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Writer Officina Blog
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Manuale di pubblicazione Amazon KDP. Sempre più autori
emergenti decidono di pubblicarse il proprio libro in Self su Amazon KDP,
ma spesso vengono intimoriti dalle possibili complicazioni tecniche. Questo
articolo offre una spiegazione semplice e dettagliata delle procedure da
seguire e permette il download di alcun file di esempio, sia per il testo
già formattato che per la copertina. |

Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto
di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da
un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici,
dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere
derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie
capacità senza la necessità di un partner, identificato nella
figura di un Editore. |

Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori,
arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel
DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti
di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli
della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle
favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia. |
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Celtic l'ultimo sacrificio
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"Se solo l'avessi saputo, avrei fatto l'orologiaio” (Albert Einstein)
La nave fendeva il mare leggermente increspato, lasciando ai lati, spruzzi come nuvole bianche che parevano cadute dentro quel blu profondo. “Se potessi scegliere il modo di morire, vorrei poter sprofondare in questo immenso e prezioso lapislazzulo liquido ...” sussurrò fra sé una giovane donna, sporgendosi a prua per osservare la chiglia mentre si reggeva saldamente al cordame. Una folata più forte di vento tiepido le scompigliò improvvisamente i capelli e le fece cadere a terra uno dei suoi fermagli d'avorio. Lei si scostò dal bordo e trattenendosi con una mano la chioma scura ormai indomabilmente sciolta, si chinò per recuperare l'oggetto. C'era un uomo, poco più in là. La stava osservando appoggiato all'albero sul quale, completamente dispiegata e rigogliosa di vento, gonfiava sbuffando la grande vela. Era giovane, indossava una tunica leggera di lino grezzo e aveva delle armi assicurate a una cintura di cuoio con le borchie bronzee. Quando lei si accorse della sua presenza, lui distolse immediatamente lo sguardo dirigendolo verso l'orizzonte. La donna disprezzava quell'individuo. Quel sogno, Silvia l'aveva già fatto molte volte, sin da bambina. Ormai vi si era abituata, ma non aveva mai avuto la possibilità di poter vederne il seguito. Si presentava a lei all'improvviso ed era nitido e piacevole, come fosse un film. Fu il suono di un cellulare che la riportò indietro dal regno di Morfeo. «Oh no! Perché l'ho lasciato acceso!» esclamò biascicando parole ancora intorpidite dal sonno, «neanche stavolta saprò come andrà a finire!» Accese la luce, mentre quell'aggeggio appoggiato sul comò continuava a rumoreggiare a più non posso. «Arrivo ... sto arrivando!» disse Silvia cercando la seconda pantofola che non trovò, poi decise, imprecando debolmente, di procedere scalza. «E ora che vuole questo rompipalle?» si chiese guardando il display sul quale occhieggiava il nome del professor Martucci. «Pronto ...» «Buongiorno dottoressa Lenzi! La disturbo?» esordì in modo vivace, l'altra voce. «No no ...» come poteva passargli per la mente l'idea di non disturbare? Erano solo le sette e trenta del primo giorno di vacanze natalizie! «Mi scusi sa, ma dovrebbe farmi una cortesia» continuò pimpante il professore. ‘Ci risiamo ...' pensò Silvia. «Mi ha chiamato il professor O' Brien, un mio amico esperto di archeologia celtica dell'Università di Exeter, lo sa dov'è? Nel Devon, vicino alla Cornovaglia. Nel corso di alcuni scavi, qualche giorno fa, hanno trovato dei reperti. Vorrebbero una consulenza ma io non posso recarmi là perché sono in partenza con la mia famiglia. Vorrei che andasse lei!» «E quando dovrei ...» «Praticamente adesso!» «Vorrei passare le vacanze con i miei, non si potrebbe rimandare?» «No perché se la scoperta risultasse interessante come sembra, devo essere il primo in Italia a divulgarla!» «Non potrebbe inviare qualcun altro?» «Dottoressa, lei è l'unica che non ha impegni familiari! Inoltre, potrebbe essere un' occasione per mettersi in luce! Ho già fatto prenotare il volo dalla mia segretaria. Dovrà prendere immediatamente contatti con lei, per il resto anticipi lei le spese! Adesso devo proprio andare, mi tenga informato per email, buon Natale!» «Buon Natale ...» riuscì a sussurrare Silvia con un filo di voce e il cuore in tumulto per la rabbia. «Come sarebbe a dire che non ho impegni familiari? Ho i miei genitori! Uffa!» sbuffò, gettandosi di nuovo sul letto. In quel momento, sua madre in vestaglia entrò nella cameretta: «Ma chi era a quest'ora?» Silvia manifestò un gesto di stizza: «Era quello stronzo del mio capo, mi ha appiccicato un compito noioso come al solito, devo partire subito per l'Inghilterra! Non voglio fare più questo lavoro!» Si affacciò alla porta anche suo padre in pigiama: «La devono smettere di rompere anche per le feste!» «Spero di fare presto per passare il giorno di Natale tutti insieme!» rassicurò i suoi genitori. Dopo la fine della storia con Marco, tornava volentieri a casa in campagna dai suoi. Era strano come nell'adolescenza avrebbe fatto di tutto per andare via da lì e adesso, che viveva e lavorava a un centinaio di chilometri di distanza, non vedeva l'ora di trovare un momento utile per ritornare nella sua cascina. Laggiù poteva gustare il silenzio, la pace, la tranquillità, cullarsi sdraiata sul dondolo posto in giardino, sotto la mimosa che all'avvicinarsi della primavera si tingeva del suo sgargiante colore solare e spandeva nell'aria l'inebriante profumo. Adesso era tutto brullo e spoglio ma i pettirossi saltellavano incuranti del gelo ed era uno spettacolo magnifico per chi, come lei, stava sempre chiusa in ufficio e bramava l'aria aperta come un bene prezioso. Silvia preparò velocemente una piccola valigia adatta per il bagaglio a mano. Si ricordò all'ultimo momento di prendere l'ipad e contattò la segretaria del professore. Quest'ultima le inviò per posta elettronica la prenotazione del biglietto aereo incluso tutto l'itinerario dettagliato che avrebbe dovuto percorrere in treno per raggiungere Exeter. Alla stazione sarebbe stata prelevata da qualcuno che l'attendeva, dato che il professor Martucci aveva lasciato disposizioni in proposito. Naturalmente c'era l'andata ma non il ritorno: già immaginava che non sarebbe stato facile trovare un volo libero per essere a casa il giorno di Natale. Amareggiata e frustrata, si fece accompagnare alla stazione e prese il primo treno per Roma, destinazione Fiumicino. L'aereo partiva alle quindici. Salutò suo padre quasi con le lacrime agli occhi per la rabbia e le vennero in mente le solite considerazioni che da qualche tempo la stavano tormentando: i suoi avevano fatto tanti sacrifici per farla studiare e lei li aveva ricambiati con merito, adesso in cambio cosa aveva? Trentadue anni e un lavoro di assistente precaria all'università che le fruttava poco più di un migliaio di euro al mese, con i quali doveva pagare l'affitto del miniappartamento a Firenze e soddisfare i suoi bisogni essenziali senza pesare ancora troppo sulle spalle dei genitori. Nessuna prospettiva di farsi una famiglia autonoma e, cosa ancor più frustrante, di fare carriera. In compenso il suo lavoro non aveva orari ed era costretta a sopperire alle numerose mancanze del professor Martucci. Spesso, gli articoli che venivano pubblicati in prestigiose riviste di archeologia era proprio lei a scriverli; naturalmente la firma e il merito erano del grande etruscologo. Il risultato era che anche la sua passione, che l'aveva spinta a intraprendere quell'indirizzo di studi, era scemata. ‘Questa è l'ultima volta! Cambio lavoro!' pensò mentre osservava la campagna spoglia passare velocemente attraverso il finestrino del treno. ‘Chissà chi è O' Brien ... sarà un altro grande vecchio pomposo e altezzoso, tanto ci sono abituata ormai'. Il treno giunse a Termini stranamente in perfetto orario e riuscì a prendere la navetta per l'aeroporto senza attendere molto. Il cielo, la stazione, il treno, i visi della gente infreddolita, tutto era o le sembrava plumbeo come il suo stato d'animo. Fece il check-in rispondendo a monosillabi a uno scocciatore che voleva per forza trovare un pretesto per chiacchierare in attesa dell'imbarco. Non aveva voglia di parlare, non era mai stata un tipo molto loquace e stare in silenzio da sola non la spaventava affatto, anzi, quando l'umore era nero, l'unica compagnia che poteva sopportare era quella di se stessa. Salita sull'aereo, cominciò a fantasticare su quello che l'avrebbe attesa. Non conosceva nessun dettaglio sulla sua missione, era partita alla cieca nella piena disorganizzazione: una sensazione che purtroppo era nota e di cui era profondamente stufa. Non sedeva neanche accanto al finestrino e cercò così di chiudere gli occhi per ricominciare il suo sogno. Lo faceva spesso prima di addormentarsi ma non sempre questo evento si riaffacciava a comando. Così, dopo inutili sforzi per assopirsi, prese un'insignificante rivista e ammazzò il tempo sfogliando svogliatamente le pagine, sommerse di stucchevole pubblicità natalizia e di facce sorridenti di gente in vacanza a godersi il Natale con la propria famiglia, come avrebbe voluto fare lei in quel preciso momento. Dopo neanche due ore, l'aereo atterrò a Heathrow e l'accolse un immenso albero di Natale illuminato; era già buio pesto da tempo, pioveva e faceva un discreto freddo. Si abbottonò il cappotto nero fino al collo e tirò fuori dalla tasca il foglio piegato con le istruzioni della solerte segretaria del Martucci, sperando vivamente che non avesse sbagliato nulla. La rabbia ormai si era trasformata in rassegnazione. Doveva fare il biglietto per la navetta che l'avrebbe condotta alla stazione, cercò la biglietteria ma ne trovò solo una automatica che accettava unicamente carte di credito. Frugò nella borsa per cercare la sua, maledicendo tutte quelle spese impreviste che avrebbe dovuto sopportare da quel momento in poi, il cui rimborso l'avrebbe ottenuto sì e no, dopo mesi. Un'ora più tardi era sul treno per Exeter: quella vecchia zitella della Ludovica non sgarrava quasi mai; chissà come aveva fatto a sopportare come capo il Martucci per venticinque anni! Misteri della vita! Altre tre ore di treno, all'inizio affollato ma che poi, mano a mano, si svuotò, fortunatamente con poche fermate. Finalmente la voce in sottofondo annunciò Exeter, almeno le sembrò, per quel poco di inglese che lei conosceva. Si rimproverò di non aver mai avuto il tempo e la voglia di perfezionare la conoscenza delle lingue straniere ma soprattutto di non essersi ricordata di prendere l'ombrello nonostante tutti sapessero che in Gran Bretagna piovesse spesso. Come nelle peggiori aspettative, dal rumore metallico sulla tettoia della stazione ferroviaria era chiaro che stava venendo giù acqua dal cielo di santa ragione. Si guardò intorno spaesata, cercando tra i volti delle persone sulla pensilina se ci fosse qualcuno che le mostrasse qualche segnale. Non le parve di vedere nessuno interessato a lei e fu presa da una grave sensazione di panico. Afferrò il cellulare dalla sua borsetta decisa a chiamare il Martucci per mandarlo a quel paese, in realtà chiamò i suoi genitori, comunicò loro che era arrivata e che era tutto a posto. Tutto a posto? Dovevano venirla a prendere, ma chi? E come avrebbe fatto a riconoscerla? Si girò intorno, verso tutti i lati del grande atrio della stazione quando una voce, che le giunse alle spalle, la fece sussultare. «Miss Lenzi?» Silvia si voltò e vide davanti a sé un uomo che dimostrava avere poco più di trent'anni; alto, magro, capelli biondicci lunghi raccolti in una coda di cavallo, occhiali rotondi, con un'aria vagamente allampanata forse dovuta a quei suoi pantaloni jeans sdruciti con le toppe e alla camicia scozzese che gli pendeva dalla giacca imbottita. «Yes, I am ...» rispose Silvia, vergognandosi subito del suo inglese scolastico. «Io sono Peter ... possiamo parlare in italiano se vuoi, ho vissuto in Italia per qualche anno, me la cavo abbastanza bene! Sono stato incaricato dal Martucci di accompagnarti. A proposito, posso darti del tu?» «Certamente!» esclamò Silvia molto più rilassata, riflettendo che quel ‘me la cavo abbastanza bene', era un'espressione alquanto modesta, dato che la pronuncia di quell'individuo era perfetta. Il giovane prese la valigetta appoggiata a terra e le fece cenno di avviarsi verso l'uscita. «Come hai fatto a riconoscermi?» gli chiese. «Il professore ha inviato una sua foto scattata durante un convegno in cui c'eri anche tu ... e poi non sei di sicuro un tipo anglosassone!» ridacchiò. Silvia rimase stupita della solerzia del professor Martucci, doveva tenerci proprio tanto a scrivere quell'articolo per primo. «Di certo non sono bionda e nemmeno alta ...?» rispose non nascondendo una certa stizza. «Direi proprio di no!» insistette il suo accompagnatore, il che bastò a renderlo terribilmente antipatico agli occhi di Silvia ‘Cafone' commentò dentro di sé. Ormai erano giunti all'uscita e si affacciarono su un grande parcheggio. La pioggia era talmente fitta che sembrava coprisse come un telo le luci gialle dei lampioni. «Per arrivare alla mia macchina dobbiamo correre, non ho un ombrello, per cui cerca di seguirmi velocemente!» «Un Inglese senza un ombrello?» rispose Silvia, ma quello si era già messo a correre e lei dovette fare altrettanto. Dopo poco, fradici fino alle ossa, si accomodarono dentro a un maggiolino bianco mezzo scassato che nonostante l'apparenza, partì al primo giro di chiave. Silvia si guardò intorno, il sedile posteriore della macchina era pieno zeppo di fogli volanti e di libri accatastati. Peter azionò il tergicristallo che cominciò a danzare sul lunotto emettendo dei rumori sinistri. «Speriamo che in albergo possano farmi asciugare questo cappotto!» si lamentò Silvia. «Non stiamo andando in albergo, hai riservato un appartamento di rappresentanza dell'università tutto per te!» «Ah, grazie!» disse Silvia grata di non dover pagare ancora. Si riguardò un poco intorno e poi chiese: «Sei uno studente?» «Ormai non più, purtroppo!» «Oh no! Non mi dire! Tu lavori per O'Brien come io faccio per Martucci! Ma lui che tipo è?» L'uomo si schiarì la voce: «Pignolo ...» «Ho capito, un altro pallone gonfiato come il mio capo. Scommetto che ti ha sottratto a qualche piacevole passatempo per costringerti a venirmi a prendere alla stazione con questo tempo da cani!» Sogghignò la ragazza credendo di aver trovato uno che finalmente la poteva capire. «E non è tutto! E' anche cattivissimo!» sentenziò Peter. Guidò per una mezz'ora e poi parcheggiò di lato al marciapiede, in una via in cui si affacciavano delle piccole villette con giardino tutte apparentemente linde e uguali, con decorazioni natalizie sui graziosi vetri all'inglese. La pioggia finalmente era diminuita ma l'aria era carica di umidità e scendendo dall'auto tiepida, Silvia fu scossa da un brivido di freddo. L'uomo l'accompagnò fin sul pianerottolo di una di quelle villette, accese la luce esterna e dopo essersi frugato a lungo, prima in una tasca e poi nell'altra, con un'espressione sollevata, le consegnò le chiavi. «Ecco» disse, «fai come se fossi a casa tua, dentro troverai tutto ciò di cui hai bisogno compreso del cibo nel freezer; la caldaia ha il timer, si accende e si spegne da sola» Silvia prese in consegna le chiavi e ringraziò: «Ci vediamo domani?» «Ah sì, che sbadato!» esclamò Peter «Il college non è distante, da qui sono pochi passi, basta chiedere indicazioni, dipartimento di archeologia celtica, alle dieci in punto, così conoscerai finalmente O'Brien!» Poi si frugò ancora in tasca maldestramente e tirò fuori un bigliettino dove a penna c'era scritto il suo numero di cellulare: «Se ti perdi nell'ateneo, telefonami» La giovane donna ringraziò ancora e Peter si congedò di corsa, lo vide partire con quel catorcio di automobile mentre lei stava aprendo l'ingresso di casa. Cercò con la mano l'interruttore della luce e lo trovò subito alla sua destra. La dimora era calda e molto accogliente. ‘Però! mica male come foresteria! Li trattano bene gli ospiti qui!' Si tolse il cappotto umido e lo appoggiò vicino a un calorifero, poi andò a ispezionare la casa. Non era molto grande: al piano terra c'erano la cucina e un salottino, poi si saliva una rampa di scale e si arrivava a una camera da letto e al bagno, tutto in perfetto stile inglese. Silvia si tolse i vestiti e si fece una doccia, poi scese in cucina e guardò nel frigo. C'erano confezioni di cibi precotti, buste di affettati e uova, nella dispensa invece, cereali, succhi di frutta e biscotti. Essendo già piuttosto tardi optò per una bella tazza di latte caldo e poi si coricò. Come avveniva ogni volta che era molto stanca, non riuscì a prendere sonno subito e la mattina seguente non si poteva proprio dire che fosse perfettamente riposata. Fece colazione preparandosi un velocissimo e insipido caffè liofilizzato e meno male che i biscotti al burro con cui l'accompagnò, erano molto buoni! Uscì, pronta ad affrontare l'incontro con O' Brien, anzi pronta a tutto pur di ritornare in patria il prima possibile. Doveva ammettere però, che aveva una certa curiosità di apprendere i dettagli di questa scoperta in anteprima assoluta. La mattinata era umida e nebbiosa; la corrente atlantica che aveva spazzato la zona da giorni, aveva lasciato nell'aria una cortina di piccolissime gocce d'acqua che bagnavano come se piovesse. Non faceva tuttavia un freddo eccessivo. Mentre si alzava la sciarpa intorno alla bocca, Silvia starnutì. «Ecco, ci manca pure questo!» esclamò. Non le ci volle molto per trovare un cartello con l'indicazione per l'Università, percorse un paio di isolati e si trovò davanti un edificio inequivocabile. Una struttura in stile vittoriano preceduta da un grande parco con alberi monumentali, spogli per l'inverno. Prese il viale principale e si trovò all'ingresso. Visto il periodo dell'anno, l'ateneo era quasi deserto. Sfoderando il suo inglese maldestro chiese al portiere, dove fosse l'ufficio del professor O'Brien, poiché aveva un appuntamento per le dieci. L'uomo le rispose aiutandosi con dei gesti per farsi capire meglio e Silvia si ricordò di quando il suo professore di inglese una volta le disse: ‘la pronuncia signorina non è male ma il vocabolario è alquanto scarno!' e si vergognò di nuovo. Salì una bellissima scalinata in pietra fino al primo piano. C'era ancora in giro qualche studente, forse del posto perché mancando due giorni a Natale, si immaginava che tutti fossero tornati a casa per le vacanze. Giunse vicino alla porta che doveva essere del professore e si fermò per sicurezza a leggere la targhetta all'esterno; quando vide che era arrivata a destinazione, cominciò a prenderle un po' d'ansia. Stava per decidersi a bussare, quando la porta si aprì e ne uscì un ragazzo con lo zainetto e l'aspetto da student. Prima di richiuderla alle sue spalle, si girò di nuovo verso l'interno, facendo un segno di saluto: « Merry Christmas Prof O'Brien!» e la richiuse subito dopo. «Oh, sorry!» esclamò quando si accorse che dietro di lui c'era Silvia che si accingeva a entrare. La donna bussò e attese che la voce dall'interno le desse il permesso di farsi avanti. Si trovò di fronte una scrivania e due piedi appoggiati su di essa, il volto coperto da un quotidiano dispiegato. «Prof O'Brien?» chiese timidamente. L'uomo, con un balzo, mise i piedi giù dalla scrivania e abbassò il giornale. «Silvia, sei in anticipo, credevo che fosse ancora lo studente di prima, scusa la posa poco educata! Siediti prego!» aggiunse l'uomo con un po' di imbarazzo. Ma il suo non era tanto quanto quello della giovane donna. «Tu ... quindi sei il professore?» «Ta dan! Sorpresa!» «Oh mamma mia! Ho vinto il primo premio delle figuracce in tutta la storia del mondo!» esclamò Silvia, accompagnando il suo sgomento da repentini cambi di colore del viso ma tutti tendenti al paonazzo, desiderando ardentemente di sprofondare sotto terra in quel preciso istante. «Oh non esagerare! A Napoleone a Waterloo andò molto peggio!» la prese in giro Peter. «Perché non me l'hai detto subito?» «E' stato molto divertente» sogghignò. ‘Che maledetto stronzo ... li trovo tutti io!' pensò Silvia e si sedette. «Bene» continuò cercando di riprendersi dallo shock, «non ho intenzione di passare qui il Natale, per cui vorrei sistemare questa faccenda il più velocemente possibile, di che si tratta?» Peter sospirò: «Mi dispiace deluderti, ma non credo proprio che sarai a casa per Natale. I reperti per i quali volevo una consulenza, sono attualmente in laboratorio in fase di pulitura e saranno pronti la prossima settimana. Sai com'è, è da ieri che all'università non c'è quasi più nessuno!» «Ma il Martucci aveva detto che ... lo dovevo immaginare che c'era la fregatura! Non me ne va bene una!» affermò sconsolata Silvia. «Avevo chiesto un esperto di gioielli etruschi ... quindi tu ...» aggiunse il professore. «Si lo sono, Martucci non mi aveva anticipato niente, mi aveva ordinato solamente di precipitarmi qui, ma se è un esperto di arte orafa etrusca quello che cerchi, allora ho capito perché ha mandato me. Mi sono specializzata e ho scritto anche delle pubblicazioni» «Molto bene ...» rispose Peter con aria soddisfatta. «A parte i reperti che avete ritrovato, non mi vuoi spiegare proprio niente?» continuò Silvia. «Ah certamente! Anzi farò di più, ti porterò nel luogo degli scavi, oltretutto oggi sembra che la pioggia dia una tregua! Hai degli stivali di gomma?» «Certo che no!» Peter si alzò, si diresse verso una cassapanca e l'aprì, tirando fuori un paio di stivali gialli: «Non saranno di sicuro della tua misura, ma è meglio di niente!» disse mostrandoglieli. Poi prese la giacca lasciata su un divanetto vicino alla finestra: «Andiamo?» Silvia non poté far altro che alzarsi e seguirlo. Dato che il suo soggiorno si sarebbe inevitabilmente prolungato, tanto valeva impiegare il tempo in qualche modo proficuo. Così, quel tipo strambo, che sembrava più uno studente molto fuori corso che un docente, era proprio l'esimio O'Brien. Silvia stentava a rimanere al passo, le sembrava di avere a che fare con un novello ‘figlio dei fiori del ventunesimo secolo'. Lei tutta composta, seria, stucchevolmente precisina e piena di pregiudizi, quello là invece completamente sbracato. «Scommetto che si fa pure un sacco di canne!» rifletté malignamente Silvia. Eppure quell'uomo, era un grande nome nell'ambito delle ricerche sui Celti; lui aveva una cattedra importante probabilmente già da diversi anni; gli studi di lei invece non sarebbero mai emersi, tenuti abilmente repressi dal Martucci. Lo stava invidiando. Si diressero verso il parcheggio. Silvia vide il maggiolino bianco della sera prima e si diresse istintivamente verso questo. «No, no ... non il mezzo dell'università, prendiamo la mia macchina! È più veloce!» disse Peter intuendo le intenzioni della ragazza. In quel momento, si accesero le spie luminose della chiusura centralizzata di un potente fuoristrada nero parcheggiato lì vicino. ‘Caspita!» pensò Silvia «Quest'auto varrà almeno sessantamila euro!' Notò poi che Peter non le aprì la portiera. ‘Il galateo non deve essere il suo forte, o forse sono io che sono troppo all'antica o forse l'ha fatto apposta ...' rimuginò la ragazza. Salì in macchina e si riprese dai suoi pensieri: «Dove siamo diretti?» «In Cornovaglia, a Saltash un posto vicino a Plymouth ne avremo per un mezz'ora circa» rispose mentre era già impegnato alla guida. «Non mi vuoi anticipare nulla?» «Prima desidero che tu veda il sito; mi interessa conoscere le tue considerazioni in proposito prima che io possa influenzarti con le mie. Vedrai, è molto interessante e anche sconcertante!» Il giovane professore, pronunciando quelle parole, ebbe un lampo di appassionato fervore negli occhi. In Martucci non ne aveva mai visti mentre lei ne aveva avuti molti, prima che le sue frustrazioni prendessero il sopravvento. Intanto erano usciti dalla città e avevano imboccato l'autostrada, una striscia di asfalto lucido che solcava la brughiera che aveva assunto i colori grigiastri dell'inverno. Cielo e suolo, tutto dello stesso colore e vento, tanto vento che faceva correre via veloci verso nord dense nubi bluastre. A tratti si scorgeva il mare anch'esso conforme nei colori a tutto l'ambiente circostante. Lasciate alcune squallide zone industriali alla periferia della città, il paesaggio appariva piuttosto selvaggio. Peter non si asteneva dal premere sull'acceleratore. «Gli piace correre» rifletté Silvia. Per lei era un tipo strano, decisamente anticonformista e fuori dal comune, un po' sfuggente, il tipo d'uomo da cui si teneva sempre alla larga. «Ti va della musica?» le chiese all'improvviso. «Fai pure ...» gli rispose lei. Prese una chiavetta usb appoggiata sul cruscotto e la inserì. Ecco un'altra sorpresa: i suoni duri e martellanti della techno. «Ti piace ... questo? » chiese lei storcendo la bocca e incuriosita dal gusto musicale del suo accompagnatore. «Dovresti convincerti una volta per tutte, che non sono come il Martucci!» la schernì lui «ma tu la conosci?» le chiese poi quasi sorpreso. «Mica sono vissuta su un altro pianeta! Solo che ho smesso di ascoltare quel genere qualche tempo fa!» «E' sbagliato smettere di fare le cose perché si pensa di non avere più l'età! È sbagliato reprimere le proprie passioni!» Silvia interpretò quelle parole come una battuta pungente nei suoi confronti: «Dunque tu pensi che io sia una repressa?» «Se devo essere sincero, è questa l'impressione che mi hai fatto al primo impatto, ma non solo ... sei anche caustica, rigida e moralista!» «Anche psicologo? Vuoi che ti spieghi l'impressione che invece tu hai fatto a me? Non so se ti conviene ...» gli rispose acida. Peter la guardò con la coda dell'occhio: «Preferisco solo immaginarmelo, grazie» In realtà non sapeva, se quell' O'Brien era proprio come voleva far credere di essere o se la stesse prendendo in giro; di certo era proprio antipatico. «Avresti preferito il Martucci in persona, dì la verità? Invece, ti ha mandato il suo gregario, sei deluso vero? Credi che non sia all'altezza perché sono donna, perché sono italiana o perché il mio nome non figura tra quelli altisonanti? Ebbene, oramai sono qui e devi fartene una ragione!» Adesso lo sguardo di Peter divenne veramente irritato. «E tu invece, che se piena di pregiudizi, ce l'hai con me perché sono inglese, perché non porto giacca e cravatta o perché pretendevi di avere a che fare con il vecchio pomposo e altezzoso come ti eri immaginata che fossi?» «Vecchio no ... ma sul fatto dell' altezzoso, lo sei!» I due si guardarono e si resero conto che quel battibecco era veramente infantile e così a entrambi venne da ridere. «Oh mio Dio! Resettiamo tutto e facciamo finta di niente!» disse infine Peter. «Forse è meglio» rispose lei. Dopotutto si dovevano sopportare solo per qualche giorno. Il resto del percorso avvenne quasi in silenzio; talvolta Peter abbassava la musica e le illustrava i luoghi che stavano mano a mano attraversando soffermandosi sulla storia di quei posti, fatta di leggende popolate di maghi, streghe e valorosi cavalieri, antiche rovine e l'orgoglio di un popolo che stentava a morire. «Io sono nato da queste parti ...» disse a un tratto con un pò di nostalgia. «Come hai conosciuto il Martucci?» gli chiese Silvia. |
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