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Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Autore: J.P. Bras
Titolo: Leonida di Atene
Genere Romanzo Ragazzi
Lettori 19 3 3
Leonida di Atene
Leonida di Atene.

Come una folgore lanciata dal re degli dei
Il ragazzo correva sotto il cielo di Atene,
dai suoi piedi s'alzava una polvere aurea
Simile alla sacra nube che avvolge l'olimpo
I rivali stupiti guardavano le sue terga
Fuggir lontano e conquistare la vittoria.

Correre è volare, il corpo vince la gravità e resta sospeso nell'aria. I piedi toccano il terreno solo per una frazione di secondo, le gambe spingono il corpo in avanti, le braccia oscillano come ali, mentre il vento accarezza la pelle. Ogni balzo è un tuffo nella felicità, un senso di potenza pervade l'anima, vince la fatica e l'uomo diventa un dio.

Leonida aveva fatto il vuoto dietro di sé nella gara di velocità dello stadion, lunga seicento piedi. Gli inseguitori stavano alle sue spalle di almeno cinquanta piedi e avrebbe potuto diminuire l'intensità dello sforzo perché la vittoria non poteva più sfuggirgli. Non lo fece, sarebbe stato irrispettoso verso gli altri. Spinse ancora sulle gambe e tagliò il traguardo alla sua massima velocità.

Athanasios, il suo pedotrìbo , avvolto nel mantello di porpora, lo guardò senza espressione alcuna ma dentro di sé era impressionato.
Non aveva mai visto un paides di dodici anni correre e vincere in quel modo contro ragazzi di due o tre anni più grandi. Non li aveva solo battuti ma li aveva umiliati.

Leonida, dopo essersi fermato, appoggiò i palmi delle mani sulle cosce, piegandosi in avanti. Non era stanco, voleva solo godersi la vittoria, senza ostentare troppo la sua gioia e il suo appagamento per la prestazione. Nel frattempo, uno ad uno, arrivavano gli altri corridori. I più grandi gli inviavano occhiatacce, i più piccoli che stavano ai lati della pista, essendo stati eliminati nelle batterie, gli sorridevano guardandolo con ammirazione. Molti li conosceva fin da quando era piccolo ed erano stati loro a coniare il soprannome Leonida Piè veloce, come il grande eroe e semidio Achille. Un paragone che lo riempiva di orgoglio e lo destinava a grandi imprese.
Intanto Gourias, un pais di quindici anni, grande e grosso si fece largo tra gli spettatori. La corsa non era il suo forte ed era stato eliminato quasi subito. Grazie al suo fisico possente eccelleva nel lancio del disco ed era quasi imbattibile nella lotta. Nel giavellotto, pur contando molto la forza, trovava difficoltà a coordinare i movimenti delle gambe e della braccia e, il più delle volte, l'attrezzo finiva troppo in alto o troppo in basso o troppo a destra o a sinistra. Una volta gli era sfuggito di mano mentre stava facendo il movimento per caricare il braccio e il giavellotto era finito dietro di lui, tra l'iniziale spavento e poi le risate di chi lo stava a guardare.
Gourias, si avvicinò a Leonida e disse:
«Amico, sei più veloce delle frecce scagliate da Odisseo!»
Leonida sorrise e Gourias lo sollevò come se fosse un fuscello lanciandolo in aria un paio di volte per festeggiare la vittoria,
mentre il ragazzino rideva e urlava, un po' per la contentezza, un po' per la paura.

I due si conoscevano solo da qualche mese, da quando Leonida aveva iniziato a frequentare il Ginnasio . Subito, il più grande aveva dimostrato una naturale simpatia verso quel ragazzino così gentile e veloce come il vento.
Leonida si era sentito onorato che un ragazzo più grande gli dimostrasse i suoi favori ed era felice di corrispondere l'amicizia.

La lezione di ginnastica era terminata e tutti i ragazzi si portarono alla vasca per lavarsi e per sgrassare con lo strigile la pelle dallo strato d'olio e di polvere mescolato a sudore.
Ancora una volta, Leonida fu festeggiato in modo chiassoso dai paides del primo anno. Qualcuno arrivò a pronosticare che avrebbe vinto la gara dello stadion che si sarebbe svolto di lì a poche settimane in occasione della Festa delle Panatenee . Il ragazzino si schernì ma in cuore suo inseguiva proprio quel sogno: diventare il più giovane vincitore della gara prestigiosa che coinvolgeva tutti i ragazzi di Atene. Sarebbe stata un'impresa degna degli eroi che amava e onorava, soprattutto di quello di cui si condivideva il soprannome, cioè Achille Piè veloce.

Lo stadion era la gara più importante delle Panatenee e di tutte le manifestazioni sportive che si svolgevano in Grecia. Nelle Olimpiadi, chi la vinceva diventava eponimo cioè dava il nome a quella edizione dei Giochi. Vincere significava diventare un eroe o, addirittura, un semidio.
I giochi di Atene non erano le Olimpiadi ma erano comunque tra le manifestazioni sportive più importanti della Grecia,
vincere la corsa dello stadio a dodici anni, sarebbe stato un primato mai raggiunto da nessuno nella storia. Non sarebbe stato facile, tutt'altro. Un conto era vincere contro i ragazzi più grandi di due o tre anni della sua scuola, un altro contro quelli dell'intera città. Comunque, sognare non costava nulla e se non avrebbe vinto in quell'anno, l'avrebbe fatto quello dopo o l'altro ancora. Non confidava a nessuno il suo sogno, con una sola eccezione, il suo più grande amico Zakir, il figlio di Cleopas, il suo pedagogo, cioè lo schiavo addetto alla sua persona.

Il pedagogo aveva il compito di accompagnare dappertutto il figlio del suo padrone e di insegnargli le buone maniere. Cleopas era originario di Sidone ed era stato fatto prigioniero da pirati che solcavano il Mar Mediterraneo. Era stato venduto ad Atene come schiavo al padre di Leonida, molto prima che lui nascesse. Era un uomo colto e leale, che si era guadagnato la fiducia del suo padrone con la sua rettitudine e sapienza.

Il padre di Leonida, Nesios, non aveva molti schiavi. Era un Logografo, cioè uno scrittore di documenti per il tribunale di Atene. Diversamente dai commercianti e dagli artigiani non aveva bisogno di manodopera. Gli servivano solo schiavi per la conduzione della casa. Oltre a Cleopas, alla moglie e al figlio possedeva altri tre schiavi, due donne per la cura della casa e un uomo per i lavori pesanti. Nesios aveva insegnato al figlio il rispetto per gli uomini e le donne che vivevano in schiavitù. Ripeteva spesso che la loro condizione non era una conseguenza delle colpe commesse o dei demeriti, ma dipendeva solamente dalla volontà imperscrutabile del Fato.

Cleopas, ogni mattina, accompagnava Leonida a scuola portando il bagaglio (tavolette per scrivere, stili, la cetra e
l'oboe). Passava tutto il tempo nel ginnasio e lo aspettava in una sala speciale o nella classe stessa. Perciò il pedagogo, avendo assistito alla lezione, una volta tornati a casa, aiutava Leonida a ripetere e memorizzare l'insegnamento ricevuto.

Zakir aveva un anno più di Leonida, era nato ad Atene nella stessa casa di Nesios da una relazione tra Cleopas e una schiava etiope. Zakir aveva preso il colore e le fattezze della madre etiope. Essendo figlio di schiavi, anche lui era uno schiavo ma i due ragazzi erano cresciuti insieme come fratelli.

Zakir aveva l'aspetto di un etiope, la pelle marrone scuro e lucida come i vasi di ceramica dipinti, occhi neri e capelli raccolti in treccine fini come piccole cordicelle che scendevano dalla nuca. Il contrasto tra il colore della sua pelle e quello del chitone bianco che indossava alla schiava, cioè con una spalla nuda, non passava inosservato e quando passeggiava nelle vie di Atene, tutti si giravano a guardarlo. Al contrario, Leonida aveva una carnagione molto chiara, quasi pallida, come quella di un neonato e i lineamenti perfetti come le statue degli dei nel Partenone . I due ragazzi sembravano degli dei, degni di essere rapiti da Zeus per la loro bellezza, come era successo a Ganimede, coppiere degli dei.

Leonida e Zakir erano inseparabili come Patroclo e Achille, si volevano bene e si sostenevano a vicenda. Un giorno, Leonida aveva promesso a Zakir che una volta diventato grande, l'avrebbe liberato dalla schiavitù. Zakir a cui non pesava molto quella condizione, un po' perché ci era nato, un po' perché era trattato bene e viveva meglio di tanti altri ragazzi liberi, rispose che non era necessario.

Voleva solo essere suo amico. Leonida disse, citando Pitagora :

«L'amicizia è uguaglianza.»
Zakir lo corresse:
«L'amicizia è servitù.»
Leonida resto un attimo pensieroso prima di domandare:
«Cosa significa?»
«Essere amici comporta mettersi al servizio uno dell'altro. Io sono il tuo schiavo, tu sei il mio, insieme siamo liberi.»
Leonida disse che era un pensiero molto profondo e chiese:
«Quale filosofo l'ha detto?»
Zakir rispose:
«Il grande Zakir, figlio di Cleopas!»
Entrambi risero di gusto.
Quel giorno, Leonida non vedeva l'ora di tornare a casa da scuola per raccontare a Zakir la sua strabiliante vittoria nella corsa.
J.P. Bras
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