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Autore: Barbara Sharon Smorta
Titolo: Veronika e i bambini Superior
Genere Fantascienza Formazione
Lettori 811 5 8
Veronika e i bambini Superior
Nella capitale della Slovacchia, affacciata alla finestra della sua cameretta a nord del fiume Danubio, Veronika osservava con il suo binocolo rattoppato con lo scotch il rossore di Marte. I signori Laska le avevano regalato quel binocolo dopo che il piccolo Tibor l'aveva usato a mo' di bastone di legno per lanciarlo a Chubby–Wubby nella speranza - mal riposta - che glielo riportasse. Chubby–Wubby era il vecchio cane dei Laska che, come spesso accadeva, stava dormendo a pancia insù sul letto di Veronika, russando rumorosamente e agitando le zampe pelose come se stesse correndo su di un prato obliquo e immaginario. Oskar e Anita Laska avevano adottato Veronika otto anni prima, quando era ancora in fasce, sicuri di non poter avere figli ma, tre anni or sono, Anita Laska si accorse di aspettare un bambino. Da allora la vita di Veronika era cambiata. I suoi genitori adottivi - soprattutto suo padre - erano certi che suo fratello Tibor fosse un bambino Superior e, grazie a lui, tutta la loro famiglia si sarebbe salvata dalla catastrofe che stava per colpire la Terra. Da diversi decenni, infatti, i governi di tutto il pianeta stavano selezionando i bambini Superior, ovvero quelli con un quoziente intellettivo più alto della media, per istruirli e mandarli su Marte a colonizzare il pianeta rosso, insieme alle loro famiglie. Questi bambini erano l'unica speranza per la sopravvivenza della razza umana. La certezza del Signor Oskar - che Tibor avrebbe fatto parte dei bimbi scelti per una missione tanto importante - proveniva dal fatto che, guardandolo, in qualche modo ci si rispecchiasse e quindi, senza alcun dubbio, avesse acquisito da lui anche l'intelligenza che, unita alla scintilla intuitiva di sua moglie, non poteva far di lui niente altro che un autentico genio. Pieno di orgoglio, diceva a tutti che il bimbo era la fotocopia di sé stesso quando anche lui aveva due anni e, la gente, gli sorrideva commossa anche se - pur scrutandolo da vicino - non riusciva a scorgere alcun tratto simile. Difatti, Tibor aveva la pelle bianca come la neve ricoperta di lentiggini color carota, i capelli dello stesso colore delle lentiggini e, nelle guance tonde, gli si formavano due simpatiche fossette ogni volta che sorrideva, mentre suo padre - alto dirigente della fabbrica di droni più importante di tutta la Slovacchia - era un uomo corpulento con una zazzera di ricci corvini posti sopra a un faccione color cioccolata, con due occhi piccini piccini e neri neri. A dirla fuori dai denti, i vicini pensavano che Tibor non avesse nulla a che vedere con il padre, e qualcuno arrivò a sospettare che fosse un clone di Anita.
Veronika, quando nacque Tibor, perse molto dell'affetto che papà Oskar gli aveva sempre dimostrato ma, in compenso, il piccolo era innamorato perso della sua sorellona e la seguiva come un'ombra, colmando - almeno in parte - la mancanza di attenzioni dei suoi genitori.
In realtà, i Signori Laska, non erano proprio nati per essere una mamma e un papà ideali. Lui che, come Veronika, era stato adottato quando era poco più di un neonato, cercava di comprare l'amore di Tibor viziandolo e coccolandolo fino a rendersi fastidioso, mentre lei, la Signora Anita, viveva la quotidianità nel metaverso e si toglieva il visore solo per recarsi dal parrucchiere o dal chirurgo estetico. In quella casa non cucinava nessuno, e la pulizia e l'ordine delle stanze erano compiti svolti dai robot di servizio che - ormai usurati - creavano cumuli di abiti costosi e polvere in egual misura in ogni angolo dell'abitazione. Veronika e Tibor stavano crescendo grazie alle scatolette di tonno e alle patatine al formaggio.
Veronika ripose con cura ciò che rimaneva di quel binocolo sulla scrivania, dopo aver calcolato la massa di Marte, la distanza con la Terra e la nuova orbita, qualora il pianeta rosso fosse rimasto l'unico del sistema solare. Si mise il pigiama a pois e andò sotto le coperte mandando a dormire Chubby–Wubby sul tappeto. Sapeva che più nessuno sarebbe passato a darle il bacio della buonanotte ma si addormentò lo stesso con il sorriso sulle labbra al pensiero che, il giorno seguente, a scuola, avrebbe rivisto la maestra Katarina. Katarina L'Alia era una giovane donna dai lunghi capelli castani - che acconciava sempre in una treccia - e dagli occhi verdi, grandi e sinceri, che svolgeva il suo lavoro con passione. Era l'unica ad aver capito quanto Veronika fosse speciale. La maestra, infatti, andò infinite volte a bussare alla porta dei Laska, per parlare di Veronika e della possibilità che fosse una Superior sfuggita alla selezione a cui tutti dovevano sottoporsi al quarto anno di età. I due coniugi, ogni volta, rimanevano sordi davanti a quelle parole, e si prendevano gioco di lei sogghignando. Veronika non aveva il loro DNA, quindi, che fosse più intelligente di Tibor a loro dire era impensabile, se non addirittura impossibile. Katarina provò a inviare lettere raccomandate, mail, fare decine di telefonate e li aveva tampinati numerose volte anche nel metaverso, usando gli avatar più disparati - per non farsi riconoscere - nella speranza di far ragionare i genitori di quella ragazzina, ma lei continuava a frequentare la scuola dei bimbi Normal, quelli destinati a restare sulla Terra fino alla sua scomparsa.
Alle ore venti - puntuale come un orologio svizzero - anche quella sera il governatore americano apparve sugli schermi a reti unificate. In TV e nel metaverso, ricordava che il mondo, così come lo conoscevano, sarebbe scomparso entro dieci, massimo quindici anni, a causa di una tempesta solare di dimensioni enormi che avrebbe avvolto il pianeta con le sue radiazioni, senza lasciare alcuna speranza di sopravvivenza.
Avere un figlio Superior significava salvarsi la pelle, e i Signori Laska si sentivano già al sicuro.

La scuola per i bambini Normal non era niente di speciale: un edificio fatiscente dove le insegnanti andavano a lavorare in modo svogliato o - più spesso - non ci andavano affatto. Si facevano sostituire da un proiettore che trasmetteva l'ologramma dei loro visi, intenti a ripetere di continuo vecchie poesie, mentre - nella realtà - se ne restavano sdraiate a sollazzarsi sul bordo di una piscina, facendosi sventolare da un robot dotato di ventagli al posto delle mani; collezionando gli ombrellini colorati dei cocktail. L'educazione di quei bambini, in effetti, non interessava a nessuno: né alle loro maestre né, tantomeno, alle loro famiglie. Quei poveretti non sarebbero mai invecchiati, la società cadeva a pezzi e le buone maniere si stavano estinguendo prima degli esseri viventi che dovevano custodirle.
Tra i corridoi, davanti alle aule, i tafferugli e le grida sguaiate erano la prassi e, questo genere di cose - aumentate per quantità e gravità in modo esponenziale - accadevano anche sulle strade di Bratislava, nonché di tutti i paesi del mondo conosciuto. Le città erano in preda al caos e lasciate all'abbandono. I poliziotti che non avevano figli Superior passavano le giornate chiusi nelle volanti con il visore del metaverso sul naso, e non lo toglievano neppure se un ladro di banche gli passava davanti con il bottino sottobraccio. Gli altri, quelli che sarebbero partiti per Marte... beh, facevano la stessa cosa, disinteressandosi completamente di chiunque commettesse un crimine perché, nella loro testa, quei farabutti erano già spacciati e non valeva la pena di stancarsi per arrestarli. In fondo, su quegli sfortunati pendeva già una condanna a morte dalla quale non potevano sfuggire.
L'unica cosa in grado di unire i popoli e calmare le rivolte, almeno per qualche ora, era lo SpeedUp! - uno sport che appassionava i grandi e i piccoli - che si giocava dentro a delle sfere di cristallo in assenza di gravità, in modo da simulare l'atmosfera marziana. Durante i tornei le persone dell'intero globo, si concentravano su quello, svuotando le città dai pericoli e riempiendole di bandiere colorate e dei canti dei tifosi.
I bambini crescevano senza regole e non erano seguiti dagli adulti; questo ultimo aspetto, purtroppo, lo condivideva anche la nostra protagonista, non fosse per l'affetto e le cure della sua insegnante. Veronika era diversa dagli altri ragazzini della sua età, era nata tanto buona da sembrare ingenua e, con il passare degli anni, non era cambiata di una virgola.
Dopo aver camminato tra i vicoli, evitando per un soffio di essere derubata almeno tre volte, Veronika varcò la soglia della scuola con lo zaino di seconda mano sulle spalle - tanto lungo che le sfiorava i polpacci - il maglione più grande di almeno due taglie e la gonna stropicciata. Era una bimba minuta, con i capelli color cenere, sempre stretti in una lunga coda, che non venivano mai tagliati, ma il suo viso dolce faceva intravedere tutta la gentilezza del suo cuore, e la descriveva meglio di come lo facesse il suo aspetto trasandato. Appena la videro arrivare, due compagni molto più grossi di lei, le corsero incontro e la fecero cadere per terra. Katarina osservò la scena e si precipitò ad aiutarla.
«Ti ho portato un regalo Veronika: è un nuovo libro per te.» le disse, aiutandola a rialzarsi.
Gli occhi della bambina si illuminarono, «Wow! Di che cosa parla?» chiese, mentre si toglieva con cura la polvere di dosso, come se per lei ogni cosa - quindi anche quegli abiti sporchi e stropicciati - avesse un grande valore.
«È un libro sull'origine dell'universo.»
Così dicendo, la maestra prese Veronika sottobraccio e la accompagnò fin dentro l'aula, proteggendola dai bulletti che si aggiravano per la scuola.
L'unica classe che, nel caos più totale, cercava a fatica di proseguire il programma scolastico era quella della maestra Katarina L'Alia, di cui Veronika faceva parte. L'insegnante si sforzava di inserire qualche seme della conoscenza nella testa dei suoi alunni ma, a parte Veronika, nessun altro le dava retta.
Era martedì e - come tutti i martedì - c'era un compito in classe. Veronika, dopo pochi minuti, si alzò dal banco e portò alla cattedra il problema risolto mentre, la maggior parte dei suoi compagni, giocava creando aeroplanini di carta o appallottolando le domande per tirarle addosso ai più timidi, ridendo a crepapelle ogni volta che riuscivano a centrarne uno in mezzo alla fronte.
Nella confusione più totale, entrò la Vicepreside avvisando gli studenti che ci sarebbe stato un concorso e che il vincitore - il più intelligente tra tutti gli alunni Normal dell'Istituto - avrebbe avuto la possibilità di frequentare la scuola italiana per bambini Superior. Katarina guardò Veronika e le sorrise: era arrivato il momento di dimostrare il suo valore!
Aveva iniziato a piovere e, all'uscita di scuola, la maestra la raggiunse con la sua auto sgangherata per darle un passaggio fino a casa, schivando due incendi e un paio di tafferugli.
Quando arrivarono davanti alla villetta dei Laska, Tibor corse incontro a sua sorella e, insieme a Chubby–Wubby che iniziò a leccarle la faccia scodinzolando, le fecero un sacco di feste. Sullo sfondo del soggiorno, la Signora Anita, si era legata i lunghi capelli ramati con una fascia rosa fluorescente ed era intenta a seguire un corso di yoga nel metaverso. Sdraiata in una posa scomposta sul tappeto, si sforzava di copiare - con scarsi risultati - le mosse dell'istruttrice creata dall'intelligenza artificiale, con il visore tempestato di Swarovski ben stretto sugli occhi. Era concentrata nella lotta contro la cellulite al punto tale da non accorgersi neppure che, appena al di là del piccolo giardino, era esplosa l'ennesima protesta e del rientro di Veronika.
«Io e Chubby–Wubby abbiamo fame...»
Così dicendo, Tibor prese la mano di Veronika trascinando tutti in cucina. Sulla tavola, due scatolette di tonno e un pacchetto di patatine già aperte attendevano le facce deluse dei figli dei Laska.
Katarina non riuscì a far finta di niente e, davanti a quegli occhi sconsolati, iniziò a rovistare per tutta la dispensa in cerca di cibo vero, ma fu inutile: gli scaffali contenevano solo patatine, pasti preconfezionati di dubbio gusto, tonnellate di vitamine - per lo più ricche di collagene per aiutare la pelle a restare giovane - e centinaia di scatolette di tonno.
«Cosa ne pensate? Perché non usciamo a mangiare un bel piatto di pirohy alla bryndza?»
(Per chi non lo sapesse sono dei tortellini ripieni di purée di patate conditi con bacon croccante, una vera delizia, nonché il piatto preferito di Tibor).
La maestra si voltò verso la Signora Laska e aggiunse: «Torneremo prima che la lezione sia finita».
Chubby–Wubby iniziò a saltare attorno a Katarina, quasi avesse capito.
«Sì, certo che verrai con noi.»
I bimbi, non se lo fecero ripetere due volte e, dopo aver salutato la madre - ignara di quello che succedeva attorno a lei - e averle attaccato un biglietto proprio sul dispositivo ottico in cui la avvisavano che sarebbero tornati presto, chiusero la porta alle loro spalle, intrufolandosi nell'auto della maestra che, nel frattempo, era stata avvolta dai fumi della rivolta e dalle urla dei manifestanti contro il governo.
Veronika si sentiva felice: guardò la sua insegnante e pensò segretamente - vergognandosi un po' - che sarebbe stato bello se al posto della Signora Laska ci fosse stata lei a prendersi cura di loro.
Barbara Sharon Smorta
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