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Manuale di pubblicazione Amazon KDP. Sempre più autori emergenti decidono di pubblicarse il proprio libro in Self su Amazon KDP, ma spesso vengono intimoriti dalle possibili complicazioni tecniche. Questo articolo offre una spiegazione semplice e dettagliata delle procedure da seguire e permette il download di alcun file di esempio, sia per il testo già formattato che per la copertina.
Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Matteo Isoni
Titolo: Scacco agli Dei
Genere Romanzo Storico
Lettori 636 1
Scacco agli Dei
Il codice della pace.

Era una domenica presto, uno di quei momenti in cui pare che il mondo sia davvero un luogo più quieto del solito. In casa la luce filtrava dagli spazi tra gli infissi, nel silenzio che riempiva le stanze. Mi stavo apprestando ad uscire per la mia corsa mattutina, la tuta già indossata, lo smartwatch impostato sulla corsa moderata, tipica di chi non ha mai avuto costanza.
Ero tornato da poco da un viaggio lungo ed intenso che mi aveva portato fino a Lisbona, eppure dopo tanto movimento avevo paradossalmente bisogno di muovermi. Quel viaggio era partito come la ricerca di un autore misterioso e introvabile e me ne ero tornato a casa con in tasca proprio un suo libro inedito, che era diventato in breve un autentico caso letterario. Pane per i miei denti.
Io per vivere, scovo storie.

«E ora mi voglio proprio annoiare» – mi dissi mentre indossavo le scarpette da running rosse dopo tanto tempo. La scritta corsa all'aperto lampeggiava sul piccolo schermo, tutto sembrava in attesa soltanto di me. Sarebbe stata la mia prima corsa da un po', ne avevo voglia e bisogno per ricaricarmi le idee. Si, mi avrebbe fatto un gran bene, si trattava in fondo solo di vincere la sfida con la mia leggendaria pigrizia, che avrebbe preferito cedessi alle lusinghe del divano.
Ma non quel giorno, mi ero svegliato col piglio delle grandi occasioni e non sarei venuto meno alla mia decisione per nulla al mondo. Di più, sarebbe stata una splendida giornata di nuovi e buoni propositi.
Ma fare progetti è un'arte sottile.E quando stavo per varcare la soglia il telefono squillò.

Era Jakob, un corpulento danese dai capelli rossicci che gestisce il marketing di una delle più grandi case editrici del mondo. E che io mi ritrovo per capo. Come facesse ad anticiparmi ogni volta che pensavo di averla scampata, rimaneva per me un mistero. Cosa voleva a quell'ora di domenica mattina? C'era un solo modo per saperlo. Risposi a malavoglia.

«Non mi dire che sei davvero sveglio a quest'ora?» – esordì con la sua solita verve tra il tagliente e l'istrionico.

«No» – sillabai piano – «questo è ovviamente un messaggio registrato, io sono a letto e non ho alcun piano per la giornata, ma lasciate pure un messaggio e, forse, vi richiamerò... Bip».

«Spiritoso. Veniamo al dunque, lo sai quanto mi costa una telefonata da Tokyo?»

«Da Tokyo?» – scandii bene il suono esotico di quel nome, venando la domanda di uno stupore eccessivo.

«Sì caro mio, per cui non ti lamentare dell'ora e piuttosto ascoltami bene, ho una faccenda per te.»

«Sembro scortese se ti chiedo che cosa diamine significhi per te la parola faccenda? E comunque, dovrei essere in pausa sabbatica, se non erro. Niente storie da scovare, niente misteri, niente plichi da leggere. E soprattutto, niente aerei. Lo sai benissimo che odio volare.»

«Tu sei sempre scortese» – calcò bene l'avverbio – « e il tuo periodo di riposo è una mia gentile concessione. Legata al fatto che tu mi consegni le tue preziose storie in tempo. A proposito, a che punto siamo con la stesura su Lisbona...?»

Eccoci, aveva toccato il punto dolente. Partiva la commedia.

«Jakob, il mio non è un mestiere normale, come dici tu sono un rabdomante di fatti e parole, lo sai, non un impiegato. Scovare storie che meritano di essere raccontate e salvate dall'oblio richiede tempo, pazienza, birre scure e lunghe discussioni con un capo che pensa solo a una cosa...»

«A renderle vendibili, caro il mio cercastorie. È questo il nostro patto, ricordi? Io ti garantisco la libertà di viaggiare per il mondo e scrivere, e tu mi porti le pepite d'oro che io posso vendere in esclusiva. Ma ora passiamo oltre. Hai visto la mail che ti ho inviato?»

Guardai il cellulare. Una bustina, in effetti, lampeggiava freneticamente sul display.

«No, non ho avuto ancora il tempo di aprirla, sai, qua da noi sono appena le otto del mattino...»

«Il solito sfaticato. La cosa sarebbe lunga, in ogni caso ti posso dare un'anticipazione, se vuoi.»

«Solo se crede non le sia di troppo disturbo, vostra maestà...»

«Intanto però devi dare un'occhiata alla mail, guardala con attenzione, e poi sono sicuro che...»

La frase rimase in sospeso.

«Sei sicuro di cosa?»

Dall'altra parte solo silenzio.

«Pronto? Jakob?!»

Nulla. Aveva forse riattaccato? No. Sentivo una voce maschile dire qualcosa, in una lingua che non conoscevo, e poi la voce sempre più debole di Jakob.

«Pronto? Pronto!!!»

Ma dall'altra parte del telefono lui, o chi per lui, riattaccò.

Rimasi basito, con una sensazione di tensione improvvisa. Controllai il numero, provai a richiamarlo: spento.

Abbandonata ogni idea di una corsa salutare nel parco, mi venne in mente che la prima cosa sensata da fare fosse aprire quella mail.

Click.

Il mittente era in effetti Jakob, ed era stata spedita tre ore prima di quella strana chiamata.

L'oggetto era una sola parola, ma inequivocabile.

“Aiuto!”

VICHINGHI E SAMURAI

Mi spostai in cucina con il notebook, la voce interrotta di Jakob che ancora mi ronzava nelle orecchie. Quella chiamata era passata in un attimo dall'essere un'immane scocciatura di lavoro ad una richiesta di aiuto. Il mio dito scattò immediatamente sul tasto di accensione. Dovevo assolutamente saperne di più, e capire cosa fosse successo al mio amico migliaia di chilometri più a oriente.

Cliccai sull'oggetto della mail e in un lampo la pagina si aprì nella luce placida della stanza. Ma quello che vidi non era decisamente ciò che mi sarei aspettato di trovare. Avevo immaginato contenesse un testo che spiegasse cosa stava succedendo, o cosa gli fosse già successo tre ore prima... Un qualsiasi indizio che mi aiutasse a comprendere il senso di quella telefonata e quel titolo. E invece no.
Dentro non c'era nemmeno una riga di testo. Nessuna spiegazione. Solo due fotografie.

La prima mostrava solo una bancarella di libri stipata di testi in una specie di magazzino caotico. Tutti volumi con ideogrammi giapponesi sul lato, uno solo stonava: un faldone dall'aria antica, con quelle che sembravano rune nordiche incise sul dorso. In effetti Jakob aveva fatto appena in tempo a dirmi di trovarsi a Tokyo, nella sua breve chiamata. Ma che ci facevano delle rune in Giappone?

La seconda foto mi permise di focalizzare meglio le mie sensazioni, al momento piuttosto confuse. Si trattava della copertina dello stesso libro, ripreso questa volta frontalmente. Qualcuno doveva averlo fotografato dopo averlo estratto dal caotico scaffale. Era stato Jakob? E perché?

Sembravano proprio rune nordiche, rune fotografate da un danese. Tutto sommato un quadro coerente, per quanto surreale... Il tomo però sembrava antico. E c'era di più.

L'immagine sulla copertina era surreale: due navi, una vichinga e una giapponese, pronte a scontrarsi. Ma ad equipaggi invertiti. Samurai governavano il

Drakkar, vichingo mentre guerrieri nordici dalle grandi asce occupavano l'imbarcazione orientale. Tutto faceva pensare ad un falso, e neanche troppo raffinato. Impossibile non notare la grandezza della vela colorata a bande rosse e bianche e l'inconfondibile forma della prua intagliata nel legno nella forma di una testa di drago. I soliti luoghi comuni da serie televisiva di medio successo.

Anche qui però qualcosa non tornava: i tratti non erano definiti, entrambe le navi erano state dipinte a tratti delicati di pennello, presumibilmente da una stessa mano orientale.

Ma c'era un ulteriore dettaglio. E cambiava tutto.

In mezzo alle due navi c'era una sorta di tavolo di legno simile a una scacchiera, che riportava lungo i lati la decorazione geometrica di una linea intrecciata, in chiaro stile nordico. La superficie era suddivisa in caselle regolari, chiare e scure, occupate da due gruppi opposti di pedine. Come una scacchiera che ospitava due eserciti, uno più chiaro, dalle fattezze indubbiamente nordiche, e l'altro di colore scuro. Si trattava della rappresentazione stilizzata dei due eserciti opposti?
Sembrava una strana scacchiera vichinga, o qualcosa di simile, ma di più da quell'immagine disegnata, non era possibile capire. E la mia confusione aumentava. Una scacchiera con due eserciti.
Perché Jakob mi aveva inviato questa immagine?

Mentre cercavo un senso a tutto questo, mi accorsi che la mail conteneva un allegato. Lo aprii con foga. Conteneva altri due file. Nel primo due biglietti aerei, nominali e di sola andata per Tokyo. Il secondo riportava un ingrandimento della scacchiera disegnata sulla copertina. La risoluzione era maggiore, i dettagli più nitidi.
Su una delle pedine bianche, si poteva distinguere una piccola incisione, quasi invisibile. Non sembrava una runa, come ci si sarebbe potuti aspettare, ma forse un ideogramma.

Fu proprio in quel momento che dalla stanza a fianco, forse svegliata dalle mie imprecazioni, si affacciò Clara, la mia compagna. Lunghi capelli corvini in disordine e pantaloncini corti, si reggeva assonnata allo stipite della porta con gli occhi nerissimi ancora socchiusi in un taglio.

«Tutto bene?» – pronunciò con voce roca. «Non dovevi uscire a correre, mister forma fisica...?»

Indicai lo schermo. «Bene non direi... Mi ha appena chiamato Jakob, da Tokyo.»

Clara si avvicinò mentre tentava di indossare una maglia. «Da Tokyo...?» – sussurrò, vedendo l'immagine della scacchiera e l'ideogramma. Capì subito che non si era trattato di una classica telefonata di cortesia.


«Già» – dissi io – «o almeno così mi ha detto. Poi la chiamata si è interrotta. Ho sentito un'altra voce, che non era la sua, e poi hanno riattaccato.»

«Sarà caduta la linea...» – suggerì, ma il suo tono era poco convinto. Intanto guardava l'immagine sullo schermo.

«No Clara, l'ho sentito ancora per un attimo, ma la sua voce era debole... poi l'altra voce ha detto qualcosa in una lingua sconosciuta. E solo allora qualcuno ha chiuso la telefonata. A metà della frase.»

«Sicuro non si sia solo interrotto? Magari era in un luogo affollato e ha incontrato qualcuno. All'improvviso...»

«A Tokyo?!» – il tono mi uscì un po' troppo brusco. Gli feci vedere l'oggetto della mail. Credo che fu allora che Clara colse la mia tensione, e capì che forse non eravamo di fronte ad una situazione del tutto normale.

«Perché non mi ha richiamato, poi? Sono passati almeno dieci minuti. No, Clara, gli è successo qualcosa.»

Il suo sguardo si fece più attento, analitico. «Vichinghi e samurai... su una scacchiera. E un ideogramma su un pezzo nordico. È un rompicapo? O un messaggio?»

«Un messaggio per chi? E i due biglietti aerei...per me e per te. Vuole che andiamo lì, ma non so perchè»

«Che vuol dire due biglietti aerei?»

Glieli feci vedere. Sgranò gli occhi profondi.

«O santo cielo...E perché coinvolgere anche me? Perché ci avrebbe mandato due biglietti Michael?»

«Forse perché sa che da solo non partirei mai. Tantomeno dentro un aereo» – dissi, con un mezzo sorriso amaro.

«O forse perché sa che per risolvere certi puzzle non basta un cercastorie. Serve anche una mente razionale.»

Clara mi guardò, ormai aveva perso ogni traccia di sonno. Eravamo già in squadra.

«Quindi» – disse lei, più come un'affermazione che come una domanda – «immagino ora tu voglia sapere cosa significa quell'ideogramma...»

«No» – risposi chiudendo il notebook. «Voglio sapere cosa significa tutta questa pagliacciata Clara.»

Mi alzai.

«Fai le valige. Si parte domani mattina all'alba.»


𝐿𝑎 𝑟𝑖𝑐𝑒𝑟𝑐𝑎 𝑑𝑖 𝑀𝑖𝑐ℎ𝑎𝑒𝑙 𝑒 𝐶𝑙𝑎𝑟𝑎 𝑙𝑖 𝑝𝑜𝑟𝑡𝑎 𝑑𝑎𝑙𝑙𝑒 𝑠𝑡𝑟𝑎𝑑𝑒 𝑑𝑖 𝑇𝑜𝑘𝑦𝑜 𝑎𝑖 𝑝𝑎𝑒𝑠𝑎𝑔𝑔𝑖 𝑔𝑙𝑎𝑐𝑖𝑎𝑙𝑖 𝑑𝑒𝑙𝑙'𝐼𝑠𝑙𝑎𝑛𝑑𝑎. 𝐿𝑖̀, 𝑝𝑒𝑟 𝑑𝑒𝑐𝑖𝑓𝑟𝑎𝑟𝑒 𝑙𝑒 𝑚𝑖𝑠𝑡𝑒𝑟𝑖𝑜𝑠𝑒 𝑝𝑎𝑔𝑖𝑛𝑒 𝑑𝑒𝑙 𝑚𝑎𝑛𝑜𝑠𝑐𝑟𝑖𝑡𝑡𝑜, 𝑠𝑖 𝑎𝑓𝑓𝑖𝑑𝑎𝑛𝑜 𝑎 𝑢𝑛 𝑎𝑛𝑧𝑖𝑎𝑛𝑜 𝑝𝑟𝑜𝑓𝑒𝑠𝑠𝑜𝑟𝑒, 𝑒𝑠𝑝𝑒𝑟𝑡𝑜 𝑑𝑖 𝑚𝑖𝑡𝑖 𝑛𝑜𝑟𝑟𝑒𝑛𝑖, 𝑐ℎ𝑒 𝑑𝑜𝑝𝑜 𝑢𝑛𝑎 𝑛𝑜𝑡𝑡𝑒 𝑑𝑖 𝑠𝑡𝑢𝑑𝑖𝑜 𝑙𝑖 𝑐𝑜𝑛𝑣𝑜𝑐𝑎 𝑛𝑒𝑙 𝑠𝑢𝑜 𝑢𝑓𝑓𝑖𝑐𝑖𝑜 𝑝𝑒𝑟 𝑠𝑣𝑒𝑙𝑎𝑟𝑒 𝑙𝑜𝑟𝑜 𝑖𝑙 𝑐𝑜𝑛𝑡𝑒𝑛𝑢𝑡𝑜 𝑑𝑒𝑙 𝑡𝑒𝑠𝑡𝑜. 𝑈𝑛 𝑐𝑜𝑛𝑡𝑒𝑛𝑢𝑡𝑜 𝑐ℎ𝑒 𝑣𝑎 𝑜𝑙𝑡𝑟𝑒 𝑜𝑔𝑛𝑖 𝑖𝑚𝑚𝑎𝑔𝑖𝑛𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒, 𝑒 𝑐ℎ𝑒 𝑐𝑎𝑚𝑏𝑖𝑒𝑟𝑎̀ 𝑙𝑜 𝑠𝑐𝑜𝑝𝑜 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑙𝑜𝑟𝑜 𝑖𝑛𝑑𝑎𝑔𝑖𝑛𝑒. 𝐸 𝑛𝑜𝑛 𝑠𝑜𝑙𝑡𝑎𝑛𝑡𝑜.



«Devo comunicarvi che quello che sto per dirvi non ha un valore ufficiale, e quindi non verrà, per ora, diffuso, poiché sarebbero necessari studi più approfonditi di quelli che ho potuto effettuare in una sola notte. È per questo che ho deciso di non parlare della cosa nemmeno coi colleghi.»

Il professore riprese.

«Beh, la prima cosa è che, in base al materiale e allo stile, sembrano essere le pagine originali della nostra opera nazionale. E già questa sarebbe una grande notizia. Ma c'è di più. Le pagine che avete portato con voi riempiono perfettamente il vuoto della copia originale...»

«Volete dire» – disse Clara luminosa in volto – «che nel testo c'è coerenza e continuità?»

«Perfette. Il testo attuale ha solo le prime trentadue pagine, poi riprende da pagina 48. Un buco di sedici pagine che il vostro faldone riempie alla perfezione. Non c'è dubbio, quelle sono proprio le pagine mancanti.»

La voce del professore tremava di un'emozione autentica. Il breve silenzio che seguì mi servì per fare mente locale. Trentadue pagine conosciute, poi un buco di sedici. Sedici sono i pezzi con cui ogni giocatore parte. Trentadue il totale degli schieramenti. I numeri degli scacchi.

Finito il sorso d'acqua, il professore riprese.

«Ora vorrete sapere, immagino, quale sia il contenuto. Ebbene, questo ha stupito anche me.»

Ci mettemmo in ascolto trepidanti.

«Dovete sapere che tutta l'opera raccoglie le vicende eroiche e violente degli dèi. E questo nuovo capitolo non fa eccezione. O quasi. In queste sedici pagine si narra di una lunga, epica partita tra Odino, il padre di tutti gli dèi, ed un re umano che lui stesso ha invitato a sfidarlo ad un gioco da tavolo molto simile agli scacchi.»

«L'Hnefatafl» – dissi d'impulso.

«Esattamente. E la cosa più stupefacente è che questa partita Odino, che in tutta l'opera è rappresentato come potente e invincibile, la perde! E non la perde perché il re umano che lo sfida sia realmente più forte di lui, ma perché Odino stesso lo istruisce sulle mosse giuste per condurre la partita perfetta e salvarsi, salvando così anche l'equilibrio tra umani e dèi. Una cosa piuttosto anomala in tutta la letteratura nordica.»

«Volete dire» – continuò Clara – «che Odino insegna ad un comune re mortale a batterlo al gioco?»

«All'incirca è così, ma non si tratta di un comune re mortale, dobbiamo metterci nei panni di chi quella storia l'ha scritta, o almeno riportata. Odino era considerato signore della guerra, ma anche portatore di saggezza. Quel re diventa, nella narrazione, il simbolo di tutti gli uomini. Di tutta l'umanità. Insegna agli uomini – rappresentati dal re – a non combattere la guerra con la violenza, ma a superarla con la saggezza, l'altro grande tratto che lo contraddistingue. In questo modo vincono entrambi. È guerriero ed è saggio al tempo stesso. Terribile e generoso. Qualunque delle sue due parti venga sconfitta, in questo caso la guerra, gli permetterà comunque di risultare vincitore con l'altra.»

«Aspetti, professore» – intervenni con foga, l'esperto di miti in me si accendeva. «Odino era il dio della guerra, ma anche della saggezza. Ma un dio che perde contro un mortale... non è concepibile. Non sarebbe una semplice partita. Sarebbe una lezione, non crede?»

Il professore si immerse nei pensieri. Lo anticipai.

«In un certo modo potremmo dire che è Odino stesso che insegna all'uomo a sconfiggere la sua parte bellicosa.»

Il professore mi guardò, quasi sbalordito.

«Un'interpretazione brillante, signor Walsh! È esattamente ciò che emerge dal testo.»

Si fermò per bere un bicchiere d'acqua.

«Odino, il dio viandante insegna al re a non combattere la guerra con la violenza, ma piuttosto a superarla con la saggezza. Anzi, dimostrando che in questo modo vincono entrambi: l'umanità rappresentata dal re mortale si salva, e Odino sconfigge la propria natura guerriera e trionfa.»

«Geniale» «sussurrò Clara con un filo di voce. «Ma perché "dio viandante"?»

«È uno dei suoi epiteti più usati» «spiegò il professore. «Per la sua abitudine di camuffarsi da povero viandante guercio per carpire i segreti degli uomini.»

Clara mi lanciò uno sguardo d'intesa. Avevamo già avuto a che fare con un guercio, a Lisbona...

«Ma quindi le mosse descritte nel testo» chiesi, «sono solo una metafora della lotta tra violenza e saggezza?»

«Oh no» – disse il professore, con gli occhi gli brillavano. «Al contrario, qui tutto è assolutamente concreto. Ed è qui la scoperta più incredibile. Le mosse sono riportate con tale dovizia di particolari che si potrebbero applicare in una partita. Guardate questa immagine.»

Aprì le pagine su quella sorta di schema che avevamo già intravisto: una serie di simboli inseriti in caselle tracciate con precisione.

«Vedete? Questa non è una metafora. È un manuale.»

Clara colse l'attimo.

«Una specie di formula... Un manuale di istruzioni per giocare la partita perfetta.»

«Di più, signorina! Per vincerla!» – esclamò il professore. «Ho provato io stesso ad applicare queste mosse su una scacchiera online, stanotte. Ho sfidato un tizio insonne dalla Norvegia e l'intelligenza artificiale del portale. Ebbene, usando quella sequenza di mosse, 99 volte su 100 si arriva alla vittoria: il re viene messo in salvo, e quasi senza combattere. Un trionfo incruento. Le regole del gioco, d'altronde, sono rimaste identiche.»

Rimanemmo, ancora una volta, sbalorditi. Il collegamento tra il faldone e la scacchiera ora era più chiaro. Rimaneva da capire cosa c'entrassero i giapponesi e come quel faldone fosse arrivato fin lì. Quella parte di testo conteneva le istruzioni per vincere la partita perfetta dunque. O forse solo per non perderla. Mi chiesi se non fosse la stessa cosa.



Matteo Isoni
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