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Manuale di pubblicazione Amazon KDP. Sempre più autori emergenti decidono di pubblicarse il proprio libro in Self su Amazon KDP, ma spesso vengono intimoriti dalle possibili complicazioni tecniche. Questo articolo offre una spiegazione semplice e dettagliata delle procedure da seguire e permette il download di alcun file di esempio, sia per il testo già formattato che per la copertina.
Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Diego Mario Delpiano
Titolo: Claire Voyant - Helliger Quest
Genere Fantascienza Avventura
Lettori 270
Claire Voyant - Helliger Quest
3,53 a.m. Da qualche parte su PLM-80
Il vento soffiava caldo e rugginoso, schiaffeggiando le dune rosse. Oltre a un predatore notturno in volo solitario, un'altra creatura avanzava nella notte, tra le contorte carcasse d'acciaio che bucavano la pelle arida del deserto. Una folata improvvisa agitò il suo giaccone di pelle nera, mentre i capelli argentei scoprivano un viso di cuoio conciato da anni di sole e battaglie. Il viaggiatore si fermò un attimo, sollevando la tesa logora del cappello. Gli occhi d'acciaio fissarono il cielo senza stelle, seguendo la nube rossa che scorreva veloce, sospinta dal vento.
“L'Aquila di Sangue guida il mio cammino. Tra poco troverò gli Helliger, i Cacciatori Sacri, e la caccia avrà inizio.”
La sua voce si perse tra gli ululati metallici del deserto.

4,12 a.m. Bar di Halford
“Avanti, bastardo!”
Hal colpì con un pugno l'olovisore alle spalle del vecchio bancone.
“Così lo sfasci quel vecchiume, e ci perdiamo il notiziario delle 4,30!”
Smoke imprecò tra i denti gialli, tossendo per il fumo verdastro del suo stesso sigaro.
“Non ti ci mettere anche tu. Perché non fai come gli altri e aspetti, muto, che aggiusti questo cassone?”
Hal si strofinò la pelata con le mani grasse e unte, poi colpì ancora l'olovisore, che singhiozzò alcune immagini distorte.
“Quali altri?”
Smoke appoggiò il mento spelacchiato sulla spallina della giacca militare, buttando un occhio ai quattro tavolini del bar dal suo trespolo davanti al bancone. Un uomo sedeva a quello sotto il poster dei Judas Priest, e un altro a quello in fondo alla sala, tra la salamandra a tre occhi imbalsamata e la bandiera dei Megadeth. Mentre Jack Russell intonava il ritornello di The Big Goodbye dal vecchio impianto stereo, Smoke decise di dare un'occhiata più attenta agli altri avventori. Erano in due, ed era la prima volta che li vedeva. Il primo stava alla bettola di tredicesima categoria di Hal come un tatuaggio della lingua di Gene Simmons sulle chiappe di un prete.
Giacca e cravatta che, anche imbrattati dalla polvere del deserto, valgono un vitalizio di birra gratis; naso arrossato e occhi febbricitanti da cocainomane e... Guarda, guarda...
A Smoke cadde l'occhio sulla ventiquattrore metallica che il tizio portava ammanettata al polso sinistro.
Un colletto bianco, forse un dirigente di Al-City, che ha scelto di rintanarsi qui. Beh, amico mio, buona fortuna.
Smoke sorrise, aggiustandosi gli occhiali a specchio sul naso. Poi prese il boccale di birra e spostò lo sguardo sull'altro straniero, un grosso cowboy dalla pelle di rame. Smoke leccò la schiuma, con ancora il sigaro dimenticato in un angolo della bocca, preparandosi al suo passatempo preferito: i tre sorsi di birra. Aveva dimostrato più volte di poter indovinare chi avesse davanti nel tempo di una pinta di Tennent's.
“Ehi, Hal. Questa sul tipo grosso là in fondo.”
Hal si voltò un attimo e guardò lo straniero, pulendosi le mani sulla maglietta bucata degli Iron Maiden.
“Facile. Cacciatore di taglie o fuorilegge che si sta scollando dal culo un po' di sabbia rugginosa. Lascialo in pace se non vuoi che ti stacchi la testa con qualche arma spaziale.”
Smoke sorseggiò la birra, godendosi il retrogusto amaro.
“Forse hai ragione, ma guarda il bastone: penne d'aquila del deserto, frange di cuoio... sembra uno sciamano.”
Hal tornò all'olovisore: lo colpì ancora e l'immagine sparì del tutto.
“Porca puttana.”
“Anzi, aspetta...”
Smoke aveva appena notato un altro particolare, sufficiente a farlo dubitare della prima impressione.
“Guarda il braccio guantato, ti dico che è bionico. Però uno stregone del deserto non si lascerebbe montare quella roba.”
“Non me ne frega un cazzo! Guarda che disastro. Già non siamo riusciti a trovare i biglietti del concerto.”
Smoke bevve ancora, questa volta gli cadde l'occhio sulla medaglietta ossidata che lo straniero portava al collo.
“Ex militare. Non riesco a leggerla da qui, però il metallo è nero.”
“Reparti speciali?”
“Steel Warrior.”
Smoke portò la birra alle labbra, ma una singola occhiata dello straniero lo spinse ad appoggiare la pinta sul bancone.
“Allora, lo hai inquadrato?”
Smoke tornò a guardare verso l'olovisore spento.
“Uno che è meglio lasciar stare.”

Lo straniero sfiorò con le dita la medaglietta con su scritto il suo nome: Garrett. Sorrise, mentre Halford imprecava a turno contro l'olovisore e Smoke: entrambi lo mandavano in bestia. Un terrificante assolo di chitarra di Criss Oliva faceva da sottofondo alla scena.
La musica era alta, del genere che Garrett ascoltava da giovane, prima di arruolarsi. Hal e Smoke non sapevano che potesse sentirli lo stesso. Non ci riusciva grazie a qualche impianto cibernetico: isolava le loro voci, come aveva imparato nel Tempio della Mente, quando era un allievo Dor-Gai.
Si asciugò la fronte, dove il sudore scorreva lungo tre cicatrici, ognuna con una storia diversa. Smoke non avrebbe capito chi fosse nemmeno con tutta la birra del locale. A volte pensava di essere il figlio legittimo dell'epoca - come suonava grottesca quella parola - in cui viveva. Portava fiero i segni di svariati mondi, avventure e battaglie.
La nuova caccia è appena iniziata.
Il cowboy nero chiuse gli occhi. Il suo respiro si sincronizzò con le folate di sabbia che frustavano le imposte cigolanti del bar.
“Sabbia del destino, traccia la mia via.”
La voce di Garrett era un sussurro mentre estraeva dalla giacca un mazzo di carte dal dorso nero.
“Richiama i Cacciatori Sacri, gli Helliger.”
Avvertì il brivido elettrico della trance, mentre posizionava tre carte sul tavolino, secondo uno schema a triangolo rovesciato.
“Che giungano a me, sulle ali dell'Aquila di Sangue.”
Come in risposta, il vento smise di schiaffeggiare le imposte. L'aria stessa parve volatilizzarsi, risucchiata dall'antica evocazione. Garrett sentì una stretta allo stomaco e riaprì gli occhi: in quell'istante, qualcuno spalancò con un calcio la porta del bar.
“Hola, chicos.”
Hal si voltò imprecando, mentre l'istinto di sopravvivenza di Smoke scosse i vecchi muscoli, gettandolo al di là del bancone come un robusto calcio nel didietro; Garrett allungò la mano sul bastone Mekator, l'uomo con la valigetta estrasse una pistola.
“Aaron Delgado, suppongo.”
Il nuovo arrivato lanciò in aria il poncho: il colletto bianco, in preda al panico, lo crivellò, svuotando il caricatore.
“Che spreco di piombo, Aaron.”
L'uomo misterioso estrasse come un lampo una coppia di Jitsu-Gun, sparando un colpo per canna: la pistola e due dita di Delgado volarono in aria, mentre il resto del corpo, dopo una mezza piroetta, sfondava il tavolino alle sue spalle. Sulla bocca del pistolero si spalancò una smorfia tronfia e compiaciuta: colpiva sempre alla mano armata e alla spalla opposta.
“Visto? Due confetti bastano e avanzano” – commentò, passandosi una mano tra i capelli biondi.
Poi, scostò con un calcio i pezzi di legno che ricoprivano la sua preda da 15.000 crediti.
Garrett voltò una carta: il White Vemel.
Il primo Helliger.
Mentre il pistolero biondo rideva come un coyote idrofobo, Hal vide attraverso un foro di proiettile nel bancone un altro uomo, che entrava nel bar scuotendo il capo.
“Rozzo ed esibizionista come sempre, Burton.”
Clint Burton rivoltò Delgado con un calcio nelle costole.
“Di che ti lamenti? L'ho preso ed è ancora intero.”
Burton notò lo sguardo del suo interlocutore che si dilungava sulla mano insanguinata della sua preda.
“In gran parte.”
“Senza le mie capacità, non lo avresti mai trovato.”
La voce, altezzosa e arcigna, giunse a Garrett accompagnata da un ago di vento freddo. La seconda carta si voltò da sola: il Crimson Siltael.
Smoke alzò la testa da dietro il bancone e, quando riconobbe il secondo cacciatore di taglie, il sigaro gli cadde di bocca.
“Il tecnomante.”
Smoke non aveva dubbi: era lo zarevic Vassilj Ketchinov, uno dei più spietati cacciatori di taglie della Federazione.
Ketchinov controllò le ferite del ricercato, attento a non sporcarsi i guanti bianchi, vellutati di rosso attorno alle dita.
“Vivrà. Come stabilito, io mi tengo il contenuto della valigetta e tu incassi la taglia su mister Delgado.”
Smoke aveva già sentito quel nome, anche se gli veniva difficile associare il volto di Aaron Delgado, dirigente Mech-Plast, al pupazzo rotto ai piedi dei due cacciatori.
“Come vuoi. Non mi hai ancora detto cosa c'è nella valigetta.”
Il tecnomante appoggiò l'indice sulla manetta che attaccava la ventiquattrore al polso del contrabbandiere: in un attimo, il metallo si congelò. Ketchinov lo mandò in pezzi con un tocco leggero.
“Non ti riguarda.”
All'occhio esperto di Garrett, non era sfuggita la leggera distorsione cromatica e strutturale del guanto.
Metallo tecnorganico: reagisce alle onde cerebrali del possessore. Probabilmente l'intera divisa è una potente Armor Suit.
Garrett si fidava dell'Aquila di Sangue, ma in momenti come quelli, pensava che il suo spirito guida avesse un pessimo senso dell'umorismo.
E sarebbero questi i compagni che ha scelto per me?
Il pistolero e il tecnomante si voltarono all'unisono verso di lui. Lo fissarono per un lungo istante, tesi come corde di violino; poi Delgado, che nel frattempo aveva ripreso i sensi, richiamò la loro attenzione con voce tremante.
“Vi prego, non consegnatemi.”
Ma Ketchinov lo ignorò, facendo un cenno al socio.
“Prendilo.”
“No! Vi scongiuro!”
Mentre Burton lo alzava per i capelli, il ricercato si aggrappò allo stivale lucido del tecnomante: il suo ultimo errore. Una rabbia cieca attraversò il volto dello zarevic.
“Tu, miserabile e infetto plebeo, hai osato toccarmi?”
Le orbite del tecnomante si svuotarono. Come una zanna, dalla manica spuntò la canna di una lasergun.
“Ehi, Ketchinov, non vorrai...”
Il pistolero imprecò a denti stretti, gettandosi in fondo alla sala.
“Al riparo!”
Il tecnomante trafisse Delgado e la parete del bar con un fulmine scarlatto. Un botto tremendo, seguito solo da buio e silenzio.

4, 30 a.m. Resti del bar di Halford
Smoke, dopo aver controllato più volte di essere intero, aiutò Hal ad azionare le luci d'emergenza, rischiarando le macerie polverose e fumanti di ciò che restava del bar: un tavolino, una botte di birra, il puzzo infernale di cadavere arrosto. E gli altri. I due cacciatori di taglie erano al centro della sala. Il pistolero mugugnava e imprecava per i 15.000 crediti buttati ai maiali, mentre il tecno-pazzo ora sembrava calmo e rilassato. Lo sciamano-soldato, o qualsiasi altra cosa fosse, era ancora seduto, a occhi chiusi.
Forse se l'è fatta sotto - pensò Smoke prima di rimanere, per l'ennesima volta nella serata, a bocca aperta: c'era qualcun altro alle spalle dello sciamano.

Garrett riaprì gli occhi, sapendo che il terzo Helliger era giunto. Poteva sentirlo respirare dietro sé. Portò la mano all'ultima carta coperta, ma trovò solo il legno del tavolino.
Sparita.
Si alzò lentamente, col bastone Mekator in mano. Mentre si voltava, il suo cuore mancò d'un battito: la carta, e il resto del mazzo, erano nelle mani di un uomo alle sue spalle.
“Non hai bisogno di vedere questa carta. Sono Draydon Balyster.”
L'uomo, vestito con un impeccabile smoking bianco, infilò la carta dentro il mazzo. Chiunque fosse, la sua entrata a effetto aveva stuzzicato i riflessi paranoici dei due cacciatori di taglie, che puntarono le armi contro entrambi.
“Signori, non ce n'è bisogno.”
Disse Balyster con un sorriso, scrollandosi un po' di polvere e sabbia dalle spalle.
“Vengo in pace.”
Vedendolo così rilassato, Smoke pensò che si trattasse di un pazzo, oppure di qualcuno pericoloso quanto i cacciatori di taglie, se non di più.
“Perché non abbassate le vostre armi, prima che qualcuno si faccia male?”
Smoke, se possibile, sbiancò ancora di più: Balyster aveva solo un mazzo di carte in mano, eppure stava fronteggiando quei due psicopatici.
“Perché invece non ti metti faccia a terra? Oppure hai paura di sporcarti quel bel vestitino?”
Balyster socchiuse i grandi occhi verdi, come un gatto.
“Hai indovinato, Burton. Sarebbe un vero peccato, non credi?”
La situazione era tesa: Smoke e Hal quasi potevano sentire i cuori accelerati dei quattro. Nessuno voleva muoversi per primo, ancor meno per ultimo. Smoke scommise con se stesso che sarebbe stato Burton a sparare per primo; Hal congiunse le mani, strinse gli occhi e pregò qualsiasi divinità fosse all'opera in quel sistema solare, o in qualunque altro. Poi un frastuono esplose alle sue spalle. Si tastò il petto alla ricerca di buchi, ma sembrava intatto. Quando ebbe il coraggio di aprire gli occhi, vide che i quattro guardavano verso di lui e Smoke, abbracciati come due bambini. Ma il loro sguardo li attraversava, puntato alle loro spalle.
“Hal, l'olovisore. È ripartito.”
Halford lo trascinò a terra, lasciando spazio alle immagini del notiziario di CN-7.
“...Siamo sempre qui in diretta dall'Hammersmith ‘80, dove questa notte, al concerto dei Claire Voyant, si è scatenato l'inferno.

Claire Voyant: la fenice torna a volare – di Black Ronnie
16 maggio 2083. Una stella, più luminosa delle altre, squarciò la notte. Tutti alzammo lo sguardo quando cominciò a muoversi, lasciando una scia di fuoco dietro di sé. Poi, la picchiata. Imprevedibile, rapida... letale.
La White Phoenix, su cui viaggiavano i Claire Voyant, precipitò così, incendiandosi nell'atmosfera di Jota-9.
Nessuno dei 108 passeggeri sopravvisse. Quella notte di 16 anni terrestri fa, una parte di noi se ne andò insieme a Carl “il burattinaio” Manetti, chitarra ritmica e tastiere; Rubi “Cross” McGregor, bassista; Hans Neumann, leader, voce e chitarra solista del gruppo. Solo Arcadiusz “Xs” Kaluzny, batterista, scampò alla tragedia grazie a una fortuita coincidenza: un banale incidente in sella al suo skycycle, che lo aveva costretto a una visita al centro medico di Cythara, su Jota-9, per accertamenti.
Quel che restava della star vessel del gruppo, venne recuperato alcune ore più tardi nei pressi del Liberty Park, vicino al luogo dove, pochi giorni dopo, più di 700.000 persone avrebbero dovuto assistere all'ottava tappa del “Road To Eden Tour 2083”. Un progetto ambizioso, in fieri, in cui la band svelava il luogo della propria data successiva soltanto pochi giorni prima dello show. In concomitanza con tale rivelazione, vi era anche la release di un nuovo brano tratto dell'album “Spread your wings”, che si andava svelando data dopo data, mentre i brani venivano aggiunti alla scaletta dei live come in un puzzle fatto di melodia, potenza ed emozione. Per quasi tre mesi, più di 20.000 fan avevano seguito la White Phoenix nello spazio, formando un convoglio degno di una carovana coloniale. Una carovana che si sarebbe mestamente sciolta dopo quel maledetto incidente, lasciandoci in eredità un album incompleto e fin troppe domande.
Le indagini che seguirono la tragedia si conclusero un anno dopo. Un guasto tecnico, seguito da una manovra di emergenza errata. Così dissero i giornali. Una verità che alcuni, compreso il sottoscritto, non accettarono mai. Non sembrava possibile che i Claire Voyant, simbolo di speranza in tutta la Federazione, se ne fossero andati per qualcosa di così piccolo, stupido, crudele.
Passarono gli anni, l'eco dei Claire Voyant si affievolì, ma non sparì mai del tutto. Le braci del “sogno” dei Claire Voyant rimasero accese nei cuori di milioni di fan. Toccò a Xs, quattro anni fa, riattizzare quella fiamma. Insieme al figlio di Hans, Harald “speed” Neumann, un passato da teppista e pilota clandestino tra le bande di New Boston, il batterista decise di creare una nuova incarnazione del “più grande gruppo della galassia”.
La band non ripartì da dove aveva lasciato la precedente. Troppo alte le aspettative, troppo importante l'eredità lasciata dalla formazione originale. Gli Star-Media federali bocciarono l'iniziativa. Xs e Harald vennero accusati di mirare soltanto ai crediti. Ma incassarono tutti i colpi e si rimboccarono le maniche, mettendo insieme un roster di artisti che, come loro, avevano fame e talento: Heloise “Sky” Du Ciel, tastierista dal sangue nobile, capace di incantare con virtuosismi visti raramente su di un palco metal; Jo “Nothingface” Vallado, istrionico bassista sempre mascherato sul palco; Daryl Daimon, voce e presenza scenica potenti, capace di cantare senza paura (a volte con un po' di incoscienza) i brani di Hans Neumann. I Nuovi Claire Voyant cominciarono la loro vita in maniera singolare, riproponendo soltanto cover della formazione originale, ma non con il piglio di una tribute band impegnata a ricreare, nota per nota, il passato, bensì reinterpretandolo alla propria maniera. Una mossa che alcuni videro come blasfema, ma che alla fine fu premiata. Dopo tanto lavoro e tanta gavetta, la scintilla tra loro e i fan scoccò con l'uscita di “The Legend Reimagined”, in cui le suddette reinterpretazioni dei vecchi brani dei Claire Voyant originali venivano finalmente consegnate alla storia con una registrazione in studio. Gli ingaggi iniziarono a farsi più sostanziosi, i palazzetti si riempivano. Possibile che il sogno dei Claire Voyant potesse vivere una seconda volta? Ce lo siamo chiesti in tanti, in questi anni. E forse è giunto il momento di scoprirlo.
Quest'anno, sulle ali della fenice, i nuovi Claire Voyant hanno lanciato le prime date del nuovo tour interplanetario. Cinque date note, le altre quattro ancora da svelare. Vi ricorda qualcosa?
Tutto avrà inizio questa sera, 5 gennaio 2099, all'Hammersmith '80 di New Boston, su Plm 80. Anche l'ultimo tour dei Claire Voyant originali partì da qui. L'attesa per il concerto di stasera è alta, perché è qui che i nuovi Claire Voyant inizieranno per la prima volta a presentare brani inediti. Non solo: secondo rumor sempre più insistenti, tra gli stessi ce ne sarà uno proveniente direttamente dagli archivi della famiglia Neumann. Che si tratti forse del leggendario brano mancante alla scaletta di “Spread your wings” che, a causa di quel maledetto incidente, i Claire Voyant originali non poterono suonare nell'ultima tappa del tour?
Se siete tra i fortunati con in mano un biglietto, preparatevi: i Claire Voyant, ancora una volta, sono pronti a scrivere la storia.
Numero 135 di Metal Flail – Black Box

Lama contro lama, le due spade si incontrarono a mezz'aria.
Un silenzioso scontro di acciaio che mandò tutt'intorno scintille.
Di nuovo, i due cavalieri si lanciarono l'uno contro l'altro.
Il più grosso, nero e terribile, cominciò ad indietreggiare, travolto dall'impeto del suo avversario in armatura rossa. Senza alcun suono, l'attaccante riuscì a infilare la sua lama nel costato dell'altro: svanirono entrambi in un crepitio di scintille, lasciando solo una sagoma indistinta a fluttuare nell'aria.

“Ma che cavolo ci vuole per farti funzionare?”
Zochoten Nagare, detto Zocho, era più che abituato a litigare con ogni sorta di aggeggio elettronico. Ma non avrebbe mai sopportato di perdere una scommessa.
“Ti restano cinque minuti, Zocho. Sei pronto a pagare?”
Lo schernì un ragazzo biondo e brufoloso.
“In cinque minuti, Jeffrey, potrei ricostruire un'aeromobile dal primo all'ultimo bullone. Prepara i crediti, stavolta niente sconti.”
Zocho era il miglior production manager e tecnico degli effetti speciali della Federazione. Solo lui avrebbe potuto occuparsi del faraonico show che avrebbe presentato in anteprima i nuovi pezzi dei Claire Voyant. Lo spettacolo olografico, che doveva accompagnare l'esecuzione dei brani del gruppo, era talmente complesso che aveva richiesto più di tre mesi di prove e quasi altrettanti di preparativi. La scena dei cavalieri era sempre la più difficile. L'ennesimo imprevisto tecnico aveva messo in difficoltà lo staff. Zocho ne aveva approfittato per scommettere con i ragazzi che lo avrebbe riparato in un'ora, termine che stava giusto per scadere.
È facile, che ci vuole?
Gli occhi di Zochoten correvano da un circuito all'altro, mentre con una penna laser riprogrammava l'oloproiezione. Gocce di sudore gli scorrevano fino al mento; sulle tempie, lampeggiavano rossi due piccoli led.
“3 minuti.” - Esclamò Jeffrey. La tensione nell'aria era palpabile: ad ogni scommessa, Zocho si faceva più audace e tutti si chiedevano quando avrebbe passato il limite tra fiducia in se stesso e presunzione.
Ecco, ci siamo.
Un lampo di luce illuminò la sala. Di nuovo i due cavalieri si fronteggiarono sullo sfondo del palco. Il primo assalto, poi il secondo, ormai tutti conoscevano ogni passo di quella danza scintillante. Il cavaliere rosso vibrò il colpo decisivo: ma questa volta il suo avversario si accasciò a terra. Il vincitore alzò la spada al cielo in segno di trionfo e Zocho lo emulò con il cacciavite in pugno.
“Ho pure avanzato 35 secondi, potevo prendermela più comoda.”
Applausi, misti a blande imprecazioni, echeggiarono tra le mura del palazzetto semivuoto. Mentre manciate di crediti passavano da un roadie all'altro, Zocho si schiarì la voce.
“Al lavoro, non siamo ancora pronti per la serata.”
L'Hammersmith '80 poteva contenere più di quarantamila spettatori, senza contare le svariate decine di milioni che, da ogni angolo della Federazione, si sarebbero collegate tramite Star-Net.
Per la performance, i Claire Voyant non avevano badato a spese: quattro piattaforme mobili, un impianto audio sufficientemente potente da abbattere le vetrate di un grattacielo e un sistema olovisivo da far invidia a un kolossal Hollywoodiano.
“Datevi una mossa, tra poco Ray trascinerà le sue chiappe e le sue ansie fino a qui e voglio che se ne torni in albergo soddisfatto.”
Proprio in quel momento, il portone posteriore dell'Hammersmith si aprì con un clangore metallico: una piccola aeromobile rossa a due posti fece il proprio ingresso. Una volta atterrata, con la grazia tipica dei piloti automatici di ultima generazione, i suoi portelli trapezoidali si aprirono verso l'alto. Ne uscirono un buffo ometto ben vestito, sul cui capo si ergevano orgogliosi gli ultimi quattro capelli, e un ragazzo che non poteva essere più diverso: atletico, i lunghi capelli neri al vento, faceva fatica a rallentare il passo per stare al fianco del suo compagno di viaggio. I due stavano discutendo e l'ometto lanciò a Zocho uno sguardo che era una disperata richiesta di aiuto. Il tecnico impugnò il suo cacciavite, ma non avrebbe affrontato Daryl Daimon, voce solista dei Claire Voyant, da solo. Fece un cenno a Jeffrey, che alzò gli occhi al cielo prima di affiancarlo.
“Cosa non gli andrà bene, stavolta?”
“Le luci del palco che lo illuminano troppo o troppo poco, la posizione troppo alta o bassa sul palco, i volumi delle spie...”
“Ti prego, le luci no, ieri ci abbiamo passato due ore.”
“Vuoi scommettere?”
Jeffrey sospirò, schiaffandosi in volto il sorriso più educato che i suoi vent'anni di professionalità potevano ancora concedergli.
“Guarda chi sono venuti a trovarci: Ray e Daryl.”
Michael "Ray" Raymond era il manager della band, abituato ad arginare le richieste più o meno (spesso meno) sensate dei suoi ragazzi. Ma per Daryl Daimon, qualche volta aveva bisogno di rinforzi. E di ansiolitici.
“Ecco, parlane con Zocho.”
Daryl tirò fuori da una tasca del chiodo un foglio spiegazzato.
“C'è un errore, guarda qua!”
Mostrò a Zocho e Jeffrey un elenco che entrambi conoscevano a memoria: la scaletta dei brani.
“Sentinel's Scream è il primo brano che faremo, come diavolo è finito all'ottavo posto?”
I led sulle tempie di Zocho brillarono rosso pericolo.
Quando incrociò lo sguardo di Ray, capì che nessuno lo aveva detto a Daryl.
Chissà perché, hanno lasciato a me l'onore.
Sospirò, prendendo il foglio.
“Ecco, hai visto? Appena mi è arrivata in mano, sono corso qua. Ora, non dovrebbe essere un grosso problema, però devi cambiare le olografie, dobbiamo spostare la posizione di partenza di tutta la band e...”
“Non è sbagliata.”
Zocho lo disse con un filo di voce, mentre Ray e Jeffrey mossero un paio di passi indietro.
“Di che diavolo parli? Io devo aprire con Sentinel's Scream.”
“Amico, lo capisco. È un pezzo importante e...”
“Pure la vecchia formazione lo usava come apertura. Con quella canzone Hans ha sempre spaccato e la nostra cover è ancora più potente.”
“Sono d'accordo, ma...”
“Cos'è, credete che non sia all'altezza?”
Ray gonfiò il petto e aprì la bocca, ma il calcio di Daryl contro una scatola degli attrezzi coprì le sue parole.
“Sono bravo quanto Hans, lo sapete tutti!”
Nella sala calò il silenzio. Tutti smisero di lavorare, avvicinandosi, ma non troppo.
“Mi volete spiegare che succede? Sono mesi che proviamo e Sentinel's Scream è sempre stato il brano di apertura.”
“Fino a ieri sera.”
Daryl inclinò il capo, gli occhi fiammeggianti piantati in quelli di Zocho.
“Aspetta, è un'idea di Xs? Quel vecchio pelato cerca sempre di mettermi il bastone tra le ruote! Sarà stato anche il miglior amico di Hans Neumann e il batterista dei Claire Voyant originali, ma a me non...”
“È stata un'idea di Harald.”
Daryl arretrò di due passi, come se avesse incassato uno schiaffo. Lo avrebbe preferito. Le occhiate di tutti lo trafissero da ogni direzione, ma non erano quelle a fargli più male.
“Stronzate, Harald sa che in quel pezzo do il meglio di me.”
La voce del cantante giunse appena alle orecchie di Ray, Jeffrey e Zocho. Quest'ultimo, come sempre, si avvicinò per primo al cantante. Tuonò ordini a destra e a sinistra e i suoi sottoposti capirono che lo spettacolo era finito e ripresero a lavorare.
“Daryl, facciamo due passi?”
Il cantante, curvo come un animale ferito, lo affiancò. Il tecnico lo accompagnò nella galleria che dava accesso al livello sotterraneo, destinato al personale tecnico. Si fermarono davanti a una porta con la locandina di un film vecchio di almeno due secoli. Il poster aveva lo sfondo azzurro, su cui spiccava una palla da baseball con gli occhiali e la cresta, che sorvolava tre figurine dei protagonisti, anche loro in divisa da baseball.
“Forza, ti offro qualcosa da bere.”
L'ufficio/camerino/officina di Zocho sembrava il retrobottega di un negozio di cianfrusaglie nerd: magliette con loghi di film e fumetti appese alle pareti, action figure appoggiate in quasi ogni angolo anche solo vagamente orizzontale, una cabina telefonica blu al centro della stanza usata come guardaroba.
“Ecco, siediti lì.”
Sedendosi su di un'incudine di gomma, Daryl appoggiò i gomiti alla tavola da surf gialla e rossa che fungeva da tavolo. Zocho si tolse la giacca, mostrando la parte superiore della sua high-tech suit. A un occhio poco attento, sembrava una tuta attillata da ciclista, con circuiti e led in rilievo. In realtà si trattava di un supporto vitale in grado di fornire a Zocho una serie infinita di optional che andavano dall'asciugatura rapida, alla realtà aumentata, dalla connessione a Star-Net a un collegamento neurale con qualsiasi diavoleria elettronica. Daryl non era un tecnico e non sapeva esattamente come funzionassero quegli affari, sapeva solo che quella di Zocho era un pezzo unico, un po' come lo starlancer di Harald.
“Ti do qualcosa da bere.”
Da quella che sembrava una slot machine, Zocho estrasse due tazze fumanti di caffè. Quella per sé la riempì di crema al pistacchio e smarties, l'altra la lasciò sotto al naso del cantante.
“Se vuoi lo zucchero, è nel teschio alla tua destra.”
“Serve qualcosa di più forte dello zucchero.”
Zocho fece spallucce, cominciando a bere il suo intruglio.
“Come ha potuto farmi questo?”
“Voleva dirtelo. Ma ieri tu e Jo siete spariti.”
“Io e Jo siamo rimasti a provare più degli altri, ci siamo meritati la libera uscita! Avevamo finito, anche Harald se n'era andato nel suo dannato camerino.”
“Ma poi è tornato sul palco.”
Daryl per poco non gettò la tazza contro al muro.
“Quel bastardo, mi ha tagliato fuori!”
“Non è così, lo sai che non è mai contento. Ha avuto un'intuizione o qualcosa del genere.”
“Certo, magari suo padre, dall'alto dei cieli, gli ha mandato un segno!”
Zocho storse le labbra. Daryl gli mostrò i denti, ma poi abbassò lo sguardo, prima di prendersi il volto tra le mani.
“Questa non dirgliela, intesi?”
Il tecnico spinse il teschio zuccheroso verso il cantante.
“Mi conosci, sono una tomba.”
“Sì, come no!”
Zocho rise e Daryl decise di mandare giù un sorso di caffè e un po' di bile.
“Senti, amico, ti capisco. Ma se Harald ha voluto cambiare la scaletta, lo ha fatto per un buon motivo.”
“Sarebbe?”
“A me non l'ha detto.”
“Fantastico.”
“Harald non è di tante parole, ma sai quanto tiene al concerto, alla band. Al sogno dei Claire Voyant.”
Daryl non replicò. Per quanto la cosa non gli piacesse, sapeva che Zocho aveva ragione.
“È solo che non capisco. Ho sempre dato l'anima per dimostrare quanto valgo e per Xs e Harald non sembra mai abbastanza. Va bene, non sono Hans Neumann, e allora? Non siamo una tribute band, siamo i nuovi Claire Voyant. Possiamo essere ancora più grandi di loro, lo sento! Ma come faccio a esprimermi al meglio se non mi danno spazio?”
Daryl colpì la tavola con un pugno, sospirando.
“Daryl, sei il cantante dei Claire Voyant. Hai dozziglioni di fan adoranti in tutta la Federazione, una voce eccezionale, ma...”
“Ma la band è di Xs e Harald, lo so.”
Zocho finì il caffè, poi si alzò, aprendo un pacchetto di patatine alla paprika.
“Non è poi così male. Hai un grande talento, potevi dar vita a una band tutta tua o unirti a tante altre. Ma hai scelto i Claire Voyant e, qui lo dico e qui lo nego, non lo hai fatto per i soldi o per le pupe.”
Daryl alzò lo sguardo. Anche questa volta, Zocho aveva ragione. Sospirò, svuotando la sua tazza. Fece per alzarsi, poi gli tornò in mente che non voleva incontrare il tecnico solo per la questione della scaletta.
“Quasi dimenticavo, ho qualcosa per te.”
Estrasse dalla tasca posteriore dei pantaloni una figurina plastificata. Quando la riconobbe, a Zocho andò una patatina di traverso. Tossendo con le lacrime agli occhi per la paprika, si pulì come poté le mani sulla maglia e gli strappò la figurina dalle mani.
“Non ci posso credere! Dove l'hai presa?”
“Regalo di Daisy.”
“Chi?”
“Niente, una fan.”
Zocho sogghignò, consumando con gli occhi il suo nuovo tesoro.
“Joe Shlabotnik. Questa figurina è più unica che rara. Dovrei proprio ringraziare quella tipa, come hai detto che si chiama?”
“Daisy.”
“Ecco, vedi? In questo sei molto meglio di Harald e Xs, loro non si ricordano i nomi dei fan. Né si sono fermati più volte fino all'alba per firmare autografi. Ti dirò di più, sei tu che...”
Ma quando Zocho alzò il naso dalla figurina, Daryl era già andato via.
Diego Mario Delpiano
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