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Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Autore: Matteo Brunetto
Titolo: La casa di riposo
Genere Fantascienza
Lettori 638 5 6
La casa di riposo
Stephan Driter era in fila al centro di espulsione. La coda era lunga e scorreva lentamente, come sempre. Non si ricordava una volta nella quale non avesse dovuto aspettare ore prima che lo imbarcassero.
Davanti a lui, in fila, una famiglia: padre, madre e due bambini che dovevano avere tra gli undici e i dodici anni. Si capiva che erano dei disperati perché avevano vestiti sporchi e consumati, e l'odore che emanavano confermava che non si lavassero da giorni. Erano certamente dei profughi che avevano cercato di entrare sulla Terra illegalmente.
Guardò la lunga fila che si snodava come un serpente per il gate dello spazioporto. Molti erano in quelle condizioni: povera gente disperata che non aveva nulla da perdere.
Per lui era diverso: la Terra non autorizzava i permessi di soggiorno a meno di non possedere un'entrata fissa. Se non si lavorava non si poteva restare sul pianeta. Bisognava avere un reddito digitale, l'unico metodo di pagamento possibile era una cripto valuta che si chiamava Bravers. Se non si avevano dei pagamenti regolari, ogni mese, si perdeva il diritto di soggiornare sulla Terra.
La fila avanzò leggermente. Stephan procedé trascinandosi il suo piccolo e vecchio trolley.
Lui non era un disperato come la maggior parte della gente presente in quello spazioporto. Era uno di quelli chiamati instabili: gente normale che però non riusciva a mantenere un afflusso di Bravers in maniera costante.
Stephan aveva 34 anni e da quattordici era un investigatore privato, aveva iniziato la sua attività subito appena finita la scuola, a vent'anni. Da allora aveva dovuto lottare con le difficoltà di quel lavoro: gli investigatori privati non erano ben visti, spesso bollati come truffatori, gente senza scrupoli che faceva di tutto per avere un pagamento costante fregando i clienti. Spesso tirando per le lunghe le indagini. Il lavoro non mancava. La polizia, sempre impegnata a combattere il crimine, e fortemente sottorganico, non riusciva a seguire i casi minori che venivano spesso affidati ad investigatori privati come lui.
«Signore, che lavoro fa?» gli chiese uno dei bambini lerci della famiglia davanti lui.
«Sono un investigatore privato», si limitò a rispondere mentre il bambino si scaccolava allegramente e continuava a fissargli i vestiti.
Al centro di espulsione faceva sempre una bella figura. Indossava uno dei suoi soli tre completi. Oggi aveva quello grigio antracite. Era usurato sui polsi e alle caviglie, come gli altri due che possedeva, ma che erano di colore diverso: uno era blu, l'altro nero. Non aveva altro nella valigia se non qualche cravatta ormai fuori moda e una decina di camicie, una volta di colore bianco, ormai tendenti al giallino.
Stephan indossava anche il suo unico soprabito, color cammello. Quello reggeva bene l'usura e non sembrava troppo consumato. Le scarpe, invece, una volta di un bel nero, erano ormai grigie con varie macchie di colore scolorito.
Sulla Terra non faceva una bella figura, veniva guardato come lui guardava la gente al centro, ma in quel posto era uno delle persone più eleganti.
«Wow! Un investigatore privato! Che figata!» disse il moccioso con eccesivo entusiasmo.
«Dove deve andare?» aggiunse prima che lui potesse dire qualsiasi cosa.
«Devo andare su Yadris.»
Una volta espulsi dalla Terra le possibili scelte era poche, escludendo la Luna e Marte, considerati da Stephan posti orribili, rimanevano solo tre stazioni spaziali dove potevano soggiornare gli espulsi: Yadris, Kalder e Spugri. Secondo lui facevano cagare tutte quante, in egual maniera; quindi, tanto valeva scegliere la più vicina alla Terra, ossia Yadris.
Sulle stazioni spaziali non veniva accettata la criptovaluta, ma solo soldi contanti, ognuna si era creata una propria moneta per commerciare. Lo potevano fare perché il governo terrestre non era interessato a quello che succedeva al di fuori dei propri confini.
Le stazioni spaziali raccoglievano ogni tipo di traffico illegale, a nessuno importava nulla.
Forse l'unico a cui veramente interessasse era proprio Stephan, non perché fosse preoccupato per la vita degradante che facevano gli abitanti di quei luoghi, ma perché lui non desiderava altro che vivere sulla Terra! La sua lotta durava da 14 anni. Per ottenere il diritto permanete bisognava avere sempre delle entrate fisse, non c'era mai riuscito. La sua vita era molto altalenante: guadagnava il diritto, grazie a piccoli incarichi, che tirava per le lunghe, come tutti. Per poi vedersi revocare l'incarico e il conseguente pagamento che gli dava il diritto di residenza.
Odiava venire espulso, purtroppo era una costante della sua vita, ormai ci aveva quasi fatto l'abitudine. Anche se nel profondo detestava tutto: il centro di espulsione pieno di disperati, le astronavi che lo avrebbero espulso che erano antiquate e sporche, come le stazioni spaziali, puzzolenti e decadenti.
«Noi no, andiamo su Spugri, è da lì che veniamo. Cosa va a fare su Yadris?»
«Ho un cliente nella stazione.»
Mentì: non era una cosa tanto strana. Gli investigatori privati erano soliti avere ogni tipo di cliente, anche nelle stazioni spaziali. Bastava che pagassero in Bravers. Non era difficile in un ambiente del genere, girava ogni sorta di escamotage per convertire la moneta corrente in criptovaluta. Anche se era un cambio molto costoso.
«Lion, lascia stare il signore», disse la madre al bambino. «Mi scusi», aggiunse mentre lo spostava davanti a lei per tenerlo sotto controllo. La donna era realmente dispiaciuta, lo considerava una persona di un certo livello e che meritasse rispetto. Era strano perché, sulla Terra, veniva trattato esattamente all'opposto: i vestiti sgualciti, i pochi soldi di cui disponeva sempre, che lo facevano mangiare in posti economici, lo facevano bollare come una pessima persona. Nelle stazioni spaziali era sempre rispettato e tenuto in considerazione. Nonostante ciò, Stephan, non desiderava altro che rimanere sul pianeta, nella sua misera vita, compatito dal resto della popolazione.
La fila iniziò a scorrere, finalmente.
Arrivò allo scanner: era una semplice telecamera, come quelle che si trovano sparse per ogni città della Terra. Servivano per scannerizzare le persone. Riconoscevano i tratti somatici, la struttura ossea e persino la disposizione di muscoli e tendini facciali. Non era possibili ingannarli. Ogni persona era registrata e controllata ogni secondo della propria vita. Era anche il motivo per il quale era impossibile rimanere sulla Terra senza un'entrata fissa. Gli scanner, sparsi per la città, come rilevavano la mancanza di un accredito avvisavano subito le forze dell'ordine.
Attese che la famiglia ci passasse sotto poi, come l'agente di polizia e l'addetto allo scanner gli fece segno, avanzò.
Gli bastò passare sotto la telecamera e apparvero tutti i suoi dati sullo schermo.
«Investigatore Stephan Driter, vedo che dallo scorso mese non sono più arrivati i suoi...2 Bravers», disse ridendo: 2 Bravers erano una cifra ridicola, sulla Terra un cheeseburger costava di più. Quella era un'altra cosa che Stephan riteneva ridicola. Non importava quanto si guadagnasse bastava che ci fosse un'entrata fissa, anche se non ti permetteva di vivere sul pianeta. Era l'ennesima cosa, che secondo lui, non funzionava delle leggi.
«Si, il mio cliente mi ha revocato l'incarico», disse nella maniera più professionale possibile.
L'agente, sempre ridendo e dopo averlo squadrato da capo a piedi, gli chiese:
«Che incarico era? Doveva ritrovare il gatto di una vecchia signora?»
Lo schernì senza mezzi termini. Stephan rimase impassibile, ci era abituato: la gente che aveva il diritto permanete di cittadinanza era solita essere maleducata ed arrogante.
«Mi spiace agente, non sono tenuto a fornirle tale informazione.»
Era vero: uno dei pochi diritti rimasti era proprio quello di non dare spiegazioni sui propri introiti, bastava che il governo vedesse i pagamenti regolari.
L'agente si risentì della risposta seria di Stephan e non lo mascherò. Divenne serio.
«Vada investigatore, immagino che non sia la prima volta che passa di qui», disse guardando nuovamente i vestiti sciupati che indossava. «Non le devo spiegare la strada?» domandò infine.
«No, grazie, la conosco», rispose procedendo senza aggiungere altro, ma pensò: “Figlio di puttana” mentre imboccava il corridoio per il suo imbarco.
Matteo Brunetto
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