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Writer Officina
Autore: Giovanni Logli
Titolo: L'Archivio delle Memorie Perdut
Genere Thriller psicologico
Lettori 29 2 5
L'Archivio delle Memorie Perdut
Il Manoscritto.

Il silenzio del laboratorio di restauro era interrotto solo dal respiro leggero di Eleonora e dal fruscio della carta antica sotto le sue dita. La luce dorata del tramonto filtrava attraverso le alte finestre, creando un'atmosfera quasi sacra mentre lavorava sul manoscritto danneggiato. Era un codice del XV secolo, recuperato da una chiesa rupestre di Matera dopo un allagamento che aveva minacciato di cancellare secoli di storia.

Eleonora Vallirti amava questi momenti. Il mondo esterno scompariva, e rimaneva solo lei e l'oggetto del suo lavoro – un dialogo silenzioso tra restauratrice e opera d'arte. Le sue mani si muovevano con precisione chirurgica mentre separava delicatamente due pagine incollate dall'umidità.

Fu allora che lo sentì. Un profumo inaspettato. Non l'odore familiare di carta antica, colla e muffa, ma qualcosa di completamente diverso: un aroma di rosmarino e limone, così vivido che per un istante credette che qualcuno fosse entrato nel laboratorio con un mazzo di erbe fresche.

Eleonora si fermò, confusa. La sua sinestesia raramente si manifestava in modo così intenso. Da bambina, questa condizione l'aveva fatta sentire diversa, aliena – la capacità di "sentire" le emozioni impregnate negli oggetti che toccava, di percepire colori nei suoni o aromi nelle texture. Con gli anni aveva imparato a controllarla, a utilizzarla persino nel suo lavoro. Ma questa sensazione era diversa. Più forte. Più... intenzionale.

Abbassò lo sguardo sul manoscritto. Le pagine che aveva appena separato rivelavano un'illustrazione che non appariva nel catalogo. Una mappa stilizzata di quello che sembrava essere un labirinto sotterraneo, con simboli criptici ai margini. Al centro dell'illustrazione, una figura femminile teneva tra le mani quello che sembrava un piccolo vaso di cristallo da cui si sprigionavano filamenti colorati.

"Impossibile," mormorò Eleonora, controllando nuovamente il registro di catalogazione. Il manoscritto era stato documentato pagina per pagina prima del restauro, e questa illustrazione non era menzionata da nessuna parte.

Il profumo di rosmarino e limone si intensificò, e con esso arrivò una sensazione di urgenza, come se il libro stesse cercando di comunicare con lei. Eleonora si costrinse a respirare lentamente. Era stanca, aveva lavorato per ore senza pausa. La sua mente le stava giocando brutti scherzi.

Eppure, mentre studiava l'illustrazione, notò qualcosa di familiare nei contorni del labirinto. Ricordavano la topografia dei Sassi di Matera, il dedalo di case-grotta scavate nella roccia calcarea dove era cresciuta. E quei simboli ai margini... alcuni le ricordavano le antiche incisioni che aveva visto nelle chiese rupestri della città.

Con mani leggermente tremanti, Eleonora prese il suo inseparabile taccuino – quello che portava sempre con sé, dove annotava tutto ciò che temeva di dimenticare – e iniziò a copiare l'illustrazione e i simboli. Mentre lo faceva, le sue dita sfiorarono una sezione del manoscritto dove l'inchiostro sembrava più scuro, più denso.

Il mondo intorno a lei svanì.

Una donna in abiti settecenteschi corre attraverso stretti vicoli di pietra. Il suo respiro è affannoso, i passi risuonano sull'acciottolato. Stringe al petto un libro e un piccolo contenitore di cristallo. Dietro di lei, voci maschili e il bagliore di torce. "Non devono trovarlo," pensa. "Non possono prendere le memorie. Non possono cancellarci."

Eleonora sussultò, ritirando bruscamente la mano dal manoscritto. Il cuore le batteva all'impazzata. Queste... visioni non le capitavano da anni. Da bambina, a volte, quando toccava oggetti molto antichi o carichi di emozioni. Ma mai così vivide, mai così... reali.

Il telefono vibrò nella tasca del suo camice, facendola sobbalzare. Lo schermo mostrava il nome di suo fratello: Lorenzo.

"Pronto?" rispose, cercando di controllare il tremito nella voce.

Silenzio dall'altra parte. Poi, la voce di Lorenzo, stranamente distante.

"Eleonora? Sei tu?"

Una domanda assurda. Certo che era lei. Chi altri avrebbe potuto rispondere al suo telefono?

"Lorenzo, tutto bene?"

"Io... sì. Scusa. È solo che per un momento non... non ero sicuro." Una pausa. "Ascolta, devo chiederti una cosa importante. Noi... abbiamo mai visitato una chiesa abbandonata nei Sassi quando eravamo bambini? Una con un affresco di una donna che tiene in mano un vaso di cristallo?"

Eleonora sentì un brivido percorrerle la schiena mentre guardava l'illustrazione che aveva appena scoperto nel manoscritto. La stessa identica immagine che suo fratello stava descrivendo.

"Perché me lo chiedi?" domandò cautamente.

"Ho iniziato a comporre un nuovo pezzo," rispose Lorenzo. La musica era sempre stata il suo linguaggio, il modo in cui dava forma alle emozioni che non riusciva a esprimere a parole. "È strano, Eleonora. È come se stessi ricordando una melodia che non ho mai sentito prima. E continuo a vedere questa immagine nella mia mente. Una chiesa, un affresco, un vaso di cristallo con qualcosa che sembra... fumo colorato all'interno."

Eleonora fissò il telefono, poi l'illustrazione nel manoscritto, poi di nuovo il telefono. La coincidenza era troppo precisa per essere casuale. Lei e Lorenzo avevano sempre condiviso una connessione speciale – a volte finivano le frasi l'uno dell'altra, a volte sognavano le stesse cose nella stessa notte. Ma questo era diverso. Questo era inquietante.

"Lorenzo, dove sei adesso?"

"Nel mio studio. Perché?"

"Resta lì. Sto arrivando."

Eleonora chiuse la chiamata e guardò l'orologio. Le otto di sera. Il laboratorio di restauro sarebbe dovuto essere chiuso da un'ora, ma lei aveva ottenuto un permesso speciale per lavorare fino a tardi sul manoscritto danneggiato.

Con movimenti rapidi ma precisi, documentò fotograficamente l'illustrazione misteriosa, poi ripose con cura il manoscritto nella teca climatizzata. Mentre lo faceva, notò qualcosa che prima le era sfuggito: una scritta minuscola, quasi invisibile, sotto l'immagine della donna con il vaso di cristallo.

"Ciò che è dimenticato non è perduto. Cerca l'Archivio."

Eleonora copiò freneticamente la frase nel suo taccuino, poi raccolse le sue cose e si diresse verso l'uscita. Mentre attraversava il corridoio deserto del museo, non poté fare a meno di sentirsi osservata. Si voltò più volte, ma c'era solo il silenzio e le ombre della
sera.

Fuori, l'aria di maggio era tiepida e profumata. Matera si stendeva sotto di lei, un presepe di luci che punteggiavano l'antica città di pietra. I Sassi sembravano un organismo vivente nella penombra, con le loro cavità e sporgenze che creavano un gioco di luci e di ombre. Eleonora non viveva stabilmente a Matera ma era lì temporaneamente per il suo lavoro di restauro al museo.

Mentre scendeva i gradini che portavano verso il centro storico, Eleonora non poteva liberarsi dalla sensazione che qualcosa di fondamentale stesse cambiando nella sua vita. Come se un ingranaggio invisibile si fosse messo in moto, spingendola verso un destino che non riusciva ancora a intravedere.

Non sapeva ancora quanto avesse ragione. Non sapeva che quella notte, in quel preciso momento, anche suo fratello stava fissando un foglio di carta dove aveva appena scritto, quasi in trance, le stesse identiche parole che lei aveva trovato nel manoscritto:

"Ciò che è dimenticato non è perduto. Cerca l'Archivio."

E non sapeva che, a pochi chilometri di distanza, nelle profondità dei Sassi, una donna anziana dai movimenti aggraziati stava accendendo delle candele in una grotta nascosta, mormorando: "Stanno arrivando. Finalmente stanno arrivando."


Echi dal Passato


Lorenzo Vallirti sedeva immobile davanti al pianoforte, le dita sospese sopra i tasti come in attesa di un segnale invisibile. Lo studio era immerso nella penombra, illuminato solo dalla luce bluastra del computer e da una piccola lampada sulla scrivania che proiettava ombre danzanti sulle pareti tappezzate di spartiti.

La melodia era arrivata all'improvviso, come un visitatore inatteso nel cuore della notte. Non l'aveva composta lui – almeno, non consapevolmente. Era semplicemente... emersa. Le sue dita avevano iniziato a muoversi sui tasti quasi contro la sua volontà, dando vita a una sequenza di note che non ricordava di aver mai sentito prima, eppure stranamente familiare.

Aveva registrato la melodia, poi l'aveva trascritta febbrilmente sul suo quaderno speciale, quello con il sistema di notazione che solo lui comprendeva – un ibrido di note musicali tradizionali, simboli matematici e segni che aveva inventato per catturare sfumature emotive che la notazione classica non poteva esprimere.

E poi era arrivata l'immagine. Chiara come se l'avesse davanti agli occhi: una chiesa rupestre abbandonata, un affresco sbiadito, una donna con un vaso di cristallo tra le mani. E quelle parole, apparse nella sua mente come se qualcuno le avesse sussurrate direttamente nel suo cervello: "Ciò che è dimenticato non è perduto. Cerca l'Archivio."

Lorenzo si passò una mano tra i capelli scuri, cercando di mettere ordine nei suoi pensieri. Questi... episodi stavano diventando più frequenti. Momenti in cui il tempo sembrava distorcersi, in cui sentiva di vivere contemporaneamente nel presente e in un passato che non ricordava di aver vissuto.

Il suo medico aveva parlato di stress, di esaurimento creativo, persino di possibili episodi dissociativi. Ma Lorenzo sapeva che c'era qualcosa di più. Qualcosa che aveva a che fare con i vuoti nella sua memoria – periodi interi della sua vita che sembravano essere stati cancellati, lasciando solo vaghe impressioni, come ombre proiettate su una parete.

Il suono del campanello lo strappò dalle sue riflessioni. Si alzò lentamente, sentendosi stranamente disorientato, come se si stesse svegliando da un sogno profondo. Attraversò l'appartamento – un loft ricavato da un'antica casa nei Sassi, con pareti di pietra calcarea e soffitti a volta – e aprì la porta.

Eleonora era lì, il respiro leggermente affannato per aver salito di corsa le ripide scale che portavano al suo appartamento.
I suoi occhi, di un verde intenso identico ai suoi, lo scrutavano con un'espressione che mescolava preoccupazione e eccitazione.

"Devo mostrarti una cosa," disse lei senza preamboli, entrando nell'appartamento.

Lorenzo la seguì in silenzio fino al tavolo del soggiorno, dove Eleonora aprì il suo taccuino e gli mostrò il disegno che aveva copiato dal manoscritto. La mappa del labirinto, i simboli criptici, la donna con il vaso di cristallo.

"Questo è ciò che hai visto?" chiese, studiando attentamente la sua reazione.

Lorenzo rabbrividì. L'immagine corrispondeva esattamente a quella che aveva visualizzato mentre componeva.

"Come... come l'hai trovata?"

"In un manoscritto del XV secolo che sto restaurando. Un'illustrazione nascosta tra due pagine incollate dall'umidità." Eleonora lo fissava intensamente. "Lorenzo, questa non è una coincidenza. È come quando eravamo bambini, ricordi? Quando sognavamo le stesse cose nella stessa notte."

Lorenzo distolse lo sguardo. C'era qualcosa di strano nel modo in cui Eleonora parlava della loro infanzia. Come se stesse facendo riferimento a ricordi che lui avrebbe dovuto avere, ma che invece erano... inaccessibili.

"Mostrami cosa hai scritto," disse Eleonora, indicando il quaderno di composizione aperto sul pianoforte.

Lorenzo esitò. I suoi quaderni erano privati, intimi. Ma c'era un'urgenza nella voce di sua sorella che non poteva ignorare. Le porse il quaderno.

Eleonora lo sfogliò fino all'ultima pagina, dove Lorenzo aveva scritto, quasi in trance, quelle parole misteriose. I suoi occhi si spalancarono.

"È identico," sussurrò. "Parola per parola."

Si sedette pesantemente sul divano, il quaderno ancora tra le mani. "Lorenzo, cosa sta succedendo? Prima i tuoi vuoti di memoria, ora questo... È come se qualcosa o qualcuno stesse cercando di comunicare con noi."

Lorenzo si avvicinò alla finestra, guardando fuori verso la città antica che si stendeva sotto di loro. Le luci di Matera creavano un paesaggio quasi lunare, con le case-grotta che emergevano dalla roccia come se fossero state scolpite da un artista cosmico.

"Ho iniziato a comporre un nuovo pezzo," disse infine, senza voltarsi. "È diverso da tutto ciò che ho scritto prima. È come se... come se la musica venisse da un altro tempo. Da un altro me."

Si voltò verso Eleonora, e nei suoi occhi c'era una vulnerabilità che lei non vedeva da anni.

"Ci sono giorni interi che non ricordo, Eleonora. Settimane. A volte mi sveglio e non so che giorno sia, che mese sia. Trovo spartiti che non ricordo di aver scritto. Note su conversazioni che non ricordo di aver avuto." Fece una pausa, deglutendo. "Il mio medico dice che potrebbe essere stress, o un disturbo dissociativo. Ma io credo... credo che ci sia qualcos'altro. Qualcosa che ha a che fare con queste parole. Con questo Archivio."

Eleonora si alzò e si avvicinò a lui, posandogli una mano sulla spalla. Il contatto fisico tra loro era raro – entrambi avevano sviluppato una sorta di riservatezza fisica negli anni – ma in quel momento sembrava necessario.

"Ti aiuterò a scoprirlo," disse con fermezza. "Qualunque cosa sia questo Archivio, lo troveremo insieme."

Lorenzo annuì lentamente, ma c'era qualcosa nel suo sguardo – una distanza, un'incertezza – che fece nascere in Eleonora un dubbio inquietante. Era come se suo fratello la guardasse attraverso un velo, come se non la riconoscesse completamente.

"Lorenzo," disse cautamente, "tu sai chi sono io, vero?"

La domanda sembrò coglierlo di sorpresa. "Certo che lo so. Sei Eleonora. Mia sorella."

Ma c'era un'esitazione nella sua voce, quasi impercettibile, che le fece gelare il sangue nelle vene.

"E ricordi quando siamo cresciuti insieme? La casa dei nonni a Gravina? I pomeriggi passati a esplorare le grotte?"

Lorenzo si allontanò da lei, tornando al pianoforte. Sfiorò i tasti senza premere, producendo un fantasma di suono.

"A volte è come guardare la vita di qualcun altro," disse infine, con voce così bassa che Eleonora dovette sforzarsi per sentirlo. "Come sfogliare un album di fotografie di uno sconosciuto. Riconosco i luoghi, riconosco i volti, ma non sento... non sento che quelle memorie mi appartengano."

Si voltò a guardarla, e nei suoi occhi c'era una disperazione che le spezzò il cuore.

"Aiutami, Eleonora. Aiutami a ricordare chi sono."

Prima che potesse rispondere, un suono acuto riempì la stanza – una singola nota di pianoforte, così intensa da far vibrare i vetri delle finestre. Ma né Lorenzo né Eleonora avevano toccato lo strumento.

Si voltarono entrambi verso il pianoforte, in tempo per vedere i tasti muoversi da soli, suonando una melodia lenta e ipnotica. Una melodia che sembrava evocare un luogo antico e dimenticato, un richiamo da un altro tempo.

E mentre la musica riempiva la stanza, le pareti di pietra intorno a loro sembrarono dissolversi, rivelando per un istante un altro spazio – una vasta sala sotterranea illuminata da una luce blu-verde, con scaffali circolari che contenevano migliaia di piccoli vasi di cristallo.

Poi, così com'era apparsa, la visione svanì. Il pianoforte tacque. Le pareti tornarono solide.

Ma qualcosa era cambiato. Nell'aria fluttuava un profumo di rosmarino e limone. E sul pavimento, dove prima non c'era nulla, giaceva ora un piccolo oggetto luccicante.

Eleonora si chinò a raccoglierlo. Era una chiave antica, in ottone scurito dal tempo. E attaccato ad essa c'era un piccolo cartiglio con un'unica parola scritta in una calligrafia elegante e antiquata: "Venite."
Giovanni Logli
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