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Manuale di pubblicazione Amazon KDP. Sempre più autori emergenti decidono di pubblicarse il proprio libro in Self su Amazon KDP, ma spesso vengono intimoriti dalle possibili complicazioni tecniche. Questo articolo offre una spiegazione semplice e dettagliata delle procedure da seguire e permette il download di alcun file di esempio, sia per il testo già formattato che per la copertina.
Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Roberta De Tomi
Titolo: Rosso Liberty
Genere Narrativa Contemporanea
Lettori 318 3 4
Rosso Liberty
Mia mamma mi diceva sempre che le cose accadono quando meno te l'aspetti. Che siano belle o brutte, anzi spesso sono belle perché servono ad accendere la luce quando l'ora si fa più buia.
Mia mamma si chiamava Gilda, come la diva di quel film che aveva fatto sognare milioni di spettatori.
Io non ho ereditato i capelli di mamma: sono bruna, con gli occhi neri fissi in una realtà che non so affrontare come vorrei. A dire il vero, di mia mamma non ho quasi nulla, nemmeno le lentiggini che adornano la punta del naso e le guance, dandole un aspetto sbarazzino. Persino la pelle è di un bianco diverso, con un sottotono leggermente olivastro. Non ho il suo sguardo sanguigno, né il naso con le narici che sembrano aprirsi, aggraziate, su due labbra sottili ma dai contorni ben disegnati.
Di lei non ho più gli abbracci della domenica pomeriggio, quando la andavo a trovare nella mia seconda casa in stile liberty. Mi è, però, rimasto il sorriso solido, nella foto che tengo sul comodino. La cornice d'argento lo valorizza, ricordando quanto lei sia ancora preziosa.
Sento la sua mancanza. Vorrei che mi dicesse che Manuel tornerà. Che è solo un'assenza, come quella settimanale che ha scandito la mia vita, dai tre anni in poi, quando è andata via di casa. Non ho mai capito le ragioni e papà si è sistemato in poco tempo con Cristina. Una seconda madre che non ha mai fatto mancare nulla a me e a mio fratello Rodolfo.
Ma lei è sempre stata un'assenza perenne, anche quando era in vita.
Mi alzo dal letto su cui sono seduta da ore. Da quando Manuel ha lasciato questa casa.
Prendo lo smartphone dalla scrivania. Il computer è ancora in assistenza e la parte vuota è occupata da una pila di libri che ho dimenticato lì. Stanno prendendo la polvere, in pochi giorni. Avrei dovuto rimetterli nella libreria stamattina, ma ho perso le forze sentendo una manciata di parole.
“Non posso più stare con te.”
Mi echeggiano nella testa, come un loop ossessivo che non si spegne. Digito “Manuel” sul telefonino, ma mi accorgo solo ora che è spento. Non l'ho acceso, perché intanto è festa e nessuno ha bisogno di me.
Nemmeno lui.
Una lacrima scivola sulla guancia. È calda, mentre dentro ho l'impressione che l'inverno sia appena iniziato.
Perché?
I suoi penetranti occhi azzurri mi inchiodano. Mi comunicano il senso di distanza che vuole porre tra noi.
“Non posso dirti la ragione. Ma è finita.”
Mi avvicino.
“Amore?”
Scuote la testa, raggiungendo la porta. La apre e sparisce, lasciandomi con le braccia tese in avanti, in attesa di un abbraccio.
Mi sciolgo in un pianto ma dentro, il ghiaccio si moltiplica.
“Perché?”
Mi avvicino di nuovo al comodino, stringendo il telefonino nel pugno.
«Mamma, che cosa devo fare?»
I suoi occhi verdi mi fissano, il sorriso non mi scalda più come faceva quando era con me.
Lo sento lontano, ora più che mai.
“Chiamalo. Hai il diritto di sapere perché ti ha lasciato.”
Mamma era una diretta, voleva sempre chiarire. Non si teneva nulla dentro e andava a fondo nelle questioni.
Ecco, mi avrebbe detto proprio così.
Prendo il telefonino e faccio partire la chiamata.
Il cliente non è raggiungibile.
Entro nella chat e scrivo.

IO. Ciao.
Resto in attesa. La spunta resta grigia.
Lascio cadere il telefonino.
Mi deve avere bloccato. Senza che io gli abbia fatto nulla.
Altri perché mi esplodono in testa.
Che cosa ho fatto? Ho detto qualcosa che non avrei dovuto dire? Si è stancato delle mie reticenze? Della mia paura continua di rischiare?
“Niente, musetta. Tu non hai fatto nulla.”
Sento la voce di mia madre. Leggermente roca, ma anche delicata, come se volesse accarezzarmi.
Inconfondibile, con l'epiteto che mi ha accompagnato per tutta l'infanzia.
«Mamma, io devo avere fatto...» le rispondo come se fosse davvero con me.
Ma le parole mi muoiono in bocca, quando realizzo quello che è accaduto. Mi rivolgo alla foto e la vedo. Gilda non sorride più. Mi guarda seria, la fronte contratta a formare la superficie di una grattugia.
“Tu non hai fatto niente. Lui ha sbagliato. Si è comportato come un vigliacco. Tu, invece, sei una persona splendida. Ma devi ancora metterti in testa quanto vali.”
Il sorriso torna a splendere sul suo viso. Prendo la foto tra le mani e resto a guardare dritto davanti a me.
Devo avere sognato. Mamma Gilda non può avermi parlato. Forse è meglio se esco a fare un giro. O se dormo. Magari mi risveglio per scoprire che è stato tutto un incubo. Manuel è accanto a me, a letto, sprofondato nel solito sonno intervallato dal suo poderoso russare.
Sì, sarà così.
Si tratta di un incubo.
M'infilo sotto le lenzuola e mi arrotolo, chiudendo gli occhi. Mi giro e rigiro come se fossi su una graticola, alzo e abbasso le gambe con scatti improvvisi. Cerco di distenderle, di pensare a qualcosa di positivo, ma non mi viene in mente nulla, così mi alzo di scatto.
Mi prendo la testa tra le mani, cercando di recuperare qualche indizio dai ricordi. Eppure, ieri, io e Manuel eravamo in fila, mano nella mano, al concerto dei Negramaro. Nessun battibecco, solo qualche momento in cui lui sembrava scollegarsi dalla nostra realtà. Lo sguardo che girava a vuoto, ma poi tornava, adornato da un tiepido sorriso.
“Tutto bene?” gli chiedo, cercando di nascondere ogni traccia di preoccupazione.
“Sì, sono solo un po' stanco. È un periodo intenso, al laboratorio.”
A pensarci bene, da qualche settimana si disconnette, più della mia linea telefonica.
Mi sollevo e mi appoggio alla testiera.
E se non stesse bene?
Manuel non è il tipo da perdere il contatto la connessione con il mondo. È vigile, razionale, sempre sul pezzo. Il suo lavoro gli impone la massima precisione. Non è un sognatore, quindi ha sempre i piedi ben piantati per terra.
Sbatto gli occhi e mi passo una mano tra i capelli.
Non riesco a dormire per svegliarmi da questo incubo. Forse perché sono sveglia. E questa è la realtà che non voglio accettare.
Manuel mi ha lasciato senza darmi alcuna spiegazione. Per fortuna mamma è vicino a me. Ho la sensazione di sentirla come una presenza sottile, un piccolo spirito che aleggia in questo appartamento. Nel momento peggiore, quando la tua vita sembra svoltare in un abisso, quando la tua testa è un groviglio di perché e il tuo cuore un ammasso di spine, qualcuno torna per aiutarti.
Mi fermo, cercando la calma impossibile. Prendo la foto e fisso ancora mia mamma, i suoi occhi, le lentiggini.
“Io sono con te, tesoro. Lo sono sempre stata.”
No, non è un incubo. È altro, ma non so definirlo.


Capitolo 1
Dorys
Un mese dopo
«Tesoro, non devi fare così.»
«E cosa dovrei fare? La mia vita è un disastro. La cassa è andata in tilt e il direttore mi ha cazziato davanti ai clienti. Non una parola di difesa dalle mie colleghe.»
«Ma le tue colleghe sono delle streghe, lo sai.»
Mi volto verso di lei, agitando la pinza come se fosse l'indice.
«No, sono delle stronze!»
«Signorina, ti ho insegnato a parlare così? Sei fortunata che sono chiusa dietro a questo vetro, altrimenti te le suonerei.»
Scatto in piedi e lascio cadere la tenaglia sul pavimento.
«Non sono più una bambina!»
«Ecco appunto, hai ventisette anni. Non alzare la voce o torno a sorridere, senza curarmi più di te!»
«E allora, non ti curar di me, ma passa e avanza» ribatto con aria di sfida.
Ora ha il viso contratto. È arrabbiata, anzi, furiosa, mentre io mi sento scoppiare. Vorrei crollare sul pavimento e rovesciare i litri di lacrime che sto trattenendo da settimane. Non ho mai voluto farmi vedere disperata nemmeno da me stessa. Figuriamoci dagli altri.
Alcune gocce scendono dal tubo.
«Hai chiuso il rubinetto?»
«Oh... acc...»
Non lascio finire la frase che mi precipito dall'altra parte dell'appartamento. Entro nella lavanderia e poi nello sgabuzzino. Brancolo nel buio, prima di riuscire a trovare l'interruttore della luce. La lampadina pende, scoperta, nel piccolo spazio, areato da una finestrella con il vetro socchiuso.
Un rumore da lontano mi fa pensare che l'acqua stia scorrendo sul pavimento, mettendo a rischio la casa.
«Dove diavolo...» mormoro, sentendomi più cieca di una talpa presa dal panico.
«La manopola dell'acqua è sulla tua destra” grida mia nonna.
Sento il getto schizzare acqua più forte.
«Non la trovo!» esclamo.
Davvero, non vedo più nulla e i miei nervi sono percorsi da un terremoto.
“Calma, tesoro. Non sei davvero cambiata, quando vai in tilt non vedi più nulla.”
... e tu, mamma, mi hai insegnato come calmarmi.
Prendo una boccata di ossigeno, portandomi la mano all'altezza del diaframma. Mi connetto al centro di me, quindi inizio a inspirare e a espirare. Non ascolto il getto che continua a riversarsi sul pavimento, ma ancora prima, nel fulcro delle mie paure. Chiudo e apro gli occhi per mettere a fuoco la zona antistante la piccola finestra. Un refolo umido entra, ricordandomi che siamo a metà febbraio. Ma sembra di essere già a marzo inoltrato. I termometri segnano temperature ben al di sopra delle medie stagionali, le giornate sono illuminate da un sole così tiepido, da spingere le persone a sostituire i piumini e i cappotti con soprabiti più leggeri.
Sposto lo sguardo verso la parete e vedo la manopola.
La raggiungo e la giro verso di me.
“Hai visto? Basta stare calme e tutto si risolve” sottolinea mamma, come una maestrina solerte.
Stringo la parte in plastica. Sì, se si tratta di aggiustare un rubinetto; ma per un cuore non funziona così. Mamma non è un idraulico e io lo sento a brandelli.
“Musetta, sei svenuta?”
Mi scuoto e prendo gli strofinacci nello scaffale vicino.
Esco dallo sgabuzzino, lasciandomi alle spalle l'odore della polvere. Solo ora mi accorgo di quanto mi è entrato nelle narici.
Uno starnuto mi scuote, mi sento di gomma.
“Salute!” mi augura.
«Grazie.»
Torno nella cucina, dove una grossa pozzanghera si sta allargando verso l'esterno. Mi affretto ad asciugare, usando strati di stoffa grezza. S'imbevono in pochi secondi, mentre riprendo in mano gli attrezzi.
Metto la testa sotto il lavandino, stacco il tubo, quindi infilo il guanto ed entro nel condotto dello scarico, con la mano. Sento un grumo, lo estraggo: capelli, sapone e poi qualcosa di argentato.
«Ecco dov'era finito.»
Getto nel cesto dell'indifferenziata le schifezze, poi mi alzo e sciacquo l'anello.
L'acquamarina brilla, ricordandomi le mie vacanze più belle.
«Devo ammettere che ha un ottimo gusto.»
Mi rivolgo alla mamma. Sta sorridendo di nuovo, con calore.
«Soprattutto, è il mio colore preferito.»
Manuel mi viene incontro. Mi prende la mano sinistra e infila l'anello nel dito ufficiale. Io resto a fissarlo, incantata, poi gli butto le braccia al collo e lo bacio. Un bacio lungo, appassionato. Un bacio d'amore.
Quando ancora c'era l'amore.
Una lacrima mi scappa.
«Eh no, non piangere, musetta.»
Eh no, mamma, questa volta mi tocca. Mi sono trattenuta per tanto, troppo tempo e non va bene. Mi lascio cadere sul pavimento, certa che non avrei allagato l'appartamento. Per quello ci vuole un gigante e io non sono un gigante. Sono solo una piccola sciocca, delusa dall'amore, con una genitrice che le parla da una foto, reduce da una giornata disastrosa in cui oltre al cazziatone del capo, ha dovuto rimuovere l'intoppo che si era creato nello scarico del lavandino.
Faccio scorrere l'acqua e ho la conferma di avere ripulito tutto per bene, così mi avvicino alla doccia.
Mi sfilo la maglietta, apro il rubinetto e mi accorgo che l'acqua scorre piano.
“Forse ci sono delle incrostazioni” commenta la mamma.
Avverto nella sua voce un pizzico di disagio. Lo stesso che sto provando io. M'infilo di nuovo la maglietta, per non sembrare un idraulico in reggiseno, e smonto la doccia.
Il beep dei messaggi mi spinge nel soggiorno, dove ho lasciato il telefonino. Entro nella messaggistica istantanea, rapida.
STEFANIA. Sabato andiamo a fare un giro a Bologna?
Sotto leggo un messaggio che mi interessa ancora di più.
DENTISTA. Le ricordiamo l'appuntamento di domani, alle ore 18.00.
«No!»
Il messaggio è di ieri. E domani è oggi. E per risolvere il problema con la cliente, al supermercato, ho dimenticato la visita dal dentista.
Decisamente, è una giornata disastrosa in una settimana che si prospetta ancora più disastrosa.
Ed è solo martedì.
Roberta De Tomi
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