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Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Dario Villasanta
Titolo: Cattivo dentro
Genere Narrativa Contemporanea
Lettori 112
Cattivo dentro
Sotto il suo balcone i bambini schiamazzavano, come ogni sera da maggio a ottobre. Il professore zoppo li contemplò in silenzio per qualche minuto mentre si rincorrevano frenetici, instancabili e rumorosi come ogni santo giorno. Erano appena le otto e mezza della sera, ma a quell'ora il regolamento di condominio imponeva dei limiti all'inquinamento acustico; perché diavolo i genitori non tenevano a freno quelle piccole belve chiassose?
I bambini in quel momento si spostarono a giocare sotto il suo balcone, lui raccolse l'innaffiatoio e versò con più decisione del necessario l'acqua sui suoi tre vasi di piante, sapendo che sarebbe tracimata riversandosi di sotto. Seguirono dei gridolini acuti quando quella pioggia sporca di terra investì il capo delle creaturine. Guardarono in alto e squittirono qualcosa all'indirizzo dello zoppo, che li osservava noncurante con la coda dell'occhio, mentre seguitava a fingere di bagnare i vasi. Il maschietto più piccolo gli fece una linguaccia e scapparono via, più ridanciani e vivaci di prima, ma almeno lontani dalle sue finestre aperte.
«Ben vi sta, piccoli mocciosi bastardi!» bofonchiò tra sé il professore zoppo, e rientrò in casa.
Lo chiamavano il professore zoppo, in paese, per via di un incidente occorsogli due anni prima mentre camminava sul bordo di una delle strette vie della valle, una di quelle senza marciapiede e cosparse di sabbiolina o ghiaietto. Decisamente non idonee per chi le percorra a piedi e, soprattutto, al buio della notte come aveva fatto lui quella volta. Infatti fu così, in uscita da una curva a velocità leggermente più sostenuta del normale, che un'auto lo urtò con violenza facendolo cadere a terra ma, soprattutto, colpendogli fatalmente la gamba sinistra. Il danno non fu poi così letale, ammaccature a parte, ma abbastanza da renderlo zoppo a tempo indeterminato, avendo interessato in particolare il ginocchio e i relativi legamenti.
Così, se prima per tutti era solo ‘il professore' per via della sua professione di insegnante di Lettere, ora era diventato il professore zoppo, o prof zoppo all'anagrafe paesana dei nomignoli, di quelli usati da tutti purché non al cospetto dell'interessato.
«E pensare che era un così brav'uomo» sospirò alzando lo sguardo la signora Amelia, appoggiata al davanzale della sua finestra a pianoterra per la consueta chiacchierata serale con la signora Carla del quarto.
«Bohf» sbuffò l'altra, le braccia strette conserte nel suo vestito a fiori stampato «chi diventa cattivo, è perché era già cattivo dentro prima» sentenziò dall'alto di una sua convinzione di esperienza.
«Mah, eppure il mio Franchino diceva sempre “che bravo il prof, ma come mi vuole bene il prof” quando andava a scuola. Si vede proprio che l'incidente gli ha dato alla testa. Poverino, a me fa compassione. Non dev'essere facile diventare zoppo a cinquant'anni.»
«Oh, cara mia – chiosò la signora Carla con aria saputa – se dovessimo tutti diventare così quando abbiamo le disgrazie, che mondo sarebbe? Guarda me, con la mia gotta: me la sono presa forse con gli altri? Per non parlare della schiena del mio Gianpiero, che da quando ha l'artrite galoppante devo stargli dietro come a un bambino. Cosa dovrei dire, eh? Dai retta a me, era un lupo travestito da agnello, ecco tutto. Facile essere bravi e buoni quando tutto va bene! Poi però, la vita ti mostra per quello che sei...»
«Già, sarà così» la assecondò la signora Amelia, anche perché sapeva quanto era pericoloso affrontare quei discorsi con la signora Carla, che a parlar di malattie e sventure era un fiume inarrestabile.
Al secondo piano intanto, dalla cucina del professore zoppo si diffondeva l'odore di minestra di verdure che stava curando, meticoloso, per cena.
«Come tutte le sere» commentò la signora Carla con tono di biasimo. «Non cambia mai, tutti i giorni minestrone. Anche da lì si capisce benissimo che è strano, eh? O no, Amelia?»
«Mah, cosa vuoi che ti dica... Deve mangiarla lui, mica io. Una volta però mi diceva che stava attento alla dieta per non aumentare il peso sulla gamba malata, sarà per questo.»
«Sarà. Per me invece è per spendere poco. Sappiamo tutti che ha il braccio corto, eh! Lo vedo quando viene in bottega, che calcola il centesimo. Oh, se li conosco, questi tipi! E ti dirò – aggiunse la Carla, abbassando il tono in un bisbiglio complice - gira voce che vada alla Caritas a farsi dare i pacchi di pasta.»
«Ma no, cosa vai dicendo...» scrollò il capo l'Amelia.
«Ma sì, ma sì. Me l'ha detto l'Arturo che fa il magazziniere al supermercato di Vergato, quello alto e grosso. Dice che lo ha visto spesso davanti alla Caritas che aspettava il rifornimento, prima che aprissero. Gli ha pure chiesto se aveva qualcosa di speciale da dargli prima di scaricare, una volta.»
Seppure le due donne non parlassero a voce alta, non si curavano molto di dover bisbigliare i loro discorsi ché, tanto valeva, il professore zoppo sapeva già tutte le dicerie sul suo conto. In verità, egli era dotato ancora di un ottimo udito e poteva sentire perfettamente quello che spettegolavano le due signore tutte le sere. Se non interveniva quando parlavano male di lui, era solo per non metterle in guardia e poter continuare ad ascoltare anche gli altri discorsi personali, sulle loro famiglie e i vicini e così via. Erano un'ottima fonte di aggiornamento sulle vicende locali, come un notiziario locale. Infatti le chiamava, tra sé, ‘Il gazzettino padano', come quel poolare notiziario radio di molti decenni prima, quando ancora lui era bambino e viveva in Pianura Padana.
Girò una mestolata nel minestrone, scrutandolo da sopra la pignatta con attenzione. «E' quasi pronto. E che ne sanno quelle due di che minestroni faccio io, ah! Manco dovessero pagarmela loro, la spesa. Vecchie ciabatte impiccione!»
La leggenda paesana che il professore zoppo fosse tirchio aveva iniziato a circolare subito dopo il suo incidente, quando dovette saltare mesi di lavoro a scuola per la convalescenza, ma non era quella la causa. Fu quando venne licenziato che il tutto assunse le proporzioni che tutti conoscevano, compreso l'accrescersi del suo brutto carattere, scontroso e sgradevole. Dal giorno in cui apprese di non poter più camminare come prima per chissà quanto tempo, divenne sempre più ombroso, scansava le conversazioni al bar fino a non frequentarlo più del tutto per un pezzo, salutava di rado e aveva anche iniziato a bere spesso e parecchio. Così, anche chi manifestava sincera comprensione per la sua disgrazia iniziò a prendere le distanze.
I primi furono gli amici del bar del Conte, compresi i vecchietti con cui giocava a carte, poi gli altri paesani e, infine, i bottegai che smisero di fargli credito volentieri.
Il bar del Conte aveva avuto un ruolo particolare nella vita quotidiana del professore zoppo. Innanzitutto una precisazione: si chiamava proprio così, bar del Conte, e il motivo secondo alcuni era che i proprietari, marito e moglie, fossero davvero dei conti decaduti e ridotti al ruolo di osti da non meglio specificate disgrazie della vita. In realtà, a vederli non si sarebbe mai dedotto, dai loro modi semplici e diretti, financo bruschi talvolta, che avessero un passato nobiliare, ma tant'era. I loro volti perennemente desolati raccontavano invece una storia di patimenti inaspettati, e forse a tutti quella storia andava bene così com'era, tanto è vero che chiunque li chiamava Conti senza alcun desiderio di indagare su serio.
Il professore zoppo, quando era ancora sano, era uso passarci ogni mattina per un caffè prima di andare a scuola, o più spesso al pomeriggio dopo aver pranzato, per un Averna e la lettura dei quotidiani.
Eccezion fatta per quando stava leggendo il giornale, momento in cui non voleva essere interrotto da alcuna chiacchiera, era sempre ben disposto a colloquiare con tutti e di tutto e, in effetti, aveva sempre un sorriso da offrire agli interlocutori. Per questo in paese era benvoluto, anche se non era esattamente del posto ma si era trasferito lì solo pochi anni prima.
Anche dopo l'incidente, durante la convalescenza, aveva frequentato il bar del Conte ma iniziava allora a cambiare modi, fino a diventare l'orso bilioso che si conosceva ora e anche quella mattina, ripreso a insegnare dopo il lungo periodo di inattività, passò per il solito caffè prima di recarsi al lavoro.
Nessuno avrebbe mai immaginato che sarebbe arrivato a quel punto.
Era una bella giornata di primavera, e al pomeriggio gli insegnanti avrebbero ricevuto i genitori degli studenti per i classici colloqui trimestrali. Proprio quel giorno, a lezione, era capitato che il giovane Farini, il figlio di un piccolo imprenditore locale, aveva esagerato con le distrazioni, importunando senza sosta una sua compagna con cui voleva scherzare un po' pesantemente. Lui lo aveva ripreso più volte, ma il giovanotto non gli dava retta. All'ennesimo e più secco richiamo, con minaccia di una nota di condotta, pare che il ragazzo l'abbia mandato al diavolo aggiungendo un “ma vaffanculo, zoppo di merda!”. Prese la sua nota in condotta e tutto finì lì, almeno per il momento.
Fu al pomeriggio, durante i colloqui, che accadde l'imponderabile. Il genitore del ragazzo irruppe nell'aula nel momento in cui il professore era impegnato a relazionare una pingue e apprensiva madre sulle difficoltà della sua timida e inspiegabilmente spaesata figlia nei rapporti con i compagni e, guarda caso, si trattava della medesima ragazzina che era stata presa di mira dal compagno quel mattino. Quando, giustappunto, il padre dello scapestrato giovane si fece avanti con invasiva irruenza, reclamando fuor di tempo l'attenzione del già impegnato insegnante, lui lo fece tanto di stopparlo in attesa con un perentorio gesto della mano e uno sguardo severo. Il piccolo imprenditore però non la mandò giù e si mise a pretendere un suo spazio immediato e subito ad alta voce.
«Non aspetto un bel niente» latrò, «voglio una spiegazione subito per quello che ha fatto a mio figlio!»

«Aspetti il suo turno come gli altri. E noi chi siamo» protestò un altro padre dalla fila che si allungava fin sulla soglia dell'aula.
«Lei si faccia gli affari suoi. Io non ho tempo da perdere. Ho un'azienda da mandare avanti, io!» non si arrese il prepotente padre alfa.
«Capirai – sibilò sarcastica una giovane madre dal mezzo della fila. «Sta a vedere che lavora solo lui!»
Si stavano di colpo accendendo gli animi, già provati dalle attese in fila e dall'ansia genitoriale che, immancabilmente, sale sempre come una fiammata di benzina nei minuti precedenti i colloqui scolastici, ragion per cui il professore zoppo si congedò in modo sbrigativo dell'apprensiva madre e si portò deciso verso la soglia per imporre un po' di ordine.
«Cosa c'è da bisticciare, qui? Ancora lei?» rivolgendosi all'irrispettoso padre, «non lo vede che c'è gente che stava già in fila da prima? Faccia il piacere» sventagliò una mano in segno di allontanamento «aspetti il suo turno con calma qui, che tanto non cambia il voto in condotta di suo figlio.»
«Lo vedremo! Andrò direttamente dal preside a far presente questa pagliacciata: solo un insegnante cretino può far rischiare una bocciatura per la condotta.»
Il professore protese il volto in avanti, strinse gli occhi e glieli conficcò addosso come due pugnali.
«Cos'ha detto?»
«Ho detto che è da cret...» POCK!
Fu il cazzotto sul naso più veloce che avessero mai visto da quelle parti, più lesto e letale ancora di quelli che partivano nelle solite risse tra ubriachi alla sagra estiva del paese, dove si era abituati a vederli darsele di santa ragione per un nonnulla, ogni anno e ogni notte dopo una certa ora, in quell'abbrutito spettacolo ricorrente che soleva animare il folclore locale e che faceva parte dell'ambiente come il banco delle salsicce alla griglia e i deprimenti balli di gruppo
Il piccolo imprenditore accusò il colpo come un manichino volando all'indietro a mo' di birillo colpito da una palla da bowling, il suo naso rotto che sprizzò sangue addosso ai vicini mentre il suo corpo senza più controllo fu afferrato dalle pronte braccia sorprese di alcuni genitori pronti di riflessi che stavano dietro di lui. Si udirono solo un paio di gridolini delle donne a cui aveva sporcato di sangue il vestito, poi fu in un attimo silenzio glaciale: “Il prof è impazzito” passò nella testa di tutti. La gente presente nell'aula, che ormai si era fatta insopportabilmente calda, umida e soffocante di adrenalina e di sudori nervosi, rimase impietrita, come congelata in un fermo immagine. Non una mosca volò, né qualcuno osò protestare, finché il professore, sistemandosi con gesti precisi e controllati la giacca e la camicia, prese la via dell'uscita e abbandonò l'aula a testa alta, senza dire una parola.
A dire la verità, quando si seppe dell'episodio - cioè nel giro di poche ore - l'avvenimento fu accolto con non troppo dispiacere da almeno metà delle famiglie dei dintorni, giacché quell'uomo piccolo e pieno di boria che aveva preso il cazzotto stava ragionevolmente sul gozzo a quasi tutti già di suo; però nel contempo i genitori, che com'è noto vivono il senso di giustizia a modo loro quando si tratta di insegnarlo ai loro figli, temevano altresì per i loro ragazzi perché, se come pareva il professore era diventato davvero matto, ci sarebbe stato da essere cauti nell'affidargli i loro pargoli da quel momento in poi. E non importava per quanti anni li avesse educati comportandosi in modo impeccabile, tale scatto d'ira era un segnale di pericolo a cui fare attenzione.
Fu dunque immediatamente licenziato, il professore scalmanato, e da allora per lui cambiò davvero tutto.
Dario Villasanta
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