|
Writer Officina Blog
|

Manuale di pubblicazione Amazon KDP. Sempre più autori
emergenti decidono di pubblicarse il proprio libro in Self su Amazon KDP,
ma spesso vengono intimoriti dalle possibili complicazioni tecniche. Questo
articolo offre una spiegazione semplice e dettagliata delle procedure da
seguire e permette il download di alcun file di esempio, sia per il testo
già formattato che per la copertina. |

Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto
di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da
un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici,
dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere
derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie
capacità senza la necessità di un partner, identificato nella
figura di un Editore. |

Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori,
arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel
DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti
di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli
della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle
favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia. |
|
|
|
|
Conc. Letterario
|
|
Magazine
|
|
Blog Autori
|
|
Biblioteca New
|
|
Biblioteca Gen.
|
|
Biblioteca Top
|
|
Autori
|
|
Recensioni
|
|
Inser. Estratti
|
|
@ contatti
|
|
Policy Privacy
|
|
La Teoria del Desiderio
|
Il brusio svanì all'istante quando il professor Jack Moreau fece il suo ingresso; a guardarlo non c'era nulla di appariscente in lui, eppure ogni suo gesto sembrò studiato per esercitare un'influenza precisa. Camminò con lentezza, senza fretta, l'abito grigio scuro dal taglio impeccabile, gli cadeva perfettamente sulle spalle, e la cravatta color indaco era l'unico dettaglio che sfuggiva alla neutralità. Aveva un fisico prestante ed era piuttosto giovane per avere così tanta esperienza, frutto evidentemente dell'impegno profuso per giungere ai suoi traguardi in largo anticipo. Portava con sé una borsa di cuoio consunto, come un dettaglio fuori tempo che parlava della sua lunga storia accademica, i suoi tratti erano scolpiti, quasi severi, e gli occhi, di un grigio ambiguo, sembravano osservare come se leggessero oltre le parole. Un tempo, Jack Moreau era stato considerato una mente straordinaria nei corridoi della Sorbona. Brillante, acuto, dotato di un'eloquenza rara e di una naturale inclinazione all'analisi, sembrava destinato a una carriera luminosa. Ma dietro quella compostezza impeccabile si celava qualcosa di meno compatibile con i codici dell'ambiente accademico. Non era soltanto interessato al linguaggio: era affascinato dal potere che il linguaggio esercitava sugli esseri umani, dalla dinamica del controllo, dalla resa volontaria, da quel confine sottile in cui la volontà si piegava ma non si spezzava. Aveva vissuto una seconda vita, riservata, in ambienti dove tutto era regolato da consenso e ritualità, non era un perverso né un predatore: era un uomo che conosceva la profondità dei propri desideri e li esplorava con lucidità. Ma in un mondo che tollerava solo l'apparenza della libertà, anche il piacere più consapevole sarebbe potuto diventare uno scandalo, così bastò poco affinché e la sua reputazione iniziasse a sgretolarsi. Forse un sussurro, un nome pronunciato nel contesto sbagliato, una mezza confidenza fra colleghi. La prima volta lasciò Parigi senza protestare, la seconda fu a Lione, dove aveva cercato di reinventarsi; ogni volta il trasferimento era preceduto da uno scivolamento lento, una tensione che montava come una marea silenziosa, finché diventava insostenibile, e Jack si illudeva che bastasse cambiare luogo, lingua, colleghi. Madrid fu diversa. Quando ricevette l'offerta del suo carissimo amico Peter Magnus, nonché rettore dell'università, intuì che sarebbe stata forse l'ultima occasione per ricominciare davvero. Questa volta impose a sé stesso una disciplina feroce, tagliò i ponti con il passato, cambiò numero, bruciò lettere, chiuse account, ma fece anche di più: addestrò la mente a spegnere il desiderio, a contenerlo, a sublimarlo nell'insegnamento, nella retorica, nello studio, così ogni gesto divenne calcolato, ogni parola dosata. E funzionò, o almeno, fino ad ora. Vestiva con cura, parlava con misura, non lasciava trapelare nulla che non fosse strettamente necessario. I colleghi lo stimavano per la sua professionalità, gli studenti lo ammiravano come un'autorità inaccessibile, nessuno avrebbe potuto immaginare ciò che si agitava, sommerso, sotto la superficie. Jack Moreau era convinto di aver vinto, eppure dentro di lui, una parte restò vigile, in silenzio, come se fosse in attesa. Salì i tre gradini della pedana e si posizionò dietro la cattedra, ma non parlò subito, si prese il suo tempo, appoggiò l'orologio da tasca sulla superficie di legno con gesto deliberato, lo aprì con un clic metallico e guardò l'ora. Poi, finalmente, alzò gli occhi. «Il silenzio è comunicazione», disse infine, con voce profonda, chiara, priva di inflessioni. Alcuni studenti si voltarono fra loro, incerti se fosse davvero l'inizio della lezione, qualcuno invece, borbottò sottovoce, «Lo so, sembrerebbe una contraddizione. Ma non lo è. Anzi. Il silenzio è la forma più potente del linguaggio. È ciò che resta quando le parole non bastano. O quando diventano un rischio.» Fece una pausa breve, strategica, poi camminò lentamente verso il centro dell'aula, tra le file degli studenti, ogni passo sembrò calcolato per attrarre l'attenzione, ma con naturalezza, come se fosse inevitabile. «Pensate ai vostri corpi in questo momento. Le vostre braccia incrociate, gli sguardi sfuggenti, le dita che tamburellano sui bordi dei taccuini. Tutto parla. Tutto dice qualcosa.» Si fermò davanti a una ragazza bionda, seduta in prima fila. «Signorina, come si chiama?» «Eva», rispose lei, sorpresa. «Eva. Bene. Lei, inconsapevolmente, incrocia le braccia mentre mi sta ascoltando. Questo mi comunica due cose: che è sulla difensiva... o che è estremamente concentrata. Il contesto mi aiuta a scegliere la reale comunicazione, ma se lei fosse, per esempio, al mio posto, a parlare davanti a cento sconosciuti, e io vedessi quel gesto... penserei che sia sul punto di chiudersi. Di non volersi esporre.» Sorrise, ma senza compiacimento, quindi tornò lentamente verso la cattedra. «Il corpo è il primo strumento del linguaggio. Il più antico. Ed è anche il più onesto. Non possiamo controllarlo fino in fondo. E sapete perché?», tornò a fissare gli studenti, dato che si era creata un'attenzione palpabile, «perché il corpo ha una memoria più profonda della mente. E a volte, il desiderio si manifesta proprio lì, prima che riusciamo a nominarlo. Prima che riusciamo a negarlo.» Si voltò e scrisse alla lavagna, con un gesso che stridette appena: “Desiderare è comunicare l'assenza.” Roland Barthes Poi si voltò verso la classe, «Chi può spiegarmi cosa intende Barthes?» Alzò la mano un ragazzo dell'ultima fila, piuttosto imbarazzato, Jack lo notò subito, «Lei. Prego.» «Forse... significa che, quando desideriamo qualcosa o qualcuno, lo facciamo perché non possiamo averli. E quindi il desiderio è come...una forma di mancanza.» Jack annuì, soddisfatto. «Molto bene. Ma c'è di più. Desiderare è anche una forma di potere. Chi desidera si espone. Ma chi viene desiderato... domina. Non è un caso se il desiderio è centrale nei giochi di comunicazione, nei gesti, nei silenzi.» Poi, come se lo notasse per la prima volta, si voltò verso la terza fila e lo vide. Un ragazzo con un viso interessante, timido e appartato dagli altri. Era seduto composto, quasi rigido, con il viso chino, ma lo sguardo sollevato, fisso su di lui, quasi con una concentrazione inquieta. Jack ne fu colpito come da un'onda invisibile, per un istante si fermò, qualcosa nella postura del ragazzo lo colpì profondamente. Era quella compostezza innaturale, forzata, che catturò inevitabilmente la sua attenzione; teneva le mani giunte, il collo lievemente teso, come se ogni parte di lui fosse trattenuta, e proprio per questo... seducente. «E lei, signor...?» chiese, senza staccare gli occhi da lui, inchiodandolo con uno sguardo potente «Navarro. Alessandro Navarro.» «Signor Navarro. Secondo lei, perché il desiderio mette a rischio la comunicazione?» Alessandro esitò, poi rispose con voce quieta, ma ferma. «Perché... può renderci disonesti. Con gli altri, ma soprattutto con noi stessi.» Jack rimase in silenzio, quella risposta era stata intelligente, ma era stato il modo in cui l'aveva detta a colpirlo: come se stesse parlando di qualcosa che conosceva intimamente, ma che non aveva mai osato esplorare. «Una risposta notevole», disse infine, con un tono più morbido, soffermandosi qualche secondo sul suo viso, sulla bocca, su quegli occhi profondi «Mi piacerebbe approfondire il concetto, magari... in un contesto meno affollato.» Un lieve sussurro percorse l'aula, ma Jack non se ne curò, o forse fece finta di non farlo, prese di nuovo il gesso e scrisse, in stampatello: Linguaggio del corpo. Comunicazione del desiderio. Etica dell'interpretazione. Poi chiuse il libro, tornò dietro la cattedra e concluse: «Questa è la nostra materia. Questo il nostro rischio. E forse... anche il nostro piacere.» E con quel sorriso che non arrivava mai del tutto agli occhi, lasciò l'aula. Senza voltarsi. La prima breve lezione di introduzione era già terminata, l'aula si svuotò lentamente, come un teatro dopo il calare del sipario, il brusio si attenuò in corridoio, misto al suono ovattato delle scarpe e al rumore sottile dei portapenne richiusi in fretta, eppure Alessandro Navarro non si mosse. Era rimasto immobile al suo posto, terza fila, lato destro con lo sguardo fisso verso la lavagna dove le parole scritte da Jack Moreau ancora vibravano di senso: "Comunicazione del desiderio. Etica dell'interpretazione." Quelle frasi non erano più concetti, parvero diventare qualcosa di vivo, qualcosa che iniziò a penetrarlo, dato che avevano trovato un varco nella corazza costruita con anni di disciplina e controllo. Respirò lentamente, cercando di non pensare a ciò che stava provando, o, più precisamente, a ciò che il suo corpo stava provando al posto suo. Un'erezione. Improvvisa. Incontenibile. Inspiegabile. Non gli era mai successo. Non così. Non in quel contesto, non con quella chiarezza, non con quell'intensità, e non per qualcuno. E quel qualcuno era un uomo appena conosciuto, un professore, il suo professore. Pensò a come era potuto accadere perché di fatto non era stato un tocco, né una carezza, e né una fantasia, era stato semplicemente uno sguardo, uno sguardo potente. Poi...quella frase pronunciata con una voce misurata, profonda, quasi neutra continuò a martellarlo nella mente: «Mi piacerebbe approfondire il concetto. Magari... in un contesto meno affollato.» Le parole gli si erano conficcate sottopelle. Non era solo ciò che era stato detto, era come era stato detto, con quella calma sicura, con quella lentezza che aveva accarezzato l'aria. Si piegò leggermente in avanti, i gomiti sulle ginocchia, le mani intrecciate, non avrebbe voluto che qualcuno notasse ciò che gli era successo, anche se ormai erano rimasti in pochi. Qualcuno rise alle sue spalle, poi la porta si chiuse, e ci fu solo silenzio. Alessandro restò ancora un minuto, poi due, con il cuore ancora battente e il respiro che non trovava ancora un ritmo normale, poi quando il corpo cominciò finalmente a rilassarsi, si alzò. Ogni movimento fu controllato, quasi timoroso, prese lo zaino e lo mise in spalla; quindi, camminò verso l'uscita senza voltarsi indietro, ma seppe con certezza che non avrebbe facilmente dimenticato quel momento. Neppure volendo. Fuori, l'aria di Madrid era tersa, ma la luce violenta, Alessandro strizzò gli occhi, come se la realtà avesse perso la sua definizione, i suoi pensieri, invece, restarono nitidi, forse fin troppo. La sua infanzia gli tornò in mente con la chiarezza crudele delle stanze fredde e ordinate della casa paterna; suo padre, magistrato militare, non aveva mai tollerato incertezze emotive; sua madre, severa e silenziosa, sembrava invece aver rinunciato ad ogni forma di tenerezza. I sentimenti erano sempre stati considerati una debolezza da correggere, non una dimensione da esplorare. Ogni gesto affettuoso era sempre stato una concessione, ogni slancio, invece, un errore. E così Alessandro era cresciuto in equilibrio instabile tra eccellenza e repressione. Aveva imparato presto a controllare ogni manifestazione di sé: la voce, il corpo, le emozioni, così aveva scelto di studiare comunicazione quasi per paradosso, come se cercasse di capire da fuori ciò che dentro gli era sempre stato proibito: analizzare i significati, interpretare i gesti, dare forma a ciò che, per lui, era sempre stato senza nome. Ma nonostante tutto, non era diventato freddo, né apatico, anzi. C'era qualcosa in lui che ardeva, che gridava, anche se ne era sempre stato inconsapevole. Una bellezza trattenuta, inesplorata, non manifestata. I tratti erano scolpiti con naturale armonia: occhi scuri, profondi, labbra piene, zigomi alti; i capelli, scuri e morbidi, ricadevano sempre leggermente sugli occhi, costringendolo a gesti nervosi per sistemarli. Era affascinante, sì, ma non lo aveva mai saputo, perché nessuno glielo aveva mai detto. Nessuno gli aveva mai insegnato a sentirsi desiderabile. E ora, un uomo, un professore, gli aveva parlato come se lo fosse. Lo aveva guardato come se avesse visto qualcosa in lui, e non solo l'intelligenza, quella l'avevano notata in tanti, ma qualcos'altro, qualcosa che lui stesso non sapeva di avere. Il potenziale di essere desiderato. E quello sguardo... lo aveva fatto sciogliere, perché era stato il primo sguardo sincero che avesse mai ricevuto. Non uno sguardo familiare, non uno sguardo valutativo, ma uno sguardo che attraversava, che scardinava dentro. Aveva sentito il suo corpo rispondere prima ancora di capire perché. Fu certo che non si era trattato solo eccitazione, c'era stata identificazione, curiosità, quasi empatia. Era successo qualcosa di più profondo, perché gli parve che Jack avesse toccato una corda nascosta, chiamandolo ad uscire da una gabbia. E ora... non sapeva dove sarebbe andato a finire, ma era certo che sarebbe tornato alla prossima lezione, a quel gioco sottile, a quel rischio. E forse, per la prima volta, desiderò davvero capire. |
Votazione per
|
|
WriterGoldOfficina
|
|
Biblioteca

|
Acquista

|
Preferenze
|
Recensione
|
Contatto
|
|
|
|
|