. Perfino Aurora ignorava quali fossero state le sue conclusioni. Aveva provato a chiederlo direttamente ad Aoki, ma lui non aveva mai voluto risponderle. Ogni volta si chiudeva in un silenzio triste e dopo cambiava discorso. In pochi minuti la ragazza aveva attraversato il parco della scuola elementare e ora si trovava davanti a una piazzetta, dove i bambini aspettavano i genitori per andare a casa. Quel giorno anche lei stava aspettando suo padre; dovevano pranzare insieme. Si potevano incontrare raramente, perché la vita di una studentessa era sempre molto piena, ma anche lui aveva numerosi impegni a causa del suo lavoro. In qualità di sottosegretario all'agricoltura ricopriva una posizione di medio livello, non era molto conosciuto se non da coloro che seguivano da vicino la politica. Erano veramente pochi, poiché i problemi pratici del quotidiano erano più che sufficienti ad assorbire la completa attenzione del cittadino medio. Le lotte di potere all'interno del governo erano considerate delle scaramucce confinate all'interno di un club esclusivo. Le autorità erano viste dalle persone come una mera facciata, un simbolo più che la rappresentazione di un vero potere. Il governo mondiale - che aveva sede nella capitale, dove viveva Aurora - non era paragonabile a quelli di cui si poteva leggere sui libri di storia. Allora esistevano le nazioni, l'umanità era divisa e ogni nazione aveva il suo governo, e i governi competevano fra di loro per la supremazia degli uni sugli altri. Agli occhi di Aurora era un mondo lontano e incomprensibile: "Come potevano vivere divisi in quel modo e farsi la guerra? Non si rendevano conto di essere tutti esseri umani?" Dal momento in cui i coloni della sesta missione sono atterrati sul pianeta, si erano dati da fare per costruire un nuovo mondo, e per i primi secoli esisteva una sola città. La popolazione raggiungeva appena qualche milione e dividersi in gruppi era qualcosa di inconcepibile. Tutti parlavano la stessa lingua e ci si capiva facilmente, anche se c'erano molte lingue antiche che venivano conservate gelosamente, come pure alcuni dialetti. Gli sforzi dovevano essere messi tutti in comune per avere una chance di sopravvivenza. Anche quando nacquero altre città, l'idea di una unità politica rimase dato che la popolazione occupava appena l'uno per cento della superficie disponibile sul pianeta. Le persone dovevano occuparsi di sviluppare infrastrutture, pensare alla produzione agricola così da avere abbastanza cibo. Il terreno di questo mondo era simile a quello terrestre, ma non uguale e richiedeva particolari attenzioni. Erano stati fatti grandi passi avanti per coltivarlo, ma una buona fetta del cibo era ancora prodotta in serre con terreno artificiale, dato che le sementi terrestri sembravano non essere adatte al nuovo mondo. Ogni tentativo di coltivare il grano, il granturco, il riso o un qualunque altro cereale sul suolo del pianeta era fallito. Anche la produzione energetica era una sfida imponente, perché avevano potuto esplorare solo una frazione dell'intero pianeta e la disponibilità di risorse era scarsa. I poco più di 30 milioni di individui che vivevano sul pianeta si nutrivano con una combinazione di nuovi cereali scoperti sul pianeta, da poco resi coltivabili e commestibili, e i tradizionali cereali terrestri coltivati negli ambienti artificiali. Anche trovare animali per l'allevamento era stato uno sforzo non da poco, tanto complicato da rendere più conveniente la produzione sintetica di proteine. Sulla Terra i loro antenati avevano impiegato decine di migliaia di anni per selezionare le specie utili da allevare. Addomesticare un animale selvatico era il primo passo. Sulla Terra i primi allevatori selezionavano questi animali per generazioni. I coloni disponevano dell'ingegneria genetica, ma le loro conoscenze si basavano su genomi terrestri. Gli animali del nuovo mondo erano molto diversi e ogni tentativo risultava in prodotti che non riscuotevano il gradimento delle persone. I problemi quotidiani erano molti e le persone erano gravate da un'eredità di cui non riuscivano a liberarsi. Si trattava di una sensazione di minaccia che i loro antenati si erano portati fin da quando avevano lasciato la loro casa. Quel mondo che avevano abbandonato, girava attorno a una stella che non si riusciva più a vedere. Un pianeta morto anche se era stato ricco di vita. Nonostante tutto quel tempo e quello spazio rimaneva un disagio che provocava loro un'ansia continua, come un prurito sotto la pelle. Un velo oscuro e opprimente che avvolgeva il futuro, qualcosa che metteva in discussione la stessa sopravvivenza della specie umana. Una minaccia immanente. Qualunque conflitto - e ce n'erano stati, l'umanità non aveva cambiato i propri geni - arrivato a un certo punto veniva sedato, perché il pensare comune era che si dovevano risparmiare le forze e le risorse per affrontare i veri pericoli. Quelli di un mondo alieno che poteva distruggerli in ogni momento. Di fronte a quell'abisso, qualunque altra controversia o scontro di potere assumeva una dimensione banale e quasi ridicola. Aurora stava ancora aspettando, seduta su una panchina all'ombra, e pensava "Papà dove sei finito? Ah, se ti sei scordato!" Prese il comunicatore e attivò una chiamata verso suo padre per capire come mai fosse così in ritardo. La comunicazione non fu instaurata e Aurora ne fu dapprima stupita e poi si preoccupò aspettando il consueto messaggio che il padre le inviava quando non poteva rispondere. Non arrivava. "Forse avrà lasciato il comunicatore da qualche parte, oppure lo avrà dimenticato," pensò. Le venne in mente di chiamare l'assistente del padre. "Davide? Ciao, sono Aurora, ti disturbo? Mio padre deve aver dimenticato di nuovo il comunicatore, potresti dirgli che lo sto aspettando?" gli disse appena stabilita la comunicazione. Parlava così rapidamente da non lasciare spazio all'interlocutore. Quando finì di parlare affannava perché aveva detto tutto senza nemmeno riprendere fiato. Faceva così quando era ansiosa o preoccupata per qualcosa. Il giovane assistente rimase in paziente silenzio finché non ebbe la possibilità di intervenire: "Ciao Aurora, come stai? Non mi disturbi, oggi ho il giorno libero, ma riguardo a tuo padre, pensavo fosse rimasto a casa. Non ricordo avesse impegni per oggi. Forse è solo assorto dalle le sue carte, sai com'è?" Aurora poté sentire il sorriso del giovane, aveva solo un paio d'anni in più di lei. "Ah, così oggi non lavori. Scusa! Proverò a chiamarlo di nuovo. Grazie e buona giornata." "Buona giornata anche a te," si congedò. "Sarà a casa," pensò Aurora, tuttavia prima che potesse riprovare a contattare il padre, il suo comunicatore la avvisava di una chiamata in arrivo. "Salve, chi parla?" rispose Aurora che non aveva riconosciuto l'interlocutore. Dall'altro capo una voce impersonale e distaccata le chiese: "La signorina Aurora Patel?" "Si sono io, chi parla per favore?" "Buongiorno, devo darle un messaggio da parte di suo padre, in questo momento è impegnato e non può parlare, vuole che lei segua il suo programma e vada da sola a trovare suo fratello. Lui non potrà accompagnarla, le darà maggiori chiarimenti non appena possibile. È tutto, buona giornata." "Capisco, ma chi parla?" insistette Aurora. Ma non ebbe risposta, la comunicazione era stata interrotta. Non era una cosa normale, anche se suo padre faceva parte del governo, questa era la prima volta in cui riceveva una comunicazione del genere. C'erano stati altri impegni improvvisi o riunioni urgenti a orari insoliti, cui suo padre aveva dovuto recarsi con urgenza, ovunque si trovasse, ma non era mai successo che non potesse parlare direttamente con lei o mandarle un messaggio. Aveva sempre trovato il tempo di dire a lei e a suo fratello che cosa stava facendo e per quale motivo non avrebbe potuto stare con loro. Qualche volta era stato Davide a informarla, ma quella voce sconosciuta era una novità. Almeno suo padre stava bene. Doveva stare bene. Se così non fosse, glielo avrebbero detto, perché non farlo? La politica! Pensò. Suo padre non era una figura così importante e poi perché tacere informazioni sulla salute di un membro del governo? Lei, lei era l'unica figlia che viveva nella stessa città, se stesse male avrebbero dovuto portarla da lui. Lo avrebbero fatto senz'altro. Quindi stava bene, ma non poteva parlarle. Dov'era suo padre? Aurora si sentiva ancora un po' angosciata anche se cercava di scacciare quella inquietante sensazione che provava, un dubbio, ma non poteva fare altro che aspettare. Certo, aspettare e tutto si sarebbe risolto, era solo un contrattempo. Andare al ristorante non aveva più senso, così si alzò dalla panchina e si incamminò verso il suo appartamento.
Un soffio di vento accarezzò la verde erba ben tagliata del giardino, mentre Harish Patel rivedeva i suoi appunti sulla nuova proposta di legge del governo. La brezza agitò i fogli sparpagliati sul tavolo, che l'uomo si affrettò a prendere e rimettere assieme per poi fermare con la tazza di tè piena a metà. Doveva prepararsi per un'audizione presso la commissione agricoltura che si sarebbe tenuta tra un paio di giorni. La legge su cui stava lavorando era ancora una bozza e molte parti potevano ancora essere discusse e forse stravolte, Harish conosceva bene l'imprevedibilità di quel processo, che agli occhi di un profano poteva apparire statico per via dei tempi molto lunghi che intercorrevano fra la dichiarazione di una nuova legge e la sua effettiva votazione in parlamento. Ad Harish appariva tutt'altro che statico. Era pieno di battaglie da vincere, che andavano combattute una alla volta alternando fasi statiche, in cui non succedeva granché, a momenti estremamente intensi. Spesso capitava che non si arrivasse nemmeno al dibattimento in aula. Era il destino della maggior parte dei provvedimenti legislativi. Altre volte, una sortita dell'opposizione poteva colpire un punto importante della legge e cambiarlo. Anche questo capitava spesso. Tutti i politici erano consapevoli di queste eventualità. Per Harish, si trattava di trovare il miglior accordo fra le parti. A lui piaceva scoprire che cosa la sua controparte, di volta in volta, voleva ottenere e capire se poteva essere un ostacolo oppure avrebbe potuto cedere in cambio di un prezioso voto utile a ottenere il consenso necessario a passare il provvedimento. Ma il percorso richiedeva prudenza e preparazione. Mantenere entrambe per un lungo periodo era la parte difficile del processo legislativo democratico. Proprio mentre si apprestava a riprendere il lavoro, lo sguardo di Harish cadde sull'orologio appoggiato sul tavolo. "Accidenti!" pensò, "devo cominciare a prepararmi o farò tardi un'altra volta, Aurora si arrabbierà." Si mise a raccogliere tutti i documenti e i suoi appunti e a metterli via in una valigetta che poi portò in casa e ripose in un cassetto sicuro della sua scrivania. Mentre si stava recando in camera per cambiarsi d'abito suonò il campanello della porta. Corse subito ad aprire per vedere chi era. Non si aspettava visite. Un po' infastidito pensava fra sé e sé chi potesse essere. Un vicino o magari qualche collega di partito. Questa seconda possibilità lo infastidiva parecchio. Non gli piaceva essere raggiunto nell'intimità della sua abitazione per trattare argomenti di lavoro. Aveva un ufficio per questo ed era molto disponibile con i colleghi di partito o qualunque altro politico gli desiderasse parlare. Anche senza appuntamento. Ma non a casa sua quando era nei pochi giorni di riposo che si concedeva. Aprì la porta energicamente per sfogare quell'improvvisa irritazione. Aveva anche molta fretta: era in ritardo! Di fronte ad Harish c'erano tre uomini e due donne, tutti con una corporatura simile e vestiti in modo elegante, ma al contempo non troppo appariscente. La scena colpì il sottosegretario, perché era una formazione inusuale e soprattutto non conosceva nessuno di loro; cosa ancora più singolare visto che da politico di lungo corso, Harish aveva buona memoria per i volti. Forse era la prima volta da molto tempo che gli capitava di incontrare un gruppo di persone fra cui non potesse scorgere almeno un volto familiare. "Sottosegretario Patel?" esclamò uno di loro. "Sì," rispose Harish con voce bassa e leggermente tremula per la sorpresa. "Siamo qui a nome del primo ministro, ci ha chiesto di portarla immediatamente al palazzo del governo." "Non capisco," lo interruppe Harish, "oggi non ho alcun appuntamento con il primo ministro." "Sottosegretario," insistette l'uomo, "le spiegherà tutto il primo ministro, ora venga con noi, la prego." "Assolutamente no," fu la reazione di Harish, "voglio prima parlare con il primo ministro e sapere per quale motivo richiede la mia presenza in una maniera così inusuale." Il tono di Harish divenne autoritario, anche se era ancora intimorito per la sorpresa, e non aveva chiara la situazione in cui si trovava, non intendeva certo seguire degli estranei così facilmente. "La prego sottosegretario, il primo ministro non può contattarla, la porteremo da lui in pochi minuti." Harish non rispose, teneva ancora la mano sulla porta che non aveva aperto completamente. Fece un lento passo indietro, continuando a fissare con incertezza l'individuo davanti a sé, il suo volto era ben rasato e caratterizzato da lineamenti duri, che non tradivano alcuna emozione. Il vestito elegante, ma non troppo vistoso, esaltava le forme di un fisico robusto e allenato, ma non riusciva a nascondere il rigonfiamento su un lato probabilmente dovuto a una qualche arma. "Devo cambiarmi, aspettate..." "No," lo interruppe l'uomo, "il mio collega l'accompagnerà a prendere ciò che le occorre", si girò e fece un cenno con la testa a uno degli uomini che in un momento fu davanti ad Harish e prese il controllo della porta. "Mi faccia strada sottosegretario, la prego," disse l'uomo con un tono cortese. Harish si sentì in trappola e non sapeva più come uscire da quella situazione, si convinse che l'opzione migliore fosse quella di assecondare la richiesta, anche se non capiva cosa stesse succedendo esattamente. Quelle persone non sembravano agenti di polizia, erano armati, avevano un aspetto particolare e sembravano piuttosto risoluti. Che sia un colpo di stato? La sola idea lo sconvolse, non poteva essere, come? Conosceva il primo ministro da molti anni, conosceva i suoi collaboratori e le persone a lui vicine, quelle di cui si fidava e quelle che chiamava per avere dei consigli. Nessuno di loro sembrava antidemocratico. Un colpo di stato? Impossibile. Eppure, era lì in camera da letto con un energumeno che lo osservava, mentre prendeva il vestito e si cambiava. Fuori dalla porta altri individui che non avevano dichiarato la propria identità, ma che volevano portarlo via. Via dove, poi? Dal primo ministro? No, no, se il primo ministro voleva parlare con lui, perché non chiamarlo? Con angoscia e mille pensieri per la testa, si vestì e prese la sua inseparabile valigetta, che conteneva tutto quello che doveva sempre avere con sé. "No, lasci il comunicatore sul tavolo prego." Lo fermò con un tono deciso e cortese allo stesso tempo. La postura dell'uomo era decisa e non lasciava spazio a recriminazioni. Harish obbedì quasi in automatico, aveva deciso di seguire le istruzioni e di non opporsi, almeno per il momento. Prima doveva capire che cosa stesse succedendo, poi raccolte più informazioni, avrebbe pensato a come uscire da quella situazione. L'uomo lo accompagnò fuori dalla casa fino al veicolo dove attese che si allacciasse le cinture di sicurezza e le fissasse correttamente, prima di chiudere lo sportello e di spostarsi su un altro veicolo. La carovana arrivata a prelevarlo si sollevò rapidamente e cominciò a dirigersi verso il centro della città. Harish si sentì un po' sollevato quando atterrò sul palazzo del governo. Fu quindi accompagnato in una stanza di un piano dove non era mai stato, un posto che era precluso al personale normale del governo. Pensava fosse un piano vuoto al massimo utilizzato come magazzino o previsto per un utilizzo futuro, forse come rifugio di sicurezza del governo in caso di catastrofe naturale. Invece, si accorgeva che quel piano era pieno di persone. Persone che non aveva mai notato prima aggirarsi per i corridoi del palazzo. Donne e uomini che nel portamento, nel modo di vestire assomigliavano a quel gruppo che lo aveva prelevato a forza da casa sua. Fu così portato davanti alla porta di una sala, quando si aprì si trovò davanti il primo ministro che lo accolse con un'espressione seria, quasi preoccupata. Dopo alcuni convenevoli, il sottosegretario venne fatto accomodare nella stanza dove aveva riconosciuto anche il ministro alla sicurezza, il ministro ai trasporti e alcuni dei loro più stretti collaboratori. Non era una riunione del governo, mancavano troppi ministri, nessun altro sottosegretario era presente, così come mancava il suo ministro: il ministro all'agricoltura. Harish era sempre più confuso, lui non si era mai occupato di temi legati alla sicurezza o ai trasporti. Conosceva molto bene entrambi i ministri e tutti i loro sottosegretari, alcuni li aveva frequentati per anni, in quanto anche compagni di partito e amici. Ma professionalmente, non aveva avuto alcun progetto in lavorazione o anche nel cassetto, che contemplasse l'interazione con questi ministeri. Inoltre, le persone che si trovava davanti erano quelle che ci si sarebbe aspettati di trovare assieme a un premier intento a instaurare una tirannia. Era un colpo di stato dopotutto? Per deporre uno stato democratico, servono delle complicità. Non tutti i ministeri sono uguali. Il ministero della sicurezza, ad esempio, era quello con la funzione più adatta a mantenere il controllo. Aveva alle sue dipendenze le forze di polizia, i vigili del fuoco, il genio civile e anche la guardia civile. Quest'ultima si occupava prevalentemente del monitoraggio dell'ambiente, ma i suoi componenti erano addestrati a rispondere a ordini diretti ed erano inquadrati in una gerarchia rigida, simile a quella militare. "Harish, benvenuto e scusami tanto per averti fatto condurre qui con la forza, ma sono stato costretto dalle circostanze di cui presto ti metterò al corrente. Sono obbligato alla più assoluta segretezza, e quindi non potevo far apparire questo nostro incontro sulla tua agenda. E nemmeno rischiare che altri lo venissero a sapere." Il primo ministro fece un cenno per fermare Harish che aveva molte domande da porgli, ma voleva prima terminare il suo discorso. "Ora, sarò il più conciso possibile, non voglio dilungarmi troppo. Ci sono dei passaggi importanti che devono essere seguiti prima di proseguire, altrimenti non posso farti conoscere il motivo di questa riunione e la sua importanza. Avrai notato la presenza del ministro della sicurezza e quello ai trasporti, come saprai oltre a me sono gli unici abilitati al livello di sicurezza bianco, che caratterizza il livello di sicurezza massimo delle informazioni accessibili al governo. Non abbiamo molte informazioni segrete e non dobbiamo nemmeno temere che nemici le scoprano, quindi il governo ha un livello alto di accesso a questi segreti. Tuttavia, il resto del governo ha un lasciapassare giallo, che è uno scalino più basso del bianco. Mentre gli incarichi più marginali sono di livello arancione, la stampa, così come tutti gli altri cittadini accedono solo al livello blu." Harish, da politico navigato qual era stava ascoltando le parole del primo ministro senza mostrare impazienza o preoccupazione. "Lascialo parlare," ripeteva nella sua mente, "vediamo dove vuole andare a parare. Sangue freddo!". Gli anni di militanza nel partito e quelli passati come rappresentante eletto in parlamento, avevano fatto di lui un esperto nel trattare le persone in qualunque circostanza. Così ora si rendeva conto che la mossa più saggia era attendere che fosse il suo capo a dargli tutte le informazioni. Harish si sarebbe limitato ad ascoltare con pazienza e quando ne avrebbe avuto l'occasione, se avesse ritenuto opportuno o prudente farlo, avrebbe avanzato le sue domande. Non era la prima volta che incontrava in una riunione il primo ministro, e non era la prima volta che ci discuteva assieme. L'agricoltura era un tema fondamentale per il governo, vista la costante crescita della popolazione, occorreva avere dei piani più che certi per produrre tutto il cibo necessario a sfamare i nuovi cittadini, senza contare l'investimento consistente in ricerca, necessario a causa delle difficoltà che ancora incontravano per coltivare sul nuovo mondo. Era un settore di primaria importanza, anche se non si interessava di informazioni che potessero essere considerate riservate o di progetti sensibili sotto il profilo della sicurezza, come potevano essere quelli del ministero dei trasporti e anche dell'energia e dell'industria. La popolazione non sempre condivideva la costruzione di nuovi impianti, di strade o di ferrovie. L'esproprio dei terreni e le ripercussioni sui prezzi delle proprietà adiacenti a tutti quegli interventi generavano le più diverse argomentazioni contrarie a tali opere. Nonostante la crescita della popolazione e la nascita di nuove città richiedessero l'aumento delle vie di comunicazione e della produzione di energia e di beni, ognuno preferiva guardare alla propria piccola condizione. Prendeva un cartello, uno striscione, ci scriveva sopra qualche slogan e andava a protestare. Per questo il ministero della sicurezza teneva d'occhio quei progetti e cercava di agire preventivamente e in modo da evitare che si creassero scontri sociali. Il controllo dei flussi delle informazioni era cruciale. Evitare che alcune notizie si diffondessero troppo presto o che circolassero informazioni parziali o addirittura false, era una parte importante del lavoro al ministero della sicurezza. In alcune circostanze aveva avuto accesso a del materiale riservato per determinare se questi progetti avessero interessato delle aree di espansione dell'agricoltura. Si trattava di documenti altamente censurati in cui lui poteva leggere soltanto il minimo indispensabile, nulla di più. Non sapeva che cosa sarebbe successo nelle aree evidenziate. La produzione di cibo era fondamentale e aveva l'assoluta priorità sull'occupazione del suolo. Nonostante questo il ministero dell'agricoltura aveva solo un livello di accesso giallo. Harish si chiedeva quali informazioni potessero esistere per giustificare il livello bianco. "Il solo fatto che hai visto questo piano e ti trovi in questa stanza richiede che tu accetti il passaggio al livello bianco, quindi firma i documenti per favore." Il capo del governo fece un cenno a uno dei funzionari che si affrettò a porgere al sottosegretario un tablet. Fu fatta una pausa di qualche minuto per permettergli di leggere e di completare l'approvazione con tutte le firme richieste dalla procedura. "Molto bene, ora hai un livello di autorizzazione bianco e ti ricordo che ogni informazione relativa a questo livello di segretezza deve essere tenuta riservata. Queste informazioni possono essere discusse soltanto all'interno di strutture adeguate come questa. Inoltre, non potrai parlare di questo piano e di questo incontro con nessuno, ti è tutto chiaro Harish?" Era il momento in cui finalmente poteva prendere la parola per iniziare a porre le sue domande. Ma c'era soltanto una cosa che lo stava preoccupando. "Primo ministro, anzitutto vorrei che mi dicesse se i miei figli sono stati avvisati, oggi avrei dovuto incontrarmi con la mia figlia più giovane per un pranzo, non voglio che si preoccupi eccessivamente." "Certo, un funzionario l'ha chiamata e non ci sono problemi, c'è altro prima che cominci?" Harish con un'espressione di sollievo fece un cenno di diniego con la testa e si lasciò cadere sullo schienale della poltrona per dimostrare che era pronto ad ascoltare tutto il resto del discorso. "Bene, allora cominciamo, ho molte cose da dirle..."
Aurora era quasi arrivata alla porta di casa, stava per prendere le chiavi dalla borsa quando si accorse che nella parte in ombra del corridoio c'era una figura che riusciva a scorgere appena. Si fermò di colpo e il suo cuore cominciò a battere violentemente per la sorpresa e lo spavento. L'ombra nascondeva tutta la parte superiore della figura, lasciando intravvedere solo i piedi e una parte delle gambe. In quel momento la figura fece un passo in avanti e lei poté vedere il suo volto e il cuore le batté ancora più forte, ma sul viso le sbocciò un sorriso. "Professor Aoki!" "Ciao Aurora, scusa se mi presento così, ma ho bisogno di parlare con te, per favore possiamo entrare?" Il professore sembrava avere fretta di togliersi da quel corridoio, come se temesse che qualcuno lo potesse vedere. Da cosa si stava nascondendo? Come mai non si era ancora fatto vivo all'università? E soprattutto: dov'era stato nelle ultime settimane? Molti lo stavano cercando e Aurora aveva mille domande, ma una volta entrati nell'appartamento fu il professore a prendere la parola. "Ti ringrazio, e ti chiedo ancora scusa per questa situazione, so che hai molte domande, ma prima voglio parlarti di una cosa, si tratta di qualcosa di molto importante e serio e tu non dovrai prenderlo sottogamba." Il suo volto era teso e pallido, i suoi occhi erano spalancati e la fissavano con intensità. Aurora stentava a riconoscere il suo professore, ma non ebbe modo di cominciare a parlare perché lui riprese il suo discorso. "Tra tutti i miei studenti, ti sei sempre distinta come una mente brillante e una studentessa responsabile, e per quello in cui voglio coinvolgerti c'è bisogno di entrambe queste qualità." "Professore, io..." Aurora voleva fare le sue domande, ma soprattutto voleva delle risposte, prima di ogni altra cosa le risposte. Ma Aoki la interruppe perentoriamente. "Certo," disse come se le avesse letto nel pensiero, "risponderò alle tue domande in ogni caso, ma prima permettimi di finire." Attese di ricevere l'assenso della studentessa prima di proseguire: "Prima che cominci a parlare devi firmare questo documento che ti impone la più stretta riservatezza su quanto sto per dirti." L'uomo fece una pausa per capire se la ragazza avesse capito ciò che aveva appena detto. "Non sono pazzo," si giustificò allo sguardo della sua studentessa, "è solo che non ho il permesso di condividere queste informazioni se non firmerai questo documento, ma prima di firmarlo voglio che tu capisca bene che è una cosa seria." La voce di Aoki era calma e scandiva bene le parole, come quando spiegava qualche concetto complicato e desiderava che gli studenti assimilassero ogni informazione correttamente. "Se firmi questo documento non potrai parlare con nessuno di quanto ti dirò o del materiale che ti mostrerò. Naturalmente, se non ti senti sicura, puoi dirmi di no, e io non andrò oltre, la tua vita andrà avanti come prima. Devi capire che qualora rivelassi a qualcuno quello che ti sto per dire, potresti finire in guai molto seri. Nessuno ti potrà aiutare. Hai capito?" "Ho capito," rispose Aurora. "Bene, allora vuoi firmare e sentire quello che ho da dirti?" "Sì, voglio sapere!" esclamò la ragazza senza quasi esitare. Dopo aver completato l'aspetto burocratico l'uomo le porse un altro tablet. Aurora cominciò a leggere. Il dispositivo conteneva numerosi documenti che riguardavano delle ricerche scientifiche, ma anche filmati e immagini, il tutto era scrupolosamente organizzato per argomento e data. Aoki le concesse il tempo di acquisire le informazioni e passeggiava avanti e indietro per la stanza mentre aspettava. A un certo punto la ragazza sollevò la testa e disse: "Professore ha continuato la sua ricerca! Ma non doveva farlo, che cosa le succederà adesso? Anche se questi dati dimostrano che aveva ragione non so se otterrà mai il permesso di pubblicarli, l'università la caccerà, è per questo che è qui?" "Quelle non sono le mie ricerche," rispose laconico l'uomo scuotendo vigorosamente la testa. "Ma ci sono vari riferimenti al suo precedente lavoro, a quanto ha presentato all'ultima conferenza di fisica a cui ha partecipato, così lei ha postulato la fine del nostro mondo, una catastrofe naturale dalla quale tutta la vita sarà a rischio..." "Certo, dimostra che la mia intuizione non era campata per aria, dimostra che sarebbe stato opportuno finanziare quella ricerca, invece di trattarmi come un pazzo, di ridicolizzarmi e di mettermi da parte, come è successo. Quello che hai letto, non è materiale che ho prodotto io. Si tratta di una ricerca segreta condotta dal governo. Sono arrivati alla mia stessa conclusione." Prima che Aurora potesse interromperlo proseguì. "Visto questi risultati - che per inciso sono stati confermati da altri tre studi condotti sempre in segreto dal governo, ma in maniera indipendente - hanno deciso di progettare una missione per salvare l'umanità." "Perché è sparito improvvisamente?" riuscì finalmente a chiedere la ragazza. "Sono stato contattato dal governo per esaminare questi studi e capire se ci fosse qualche errore o qualche interpretazione errata. Purtroppo, se c'è io non l'ho trovata. Ho dovuto dedicarmici a tempo pieno e non potevo far sapere a nessuno su cosa lavorassi. In questi giorni sono stato in una struttura di ricerca del ministero della sicurezza. Si tratta di una installazione in mezzo al nulla, raggiungibile solo per via aerea. Il mio scopo non è rendere pubblica questa scoperta, anche se vorrei tanto, ma sono vincolato dalla segretezza e dalla missione che il governo sta organizzando per salvare l'umanità." Aurora lesse la delusione sul volto del suo insegnante. "Una missione, ma come, che cosa significa?" I pensieri si facevano sempre più confusi nella testa della ragazza. Se fosse esistito un modo per rimediare al destino terribile del pianeta, allora sarebbe stato presente nei documenti che il professore le aveva fatto leggere. Ma il materiale che aveva esaminato lasciava ben poche speranze che un qualche intervento potesse rovesciare la situazione ed evitare la catastrofe verso la quale si stavano muovendo. "Non possiamo salvare questo pianeta Aurora," le disse con una voce improvvisamente triste, "almeno non da soli." S'interruppe improvvisamente, si guardava attorno e gesticolava con le dita, come se stesse cercando le parole giuste per esprimersi. "Il governo ha costruito delle astronavi simili a quelle che ci hanno portato qui. Presto partiranno per lo spazio..." fece una pausa per osservare l'espressione di Aurora, "... in cerca di un alieno misterioso che una volta viveva su questo pianeta." "Un... Un alieno? Si riferisce alle storie del demone del pianeta, quello che fu cacciato dai bambini tirandogli dei fagioli?" all'improvviso la ragazza vide il professore come un vecchio pazzo. Si era convinto di una propria fantasia e viveva all'interno di quell'invenzione senza più avere contatti con la realtà. Parlava di ricerche segrete, strutture nascoste, documenti altamente riservati, la fine del mondo. E lei lo aveva ascoltato, i segni c'erano tutti, come poteva essersi fatta ingannare così facilmente. Ma certo, era una persona di cui si era sempre fidata e poi il modo in cui parlava sembrava normale, le sue frasi erano coerenti, logiche. Infine, pensò che il vero motivo per il quale il suo insegnante era sparito era la follia. Un esaurimento nervoso che lo aveva fatto scivolare in quel mondo fantastico di cospirazioni, fine del mondo, missioni spaziali e certo, anche alieni. "Ho pensato anch'io che fosse una follia quando me lo hanno detto," si difese l'uomo leggendo nell'espressione della sua studentessa quello che stava pensando di lui. "Dopo aver esaminato le prove fornitemi, verificato che fossero autentiche, ho dovuto ricredermi." L'uomo le fece un gesto per indicate il dispositivo che Aurora teneva ancora in mano: "Prove che hai qui sul tablet, leggi pure." Aurora cominciò a esaminare i documenti e dopo qualche minuto domandò. "Sembrano documenti ufficiali, lo sono?" "Sono stato negli archivi dove sono custoditi gli originali. Sono classificati e nessuno, eccetto i vertici del governo, può accedervi." "Come mai hanno mantenuto il segreto su una cosa del genere?" "Da quello che so, è stato un episodio di cui si è persa ogni traccia, a eccezione di questo materiale, che una volta archiviato è rimasto lì a prendere polvere. Non sono molti a scavare negli archivi degli atti del governo, la nostra storia è breve e tutto è presente anche nelle biblioteche. Circa 30 anni fa si sono accorti di queste carte per caso. A quel tempo fu deciso di tenere tutto segreto. La gente pensava si trattasse di una leggenda metropolitana, o di una storiella inventata. Tutti sono convinti che questo pianeta sia sempre stato disabitato prima che atterrassimo. Per quale motivo cambiare queste convinzioni?" Il senso critico da studentessa di scienze le suggerì che quanto letto poteva essere anche una fantasia, o anche solo un pessimo resoconto di fatti avvenuti troppo tempo prima. Magari l'alieno misterioso in realtà era solo una mummia molto ben conservata, che una volta portata alla luce e conservata malamente si è degradata e non ha lasciato più tracce di sé. D'altronde l'umanità non aveva più archeologi, dato che la storia del pianeta era perfettamente documentata. Almeno quella umana. Inoltre, l'esplorazione per i nuovi insediamenti e la ricerca di risorse per lo sviluppo avevano l'assoluta priorità rispetto a studiare le ere passate del pianeta. |
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